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Autore: SerMisty    21/04/2013    2 recensioni
Regina ripensa a tutto. Ripensa a quando Henry è arrivato nella sua vita, a quando ha imparato a camminare, a parlare, a tutti quei momenti dolci e felici che hanno passato assieme, prima di quel libro e di quelle frecce a matita. Ricorda i baci e gli abbracci e l’amore e prega che non sia troppo tardi per recuperare tutto, di non averlo perso per sempre.
Un pò di missing moments fra Regina ed Henry, perchè sappiamo tutti che Henry ha amato Regina e giuro che se non ci faranno vedere prima o poi qualche flashback nello show mi arrabbierò parecchio ù.ù Voleva essere una closa fluff, ma alla fine si è ricollegata all'inizio della serie e quindi è diventata pure triste... Va bhe, spero che vi piaccia!
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Henry Mills, Regina Mills
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La campanella tintinna con forza, e per quanto sia utile per distogliere lo sguardo di Gold da una stupida tazzina rotta nella vetrina, Regina la trova acuta e scocciante, mentre entra nel negozio con passi rapidi e decisi. Si ferma di fronte al suo rivale di sempre, separati solo dal bancone.
«Voglio un bambino.»
Gold la fissa, senza lasciar trasparire alcuna emozione che sia diversa dall’elegante noncuranza. Si liscia la cravatta.
«Non mi ero accorto che avessimo questo tipo di relazione, signora sindaco.»
Anche Regina è brava a non mostrare l’irritazione per il suo sottile umorismo.
«Lei sa benissimo che cosa voglio dire, Gold.»
«Bhe, se una donna esprime il desiderio di avere un bambino solo uno sciocco potrebbe fraintendere.»
«E tuttavia lei sta fingendo di essere meno intelligente di quello che è.»
Regina Mills non abbassa lo sguardo quando Gold l’affronta, né lui fa lo stesso. Sembrano tanto gli scontri verbali che avevano in un altro tempo, in un altro luogo – ma Regina sa che lui non può ricordarselo.
«Se la pensa così, signora sindaco, allora mi faccia capire bene.»
«Voglio adottare un bambino.» sibila la donna, certa ormai che lui non lo dirà mai di bocca sua.
«Oh, adesso è chiaro!» il signor Gold ride, e per un istante alla donna sembra di riconoscere quella risata e di confonderla con una più maniacale e stridula «Poteva dirlo prima.»
Regina alza gli occhi al cielo – sa che in un modo o nell’altro deve sempre averla vinta lui – e attende che l’uomo faccia il giro del bancone, appoggiandosi al bastone dall’impugnatura dorata che probabilmente terrebbe anche se non fosse diventato zoppo, solo per fare una bella figura.
«Tuttavia, signora sindaco, ancora mi sfugge il motivo per cui è venuta da me.»
Regina trattiene alla meglio il nervosismo sul suo volto.
«Lei è abituato a trattare con i bambini e per i bambini, Gold. So qualcosa riguardo ad una donna incinta di cui pretende il figlio. E l’altra volta ha ridato il pallone a un gruppo di ragazzi solo a patto che non giocassero nei paraggi del suo negozio.»
«Quella non era una trattativa, era un consiglio»
«Fatto sta che io voglio un bambino e lei deve procurarmelo. Faccia affari fuori da Storybrooke, lo rubi a qualcuno… Mi porti un bambino.»
Gold fa schioccare la lingua contro il palato, ridendo.
«È davvero sicura di quello che sta facendo, sindaco Mills? Con le sue attitudini, la vedrei meglio ad accudire una tigre piuttosto che un neonato.»
Regina lo fulmina con lo sguardo, ma lui non si lascia bruciare.
«Abbiamo un accordo?» la donna tamburella le dita sul bancone, in attesa.
Gold sogghigna.
«Vedrò cosa posso fare, sindaco.»
Regina socchiude gli occhi, dubbiosa.
«Come? Così?» domanda «Non c’è sempre un prezzo per lei, Gold?»
«Forse ne riparleremo un giorno. Ora, se potesse lasciarmi lavorare, per favore…»
La donna si irrigidisce, indispettita. Ha ottenuto quello che voleva, certo, ma qualcosa continua a non quadrare: Tremotino vuole sempre qualcosa in cambio, anche solo la soddisfazione di vederla uscire dal negozio a grandi passi perché ha detto “per favore”. 

