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Autore: Ribes    22/04/2013    5 recensioni
Chiudo gli occhi. Penso al viso stanco di colei che mi ha mantenuto in vita per tutti questi anni. Alla sua voce pacata, ma severa. Ai suoi bassi colpetti di tosse. Alle sue piccole risate. Alle sue carezze lievi sul mio viso e su quello dei miei fratelli. Alle sue lacrime, adagiate sulle guance bianche, quando mi ha visto salire sul palco. Ai suoi pianti disperati, ricchi di dolore, di strazio, di sangue.
Concentro il mio sguardo vacuo sull’erbetta sotto la piattaforma. E’ verde, ma innaturale. Troppo forte, denso e vivo. Sembra quasi una presa in giro, quando tra poco di vita non ne vedrò più l’ombra. Sarà il sangue a scavare il terreno, a bagnare di rosso il verde dell’erba, di rosso il rosa dei corpi, di rosso il cielo.

Bagno di Sangue. Introspettiva di un Tributo qualsiasi. Nata da una mente persa in un pomeriggio senza compiti. Senza pretese. Settecentocinquantotto parole.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Panico.
E’ la prima sensazione che provo, ed è spaventosa. Mi inghiotte. Come un mostro che mi dilania l’anima con gli artigli, così il panico mi ricopre piano piano le membra.
Le intorpidisce. Mi rende stanco, assente, già morto.
Qualcosa di freddo mi scompiglia i capelli. Ho come il disperato desiderio di percepire le dita di mia madre, gelide dopo essersi sciacquata con l’acqua di torrente, ma dolci e morbide. Oppure le gocce d’acqua fresca che mi inumidiscono il capo, sotto la pioggia del mio Distretto, nei giorni in cui, dopo scuola, devo aspettare che i miei mi vengano a prendere.
E invece no, è vento. Vento che mi ha ormai reso i capelli una massa uniforme, impossibile da districare. Si infila sotto i vestiti, mi rende quasi nudo.
Ho paura.
Non c’è sole. Le nuvole mi sovrastano come sovrani crudeli e potenti. Probabilmente dopo pioverà. Ma non sarà la pioggia rassicurante di casa, che dà la certezza di un’altra, florida stagione. Sarà acqua raccolta dagli occhi delle nostre madri.
Chiudo gli occhi. Penso al viso stanco di colei che mi ha mantenuto in vita per tutti questi anni. Alla sua voce pacata, ma severa. Ai suoi bassi colpetti di tosse. Alle sue piccole risate. Alle sue carezze lievi sul mio viso e su quello dei miei fratelli. Alle sue lacrime, adagiate sulle guance bianche, quando mi ha visto salire sul palco. Ai suoi pianti disperati, ricchi di dolore, di strazio, di sangue.
Concentro il mio sguardo vacuo sull’erbetta sotto la piattaforma. E’ verde, ma innaturale. Troppo forte, denso e vivo. Sembra quasi una presa in giro, quando tra poco di vita non ne vedrò più l’ombra. Sarà il sangue a scavare il terreno, a bagnare di rosso il verde dell’erba, di rosso il rosa dei corpi, di rosso il cielo.
Il cuore è ormai solo un muscolo che pompa piano, lento come mai è stato. Come se anche lui percepisse la morte ormai vicina, quasi graffiante, nel silenzio che graffia nell’aria.
Quei numeri, accanto alla Cornucopia, diventano sempre più piccoli.
Trenta. Ventinove. Ventotto.
Il grande cono d’oro mi acceca. Sembra una maledizione, creata apposta per danneggiarmi la vista, per uccidermi ancor prima ch’io metta piede fuori dalla piattaforma. E’ grande ed è possente. Vorrei rinchiudermi lì dentro, stringere le braccia al petto e dormire.
Venti. Diciannove. Diciotto.
Attorno al corno, vedo tante cose. Un arco. Un pugnale. A due metri da me, un set di penne. A cosa mai mi servirà un set di penne? Non lo so. C’è questo grande vuoto nel mio cuore, questo rimbombo nelle mie orecchie, che mi impedisce di ragionare. I miei occhi cadono su un pacchetto di gallette, a sette metri. Ho fame. Ho tanta fame.
Dieci. Nove. Otto.
Stringo gli occhi, per impedirmi di sputare la bile che sale lungo la gola. Il mio cuore sembra impazzito, indemoniato. Batte, all’improvviso, più forte che mai. Fa male, fa tanto male. Mi brucia la gola; provo il desiderio di bere, no, di mangiare, no, di dormire. Di fare tutto, all’improvviso. Anche solo spogliarmi e mettermi a ballare nudo, per capire cosa si prova. Voglio provare tutto ciò che non ho mai fatto. Voglio vivere.
Tre. Due. Uno.
Ed è in quell’attimo in cui il corno rimbomba sovrano, e i Tributi scattano veloci verso la Cornucopia, che capisco di non essere più una persona viva. Lo capisco dal pugnale che mi perfora il ventre, mentre cerco di scappare. Annaspo nell’aria, sputo sangue. Non vedo più nulla. Cado a terra. Sento il sangue che arriva caldo in bocca; mi fa schifo, voglio che se ne vada, voglio che tutto finisca.
Il brusio si fa più lontano, un fischio leggero mi opprime l’udito. Tossisco. Provo un dolore bruciante; il sangue mi bagna la pelle, il collo, le mani, le labbra, il volto. Divento rosso. Pensavo che il rosso fosse il colore della vita, ma non è così.
Il rosso è il colore della morte. Lo so, lo sento, lo vivo.
Ed è male, quello che provo. Male; male che mi fa gridare e mi fa piangere. E le lacrime si versano, incessanti, sul sangue, e brucia, e fa male. E grido, e piango, e urlo, e intorno tutto è veloce, tutto è cattivo, tutto fa paura …
Poi cessa. Cessa il male. Cessano le grida. Cessano le risate, crudeli, di chi pietà non ha. Cessa il fischio che mi distrugge l’udito. Cessano i pianti, cessano le lacrime. Cessano i singhiozzi.
Cessa l’aria. Cessa il sangue. Cessa la vita.
Un cannone spara, e tutto è finito.

 
 





L'ho chiamata Countdown perché i numeri in grassetto sono il conto alla rovescia. E' una storia senza pretese, nata in un momento di noia. Spero non me ne vogliate male. Non è riferita a nessun Tributo in particolare; è semplicemente un'introspettiva che esprime i pensieri di un qualsiasi Tributo, al Bagno di Sangue, che non sia Favorito.
Ok, vi lascio. Baci a tutti, Ribes.

   
 
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