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Autore: giambo    22/04/2013    2 recensioni
La prima cosa che Crilin sentì una volta entrato dentro la stanza d'ospedale fu un lezzo di morte. Era un tanfo che gli penetrava con forza le narici. Si apriva la strada dentro di lui ad ogni respiro. Si insinuava fino alla sua mente ricordandogli, ogni secondo, quello che stava per accadere.
“Dunque, è così che finisce.” pensò con amarezza.
...
Era una serata calda, ma non afosa. L'aria era profumata dagli innumerevoli alberi che adornavano quel piccolo angolo recintato, lontano dal caos e dai rumori della città. Un dolce fruscio, prodotto dallo sfregamento delle foglie tra di loro, accompagnò per qualche secondo il canto di un cuculo poco distante che contribuiva a dare l'idea di essere isolati dal resto del mondo.
Crilin strinse con forza il suo bastone non appena percepì il fruscio delle foglie sopra di se. Le sue labbra si piegarono per formare un sorriso amaro quando capì che cosa era successo.
In un certo senso, se l'aspettava che venisse.
“Sapevo che saresti venuto.” mormorò.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crilin, Goku, Muten
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' da molto tempo che non scrivevo. Il motivo è che sono stato preso in una spirale di impegni, e non solo di natura scolastica, che mi hanno, per qualche tempo, totalmente fatto dimenticare queste mie storie. Tuttavia, qualche tempo fa, l'ispirazione mi è tornata con questa storia su una tematica che era da parecchio tempo che volevo analizzare. Spero che, anche se arrugginito da mesi di inattività, la storia sia sufficientemente gradevole da leggere. Mi piacerebbe moltissimo anche ricevere consigli e qualche suggerimento su come potrei, dopo tanto che non scrivevo, migliorarmi ancora.

Un saluto!

 

 

Perdere un padre

 

La prima cosa che Crilin sentì una volta entrato dentro la stanza d'ospedale fu un lezzo di morte. Era un tanfo che gli penetrava con forza le narici. Si apriva la strada dentro di lui ad ogni respiro. Si insinuava fino alla sua mente ricordandogli, ogni secondo, quello che stava per accadere.

“Dunque, è così che finisce.” pensò con amarezza. Dentro quella stanza, in quegli istanti, un altro pezzo, l'ennesimo, della sua vita, se ne stava andando.

Non aveva voluto crederci quando gliel'avevano detto. Non aveva potuto crederci. Accettare quello che stava accadendo in quella stanza significava dire addio per sempre ad una parte della sua vita. Crilin si sentiva svuotato. Inaridito. Incapace di provare più qualsiasi emozione. Era come se per tutta la sua vita fosse vissuto dentro una bolla opaca, che gli impediva di vedere com'era veramente il mondo attorno a se. E adesso, quando quella bolla stava per scoppiare, il terrestre si accorgeva di non voler vedere il vero aspetto delle cose. Di non voler sapere cosa significava perdere qualcuno che per lui era stato tutto. Un maestro, un padre, un amico, un mentore. Una persona che l'aveva reso quello che era.

Il silenzio dentro la stanza era rotto solo dal respiro sempre più flebile del suo maestro. Era un rumore leggero e quasi impercettibile, come il battito d'ali di una farfalla. Un rumore che scandiva, con agghiacciante lentezza, quanto tempo rimaneva a Muten da vivere.

Lentamente, appoggiandosi ad un bastone, il terrestre si avvicinò. Ogni passo gli sembrava durare un'eternità. Ogni movimento gli costava una fatica immensa, logorato com'era dal tempo e dal dolore. Mentre passava davanti ad un specchio che ornava la stanza del suo maestro, Crilin si guardò per un attimo. I capelli grigi, un tempo neri, incorniciavano un viso sciupato e stanco. Il volto era contornato da intricate e leggere rughe che donavano alla sua pelle un'aria di debolezza. La mascella era nascosta sotto uno strato di pelle floscia. Le cicatrici che ornavano il suo volto, resti di un antico passato, erano diventate biancastre. Ma la cosa che più lo colpiva ogni volta che si osservava erano gli occhi: un tempo neri come due tizzoni incandescenti, ora il loro nero era opaco. Sporco. Quasi come se la fiamma, che per tutta la vita l'aveva reso quello che era, si stava per spegnere.

Sorrise. Un sorriso triste, stanco, brutto. Un sorriso che valeva più di mille parole.

Un vecchio. Era questo che era diventato. Un vecchio stanco e taciturno. Quel volto floscio e raggrinzito era tutto quello che rimaneva di quello che, un tempo, era stato il più potente essere umano del pianeta.

Volse la testa al letto dove giaceva il suo maestro. Lentamente, l'anziano guerriero si avvicinò. Per infine sedersi, non senza qualche difficoltà, nella sedia affianco il letto. Una volta seduto, Crilin osservò pensosamente, per qualche minuto, il volto dell'uomo più buono che avesse mai incontrato.

Il volto di Muten non era molto diverso da come se lo ricordava quando era ancora sano e nel pieno delle forze. Il viso, pieno di sottili ragnatele di rughe, emanava saggezza, ma anche una profonda fragilità e debolezza che mai prima di allora Muten aveva manifestato. Gli occhi tremolavano sotto le palpebre, mentre i suoi inseparabili occhiali da sole erano appoggiati su un comodino là affianco. Il respiro tremulo ed il colorito pallido completavano la figura del più grande maestro di arti marziali che l'umanità avesse mai avuto.