//***


Gold l’ha avvertita quella mattina.  L’ha chiamata e gli ha detto, senza tanti giri di parole come è solito lui, che ha trovato un bambino e che lo glielo porterà lui stesso quella sera, e di prepararsi ad accoglierlo, intanto.
Non ha bisogno di prepararsi molto, almeno concretamente, perché la cameretta è pronta da settimane, piena di peluche e di tutine ed una culla bianca a cui Regina ancora non sa – “È una sorpresa”, ha detto Gold – se appendere il fiocco rosa o il fiocco azzurro.
Però tutta quell’attesa la sta snervando nel profondo. E mentre lo aspetta sul portico di casa sua – aveva detto che sarebbe arrivato alle otto e sono già le otto e mezza – il sospetto e la prudenza che quel desiderio le aveva fatto abbandonare ritornano in lei pian piano.
Come può Gold averle trovato un bambino? Deve per forza averlo preso fuori da Storybrooke. E come? Nessuno può uscire dalla città, dallasua città, quella che lei ha creato. Forse, essendo Tremotino… No, non è possibile, lui non ricorda. Non ricorda, si ripete più volte, perché i suoi ghigni e le sue risate sono rimaste talmente simili che alle volte ne dubita.
Ma allora come? Come è riuscito a trovare un bambino? Certo non adottandolo via internet. Magari ha usato un assistente sociale del mondo reale come intermediario che glielo ha portato fino in città. Ma anche se fosse? Come potrebbe il bambino oltrepassare il confine di Storybrooke, come potrebbe Gold portarlo con sé? Non ha alcun senso!
Poi improvvisamente i fanali della Mercedes dell’ex Signore Oscuro – che guida con una vanità irritante – si mostrano in fondo alla strada e a Regina si mozza il respiro in gola.
Non sa bene quante volte Tremotino l’ha ingannata – o, se non ingannata, quantomeno manipolata – e fino a quanto si siano spinti i suoi imbrogli: ma sente questa sensazione orribile nello stomaco che le dice di diffidare di lui, dei suoi accordi, e di quel bambino del mondo reale che le sta portando. Qualcosa, mentre la Mercedes si ferma davanti al suo vialetto di ingresso, le consiglia di lasciar perdere tutto e dimenticare quell’assurdo desiderio di essere madre, ricordandole che tanto tempo prima lei stessa si è tolta questa possibilità per non rischiare di rimanere incinta di Re Leopold.
Tanti interrogativi e tanti dubbi scorrono davanti gli occhi di Regina e lei sta per esserne sopraffatta quando Gold scende dalla macchina, appoggiandosi al bastone e stringendo con l’altro braccio un fagottino azzurro.
Ed è proprio questo che dissipa ogni pensiero della donna, lasciandola immobile e silenziosa come ipnotizzata.
È un maschietto. Piccolo, molto piccolo. Non può avere più due, massimo tre settimane. Ha un ciuffetto di capelli bruni che gli ricade sugli occhi chiusi, mentre riposa tranquillo fra le braccia di Gold.
Il suo rivale di sempre attraversa il vialetto, zoppicando, ma Regina si riprende all’improvviso dalla sua immobilità e scatta, lo intercetta a metà strada e con mani tremanti quasi gli strappa il bimbo dalle braccia, come se temesse che solo la vicinanza con l’Oscuro possa fargli male.
Ha dimenticato tutto. La sua diffidenza, la sua freddezza, la sua stessa dignità sono scomparse per lasciar posto a… A non sa nemmeno lei bene cosa, perché tutto ciò a cui riesce a pensare è a quel bambino così bello che tiene in braccio, così piccolo e così dolce e così suo.
Ricorda di aver sentito altre madri che parlavano dell’amore che si provi incondizionatamente per il figlio quando lo si tiene per la prima volta in braccio. Regina non sa se ciò che sta sentendo lei è proprio questo – in fondo, tenta di dirsi, non è lei che lo ha messo al mondo – ma sa che ci si sente bene e che il cuore le batte nel petto in un modo in cui non faceva dai tempi di Daniel.
Gold non parla, osservando la donna cullare pianissimo il bambino addormentato. Regina sorride così dolcemente da non assomigliare nemmeno un po’ al freddo sindaco di Storybrooke, alla crudele Regina Cattiva. Scosta quella ciocca di capelli dal viso del bimbo.
A quel gesto lui mugugna un poco, aprendo piano gli occhi. Regina smette di respirare di nuovo, certa di sapere quello che sta per succedere.
Si metterà a piangere. Ne è sicura. La guarderà e piangerà perché lei, ai bambini, non è mai piaciuta. Anche se già sente di volergli bene, lui non potrà mai ricambiare…
Invece, sorprendentemente, il neonato ridacchia. Forse ridacchiare è una parola troppo grossa, diciamo che farfuglia sillabe incomprensibili con un piccolo sorriso, prima di ricadere addormentato fra le braccia della donna.
Regina sente come se il cuore le esplodesse in tanti piccoli pezzettini. Non l’ha respinta, le ha sorriso. Quanto tempo è passato da quando qualcuno le ha sorriso senza un doppio fine o senza esserne costretto? È così intenta a fissare il bambino che si dimentica di Gold finché non lui non richiama la sua attenzione con un colpo di tosse.
«Le carte sono tutte sbrigate.» la informa «Il bambino è già vaccinato. La madre ha firmato subito, non vuole saperne nulla. Tutto quello che mi serve» estrae dei fogli da una cartellina che tiene attaccata al polso con il quale si appoggia al bastone «è che lei metta la sua firma qui sotto.»
Regina prende la penna che lui le porge senza tentennare, senza chiedere, senza guardare. Butta solo un occhio alle carte per posare la penna sulla riga giusta – proprio sotto la firma della madre biologica, che in una calligrafia frettolosa sembra essere Elena o Emilia o forse Emma – e poi scrive il suo nome senza nemmeno pensarci. Regina Mills, in tutta la sua eleganza, anche se la mano trema.
Per un istante negli occhi di Gold c’è un luccichio malvagio, ma lei neanche se ne accorge. L’uomo afferra la penna e le carte, le ripone in fretta nella cartellina, come temendo che possa cambiare idea.
«Congratulazioni, signora sindaco.» sorride a quel punto, sempre freddo e distaccato come invece Regina non riesce ad essere in quel momento «Come pensa di chiamarlo?»
La donna si riscuote.
«…Chiamarlo?»
Non ci aveva nemmeno pensato, ad essere sinceri. Che idiota. Tanto era stata presa dai dubbi e dai timori – che trova adesso ridicoli, mentre stringe quel piccolo miracolo fra le braccia – che aveva tralasciato la cosa più importante.
«Io suggerisco un nome che ricordi qualcosa.» Gold continua a parlare, con aria da intenditore «Un nome che abbia un significato, che faccia pensare a qualcosa di importante, prezioso o caro.»
Regina riflette. Nella sua vita non ci sono poi tante cose che desidera ricordare in un nome.
Per un istante le viene in mente il suo Daniel – ma si dice che no, che un bambino con il suo nome non farebbe altro che aumentare il suo dolore e il suo desiderio di vendetta.
E poi si rende conto che c’è un’unica altra persona che davvero si pente di aver lasciato indietro.
Il suo sorriso – Gold sa di essere l’unico testimone di una tale rilassatezza sul viso del sindaco – si addolcisce ancora di più, mentre culla il bimbo.
«Henry.» afferma «Il suo nome sarà Henry.»


//***
 

Gold non ne parla con nessuno, per riservatezza, per disinteressamento. Ma ci vuole meno di una settimana perché lo sappia tutta la città.
Ruby, la cameriera del Granny’s Dinner, lo scopre quando vede il sindaco entrare nel locale con un passeggino, sentendola giocare con il bimbo e appellarsi come “mamma”. Scioccata, corre a dirlo ad Archie, lo psicologo, solo per scoprire che lui ne è già al corrente: l’ha incontrata per la strada mentre portava a spasso Pongo, il suo cane.
Anche Billy, il meccanico, lo sa già. Quando il sindaco gli ha portato la Benz per un check-up, l’ha vista prendere il bambino dal sedile accanto al suo, ben comodo e protetto in uno di quei sediolini fatti apposta.
Nemmeno la maestra Mary Margaret è sorpresa. Mentre dava da mangiare ai piccioni al parco ha intravisto il sindaco chinata sul passeggino mentre aggiustava il minuscolo cappotto del bimbo per evitare che prendesse freddo, anche se si è guardata bene dall’avvicinarsi. La stessa cosa vale per il dottor Whale, a cui la donna ha portato il bambino per assicurarsi che davvero ogni vaccinazione fosse stata fatta, e ha anche aggiunto che sembrava tremasse all’idea che il piccolo potesse avere qualcosa.
Lo sceriffo Graham è un po’ nervoso quando Ruby gliene parla. A quanto pare la scorsa sera – non è molto preciso al riguardo – il sindaco lo ha respinto in malo modo poiché doveva occuparsi del bambino. Anche Sidney Glass, il giornalista, sembra irritato, borbottando qualcosa a proposito del lavoro extra che la donna gli ha affibbiato dato che lei non aveva il tempo di finirlo, doveva pensare al nuovo arrivato.
Ruby è piuttosto depressa quando torna al Granny’s Dinner. Possibile che questa notizia sorprenda soltanto lei?
Alla fine, quando sua nonna commenta con tranquillità che – per quanto sia difficile ammetterlo – Regina Mills e suo figlio sono proprio carini, la cameriera lancia un ringhio quasi da lupo per poi filare a grandi passi in cucina, chiedendosi se quella strega non abbia voluto adottare un bambino solo per farle fare la figura dell’idiota.


//***
 

«Forza, Henry! Non aver paura, c’è la mamma, qui!»
Il bambino la fissa come se l’idea di volerlo far muovere fin laggiù sia la più grande pazzia del mondo. Le minuscole manine si aggrappano saldamente alla gamba del tavolo, unico appiglio adesso che vede il mondo dall’alto e non più a quattro zampe.
«Lascia la presa, Henry. Sono qua vicino, devi fare solo qualche passo!»
Per un istante sembra che Henry stia scuotendo la testa, e che lasciare andare quel solido mobile sia per lui un vero suicidio. Regina è accovacciata a poco più di un metro di distanza, in un perfetto equilibrio sui tacchi, e si strofina le ginocchia da sopra la gonna nera, aprendo poi le braccia facendogli segno di raggiungerla.
«La mamma è qui, tesoro. Non ti lascerò cadere, te lo prometto.»
Il bambino tentenna ancora, però una mano allenta la presa e scivola pian piano lungo la gamba del tavolo, fino a lasciarla. La segue anche l’altra, dopo qualche secondo.
Henry barcolla e i muscoli di Regina fremono, pronti a scattare se lo vedrà perdere l’equilibrio. Però non succede e, un po’ incerto, il piccolo muove una gambetta avanti, e poi l’altra, e poi si ripete.
Traballa nei suoi primi passi e Regina, eccitata e quasi commossa, si ritrova improvvisamente a chiedersi come furono i suoi: le sembra di ricordare qualcosa a proposito di sua madre che la sgridava, dicendole che la bambine alla sua età sanno già camminare, e che le dava il giusto equilibrio con la magia.
Henry invece non ha bisogno di magia. Agitando le braccia per bilanciarsi, è ormai a pochi passi dalla madre che si trattiene a stento per non interrompere quella sua marcia stoica per abbracciarlo stretto.
Perde l’equilibrio proprio all’ultimo, ma non ha nemmeno il tempo di accorgersene che già Regina lo ha afferrato, e lo solleva in aria insieme a lei, ridendo in un modo così limpido che certamente si rovinerebbe l’immagine se qualcuno entrasse nella cucina di casa sua in quel momento.
«Bravo, Henry!» esulta «Bravissimo, tesoro, bravissimo!»
Il bambino ride senza capire bene il perché, agita manine e gambette nel vuoto, e poi Regina lo abbraccia e gli bacia la fronte e lui si stringe al suo collo e in quell’istante è tutto perfetto.
Forse non è stata poi così cattiva durante la sua vita, dopo tutto. Per meritarsi un momento così felice, riflette Regina, deve aver fatto anche qualcosa di buono.

