L’Aomine
domato
Sebbene odiasse ammetterlo, come
nuovo capitano, Wakamatsu non riusciva proprio a
gestire il ‘problema Aomine’. Quel ragazzo lo mandava
continuamente in bestia; anche incrociare per un attimo il suo sguardo
strafottente bastava a fargli scoccare la scintilla di rabbia.
Ciò si traduceva in continue diatribe tra di loro,
il cui risultato era creare malcontento nella squadra.
Wakamatsu
sapeva che, per quanto impegno ci avesse messo, non sarebbe mai riuscito ad andare
d’accordo con l’asso del Touhou o almeno accettare il
suo comportamento. In quanto capitano, inoltre, aveva il dovere di mantenere
l’armonia nella squadra e, anche se non poteva dirlo con certezza, aveva avuto
la netta impressione che Aomine approfittasse di ciò
per provocarlo e metterlo in cattiva luce davanti agli altri compagni.
C’era solo una cosa da fare: tenere Aomine il più calmo possibile. La persona in grado di fare
ciò era solo una.
“Sakurai!” chiamò Wakamatsu.
“S-sì?” rispose titubante questi, nascondendosi
dietro un pallone da basket timoroso di aver fatto qualcosa di sbagliato.
“Non vorrei addossarti questo peso, ma… devo
affidarti un compito molto delicato.”
Tanto
più dunque, o dea, da' ai miei detti fascino eterno.
Fa' sì che frattanto i fieri travagli della guerra,
per i mari e le terre tutte placati, restino quieti.
Anche se avesse potuto, Sakurai non sarebbe mai riuscito a rifiutarsi di fare
qualcosa, che gli venisse chiesto gentilmente o meno. Il compito datogli dal
capitano era stato molto chiaro, ma anche altrettanto vago. Se la persona
incaricata di adempiere a questo dovere era stata proprio lui, compagno di
classe di Aomine, era dovuto al semplice fatto che
tra tutti i membri della squadra lui era quello con cui il fenomeno del basket
sembrava andare più d’accordo. In verità questa relazione pacifica era da
attribuirsi interamente alla totale incapacità di Sakurai
di difendersi dalle angherie dell’altro, perdonandogli e concedendogli tutto.
Come sempre Sakurai si
stava allenando al tiro da tre punti: ogni giorno si era ripromesso di farne
almeno duecento con l’intento di segnarli tutti, dal primo all’ultimo. Prese il
pallone dalla cesta di metallo accanto a lui. Era arrivato al
settantaquattresimo tiro. Posizionò le mani attorno al pallone, piegò le
ginocchia e si apprestò a darsi la spinta necessaria per lanciarlo quando nel
suo campo visivo rientrò Aomine.
Era appena arrivato, il che voleva dire che era
giunto agli allenamenti con un’ora abbondante di ritardo: sul viso aveva
un’espressione a dir poco incurante della sua mancanza e le mani erano nascoste
nelle tasche dei pantaloni. Nella testa di Sakurai
scattò il primo campanello di allarme.
Wakamatsu
gli aveva confessato di non riuscire a resistere all’impulso di inveire contro Aomine ogni qualvolta questi lo provocava, sia
volontariamente che non. Per cui, Sakurai, non appena
avesse notato qualche atteggiamento classificabile come ‘provocatorio’ da parte
di Aomine nei confronti del capitano, sarebbe dovuto
intervenire immediatamente.
Arrivare in ritardo era etichettabile come una
provocazione.
“Alla buon’ora!” lo rimproverò il capitano.
“Mi sono appisolato” si giustificò blandamente
l’altro. Sul viso aveva un ghigno beffardo.
Il secondo campanello di allarme suonò:
quell’espressione era più eloquente di molte parole.
“Vorrà dire che rimarrai ad allenarti un’ora dopo
che tutti gli altri avranno finito.”
“Stai scherzando? Sono solo passato per prendere il
mio pranzo, mica per allenarmi.”
Le dita di Wakamatsu si
strinsero a pugno. “Prendere il tuo pranzo? Credi di essere al ristorante?”
Aomine
uscì le mani dalle tasche e tirò il busto indietro, quasi si stesse preparando
a schivare il colpo che da lì a poco Wakamatsu gli
avrebbe sferrato.
Il terzo e ultimo campanello d’allarme suonò forte
come un coro di decine di sirene di ambulanze. I segnali c’erano tutti: Aomine era pronto a dar battaglia e, come sempre, Wakamatsu si era lasciato trascinare dalle parole.
“Aomine!” chiamò Sakurai, terrorizzato.
L’interpellato voltò la testa quel tanto che bastava
per guardare l’altro alle proprie spalle, ma tenendo sempre sott’occhio il suo avversario.
“Ecco il tuo pranzo. Scusa se non te l’ho portato
io.” Sakurai gli porse un pacchetto nel modo più
riverente possibile, come un credente che porti un dono al proprio dio.
“Oh, sapevo che potevo contare su di te, Ryou!” si complimentò Aomine, rilassandosi.
Sakurai
emise un sospiro di sollievo: era riuscito a mantenere la pace, portando ancora
una volta a termine il suo compito. Wakamatsu stava
per protestare, ma frenò la lingua non appena si ricordò che era stato proprio
lui a chiedere a Sakurai di tenere Aomine il più tranquillo possibile, per il bene della
squadra.