Crilin sospirò. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Era stato uno stupido a pensare che il suo adorato maestro sarebbe rimasto vivo per sempre. Eppure, una parte di lui non aveva mai smesso di sperare di poter invecchiare e morire insieme a lui. Era stata una speranza sciocca, ingenua ed infantile. Ma che, con il passare degli anni, era diventata sempre più forte. Ma adesso, il suo desiderio si sarebbe infranto.

Certo, anche lui era vecchio ormai. Del suo fisico possente, muscoloso e pieno di energia non era rimasto più nulla. Solo una quantità immensa di ricordi di quello che era stato e che non sarebbe mai più tornato.

Il tempo passava. Muten era ancora immerso in un sonno inquieto ed agitato. Crilin si guardò bene dal disturbare il suo maestro. Il terrestre preferì rivolgere il suo sguardo alla bella giornata che c'era fuori. Era quasi primavera, e stavano arrivando le prime giornate di caldo. Gli alberi erano ancora tristemente spogli, ma l'erba si stava già rinverdendo, e presto i primi boccioli sarebbero comparsi sui nudi rami delle piante.

Sarebbe stata una magnifica estate alla Kame House, avrebbe visto sua figlia godersi le vacanze laggiù, lontano dalla città caotica dove ora viveva con suo marito. Avrebbe avuto la visita di Bulma, di Gohan e della sua famiglia, di Yamcha e di tanti altri suoi amici. Ormai anche loro vecchi e con le loro vite alle spalle. Pronti ad affrontare l'ultimo capitolo della loro vita.

Un tocco lieve sul suo ginocchio lo fece sussultare. Abbassò gli occhi sul letto dove riposava il suo maestro. Appena i suoi occhi incrociarono quelli saggi e dolenti di Muten, qualcosa dentro Crilin si spezzò. Facendogli accettare quello che sarebbe accaduto di lì a poco.

“Maestro.” sussurrò con voce dolce, stringendogli la mano scheletrica nella sua ancora calda e sufficientemente vigorosa. “Come state?”

All'inizio l'espressione nel volto di Muten non cambiò. Il suo viso, coperto in parte dalla sua candida barba bianca, rimase inespressivo per qualche minuto. Crilin pensò che non avesse compreso la domanda, ma poi l'anziano maestro sorrise. Un sorriso che il terrestre accolse con una smorfia delle labbra. Presto non avrebbe più visto quel sorriso.

“Crilin...” la voce di Muten era un soffio leggero ed impalpabile, quasi non avesse più fiato nei polmoni. “Sapevo che saresti venuto.”

“Non potevo non venire.”

“Non ti smentisci mai. Metti sempre il dovere davanti a tutto.” dichiarò con un sorriso l'anziano maestro. Nel vedere il volto di Muten così sofferente, Crilin sentì il dolore dentro di lui crescere. Sempre di più. Sapeva che presto esso l'avrebbe dominato, facendolo cadere nel baratro più profondo della disperazione. Tuttavia, l'anziano guerriero si impose di resistere. Di non cedere davanti al suo maestro. Non voleva aggravare lo spirito di Muten anche di quella colpa. Tuttavia, qualcosa di quello che stava provando dentro di lui si dovette intuire dal suo volto, dato che l'Eremita della Tartaruga lo guardò con fare comprensivo.

“Sei triste, non è vero?”

Rimasto sorpreso da quella domanda, Crilin non poté rispondere che con un secco e sincero sì.

“Non devi sentirti in colpa per questo.” dichiarò con fare paterno Muten. “E' normale essere tristi quando le persone a cui vogliamo bene ci lasciano.” sentendo quelle parole, Crilin scoppiò in una risata amara.

“Gli anni passano, ma voi non vi stancate mai di darmi lezioni di vita Maestro.”

“Non si smette mai di imparare Crilin. Mai. Credevo che questo l'avessi compreso.”

“La vita non ti prepara a veder morire un padre!” le parole uscirono dalle labbra di Crilin con forza. Cariche di amarezza e di dolore.

Sentendo quelle parole Muten rimase in silenzio a fissare il suo vecchio allievo. Si vedeva che stava soffrendo. Ma non sembrava il dolore fisico a tormentarlo quanto, più che altro, le antiche ferite del suo animo. All'improvviso, una lacrima solcò con lentezza la sua guancia sinistra, lasciando una scia di sale pregno di dolore e gioia contemporaneamente. Mischiate insieme in un mix letale.

“Padre.” mormorò Muten volgendo lo sguardo verso il soffitto bianco ed anonimo della sua stanza. “Non ho mai pensato che un giorno sarei stato chiamato padre da qualcuno.”

“Lei per me è stato tutto.” disse Crilin con lentezza, quasi le parole gli pesassero come macigni. “Lei mi ha preso sotto la sua custodia quando ero soltanto un bambino e mi ha fatto crescere. Mi ha reso una brava persona ed un bravo guerriero. Tutto quello che ho avuto nella mia vita lo devo solo a lei. Forse non avremo un legame di sangue, ma non mi importa di ciò! Lei è stato il primo a credere in me. A non vedere solo un ragazzino scorbutico e goffo qual ero. E' per questo che sento di avere l'onore di poterla chiamare padre. Perché lei mi ha trattato e considerato come un figlio.” verso la fine del suo discorso, le parole persero di intensità. Fino a stemperarsi nella greve atmosfera che regnava nella stanza.

Muten sorrise sentendo lo sfogo del suo vecchio allievo. Un sorriso sincero, felice bello. Un sorriso che gli sgorgò spontaneo dal cuore. Come non gli capitava da anni.

“Ti ringrazio Crilin.” mormorò debolmente, mentre nuove lacrime gli solcavano il viso reso pallido dalla malattia. “Queste tue parole mi hanno reso felice. Molto felice. Come non mi capitava da anni ormai.”