//***


Sbuffa irritata mentre firma un’ennesima carta burocratica. Quel mondo è davvero mostruoso come aveva detto a Biancaneve tempo fa: non capisce tutte le leggi che deve far approvare – lei è il sindaco, è la regina della città, dovrebbe decidere per tutti! – e quell’idea di fingere che tutte le regole fuori da Storybrooke siano d’accordo, mentre fuori dalla città non sanno nemmeno che esistono. Rimpiange la vecchia magia, nonostante alcune cose di quel mondo siano davvero strabilianti, come la televisione o il computer – e quanto tempo ci ha messo per imparare ad usarli!
La sua attenzione viene attratta improvvisamente da qualcosa che le tira la gonna. Abbassando lo sguardo, si accorge di Henry che la guarda con gli occhioni spalancati.
«Non ora, Henry.» dice, tentando di essere severa «Vai a giocare, la mamma deve finire qui.»
Il bambino potrebbe anche obbedire – lei la sa che lui l’ha capita, e sa anche che potrebbe andarsene silenziosamente come è arrivato, visto che da quando ha imparato a camminare non fa altro che scorrazzare per la casa, e anche perché fino a pochi minuti fa stava giocando con un trenino dall’altro lato dell’ufficio, quindi non era certo ignorato o in solitudine – ma invece rimane lì, la fissa e le tira la gonna.
«Henry, ho da fare. Non posso giocare con te.»
Lui non si muove. Regina acquisisce un tono più secco.
«Henry, vai a giocare. Adesso.»
Gli rifila una sguardo ferreo, ma il bambino non sembra recepirne la severità. Anzi, tutto quello che fa è aprire la bocca e biasciare due piccole sillabe.
«Mam-ma…»
La penna scivola dalle mani della donna, gli occhi si riempiono di amore e anche se lo fosse davvero non sarebbe più capace di guardarlo con durezza. Henry ha da poco imparato a parlare e quell’unica parola – mamma – è capace di abbatterla anche più del per favore di Gold.
Sorride, si china e lo prende in braccio, poggiandoselo sulle ginocchia mentre lui ride e le si stringe al petto.
«Avrò sempre tempo per te, tesoro mio.»
La burocrazia di quel mondo può anche aspettare.

//***


«Henry, mangia.»
Il bimbo incrocia le braccine, seduto – quasi incastrato – sul seggiolone, e gonfia le guance: non ne ha alcuna intenzione.
«Ma ti è sempre piaciuta la crema di mele! Cosa c’è che non va, oggi?»
Lui scuote la testa. Non c’è alcuna spiegazione, non ha semplicemente voglia di mangiare.
Regina sospira. Non può restare digiuno.
«Henry, coraggio! Guarda com’è buono.»
Per dimostrarlo, prende una cucchiaiata e la mangia lei. Il bambino sembra più attratto di prima, ma non cambia né espressione né posizione né tantomeno idea.
Regina allora cambia tattica. Butta un occhio ai giocattoli sul pavimento da cui lei lo ha separato per farlo mangiare, e che forse sono la causa di tutto quell’astio verso il cibo.
«Su, Henry! Un boccone per Teddy?»
Lui guarda per un istante l’orsacchiotto di pezza, poi scuote la testa.
«Un boccone per il trenino?»
Nemmeno.
«Un boccone per la scimmia a molla?»
Ancora no.
«Allora un boccone per la mamma.»
E questa volta il bambino non si può rifiutare. Tentenna un po’, poi sgonfia le guance e apre la bocca. Regina sorride, riempiendo il cucchiaio.
Per la mamma, lui farebbe di tutto.

//***


«Regina, non può continuare così.»
La donna solleva lo sguardo, dimenticandosi per un momento che è accovacciata a terra facendo giocare il piccolo Henry.
«Cosa vorresti dire, Sidney?»
Si rialza, prendendo il bambino in braccio. Rivolge al suo fedelissimo uno sguardo severo, mentre Henry ride e le tira giocosamente i capelli.
Sidney saltella sui piedi, nervoso.
«Voglio dire che da quando ti porti dietro questo bambino stai lavorando di meno. Sempre bene, certo, però molte carte le devo rifinire io e…»
«Bhe, non ti pago proprio per questo?»
«Sì, ma…»
«Allora fa’ il tuo lavoro.»
Lo supera, dirigendosi irritata verso la porta per uscire dall’ufficio. Lui la insegue.
«La gente chiacchiera.» l’avverte «Dicono che non sei più il sindaco di una volta…»
«Che parlino, poi vedremo.» replica lei, già decisa a provocare grattacapi in via anonima e non a chiunque lo abbia pensato.
«Sai, posso trovarti una babysitter. Sono sicuro che…»
«Nessuno si occuperà di mio figlio al posto mio!» Regina scatta, e Sidney fa un salto all’indietro «Lui è mio figlio. E io sono il sindaco. Se voglio portarlo con me all’ufficio, me lo porto. Quando sarà abbastanza grande per andare all’asilo ne riparleremo, ma fino ad allora, Sidney, non osare mai più criticare le mie scelte. Abbiamo finito.»
Regina si volta di nuovo e attraversa spedita il corridoio, mentre Henry continua a ridere fra le sue braccia. Sidney non si muove se non dopo qualche minuto.

//***


Quando Regina ed Henry entrano nella classe, automaticamente la mano del bimbo si stringe più forte alla sua.
Non ha mai visto tanti bambini tutti assieme. Maschietti e femminucce che piangono, ridono, corrono e giocano in un chiasso assurdo. Gli occhi di Henry si spalancano, sorpreso a incuriosito.
Regina storce un po’ il naso, chiedendosi per un istante se sia sicuro per suo figlio interagire con quella mandria di marmocchi. Ma prima che possa fare qualcosa, la maestra – non sa nemmeno chi sia, accidenti, perché la maledizione non ha creato un libricino con tutte le controparti? E se fosse una criminale? – li raggiunge e si china davanti a Henry.
«Ciao, piccolo!» sorride amabile. Poi cambia espressione quando alza lo sguardo verso la madre «Signora sindaco.»
Regina la fissa altezzosa, mentre il bambino si sporge per guardare tutti quelli che saranno i suoi nuovi compagni. La maestra le spiega brevemente il programma e le assicura che andrà tutto bene, ricordandole infine che i primi giorni l’orario di uscita è alle tredici, ma che se i suoi impegni sono gravosi naturalmente…
«Va bene  così.» la interrompe lei, sollevando la mano libera dimenticandosi per un momento chenon può zittirla trasformandola in rospo. Si china verso Henry, aggiustandogli il cappottino.
«Allora la mamma va via, va bene, tesoro?»
Lui la guarda confuso.
«Non giochi con me?» domanda, trascinandosi un po’ le c.
«No, Henry, devo andare a lavorare.»
Sembra deluso.
«Però torno presto.»
Sorride. Le crede.