Quest’ultimo prese il proprio pranzo e, dopo un
saluto ironico, andò via più soddisfatto che mai.
“Mi dispiace, Sakurai” si
scusò il capitano.
“No, scusa, davvero, non importa. A me non costa
nulla.”
Intimamente, Wakamatsu si
rimproverò di non essere più freddo e composto come lo era stato l’ex capitano Imayoshi.
Tu
sola infatti puoi con tranquilla pace giovare
ai mortali, poiché sui fieri travagli della guerra ha dominio
Marte possente in armi, che spesso sul tuo grembo
s'abbandona vinto da eterna ferita d'amore.
Aomine
sapeva che Sakurai si sarebbe trattenuto in palestra
oltre il convenzionale orario di allenamento; sapeva anche che sarebbe stato
solo. Per questo, ora, aveva il suo corpo alla propria completa mercé. Dietro il
pesante sipario rosso del palco che si affacciava sul campo da basket, ogni
colore veniva inghiottito dall’oscurità. Solo una sottile lama di luce bianca
penetrava dallo spazio lasciato libero al centro dalle due tende.
La scusa era stata banale, come sempre: riportargli
il cestino del pranzo, vuoto. Ma, ormai, quegli incontri intimi erano diventati
una routine per entrambi.
I gemiti di Sakurai
riempivano le orecchie di Aomine, alimentato il suo
già smisurato ego. Le mani sapiente dell’ala grande, delicate ma decise come
quando maneggiavano la palla da basket, sapevano dove e come muoversi anche nelle
tenebre. Il tocco delle lunghe dita era seguito ogni volta da un sussulto o da un
verso di goduria, quasi queste stessero pizzicano le corde di un violino.
Di sicuro quel soddisfare le voglie sessuali di Aomine era molto più di quanto il capitano avesse chiesto a
Sakurai, ma il ragazzo non poteva negare a sé stesso
che il ruolo dell’amante segreto gli piaceva.
“Lo so a che gioco state giocando tu e Wakamatsu” disse all’improvviso Aomine,
interrompendo di colpo la sinfonia di geremiadi del compagno.
“Scusa” disse solo Sakurai.
“Non mi importa perché lo fai. Finché la cosa non mi
annoia possiamo continuare a recitare ognuno la propria parte.”
Dunque Aomine sapeva tutto
e per di più aveva di proposito continuato a provocare il capitano solo per
farsi servire e riverire da Sakurai.
“Mi dispiace, ma io…”
“Zitto!” imperò Aomine,
soffocando ogni scusa con un bacio famelico. Continuò ad estasiarsi delle
delizie carnali che il piccolo e fragile corpo di Sakurai
gli donava sino a che non ne ebbe avuto abbastanza. Tuttavia, anche se
prepotente, Aomine non era un amante così egoista:
anche Sakurai riusciva a trarre una consistente fetta
di piacere dai loro rapporti.
“Il pranzo di oggi era proprio buono: rifammelo
uguale domani” gli disse Aomine una volta che si fu
rivestito.
“A-aomine…”
“Che c’è?”
“Io non farei tutto questo se non lo volessi… Scusa,
volevo dire che…”
“Lo so” rispose l’altro. Quando scostò la tenda per
andarsene, Sakurai vide sul suo volto un sorriso che
avrebbe osato definire gentile. “Neanche io te lo chiederei se sapessi che non
lo vuoi.”
Sakurai
rimase solo al buio. L’eco dei passi di Aomine che si
affievoliva man mano che questi si allontanava. Sorrise. Wakamatsu
era convinto che per lui fosse un sacrificio, ma la realtà era completamente
opposta. Che il capitano lo sapesse o meno, era del tutto irrilevante.
E
così, levando lo sguardo, col ben tornito collo arrovesciato,
pasce d'amore gli avidi occhi anelando a te, o dea,
e, mentre sta supino, il suo respiro pende dalle tue labbra.
(Cit. Lucrezio)
Note
dell’autrice
Non
sono impazzita e tanto meno non ho tradito l’AoKise!
Questa fanfic è stata scritta per un contest e dato
che non mi dispiaceva poi tanto ho deciso di pubblicarla. Non è niente più e
niente meno che un esperimento di AominexSakurai,
senza troppe pretese: so perfettamente che non è la migliore shot della mia produzione, ma mi piace provare a cimentarmi
con nuove coppie.
Preciso
che la storia è ambientata un anno dopo gli eventi del manga e per questo
abbiamo Wakamatsu come capitano. Il carattere di Aomine l’ho volutamente lasciato invariato a come era prima
della Winter Cup, perché ai
fini della storia mi serviva che lui continuasse ad avere degli screzi con il
nuovo capitano. Non so che tipo di avvertimento può andare bene qua, se What if o OOC, in ogni caso è
tutto voluto.
Il
prompt del contest era la citazione di Lucrezio
scritta in corsivo e allineata a destra. Non vi annoio con la spiegazione della
mia interpretazione perché altrimenti non me ne esco più: comunque la cosa non
è essenziale per la comprensione della shot! Spero sia
stata una lettura piacevole ^^