Crilin non rispose. Dopo il suo sfogo, il terrestre si era chiuso in uno strano mutismo, limitandosi a tenere stretta la mano di colui che considerava come un padre.

“Sai, prima che tu e Goku entraste nella mia vita, uno dei miei più grandi rimpianti era stato quello di non essermi costruito una famiglia.” dichiarò debolmente l'anziano maestro. “Fin da giovane, la mia unica passione erano state le arti marziali. Non saprei spiegarti il motivo di ciò. Anche adesso, a distanza di tanti anni, non riesco a motivare quella mia febbrile ossessione per il combattimento. Tutto quello che volevo era imparare, migliorarmi, diventare il migliore.”

“Mia sorella non apprezzava molto questa mia passione. Diceva che non mi avrebbe portato nulla di buono coltivare il mio istinto combattivo.” le labbra del vecchio, nascoste dalla candida barba, si incurvarono in un sorriso amaro. “A distanza di tanti anni non posso fare a meno di darle ragione.”

Crilin rimase immobile mentre ascoltava, con grande stupore, la storia del suo maestro. Solo allora si rese conto che, in tutti quegli anni che erano vissuti assieme, Muten aveva detto poco o niente di quello che aveva fatto prima di diventare un leggendario eremita. Improvvisamente, il terrestre si chiese il motivo di questo. Perché si era rifugiato alla Kame House? Una domanda che gli rimbombò con forza in mente. Tuttavia, vedendo l'anziano guerriero proseguire nel suo racconto, decise di tenersi, per il momento, i suoi dubbi.

“Devi sapere che la mia non è stata una giovinezza facile. Ero un orfano, proprio come te. E mia sorella veniva emarginata da tutti. Per via dei suoi poteri. L'unico che le stava vicino ero io. Lavoravo per entrambi, dato che nessuno avrebbe dato uno straccio di lavoro a Baba. Lei si occupava della casa, mentre io mi ammazzavo di lavoro come un mulo per poter farci andare avanti con il poco che mi davano. I soldi erano pochi, eppure a noi non ci pesava il fatto che eravamo poveri. L'importante era stare uniti. Nonostante tutto, ci volevamo bene.”

Muten sospirò.

“Ma poi feci il più grande errore della mia vita.” sussurrò con voce flebile. I suoi occhi cercarono quelli del suo vecchio allievo mentre, con voce carica di amarezza, le parole gli uscivano di bocca pesanti come piombo.

“Abbandonai mia sorella.”

Silenzio. Nella stanza cadde un silenzio tombale mentre gli unici rumori che si udivano erano quelli dell'ospedale, fervente di attività.

“L'abbandonai per poter seguire il mio maestro. Per poter diventare il migliore. Ero come drogato, Crilin, dal futuro roseo che mi dipingeva davanti ai miei occhi il mio maestro. Per attuarlo dovevo solamente seguirlo, e di colpo la vita povera ed amara di soddisfazioni che fin lì avevo vissuto si sarebbe trasformata in una scalata verso la grandezza. Niente mi sarebbe stato precluso, perché niente era per me impossibile.”

“Mia sorella prese malissimo la mia decisione. Io per lei ero tutto. L'unica persona che non la vedeva come un mostro, il suo raggio di luce in una vita meschina ed ostile. Non accettò di seguirmi, nonostante glielo avessi chiesto più volte di farlo, perché i suoi poteri, che potevano mostrarle brevi visioni sul futuro che sarebbe venuto, glielo sconsigliavano. Tuttavia, essa non mi perdonò mai per quello che considerò un abbandono egoistico e meschino.” la voce di Muten si era fatta, con l'andare avanti della storia, sempre più flebile e fioca. “Aveva ragione su tutto.”

Da quando Muten aveva cominciato a parlare, Crilin non aveva più fiatato. Si era limitato a fissare l'anziano maestro di arti marziali con un'espressione impassibile sul volto. Era impossibile per chiunque, in quel momento, capire cosa gli stesse passando per la mente. Quali pensieri e sensazioni stessero prendendo corpo dentro di lui. Si limitò ad osservare con fare impassibile la finestra davanti a sé, mentre il racconto di Muten volgeva al termine.

“Il resto credo che tu lo sappia meglio di me. Sono diventato il migliore combattente del pianeta. Per anni ho vinto un torneo dietro l'altro, una battaglia dietro l'altra. Ho trovato molti rivali degni. Avversari contro i quali ho dovuto mettere in gioco tutto me stesso. Ma alla fine sono sempre stato il vincitore. Eppure, ogni vittoria che ottenevo, ogni avversario che battevo, mi lasciavano in bocca un sapore amaro. Perché ognuno di loro mi ricordava il prezzo che avevo dovuto pagare per ottenere tutto quello.”

“Il volto di mia sorella in lacrime che mi fissava con odio non ha mai smesso di tormentarmi. Né io ho mai pagato abbastanza per espiare quel comportamento nei suoi confronti. Viaggiai, esplorai ogni angolo del pianeta in preda ad un'irrequietudine irrefrenabile. Un modo disperato di liberarmi dal mio senso di colpa. Ma alla fine del mio eterno vagabondare, quando cominciai a diventare vecchio, compresi che ero solo. Solo e con i miei sensi di colpa che mi laceravano da dentro.”

“Ora basta Maestro.” disse con voce rotta il terrestre. “La smetta. Lei...lei non è così. Voi siete stato un uomo buono. La persona migliore che io abbia mai incontrato. Non dica così, la prego.”