Regina è la prima mamma ad entrare in classe, quando scoccano le tredici. La maestra non la finisce più di lodare la sua puntualità nonostante gli ovvi impegni.
Tornando a casa, Henry è un disco inarrestabile, mentre le racconta quello che hanno fatto all’asilo: lo hanno presentato agli altri bambini, hanno giocato, hanno colorato, hanno raccontato delle storie, e lui ha fatto amicizia con alcuni bimbi molto simpatici e hanno giocato al dinosauro che arrivava in città e schiacciava per errore tutte le macchinine. Regina sorride anche se non capisce tutto, perché Henry parla in fretta e si imbroglia nella parole.
«Allora ti sei divertito?» conclude alla fine del suo discorso.
Inizialmente, Henry annuisce con decisione. Poi abbassa lo sguardo, ci pensa e precisa:
«Però mi sei mancata.»
Regina sa che il suo cuore si è appena sciolto in un arcobaleno colorato.

//***


Regina non dorme sempre tranquilla durante la notte. Specie quando Graham non c’è, se non si addormenta subito viene assalita dai ricordi del suo passato, di quello che ha fatto, di quello che sta facendo tutt’ora, delle persone che ha ucciso e ingannato e tormentato. Alle volte viene presa dal panico di non riuscire a sostenere il peso di un’intera città incantata e sente un macigno invisibile bloccarle il respiro, sapendo che se per disgrazia qualcosa nella maledizione non funzionasse e tutti recuperassero la memoria non ci vorrebbero più di dieci minuti per ritrovarsi impiccata in mezzo alla piazza. In queste notti, anche se si addormenta, Regina ha gli incubi.
Quella notte però i sogni durano poco, perché qualcosa la strappa dal sonno improvvisamente. Sbatte le palpebre, assonnata, e si volta verso la sveglia che in numeri luminosi segna le due e venticinque.
Fa per sbadigliare e rimettersi a dormire, ma quando tenta di tirare la coperta si accorge che qualcosa la tiene ferma. Si solleva, e sobbalza quando si accorge che Henry si è accoccolato ai suoi piedi, e la sta fissando nascosto dietro il suo orsacchiotto di pezza sperando di non essere visto.
«Henry!» esclama, sorpresa «Che cosa ci fai qui? Ti senti bene?»
Il bambino annuisce. Regina è visibilmente rassicurata.
«E allora cosa c’è?»
Lui abbassa lo sguardo.
«Ho fatto un brutto sogno.» confessa «C’era un mostro nero nero che voleva prendermi. Posso dormire con te?»
La donna sorride, dolce come solo con lui si permette di essere. Scosta la coperta dal lato accanto al suo.
«Certo che puoi.»
Lui non è ancora sicuro. Agita l’orsacchiotto.
«Anche Teddy?»
«Anche Teddy.»
Felice, il bambino gattona allegramente verso il cuscino e si infila sotto le coperte, con il peluche stretto al petto e la testa accoccolata su quello della madre.
Regina gli accarezza i capelli, chiudendo gli occhi. Anche per lei gli incubi sono finiti.

//***


Regina non lo lascia mai a casa da solo. Mai. Ma ha davvero bisogno di aggredire Archie riguardo ai ricordini che Pongo lascia spesso nel suo giardino, e lo ha visto passare oltre casa sua in quel momento, perciò pensa che ci metterà così poco che non farà alcuna differenza per una volta. Rassicura Henry dicendo che non ci vorranno più di cinque minuti, e che in ogni caso lui non deve aprire assolutamente a nessuno. Il bambino annuisce, poi chiude la porta quando lei scompare dietro l’angolo.
Un minuto dopo, quando bussano, Henry corre ad aprire tutto allegro convinto che sia sua madre: il sorriso scompare dal suo volto quando invece si ritrova davanti lo sguardo freddo del signor Gold.
Henry non conosce il signor Gold. Non molto bene, almeno. Un paio di volte l’uomo ha incrociato la loro strada, ma Regina lo ha sempre tenuto ben lontano da lui. Adesso lo guarda, come se fosse il lupo che si finge la mamma dei sette capretti.
«Ciao, Henry.» Gold sorride, quel sorriso fa un po’ paura «Tua madre è in casa?»
Lui scuote la testa.
«Posso aspettarla dentro?»
Rifiuta di nuovo.
«Perché no?»
Il bambino quasi si nasconde dietro la porta.
«Mamma ha detto di non far entrare nessuno.»
Gold sogghigna.
«Ma io non sono Nessuno.»
Lui ci pensa un momento, ma non trova alcuna piega nella sua logica, così si sposta e lo lascia entrare. Gold zoppica all’interno, fino alla cucina, e si siede senza chiedere permesso. Henry lo segue, un po’ timoroso.
Gold si accorge del foglio bianco e dei pastelli sul tavolo.
«Continua pure quello che stavi facendo, piccolo. Non badare a me.»
Non volendo disobbedire, Henry si arrampica sulla sedia e prende i colori. Il foglio è ancora bianco, ma adesso finalmente sa che cosa disegnare.
Gold si china in avanti, appoggiandosi al bastone. Osserva il bambino alternarsi con i pastelli, prima il nero, poi il giallo e poi il marrone, ma non dice nulla. Solo quando il bimbo sorride, soddisfatto della sua opera, si permette di domandare:
«Posso vedere?»
Henry tentenna un po’, ma nonostante il tono sia gentile quella punta di comando lo convince ad allungargli il foglio. Gold lo prende e lo guarda.
Uno strano essere nero si estende sulla carta. Un cerchio in alto, due line che scendono verso il basso, e in mezzo altre due linee con tanti rametti attaccati. Una di esse mantiene quello che somiglia ad un bastone.
Gold ricorda di aver letto qualcosa sui bambini, quindi riconosce quello scarabocchio come una persona. Una persona con un bastone. Ritornando alla testa, si accorge di due occhi e un sorriso giallo – perché giallo? – e dei tratti marroni verso il basso che somigliano a dei capelli.
Henry lo fissa seminascosto dietro il tavolo. Assiste alla sua curiosità e improvvisamente alla sua realizzazione.
«Sono io, questo?»
Gli è venuto in mente riguardando il sorriso. Evidentemente i suoi denti storti – anche e soprattutto quello d’oro – devono averlo colpito parecchio.
Henry annuisce piano, spaventato che possa non piacergli. Invece, Gold scoppia in una risata sonora e terribilmente sincera. Anche il bambino, rassicurato, ridacchia un po’.
«Henry, sono tornat…!»
Regina sbianca di colpo. Ma "sbiancare" è un vocabolo che non esprime alla meglio il pallore del suo volto, che nel varcare la soglia della stanza perde talmente colore che potrebbe facilmente essere scambiata per un fantasma. Del resto, trovare Gold nella propria cucina che ride di cuore assieme al proprio figlio non farebbe piacere a nessuno.
Henry sorride raggiante a sua madre, ignaro del pericolo che ha corso. Gold si ricompone, restituendo a Regina il suo solito sguardo subdolo e manipolatore.
«Oh, salve, signora sindaco. Ero passato a fare una visita.»
Regina fa un passo verso la sedia di Henry, spaventata all’idea che possa avergli fatto qualcosa. Sapendo inoltre che le sue visite non sono mai di cortesia, trova incredibilmente il coraggio di chiedere:
«Voleva sapere qualcosa riguardo al nostro… Accordo, signor Gold?»
Ha la gola secca, mentre cerca di non mostrare quanto in realtà sia angosciata. Se è arrivato il momento di pagare per suo figlio lo farà, ma non sapere cosa Gold voglia in cambio la preoccupa a morte.
Lui fa schioccare la lingua contro il palato, facendo leva sul bastone per alzarsi.
«In effetti l’intenzione era quella, signora sindaco» ammette. Poi aggiunge, con un ghigno «Ma questo disegno è un pagamento più che sufficiente.»
Regina aggrotta le sopracciglia, mentre la sua mente si domanda di che diavolo di disegno stia parlando e perché suo figlio gli sorrida con aria quasi complice. Gold le scocca un’occhiata indecifrabile – ci legge ammonimento e superiorità e potere – e poi zoppica fuori dalla stanza. La donna si accorge di aver trattenuto il respiro solo quando sente la porta di ingresso chiudersi dietro di lui.
Henry la fissa sempre sorridendo. Poi Regina si volta e lo abbraccia stretto, trattenendo un singhiozzo strozzato, e il bambino non capisce perché.

//***


Regina si è accorta che c’è da due giorni, e da due giorni cerca di far finta di niente. Ma non è facile.
Lui è lì quando si affaccia alla finestra la mattina, ma scompare quando lei ed Henry escono per andare a scuola. È fuori al cancello quando entra per riprenderlo all’asilo, ma è sparito quando ne escono assieme. È al parco quando lo porta a giocare, è fermo sul marciapiede quando gli compra un gelato, la fissa da dietro l’angolo quando lo abbraccia.
Quella sera, dopo aver dato ad Henry il bacio della buona notte, Regina scende in cucina per prepararsi una tisana, alza gli occhi verso la finestra e lo vede.
È proprio lì, nel suo giardino, e fissa attentamente verso l’alto, dove sa che c’è la camera di Henry.
Quasi non si accorge di essere scattata fuori di casa, in camicia da notte e pantofole com’è, per attraversare di corsa il giardino e raggiungerlo.
«Lei!» esclama, e si deve trattenere per non gridare il suo nome chiaro e tondo, ricordandosi che in realtà non l’ha mai incontrato «Le ordino di uscire dal mio giardino immediatamente e di stare lontano da me e da mio figlio!»
L’uomo, con molta calma, abbassa lo sguardo verso di lei e si aggiusta il foulard che porta al collo.
«Allo stesso modo in cui tu sei stata lontana dalla mia, non è vero?»
Regina sente un brivido correrle lungo la schiena, ma non lo dà a vedere.
«Non so di che cosa lei stia parlando.»
«Oh, invece io credo che tu lo sappia benissimo, Maestà
Non risponde. Non ha la forza di parlare e in ogni caso non saprebbe che dire.
L’uomo si finge sorpreso.
«Cosa c’è, non ti ricordi di me?»
«Io non l’ho mai vista prima d’ora.»
«Allora ti darò una mano: sono Jefferson.» sputa «Quello che hai ingannato e imprigionato nel Paese delle Meraviglie e che hai separato per sempre da sua figlia.»
Le immagini di quel giorno scorrono rapidissime davanti agli occhi di Regina. Un cappellaio diverso da quello che aveva conosciuto al servizio di Tremotino, un cappellaio che le era servito per arrivare in quel reame e che sì, aveva ingannato per salvare suo padre e per liberarsi di una delle persone che in qualche modo ancora le ricordavano Daniel. Ma se il suo cuore non fosse già stato completamente oscuro, probabilmente sarebbe crollata mentre lui parlava di come sua figlia voleva tornasse per “il prossimo tè”.
«Io sono quello che hai costretto ad essere matto in entrambi i mondi.» continua lui «E adesso, mentre io non posso stare con mia figlia come dovrei, devo vedere te che me l’hai portata via essere amata da un bambino che non è tuo. Ti sembra giusto?» strilla «Ti sembra giusto!?»
«Lei è pazzo.» afferma Regina, fredda, e in cuor suo sa che ormai è vero «O è ubriaco. In entrambi i casi le suggerisco di tornarsene a casa, e se la vedo di nuovo sulla mia strada chiamo la polizia.»
Jefferson ride, una risata folle in un sorriso che si estende da un lato all’altro della faccia.
«Arriverà il momento in cui lui scoprirà chi sei, e si allontanerà. E voglio godermi ogni momento di questo, Regina, perché voglio vederti soffrire come soffro io.»
«Fuori. Dal. Mio. Giardino.» scandisce lei, ma sente che la sua profezia le ha lasciato il respiro corto.
Jefferson si aggiusta nuovamente il foulard e poi se ne va a grandi passi. Regina si permette di respirare solo quando lo vede sparire dietro l’angolo.
Rientra in casa, barcollando un po’. Tutta la tensione le è salita al cervello, offuscandole un po’ la vista, e deve sedersi per riprendere fiato.
«Mamma?»
Alza la testa di scatto – non sta piangendo, vero? No, non sta piangendo – e vede suo figlio in fondo alle scale, stretto al suo orsacchiotto, chiaramente chiedendosi perché sua madre si tenga la testa fra le mani seduta nell’ingresso.
Sorride dolcemente.
«Va tutto bene, tesoro. Vieni qui.»
Henry obbedisce, correndo a piedi nudi e stringendosi al petto della donna, che a sua volta lo abbraccia forte.
Jefferson si sbaglia. Henry non si allontanerà da lei, perché lei non lo abbandonerà.

//***


Regina non può negare, mentre accompagna Henry alla sua nuova scuola, di provare una certa punta di nervosismo.
Ha cercato, ha cercato davvero un’altra classe, ma pare che praticamente la migliore sia quella di Mary Margaret Blanchard – possibile che debba essere la migliore in qualcosa anche in questo mondo? – e lei vuole per suo figlio la migliore istruzione. Perciò si sforza di dimenticare per un attimo che quella sia Biancaneve mentre oltrepassa con Henry la soglia dell’aula.
Gli altri bambini stanno parlando fra loro, in attesa che la lezione cominci. Mary Margaret sobbalza quando la vede entrare, e si affretta a raggiungerli.
«Signora sindaco.» saluta. Poi, al bambino «Ciao, Henry! Come stai?»
«Bene.» sorride lui. Regina sente una punta di fastidio per il fatto che Mary Margaret abbia già guadagnato un sorriso da suo figlio dopo nemmeno mezzo minuto che ci ha parlato, ma non ci bada.
«Signorina Blanchard, penso che non ci sia bisogno che le dica quanto tenga alla sicurezza di mio figlio.» dice, e Mary Margaret scatta, quasi accartocciandosi su se stessa.
«Ma certo, non c’è niente di cui preoccuparsi, signora sindaco, andrà tutto benissimo.»
«Lo spero per lei.»
Regina si china per accarezzare la testa del bambino.
«Ti vengo a prendere più tardi.»
«D’accordo. Ti voglio bene, mamma.»
La donna sorride – non può trattenersi, nemmeno davanti alla sua nemica – mentre il bambino le lascia la mano e senza alcuna paura per l’ignoto si lancia a conoscere i suoi nuovi amici.
Regina esce dall’aula, tuttavia, con una strana sensazione nello stomaco. La stessa che aveva quando parlava alla piccola Biancaneve tempo e tempo addietro.
Come se stesse rischiando di perdere quello a cui più tiene.

//***


Regina corre dentro la scuola come se non indossasse un tacco di altezza considerevole. Attraversa rapida il corridoio finché non raggiunge una stanza che non avrebbe mai voluto vedere – “Infermeria”.
Apre la porta di botto, facendo sobbalzare l’infermiera così come suo figlio e Mary Margaret china su di lui.
«Lei!» esclama, irata «”Non c’è niente di cui preoccuparsi”? Si diverte proprio ad attentare a tutte le persone a cui tengo, vero?»
Mary Margaret non fa domande – ed è una fortuna, perché si è lasciata scappare un “tutte” di troppo – ma prima che possa parlare Henry l’ha preceduta.
«Ma mamma, non è stata colpa sua!»
Regina si volta verso di lui, un po’ indispettita – perché, perché lei trova sempre qualcuno che prenda le sue difese? – e decide di crederci, accarezzando la testa del figlio dal lato in cui non tiene premuto una borsa col ghiaccio.
«Cos’è successo?» gli domanda, mentre sente chiaramente Mary Margaret tirare un sospiro di sollievo.
«Stavo giocando a pallone insieme a Jake e lui non ha una buona mira, così mi ha preso dritto in faccia e poi sono caduto a terra. Non sei arrabbiata con la signorina Blanchard, vero?»
Regina sorride.
«No, tesoro, non sono arrabbiata.» non è proprio la verità, ma non importa «Ero solo preoccupata.»
Il bambino sorride raggiante e la donna ha un sussulto.
«Henry, dov’è il tuo dente?»
Lui alza un dito come se si fosse ricordato solo in quel momento: fruga in tasca e ne estrae l’incisivo di latte.
«Mi è caduto.» spiega, e per enfatizzarlo muove la lingua sul buco in mezzo alla bocca «Lo posso mettere sotto il cuscino?»
Regina ci mette qualche istante per capire: altra stranezza di quel mondo, lì si ripete mille volte che le favole sono tutta fantasia ma si fa credere ai bambini che un topo baratti denti per monete. La logica, non ha ancora capito dove sia.
Gli dà un bacio sulla fronte.
«Certamente, tesoro.»
Henry l’abbraccia forte, e Regina sente di aver battuto Mary Margaret almeno in questo.