Parole che celavano una profonda devozione, un profondo affetto, ma anche la disperata ricerca di un riparo. Un rifugio in cui nascondersi per non dover accettare la terribile, devastante realtà che gli si presentava davanti agli occhi. Davanti a lui c'era Muten. Il suo maestro. Suo padre. L'uomo a cui era legato da un rapporto troppo complesso e profondo per essere catalogato con una sola parola. Eppure, allo stesso tempo, non era lui. Ciò di cui stava parlando era troppo abbietto, egoistico e meschino per essere stato commesso da lui.

Sentendo quelle parole così piene di amore. Così piene di fedeltà e di un disperato bisogno di non voler vedere la sua figura infangata di tali azioni, Muten sorrise. Un sorriso buono, dolce e gentile. Un sorriso che, tuttavia, riempì ancora di più il cuore del terrestre di dolore.

“Crilin.” la voce di Muten si stava affievolendo. Parlare lo stava stancando velocemente. “T-tu sei stato, insieme a Goku, il mio raggio di luce. Avete illuminato la mia vita di una nuova speranza che nessuno prima d'ora era mai riuscito a fare. Quando vedevo i vostri volti, da bambini, che mi fissavano con affetto e ammirazione, io mi sentivo scaldare il cuore. Per questo ti voglio dire grazie. Grazie di tutto. Tu mi hai salvato.”

Crilin non rispose. Singhiozzi strozzati con rabbia in gola lo squassavano, mentre, quasi contro la sua volontà, alcune lacrime cominciarono a luccicare sui suoi occhi.

Improvvisamente, la mano del maestro morente, strinse con rinnovata forza quella del suo vecchio allievo. Lentamente, il vecchio morente spostò il suo sguardo verso il soffitto. I suoi occhi divennero improvvisamente grigi e vuoti, quasi fosse un preannuncio della sua fine.

“E' giunto il momento...per me...di affrontare...la più grande avventura...di tutte.” mormorò con voce fioca.

Crilin non disse nulla. Continuando a singhiozzare silenziosamente, e senza smettere di stringere la mano al suo adorato maestro, l'anziano guerriero si apprestò alla veglia.

 

In seguito il terrestre non seppe dire per quanto tempo rimase seduto su quella sedia ad attendere. Potevano essere stati pochi minuti come giorni interi. Tutto questo non aveva più alcuna importanza per il guerriero che, lentamente, assisteva impotente all'agonia del suo maestro.

A poco a poco, la mano di Muten si fece più fredda. Mentre un odore cattivo cominciava a diffondersi dalle membra dell'anziano guerriero. Crilin non riusciva più a pensare o provare qualcosa. L'unica cosa che riusciva a fare era continuare a stringere quella fragile mano cercando vanamente che si potesse fermare il ciclo della vita. Muten aveva il viso terreo e pallido, la pelle tirata e fragile, e gli occhi vacui e spenti. Se non fosse stato per un impercettibile movimento del torace, che tradiva la presenza del suo respiro, si sarebbe potuto già definire morto.

Poi, quando alcuni raggi del sole morente cominciarono a lambire il letto dell'anziano eremita, la mano di quest'ultimo si contrasse, i suoi occhi si posarono sul volto di Crilin e un ultimo sorriso increspò le labbra aride del anziano guerriero, proprio mentre da queste ultime usciva l'ultimo soffio di vita.

E poi ci fu solo morte.

 

Crilin rimase come inebetito. Immobile. Il volto bianco come un cencio, mentre cercava di comprendere l'enorme perdita che l'aveva appena colpito. Lo sguardo, ormai vuoto per sempre, di Muten gli bruciava il volto. Sentiva che qualcosa dentro di lui si era spezzata in mille pezzi aguzzi, come lame di vetro, che penetrarono con estrema facilità dentro la sua anima. Facendogli ribollire lo stomaco di un dolore immenso che, a poco a poco, lo sommerse.

Ed infine tutta la verità si affacciò dinnanzi ai suoi occhi con una violenza immensa. Muten era morto. Morto! Suo padre, il suo maestro, l'uomo che l'aveva accolto in casa sua, che l'aveva accudito, istruito e amato non c'era più. Era scomparso per sempre.

E fu allora che il suo autocontrollo si spezzò. Coprendosi la faccia con una mano, il piccolo guerriero si andò andare in un pianto disperato e liberatorio. Lacrime calde caddero abbondanti dai suoi stanchi occhi. Con un intensità ed un vigore che da anni non provava. Aveva creduto che invecchiando non avrebbe più sofferto con l'intensità che aveva provato da giovani nei molti lutti che l'avevano colpito nel corso della sua vita. Ma non si era mai preparato a subire un dolore così potente e terribile. Una scomparsa così grande da lasciare un vuoto incolmabile dentro di lui.

Pianse. Pianse per tutta la notte seduto su quella sedia, davanti ad un letto anonimo d'ospedale. Alcuni tentarono di scostarlo, di portarlo via, ma lui non se ne accorse minimamente. Non percepì neppure le parole dolci di sua moglie che cercavano di farlo ritornare in sé. In quel momento per Crilin non esisteva più nulla. Solo lui, e il suo dolore.

Quella notte fu l'ultima volta che pianse nel corso della sua vita.

 

 

 

Entrò con passo stanco, appoggiandosi al suo bastone. Ciò che vide non gli piacque minimamente. Davanti a lui c'era la bara del suo maestro. Ancora più avanti, la camera ardente.

Aveva chiesto agli addetti delle pompe funebri di poter rimanere qualche minuto da solo in quella stanza, dove ciò che rimaneva di Muten su quella terra sarebbe stato bruciato in pochi istanti.