//***


«Stia tranquilla, signora sindaco, è solo un po’ di varicella.»
Le parole del dottor Whale – che sembra piuttosto scocciato di essere stato costretto a questa visita a domicilio – non l’aiutano per niente: varicella? Cosa diavolo è la varicella!? La maledizione ha dato a tutti nuove conoscenze, ma non a lei. Per quanto ricorda l’unica occasione in cui la pelle si riempie di bolle rosse è sotto l’incantesimo per trasformare in salamandre, e allora non ci sarebbe proprio niente da stare tranquilli.
«La sa curare?» domanda, accarezzando la testa di suo figlio che sbuca da sotto le coperte.
Whale alza gli occhi al cielo, ridacchiando divertito per quello che – lui crede – è la solita preoccupazione materna.
«Certamente.» prende un foglio e ci scribacchia su alcune cose «Non ci vuole altro che riposo e questo antivirale. Ma soprattutto» lancia un’occhiata al bambino «non bisogna grattarsi.»
Lui sbuffa, abbassando la mano che era salita verso la guancia piena di bolle.
Whale sorride e allunga la ricetta a Regina. Il sindaco ringrazia – il sindaco ringrazia? – e poi lo accompagna alla porta.
Il medico viene assalito da un dubbio solo quando è già sul portico.
«Signora sindaco, ma lei l’ha avuta la varicella, vero?»

«Mamma, non ti devi grattare! L’ha detto anche il dottor Whale!»
Regina tenta di trattenersi, ci prova davvero, per dare il buon esempio, ma diavolo quel prurito è insopportabile! La mano scatta da sola verso il braccio apposto, grattandosi furiosamente.
Henry – ormai completamente guarito e immune – corre verso il letto e la ferma. Regina si lascia andare ad un sospiro avvilito.
«Come hai fatto a resistere, tu?» esclama, frustrata.
Il bambino ridacchia. Poi prende il brodo che Katrhyn – Regina si è abbassata a chiedere aiuto alla ex principessa solo perché sarebbe in grado di grattarsi anche con il piatto – ha preparato apposta e ne prende una cucchiaiata.
«Ecco, adesso di’ “ahhhhh”…»
Regina alza gli occhi al cielo.
«Henry, questo è davvero inappropriato…»
Lui la fissa con un sopracciglio alzato, cosa che la porta ad accorgersi che si sta grattando di nuovo.
Sospira. Poi, convinta che perdere la dignità con suo figlio non sia poi così terribile, si arrende e apre la bocca.
Henry è felice di poter accudire sua madre, per una volta.

//***


Regina entra in classe svelta, sentendosi un po’ colpevole: gli impegni l’hanno talmente sommersa che sa di essere molto in ritardo.
Quando arriva, però, Henry non sembra né arrabbiato né dispiaciuto. Anzi, si alza in fretta dal banco, afferrando un’oggetto strano da esso, e le corre incontro, abbracciandola.
«Ho fatto una cosa per te!» esclama.
Regina non ha nemmeno il tempo di parlare o di capire quello che sta succedendo che Henry le ha già mostrato l’“oggetto strano”: è un blocco di DAS con su l’impronta della mano del bambino, tutta colorata di rosso. Sotto, inciso sulla pasta, c’è scritto “Per Mamma”.
Poche persone le hanno mai regalato qualcosa. Daniel le donò l’anello, e quel bambino, Owen, il portachiavi, ma questo è il regalo più bello che Regina abbia mai ricevuto in tutta la sua vita. Le sue dita sfiorano l’impronta della mano di suo figlio, e non riesce, non può trattenere uno singhiozzo commosso.
Henry interpreta male.
«Non ti piace?»
Immediatamente, lei si china e lo abbraccia stretto, ignorando lo sguardo sorpreso di Mary Margaret.
«È bellissimo, Henry. Grazie.»
Henry sorride e ricambia l’abbraccio. Regina è felice, felice davvero, in quel momento, ma non può sapere che sarà forse l’ultima volta che piangerà di gioia.

//***


Non sa come le cose hanno preso una brutta piega. È successo all’improvviso, e non c’è stato più nulla da fare.
Henry rientra a casa quel giorno piangendo disperato. Regina dimentica le lasagne nel forno e corre da lui, preoccupata.
«Henry!» esclama, chinandosi «Cos’è successo? Ti sei fatto male?»
Lo scruta, cercando di vedere un graffio o un livido provocato dal pallone o dal frisbee con cui stava giocando insieme ai suoi amici lì fuori, ma non vede niente. Lui piange troppo per dire qualcosa.
«Henry, cosa è successo? Ti prego, dimmi che ti prende.»
Non può vederlo piangere. Non ce la fa. Gli asciuga le lacrime che gli colano sulle guance, mentre lui cerca di parlare in mezzo ai singhiozzi.
«È vero che mi hai adottato?»
Crack.
Se la felicità fosse un’asse di legno, in quel momento quella di Regina si sarebbe spezzata, e avrebbe fatto proprio così, crack. La donna rimane a fissarlo, le mani le tremano.
«Chi… Chi te lo ha detto?»
Lui tira su col naso.
«Jake. Ha detto che ho un frisbee migliore del suo perché tu mi compri tutto quello che voglio perché non sono tuo figlio, e che i suoi genitori hanno visto il signor Gold passare a casa nostra il giorno in cui sono arrivato.»
E in quel momento Regina non ha nemmeno la forza di odiare quel Jake – che poi altri non è che Pollicino, un famoso piantagrane – perché mentre Henry piange di fronte a lei tutto ciò a cui può pensare è a come farlo smettere, a come farlo sentire meglio, a come farlo tornare allegro e spensierato.
«Io…» ma sa che mentendogli non farebbe altro che peggio, e perciò decide di essere sincera, in tutto e per tutto «Sì, Henry, è vero. Ma tu sei mio figlio. Ti compro quello che vuoi perché ti voglio bene, e non c’entra il fatto che ti abbia adottato. Ti ho amato fin dal primo momento in cui sei venuto in questa casa, e questo non cambierà mai.»
Fa per abbracciarlo, ma per la prima volta Henry si ritrae, e questa cosa le spezza il cuore.
«Perché non me lo hai mai detto?» piange, e Regina sente che è sul punto di farlo anche lei.
«Io… Io credevo che non lo avresti mai saputo, e non volevo…»
Lui non la fa finire, scappa su per le scale.
«Henry, aspetta!»
Sente la porta della sua camera chiudersi con un tonfo, e pare che lo stesso rumore lo faccia anche il suo cuore.
Ha fatto piangere suo figlio.
Non se lo perdonerà mai.