Si avvicinò lentamente alla bara di legno scuro. Quel maledetto bastone lo intralciava di continuo. Detestava essere costretto ad usare quel sostegno per camminare. D'altro canto, il suo corpo era ormai logoro per tutti gli sforzi a cui l'aveva sottoposto durante la sua lunga esistenza. Certe volte, osservando la situazione sotto un altro punto di vista, Crilin si riteneva fortunato ad avere alla sua età solo una gamba irrigidita.

Una volta arrivato davanti a feretro, il terrestre si fermò. I suoi occhi da vegliardo si misero a fissare l'interno di quel massiccio sarcofago.

Muten era ben vestito. Gli avevano fatto indossare il suo completo da uomo scuro, quello che metteva sempre per le grandi occasioni. Gli occhiali da sole erano appoggiati in un taschino della giacca. Era stato Crilin a insistere che venissero bruciati insieme a lui, e gli altri non si erano opposti. Il volto disteso e tranquillo dell'anziano guerriero dava l'idea che, più che morto, Muten si fosse soltanto appisolato, come era solito fare dopo i pasti.

Crilin sospirò. Quanto tempo era passato? Una settimana circa. Ma in fondo cosa contava tutto ciò? Il tempo non avrebbe cambiato ciò che era successo, né avrebbe lenito il suo dolore.

Dopo che Muten era morto, era stata Bulma ad organizzare tutto. Per quanto fosse vecchia e piena di acciacchi anche lei, la scienziata non si era tirata indietro e aveva cominciato ad organizzare il tutto come, anni prima, dirigeva la sua azienda di famiglia. Crilin l'aveva lasciata fare, senza mettere bocca in nessuna discussione. In quei giorni il piccolo guerriero non era mai riuscito a dormire, né a trovare quiete. Tutto quello che aveva fatto era stato limitarsi ad osservare il mare dalla spiaggia, ritornando indietro nel tempo con l'occhio della mente.

Era stato in quei giorni che si era sentito veramente vecchio. E aveva compreso che presto sarebbe arrivato anche il suo turno.

Ma la cosa, in fondo, non lo toccava più di tanto.

I suoi pensieri furono interrotti dall'arrivo degli impresari.

“Mi dispiace interromperla signore, ma dobbiamo cominciare, o non faremo in tempo per la cerimonia.”

Crilin rimase immobile, in silenzio, mentre dentro di sé sentiva che una parte di lui si accartocciava, agonizzava e spariva per sempre. Aveva sempre pensato a Muten come ad un uomo buono. Con un pessimo senso dell'umorismo e con una tendenza spiacevole nel molestare le belle ragazze, ma a Crilin non sarebbe mai e poi mai passato per l'anticamera del cervello che il suo adorato maestro potesse commettere un gesto così egoistico e meschino. Il racconto dell'eremita gli era rimasto impresso profondamente nella mente, parola per parola. Ed aveva capito finalmente il perché Muten avesse sempre avuto una luce triste in fondo ai suoi occhi. Forse era anche per quello che aveva preso l'abitudine di indossare sempre degli occhiali da sole. Aveva paura che gli altri gli leggessero dentro di lui la sua colpa di gioventù. Il suo essere stato egoista e crudele nei confronti di sua sorella.

E per l'ennesima volta, la portata di quella morte lo colpì con inaudita potenza. Il suo maestro era morto. Mai più avrebbe potuto scherzare, parlare o ridere con lui.

Sentì gli occhi pizzicargli, mentre le lacrime premevano per uscire, ma le ricacciò indietro con forza. Era stanco di piangere.

“Un attimo.” dichiarò con voce roca all'uomo che stava per chiudere la bara. Quest'ultimo si fermò.

“C'è qualcosa che non va?” domandò con voce gentile.

Crilin esitò un attimo. Poi, lentamente, si tolse da sottobraccio un piccolo involto. Quando lo aprì rivelò una vecchia e logora tuta da combattimento arancione ripiegata con cura, con tanto di polsini blu e stivali adagiati sopra.

Senza degnare di uno sguardo l'impresario, che lo fissava con sguardo perplesso, Crilin si avvicinò alla bara, appoggiò con cura tuta, polsini e stivali tra le mani di Muten e, dopo un ultima occhiata a quel volto che aveva amato profondamente, si girò.

“Faccia pure.” borbottò.

Non volle rimanere mentre lo cremavano. Se ne andò con la sua andatura zoppicante, mentre il legno scuro si incendiava lentamente, e le fiamme fagocitavano ogni cosa.

 

 

Crilin osservava la tomba davanti a sé con sguardo spento, mentre gli ultimi raggi di sole illuminavano la fredda pietra e gli scaldavano le spalle.

Era stata una cerimonia semplice e appartata. Nel pieno stile di Muten. Gli amici di lunga data che avevano conosciuto l'anziano maestro erano venuti a tributargli l'ultimo omaggio. Per il piccolo guerriero era stato, sotto un certo punto di vista, strano osservare i volti dei suoi vecchi compagni di avventura così cambiati. I capelli ingrigiti di Yamcha, l'espressione dolente e indecifrabile di Tenshinhan, le rughe di Bulma e la sua sua chioma ormai bianca, anche se sempre curata, il viso con gli occhi stanchi di Gohan, i volti di Trunks e Goten ormai adulti. Duri, sagomati, rigidi. Privi dell'allegria della loro fanciullezza. Persino Vegeta sembrava vecchio, nonostante avesse solamente qualche piccola ruga attorno agli occhi e agli angoli della bocca.

Parlò Bulma, poi Yamcha, poi Tenshinhan. A poco a poco, tutti decisero di esprimere a parole ciò che avevano sempre pensato di Muten. Il discorso di Bulma fu il più lungo. La scienziata aveva gli occhi lucidi mentre cercava di impedire alla propria voce di tremare e al proprio dolore di uscire allo scoperto.

“O-oggi perdiamo un amico.” iniziò esitante. La vecchiaia le aveva tolto quella sua naturale disposizione a parlare in pubblico e a dissimulare le proprie emozioni. Per cercare di riprendere il controllo di sé, la donna cercò con lo sguardo quello duro e freddo di suo marito. Quando i suoi occhi chiari si rifletterono in quelli neri e glaciali di Vegeta, Bulma riprese controllo delle proprie emozioni.

“Muten è stato un uomo pieno di pregi. Un uomo profondamente buono.” la voce della donna aveva ripreso forza e vigore. “Aveva i suoi difetti, ma ciò non può e non deve togliere nulla riguardo tutto quello che ha fatto per noi in tutti questi anni. Quando l'ho conosciuto ero un'adolescente, ora che sono vecchia comprendo quanto sia stato profondo il legame che ci univa. Un legame di affetto come quello che si può avere tra un nonno...oppure un padre. Perché, in fondo, questo è stato Muten per tutti noi. Un padre adottivo che ci ha accolto e amato tutti come se fossimo suoi figli. E penso che per tutti noi la vita sia stata meno difficile sapendo che, per noi, la porta di casa sua era sempre aperta.”

Verso la fine del discorso le parole le erano tremate alla scienziata, facendo capire che quello che aveva appena detto esprimeva ciò che realmente pensava in quel momento. Del dolore che provava. Appena ebbe finito di parlare, la donna tornò lentamente affianco a suo marito, senza più parlare.

I l discorso di Tenshinhan fu molto più corto. Anziano, ma ancora forte e possente. Il vecchio guerriero non aveva mai dimenticato le parole che Muten gli aveva detto molti anni fa, quando la sua vita era totalmente cambiata.

“Muten e il mio maestro erano acerrimi rivali.” iniziò con voce roca e lenta. Si vedeva che era a disagio a parlare in pubblico. “Si odiavano da molti, moltissimi anni. Logica avrebbe voluto che il suo odio ricadesse anche su di me, e io non mi sarei aspettato nulla di meno. Ma Muten non era un uomo logico o normale.” Un sorriso amaro gli distese le labbra secche mentre ricordava il suo scontro con il leggendario eremita. “Se sono diventato quello che sono lo devo solo a lui. Se non avessi incontrato il leggendario Eremita della Tartaruga, probabilmente a quest'ora sarei un uomo talmente infido e meschino da non meritare di vivere.” Esito un secondo, poi lentamente il terrestre scosse la testa e se ne tornò al proprio posto.

Parlò anche Yamcha del suo rapporto con il suo vecchio maestro e di come per lui fosse stato il padre che non aveva mai avuto. Parlò Marron, poi Trunks, poi, uno alla volta, tutti gli altri. Alla fine della cerimonia solo tre persone non parlarono: Vegeta, C18 e Crilin.

Il terrestre non si preoccupò degli sguardi perplessi degli altri. Non gli interessava parlare di cosa era stato Muten per lui. Era palese. E dirlo ad alta voce davanti a tutti i suoi amici non avrebbe tolto né aggiunto nulla alla figura del suo vecchio maestro. Soltanto sua moglie comprendeva il suo stato d'animo, testimoniato dal fatto che non smise di stringergli la mano per tutta la durata della cerimonia. C18 lo capiva, sapeva cosa significava perdere una persona che era stato tutto. Lei aveva perso il suo gemello, ed ora toccava a suo marito provare lo stesso medesimo dolore.

Quando la cerimonia ebbe termine, a poco a poco i partecipanti se ne andarono. In silenzio. Soltanto Crilin non si mosse di un millimetro. Quando sua moglie gli lanciò un'occhiata perplessa lui le rispose con dolcezza.

“Vai pure avanti, io ti raggiungo tra un paio di minuti in macchina.”

Esitante, C18 lanciò un'ultima occhiata con i suoi splendidi occhi azzurri al marito. Poi si girò e se ne andò con la sua camminata decisa ed aggraziata allo stesso tempo.

Solamente quando fu solo, con il sole ormai morente che gli illuminava la schiena, che il terrestre cominciò ad avvicinarsi alla lapide in pietra chiara. Sotto il nome del suo maestro c'erano soltanto due date. Poi, più nulla.

Una lapide fredda e spoglia, messa in un angolo dimenticato di un anonimo cimitero della Città dell'Ovest. Se tutto ciò fosse accaduto durante la sua giovinezza, Crilin avrebbe fatto in modo che Muten venisse sepolto con tutti gli onori che si meritava. Invece, ora che era vecchio e stanco, pensava che fosse giusto così. Che in fondo quella piccola ed anonima lapide rispecchiasse la volontà dell'anziano eremita, da sempre disgustato dalla celebrità e dalla fama.

“Lasciamo che riposi qui.” pensò. “Lontano da tutto. Lasciamo che possa avere finalmente la pace che si merita.”

Era una serata calda, ma non afosa. L'aria era profumata dagli innumerevoli alberi che adornavano quel piccolo angolo recintato, lontano dal caos e dai rumori della città. Un dolce fruscio, prodotto dallo sfregamento delle foglie tra di loro, accompagnò per qualche secondo il canto di un cuculo poco distante che contribuiva a dare l'idea di essere isolati dal resto del mondo.

Crilin strinse con forza il suo bastone non appena percepì il fruscio delle foglie sopra di se. Le sue labbra si piegarono per formare un sorriso amaro quando capì che cosa era successo.