//***


Le cose cambiano drasticamente fra di loro da quel momento. Lui non l’abbraccia più spesso, né la tiene per mano, le sorride di meno, e Regina si sforza di credere che è perché sta crescendo, ma non ci riesce. Non legge più nei suoi occhi l’amore incondizionato di prima, o, più che altro, la fiducia di prima, e non ha la più minima idea di cosa fare per riconquistarla.
Spera costantemente in qualcosa che cambi la situazione. Solo che quando arriva, la situazione cambia in peggio.
Henry entra nella sua camera mentre si sta truccando per andare “ad una riunione straordinaria” – Graham è libero quella sera – e rimane a fissarla sulla porta, non più curioso come un tempo, ma più indagatore.
«Tesoro.» Regina sorride, sperando sia venuto per abbracciarla, così, senza motivo «Va tutto bene?»
La voce di Henry è piuttosto secca quando parla.
«Perché sono l’unico che cambia?»
E le ginocchia di Regina cedono, lei cade seduta sul letto con il respiro corto ma Henry questa volta non si preoccupa per niente.
No. No no no no no no…
«Che cosa vuoi dire?» domanda, deve mantenersi calma, deve mantenersi calma.
«Voglio dire che in questa città tutti sono sempre gli stessi! Jake aveva sette anni quando sono arrivato in classe, ma adesso io ne ho quasi otto e lui invece no! E anche all’asilo, dove sono tutti i miei vecchi amici? E perché ogni giorno facciamo quasi le stesse cose? E anche tu» il dito incriminante che le punta contro è più doloroso e spaventoso di quelle frecce che avrebbero dovuto ucciderla tempo fa «non cambi mai! Sei sempre la stessa, in tutte le foto, mentre io cresco! E anche la maestra Blanchard, e il signor Gold, e tutti quanti! Perché io sono l’unico che cambia!?»
Regina sa di non poter rispondere. Non solo perché ci sarebbe troppo, davvero troppo da spiegare, ma perché non si è mai preparata un discorso simile e perché non ha nemmeno abbastanza forza per parlare.
Salta in piedi, afferra la borsa.
Non può dirglielo. Lui non può saperlo. Non vuole renderlo partecipe di tutti gli incubi che la tormentano durante la notte, vuole solo che sia felice, vuole solo…
«Devo andare alla riunione.» dice, come se non fosse successo niente, quasi fuggendo giù per le scale «Torno fra qualche ora. Non aprire a nessuno.»
«Rispondimi!» Henry è arrabbiato «Perché tutti sono sempre uguali? Perché sono l’unico che cresce? Cos’ha di strano questa città? Cosa…»
«Henry, maledizione, basta fare domande!»
Non voleva scattare. Davvero. Lei non l’ha sgridato mai, e in quelle rare occasioni era solo quando rischiava di farsi male, come quando correva nel corridoio. Ma non può sostenere quelle domande, non quando desiderava solo dimenticare il passato, iniziare una nuova vita con lui e che per otto anni ha anche creduto di poter avere…
Henry è visibilmente sorpreso, si zittisce, e la donna ne approfitta per uscire in fretta, chiudendo la porta dietro di lui e correndo finché non si rifugia nella sua Benz.
Quando poggia le mani sul volante, Regina ha gli occhi lucidi e il petto contratto in singhiozzi strozzati.

//***


Qualcosa non va con Henry, le ha detto Mary Margaret. Perspicace come sempre, non c’è che dire. Lo sa benissimo che qualcosa non va con Henry, e quel che è peggio è che sa che è colpa sua.
Henry non gioca più con Jake – e di questo lei non può che esserne contenta – ma non gioca più con nessun altro. Sorride poco, si chiude in camera, e la evita quanto più è possibile. Mary Margaret non fa altro che chiedere e Regina non fa altro che rispondere evasivamente.
Quel giorno, andatolo a prendere a scuola, lui non l’ha nemmeno salutata o guardata, ha semplicemente afferrato lo zaino e l’ha preceduta lungo il corridoio.
Regina sente il cuore stretto in una morsa. Pensava, sperava sarebbe passato prima o poi, ma dopo due settimane, quasi tre, non riesce più a sostenerlo.
«Henry.» lo chiama, dolcemente. Il bambino non risponde, accelera il passo.
«Henry, aspetta.» un po’ più decisa, ma lui ancora non l’ascolta. Esce dal portone, comincia a scendere i gradini.
«Henry!» lo richiama alla fine, afferrandolo per un braccio e costringendolo a fermarsi.
«Io non voglio più che tu mi venga a prendere a scuola!» esclama lui.
Regina lo fissa scioccata.
«Perché?» chiede «Guarda che l’ufficio non è così distante, posso lasciarlo due minuti per venirti a prendere.» si china, gli accarezza i capelli «Mi fa piacere venirti a prendere.»
Lui si scansa dal suo tocco.
«Io non voglio.» ripete «Voglio tornare a casa da solo.»
«Ma è pericoloso, devi attraversare e…»
«Non sono uno stupido! So la strada! Non voglio che tu mi venga a prendere!»
Fa per andarsene, ma Regina la trattiene per il braccio.
«Henry, ti prego.» forse il bambino non si rende conto che lei, Regina Mills, sta supplicando «Vuoi tornare a casa da solo perché non vuoi vedermi?»
Lui mugugna.
«Tutti se ne vanno a casa da soli.» risponde, ma la bugia viene subito identificata da una bambina che scende le scale insieme alla madre.
«Vedi?» Regina sorride nel modo più dolce possibile, ma con un lampo di tristezza negli occhi «Tutti tornano a casa con la mamma. Perché…»
«Perché tu non sei mia madre!»  
Fa male. Regina è abituata a quel tipo di dolore – quello che prende il petto e stringe il cuore fino a sbriciolarlo senza nemmeno bisogno di tirarlo fuori – ma ogni volta il suo cuore è provato e fa più male, e detto da suo figlio fa male il doppio. Regina lascia la presa e Henry scappa via.
Il sindaco risale le scale della scuola con calma, senza badare alle sue membra che tremano. Chiede al primo che incontra – che guarda caso è proprio Mary Margaret, ma in quel momento non le interessa – dove sia il bagno, e ricevuta l’indicazione dalla confusa insegnante lo raggiunge, sempre piano, e si chiude dentro.
Non è dignitoso per Regina Mills piangere, ma chiusa nel gabinetto di una scuola elementare non può farne a meno.

//***


Henry ha ottenuto ciò che voleva. Regina non va più a prenderlo a scuola, gli lascia il pranzo nel microonde la sera prima e torna a casa a volte alle due, a volte alle cinque, a volte alle sette. Prima lo avvertiva a ogni cambiamento di orario, ma quando si è resa conto che a lui non interessava per niente si è arresa.
Cenano insieme, ma sono cene silenziose. Se lei prova a chiedergli qualcosa, lui risponde evasivo, o non risponde.
Ormai Regina ha quasi dimenticato come ci si senta a tenerlo stretto, o a riderci insieme, o a baciarlo dolcemente sulla fronte. Non ricorda più com’era sentirsi dire “ti voglio bene”. Ormai perfino “mamma” lo dice il più raramente possibile e Regina ha perso il conto di tutte le volte in cui stava per farlo, ma si è trattenuto.
Quel giorno, quando rientra, lui è troppo preso nella lettura per accorgersene. Regina gli arriva alle spalle, sorridendo, perché spera sempre nel miracolo che lui possa amarla di nuovo all’improvviso.
«Ciao.» lo saluta, e il bambino sobbalza, chiudendo il libro di scatto.
«Ciao.» risponde, rapido.
Regina tenta di conversare. Vuole solo parlare, vuole solo amarlo.
«Cosa stavi leggendo?» è dolce, è amabile, ma il fatto che il figlio si allontani stringendosi il libro al petto la fa star male.
«Niente.» è la sua risposta.
«Dai, sono solo curiosa.»
«Ma non è nient…»
Inciampa nel tappeto, e per mantenersi al tavolino e non cadere lascia la presa sul libro. Questo cade a terra, e Regina è svelta ad afferrarlo prima di lui.
«”Once Upon a Time”.» legge «È un libro di favole?»
Henry non risponde, la fissa come se tenesse in mano un cadavere. Regina comincia a sfogliare e pian piano il sorriso le muore sul volto, mentre si rende conto che quello non è “un libro di favole”.
Le basta vedere qualche immagine sfocata per capire, per riconoscere: quel libro è la cronaca di tutto ciò che è successo nella foresta incantata, quel libro è il racconto di tutto ciò che lei ha fatto.
Sfoglia le pagine. Su alcune, a matita, Henry ha appuntato qualcosa.
Sull’immagine di Biancaneve e Azzurro al matrimonio – ricorda, ricorda benissimo quel giorno – ci sono due piccole frecce. Una dice “maestra Blanchard” , l’altra “John Doe”.
Lui aveva visto l’ex principe in coma una sola volta, ma non l’aveva dimenticato.
Sfoglia, Regina, sfoglia ancora. L’immagine di Jiminy Cricket è segnalata come “Archie”, quella di Cappuccetto Rosso come “Ruby”.
Trema un po’ quando gira la pagina. C’è un disegno lei, il giorno in cui è intervenuta al matrimonio di Biancaneve, con quello sguardo malvagio sul volto che Henry non ha mai dovuto vedere. C’è una freccia anche lì: sottolineato più volte, c’è scritto “Mamma”.  
Regina solleva lo sguardo, incrociando quello non triste, non dispiaciuto, bensì quasispaventato di Henry, nonostante sappia bene che lei non lo toccherebbe mai nemmeno con un dito.
«Henry.» soffia. E non è scioccata e disperata perché ha scoperto il suo segreto, ma perché lui non ha nemmeno esitato, non ha dubitato, prima di affibbiarle quel ruolo. E non le importa che quel ruolo sia reale o no, le importa che Henry la giudichi così, e che ne sia così sicuro da sottolinearlo.
«Non è niente!» ripete il bambino. Scatta in avanti, le strappa il libro dalle mani e poi corre in camera sua, come se dovesse difendere un tesoro da un mostro spaventoso.
E quello che la fa sentire male, è che il mostro è lei.

Quando si riprende, Regina decide di chiamare Archie Hopper. Henry deve dimenticare quel libro, non deve sapere niente della maledizione, deve smettere di credere in quella realtà che lei ha lasciato indietro per rivincita e per dolore.
Compone il numero dello psicologo, ma mentre il telefono emette i lunghi suoni di attesa un pensiero terribile le attraversa la mente.
Lui, lui si sta allontanando? E lei, soprattutto… Si sta vendicando?
Scuote la testa. No. Non è questo il punto. Non vorrebbe mai vendicarsi di Henry. Lo sta facendo per lui, perché tutti lo prenderebbero per matto. E lo sta facendo per loro, perché vuole solo che entrambi siano felici.

//***


Se non ci fosse Graham in casa con lei in quel momento, Regina sicuramente scoppierebbe in lacrime.
Henry è scappato.
Hanno chiesto a scuola, hanno fatto il giro della città, di Henry non c’è nemmeno l’ombra. Peggio ancora, non c’è nemmeno l’ombra del libro di favole, che è per la donna la prova tangente che il figlio sia scappato via dalle grinfie della regina cattiva.
Il suo respiro è pesante, affannoso. Si tiene la testa fra le mani, seduta sul divano.  Non c’è altra spiegazione se non che sia uscito da Storybrooke, e il che significa che lei non lo può raggiungere. Se gli succedesse qualcosa, se qualcuno gli chiedesse da dove viene, nessuno sarebbe in grado di riportarlo indietro, nessuno conoscerebbe nemmeno la città. Lei ed Henry sono separati e se Maometto non va alla montagna, come dice un detto di quel mondo, stavolta la montagna non può andare da Maometto.
È terrorizzata. Non può fare nulla, si sente impotente. Il suo bambino potrebbe essere in pericolo, magari sta chiamando la mamma in questo momento e lei non è lì per aiutarlo.
«Non preoccuparti, Regina, lo ritroveremo.» cerca di rassicurarla Graham.  
Per lui è facile parlare, crede che uscire da quella città sia semplice, mentre se gli venisse l’idea di saltare in macchina e raggiungere il confine la barriera magica da lei creata urterebbe contro l’auto facendola esplodere, e non sarebbe una bella scena.
Regina ripensa a tutto. Ripensa a quando Henry è arrivato nella sua vita, a quando ha imparato a camminare, a parlare, a tutti quei momenti dolci e felici che hanno passato assieme, prima di quel libro e di quelle frecce a matita. Ricorda i baci e gli abbracci e l’amore e prega che non sia troppo tardi per recuperare tutto, di non averlo perso per sempre.
Poi, improvvisamente, c’è uno stridio di freni davanti al vialetto di ingresso.
Regina scatta in piedi, corre alla finestra.
Un maggiolino giallo che non ha mai visto si è fermato di fronte al cancello, ma tutto quello che lei vede è Henry che scende dalla macchina.
«Henry!»
Non ha nemmeno finito di parlare che ha già aperto la porta, e gli è corsa incontro, e lo abbraccia strettissimo come per paura che possa svanire sotto i suoi occhi. Henry non ricambia l’abbraccio, ma non le interessa.
«Henry, dove sei stato? Ero così preoccupata…»
Ha tante cose da dire. Vuole dirgli che vuole ricominciare tutto da zero, che lo ama o lo amerà sempre anche se non lo ha messo al mondo, che possono essere una famiglia anche se lei è la regina cattiva, sarebbe pronta anche a rivelargli tutta la verità sul sortilegio pur di guadagnarsi un bacio ed un abbraccio, ma lui non la fa nemmeno iniziare.
«Ho trovato la mia vera mamma!»
Rifugge il suo tocco, corre dentro casa come se l’essere tornato da lei fosse la parte peggiore di ogni cosa. Il cuore di Regina perde un battito, e si accorge solo in quel momento di una figura bionda che, un po’ imbarazzata, tiene ancora in mano le chiavi del maggiolino.
«…Lei è la madre biologica?»
E allora tutto è chiaro, non c’è più alcun dubbio che possa farla sperare ancora, niente lieto fine per lei, come sempre.
Lo ha già perso. 



Angolo d'autrice: chiunque abbia twitter sa che giorno è oggi. E anche chi ha tumblr. Per chi non lo sa, lo dico io: è il Lana Appreciaton Day! *lancia confetti* E siccome io non ho twitter e non posso mandarle gli ottomila messaggi che vorrei, posso dimostrare il mio amore incondizionato in due modi: rebloggando tutte le sue foto su tumblr, e scrivendo questa cosa indegna.
Perchè andiamo, Henry ha amato Regina. La ama ancora. Certo, se continua a trattarla così probabilmente io lo uccido prima, o convinco Gold a compiere la sua vendetta, ma comunque: volevo scrivere qualcosa su questi due.
In realtà ero partita con l'idea di fare qualcosa di dolce e fluff, ma poi la storia da sola ha deciso che doveva ricollegarsi allo show e quindi automaticamente la fine è diventata triste. 
Qualche nota? Umm... Bhe, l'amico di Henry, Jake, è Pollicino perchè boh, io ho sempre odiato Pollicino nella storia (no, dico, imbroglia l'orco e gli fa uccidere le figlie! Ok, so che non dovrei parteggiare per l'orco, ma che volete, sono sempre stata strana). E Jefferson era da nominare, perchè dai, secondo me davvero si è arrabbiato nel vedere Regina con un figlio (no, Jefferson mi sta antipatico. Ha imbrogliato Regina insieme a Whale e Rumple, mi spiace ma nemmeno la cosa della bambina me lo fa piacere).
Non mi pare ci sia altro da dire, se avete domande non esitate a chiedere. Spero che vi sia piaciuta almeno un pò, grazie a chi ha letto e grazie a chi recensirà! Ora cerco un livestream per l'episodio di stasera e probabilmente mi rivedrete presto con qualche altra storia, perchè temo che stanotte la mia mente non sopravviverà XD
Ser 

  
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