In un certo senso, se l'aspettava che venisse.

“Sapevo che saresti venuto.” mormorò.

Sentì dei passi che si avvicinavano. Un'ombra a lui terribilmente familiare si delineò con nitidezza sempre maggiore mentre il nuovo arrivato si avvicinava alla tomba. Quando fu arrivato al suo fianco, Crilin gli rivolse un'occhiata strana.

Era lui.

“Non potevo mancare.” dichiarò con voce gioviale il nuovo arrivato.

Crilin lo osservò attentamente. Il tempo sembrava non essere trascorso per Goku. Il suo fisico era muscoloso, pieno di vigore e di forza. Il suo volto assomigliava a quello di un giovane uomo da poco uscito dall'adolescenza. Soltanto i suoi occhi erano leggermente diversi. Erano ancora neri ed ingenui come se li ricordava, ma la luce che gli illuminava era diversa. Non era più il saiyan che lui aveva conosciuto tanti anni fa e che, nel corso del tempo, era diventato come un fratello per lui.

“Goku...” Crilin riportò lentamente lo sguardo verso la lapide del suo maestro. Un tempo il ritorno, l'ennesimo, del suo migliore amico l'avrebbe riempito di gioia. Ma il tempo l'aveva come prosciugato di tutte le sue emozioni, rendendolo cupo e taciturno. Il suo ultimo barlume di umanità si era spento definitivamente insieme a Muten, in quell'anonima stanza di ospedale, una settimana prima.

“Ti aspettavo.” dichiarò con voce monocorde l'anziano guerriero.

“Lo so.”

“Mi sarei aspettato che tu venissi al suo capezzale.” proseguì Crilin con voce fredda e incolore. “Ma in fondo non sono mai riuscito a comprendere le tue azione o a prevederle. In tutti questi anni, tu hai capito tutto di me, ma non posso certo dire la stessa cosa io nei tuoi confronti.”

Sentendo la voce del suo vecchio amico d'infanzia così vuota e fredda, così diversa da quella gioviale e piena di allegria che si ricordava, Goku sorrise. Ma il suo era un sorriso enigmatico. Indecifrabile.

“Ti sei arreso Crilin.” dichiarò il saiyan. “La vecchiaia ti ha reso un uomo pieno di nostalgia per il passato. Troppa. E hai pensato che l'unico modo per non impazzire non fosse sconfiggere questo male che ti attanaglia da dentro, ma lasciarti andare. Perdere la tua persona e diventare un guscio vuoto e freddo.”

Sentendo quelle parole, Crilin scoppiò in una risata amara.

“Belle parole! Noto con piacere che, con il passare degli anni, la tua abilità oratoria è migliorata parecchio.” successivamente, lo sguardo del terrestre divenne freddo e duro. “Ma con quale diritto vieni qui a farmi la predica? Te ne sei andato sempre per la tua strada, fregandotene del dolore che hai inflitto a tutte le persone che ti hanno voluto bene. Tua moglie e morta da sola in un letto mentre tu eri chissà dove! Lo stesso Muten, che ti ha accudito come un figlio, lo hai ignorato totalmente! Cosa ti fa pensare di avere il diritto di criticare il mio modo di fare? Tu hai mai provato a sentire il tuo corpo che ti si ribellava? Che si indeboliva e si abbandonava allo sfacelo contro la tua volontà? Cosa vuoi saperne tu della vecchiaia e della nostalgia, che non hai neppure una ruga sul volto? Che non hai mai avuto un solo fottutissimo rimpianto? Tu che non hai nessun maledettissimo difetto? Se sei venuto fin qua solo per farmi la predica, allora puoi anche tornartene da dove sei venuto, per quel che mi riguarda!”

Davanti al livore del suo migliore amico, Goku non reagì minimamente. E questo faceva incazzare Crilin oltre ogni misura. Si aspettava che il saiyan lo guardasse duro dicendo che lui non capiva, o che si mostrasse in parte dispiaciuto per quei continui abbandoni. Invece Goku rimase impassibile. Lo stesso sorriso appena accennato sulle labbra. Lo stesso sguardo indecifrabile. La stessa posa rilassata, tranquilla, pacifica. Vestito con la sua vecchia tuta color azzurro pallido, il saiyan sembrava l'incarnazione della pace e della tranquillità. Un'immagine che irritava oltre ogni misura l'anziano guerriero.

“E' tutto quello che sai fare?” sbottò. “Sorridere come un idiota?”

Senza smettere di sorridere, Goku scosse la testa.

“Non ho lasciato morire mia moglie da sola.” dichiarò, rivolgendo lo sguardo verso il cielo incandescente. “Io ero là, con lei. Mano nella mano quando la mia Chichi ha abbandonato definitivamente questo mondo. Te lo giuro Crilin. Non l'ho abbandonata, non nel vero senso della parola. Io posso essere stato il peggior marito, padre e amico dell'universo, ma con lo spirito io sono sempre stato vicino a tutti voi.”

Davanti a quelle parole Crilin si limitò a scrollare le spalle.

“Può essere. Ma ormai, cosa importa? Siamo tutti alla fine della storia, e manca solo da scrivere le ultime pagine. Mio padre è stato il primo, ma presto lo raggiungeremo tutti.”

“Nostro padre.” lo corresse pacatamente il saiyan. Vedendo l'occhiataccia dell'amico aggiunse “Muten è stato un padre per entrambi Crilin. Non negarlo. Io gli ho voluto bene, e se non sono riuscito a stargli vicino come hai fatto tu, non è stato certo per cattiveria.”

Il terrestre fece un brusco cenno con la testa.

“E va bene! Nostro padre. Ma la cosa non cambia: lui è morto, io sono un vecchio irascibile ed acciaccato, mentre tu sei ancora un guerriero giovane e forte. Ancora nel pieno della tua forza..”

Sentendo quelle parole, il sorriso di Goku mutò. Da conciliante, divenne più gioviale.

“Non sempre chi è giovane è fortunato Crilin.” dichiarò con voce dolce. Successivamente, il saiyan appoggiò una mano sulla spalla dell'amico. “Ma questo non significa che io non debba esaudire questo tuo piccolo desiderio che ti brucia il cuore.”

Crilin non rispose. Da quando la mano calda ed abbronzata del suo amico l'aveva toccato, aveva sentito un forte calore spandersi lentamente dentro il suo corpo. Da quel palmo calloso e forte proveniva un calore dolce e lenitivo. Che aiutò a placare il suo dolore e la sua amarezza. Il terrestre si sentì rinascere.

A poco a poco, il suo corpo subì una incredibile mutazione. I suoi muscoli si ingrossarono e presero vigore, la pelle si tirò, ritornando liscia ed elastica. I suoi capelli ripresero colore, le sue gambe ripresero elasticità e forza. Persino i suoi abiti mutarono, ritornando ad essere quelli che aveva fatto bruciare a suo padre poche ore prima.

Adesso davanti alla tomba del Maestro Muten non c'erano più un giovane uomo ed un vecchietto. C'erano due possenti combattenti, nel pieno delle loro forze, che donavano il loro ultimo saluto al padre che li aveva accuditi e guidati. Istruiti ed amati. Alla persona che li aveva aiutato a comprendere cosa era giusto e cosa era sbagliato nel loro mondo. La persona che li aveva resi i due più potenti guerrieri delle loro razze.

Crilin inspirò a pieni polmoni la dolce aria primaverile, beandosi di quella sensazione di giovinezza. Si sentiva in pace. E finalmente comprendeva cosa intendeva Goku poco fa: non doveva abbandonarsi al dolore e alla tristezza per quello che era stato e che non poteva più tornare, ma doveva invece godersi il tempo che la sorte li aveva ancora concesso. Muten non se ne era andato con rimpianti alla fine. Pur avendo commesso molti errori, l'anziano guerriero aveva sempre cercato di vivere secondo i concetti che gli avevano insegnato i suoi maestri fin da bambino: lealtà, giustizia e onore.

“Grazie Goku.” dichiarò il terrestre con la sua voce di una volta. “Ora comprendo che ho sbagliato a lasciarmi andare al dolore e alla disperazione.”

Pur non vedendolo, Crilin sentì che il suo amico continuava a sorridere.

“Potrei farti ritornare di nuovo giovane, se lo desideri.” dichiarò il moro. “Lo vuoi?”

Senza esitare, Crilin scosse la testa.

“No.” rispose. “Aspetterò il mio momento. Come tutti. Ho vissuto la mia vita, ed ora è tempo che lasci il posto ad una nuova generazione.”

“E tua moglie? Che cosa ha deciso di fare?”

Un sorriso amaro illuminò il volto del piccolo guerriero.

“Ha deciso di seguirmi. Quando arriverà il mio momento, sarà anche il suo.”

“Molto bene.” dichiarò Goku. “Allora arrivederci Crilin. Penso che ci rivedremo presto.”

“Goku...” prima che il terrestre potesse proseguire, il saiyan scomparve. Il silenzio riprese possesso del cimitero, mentre Crilin tornò ad essere un anziano che si appoggiava ad un consunto bastone.

Crilin scoprì, con piacere, di non provare dolore per quella nuova separazione. Sapeva che era solo temporanea. Avrebbe voluto parlargli di Muten. Del loro ultimo incontro. E di come il loro maestro di una volta avesse confessato a lui i suoi ultimi segreti. Ma in quell'istante, l'anziano guerriero comprese che Goku sapeva già tutto.

Perché lui era sempre stato lì con loro. In ogni istante. Da quando era volato via con il drago Shenron, fino a quando erano entrati in quel cimitero per dare il loro ultimo saluto al leggendario Eremita, Goku era sempre stato vicino a loro. Ai suoi amici. Non li aveva abbandonati. Non nel vero senso della parola.

In quel istante, Crilin si accorse che, sulla tomba di Muten, era appoggiato un vaso semplice di conserva, che tante volte aveva visto lavare a Chichi. E dentro a quel vaso c'era un piccolo fiore bianco, i cui candidi petali custodivano amorevolmente un dorato cuore.

Una lacrima, l'ultima della sua vita, uscì dai suoi stanchi occhi. Ma questa volta era di pura gioia.

“Grazie Goku.” mormorò rivolgendo il suo sguardo verso il cielo.

Mentre tornava verso la sua macchina, da sua moglie che lo aspettava, Crilin comprese che, presto, avrebbe rivisto tutte le persone a lui care che aveva perso e che stava perdendo.

Goku, Muten, Chichi, sua moglie e tutti gli altri suoi amici e compagni di una vita.

Presto sarebbero stati di nuovo tutti insieme.

Per sempre.

E fu con questa feroce convinzione che appoggiò il suo bastone con forza sul selciato di pietra, mentre lentamente si incamminava all'uscita del cimitero, e si preparava a scrivere l'ultima pagina della sua vita.

 

Nel frattempo, nel silenzio del cimitero, una goccia, pura ed immacolata, scese con dolcezza da un petalo bianco, fino ad atterrare su una fredda lastra di marmo. Ultimo tributo di un mondo al suo più grande maestro.

 

 

FINE

  
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