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Autore: kymyit    23/04/2013    3 recensioni
[La Lunga Marcia]
Aveva pensato fosse giusto e dovuto, ma quando era giunto esattamente davanti a quella porta, aveva provato smarrimento, tormento, paura. Pensò che forse era il caso di tornarsene nel Maine e chi si è visto, si è visto. Ma il senso del dovere aveva avuto il sopravvento sulla vergogna della sopravvivenza.
Ma che cosa avrebbe detto ai genitori di Peter?
“Mi è stato un buon amico, ma non sono stato lo stesso per lui.” Infatti, l’hai lasciato morire, Garraty, hai lasciato che si sedesse. Dovevi afferrarlo e trascinarlo, correre con lui sottobraccio e chissà, forse i fucili si sarebbero abbassati. Avresti potuto costringerlo a muovere le gambe ancora, solo un altro po’, scomparire con lui fra la folla e gli alberi, farvi braccare per giorni e giorni nei boschi o farvi fucilare seduta stante.
Potevi morire con lui, ma hai preferito guardare la sua testa saltare in aria e il suo sorriso soffocare nel sangue con la rapidità d’un respiro, lo schiocco di uno sparo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scent of you






Amare cos'è?
E’ ascoltare in silenzio la luna,
è perdere te e soffrir senza fare rumore.
(Marco Masini, “Qualcosa, qualcuno”)








Aveva pensato fosse giusto e dovuto, ma quando era giunto esattamente davanti a quella porta, aveva provato smarrimento, tormento, paura. Pensò che forse era il caso di tornarsene nel Maine e chi si è visto, si è visto. Ma il senso del dovere aveva avuto il sopravvento sulla vergogna della sopravvivenza.
Ma che cosa avrebbe detto ai genitori di Peter?
“Mi è stato un buon amico, ma non sono stato lo stesso per lui.” Infatti, l’hai lasciato morire, Garraty, hai lasciato che si sedesse. Dovevi afferrarlo e trascinarlo, correre con lui sottobraccio e chissà, forse i fucili si sarebbero abbassati. Avresti potuto costringerlo a muovere le gambe ancora, solo un altro po’, scomparire con lui fra la folla e gli alberi, farvi braccare per giorni e giorni nei boschi o farvi fucilare seduta stante.
Potevi morire con lui, ma hai preferito guardare la sua testa saltare in aria e il suo sorriso soffocare nel sangue con la rapidità d’un respiro, lo schiocco di uno sparo. Peter aveva visto i fucili, la traccia che avevano lasciato sulla sua pelle non erano cuciture o cicatrici, il piombo si era impresso nel suo cervello scavando nelle sue più profonde interiorità e strappando via le sue disgrazie, il pensiero di Pris e della fabbrica di pigiami nel New Jersey. Peter era conscio che tutto ciò sarebbe accaduto e aveva atteso il congedo con il sorriso colmo di gratitudine di un bambino che riceve un nuovo balocco con cui trastullarsi.
La porta fu aperta, senza che neppure bussasse, da una bimba di sì e no quattro anni che lo fissò per alcuni secondi con occhi scuri e acuti, poi d’un tratto gli domandò -Sei un amico di Petie?-
-Sì… più o meno… - rispose impacciato e stupito, Garraty, per quanto quella bambina somigliasse a Peter. Era la sorella,vero, ma aveva quell’aria intelligente e sveglia che a quanto pareva doveva essere un marchio di fabbrica.
-Sei quello che è sui giornali?- gli domandò ancora e lui non rispose. Alle spalle della piccola si profilò la sagoma di un uomo segnato dal dolore, specchio di quell’età adulta che Peter non avrebbe mai vissuto.
-Salve… - disse con un groppo alla gola che fece stridere la voce come fosse il gemito strozzato di una gallina.
-Salve.- rispose quegli, poi gli fece cenno di accomodarsi, senza che si presentasse o alcunché. Già sapeva.
Sapeva che era il ragazzo sopravvissuto a suo figlio. Il pensiero fu in qualche modo atroce.

La casa di Peter era una normale e modesta abitazione da tipico americano medio. Non eccedeva in lussi e presentava qualche segno del tempo sapientemente mascherato dall’arredamento di buon gusto. Su un mobile di legno disposto all’ingresso, erano esposte numerose foto di famiglia. Mamma, papà, Katrina e Petie. Peter al mare, Peter in montagna, Peter e il suo primo dentino fra le dita, il sorriso sdentato dipinto sulle labbra birichine, Peter e i suoi primi passi...
Se non avesse mai imparato a camminare non se ne sarebbe mai andato.
La signora McVries offrì a Garraty del caffè macchiato e si sedette accanto al marito. Nel loro silenzio, lo sentiva, i due coniugi pendevano dalle sue labbra mute. Aveva smarrito le parole di cordoglio. Tutto ciò che voleva, in realtà, era essere reso partecipe di quel dolore. Ad un certo punto della Marcia aveva offerto la sua vita, evidentemente non voleva davvero sopravvivere a quel prezzo, ma quello stupido di Peter aveva deciso per entrambi, costringendolo a non fermarsi. L’aveva portato a odiarlo, si era reso indispensabile e poi era scomparso dentro un sacco di plastica nera.
Una volta lì, Garraty si era reso conto che l’unico vero motivo per il quale si trovava in quella casa era la sua disperata ricerca delle tracce seminate da Peter sulla terra, durante la sua breve esistenza.
Voleva illudersi di riaverlo riunendo i pezzi di vita che si era lasciato alle spalle.
-Tu e Peter avete legato molto, vero?- non era una domanda quella del signor McVries, era una constatazione. La moglie rigirava in silenzio il cucchiaino nel caffè nero bollente, lentamente, concentrata negli scuri riflessi della vivanda, estraniata volontariamente dalla conversazione. Non voleva sentire, eppure voleva, si difendeva picchiettando l’acciaio sulla ceramica a ritmo lento.
Garraty annuì, bevve il caffè per guadagnare tempo, non voleva rispondere a voce.
-Noi non abbiamo assistito.- insistette l’uomo -Non abbiamo avuto il coraggio, non volevamo affrontare la folla che esultava per la morte di nostro figlio.-
Garraty annuì.
La folla famelica di sudore, sangue ed emozioni era il mostro ricorrente nei suoi incubi ogni santa notte. Giorno dopo giorno, passo dopo passo, avrebbe guadagnato sufficiente distanza da quell’orrida coscienza di massa ingorda di morte, ma quella non sarebbe mai sparita all’orizzonte del suo subconscio.
-Quotidiani e telegiornali però non ci bastano, vorremmo sapere da qualcuno che l’ha conosciuto in quel momento… - tacque, deglutì un grosso singhiozzo e strinse i denti. Gli tremavano le mani e Garraty represse l’istinto di stringerle fra le sue. Era pur sempre un estraneo. Visto da un certo punto di vista, era lui ad aver ucciso Peter.
Se si fosse fermato…
-Lui era felice?-
Garraty spalancò gli occhi per la sorpresa.
La signora McVries si alzò e sparecchiò il tavolino scuro, borbottando mestamente. Perché avrebbe dovuto essere felice? Moriva! Come poteva, suo marito solo porsi certe domande?!
Garraty però comprese.
-Sì.- rispose -Ha sorriso, prima di andarsene. Avrebbe potuto proseguire… - si pentì immediatamente di quello che si era lasciato scappare. I genitori non avrebbero compreso la scelta del loro primogenito. Forse il signor McVries se ne sarebbe fatto una ragione, lui pareva resistere al dolore, ma sua madre no, ne era stravolta. E come poteva darle torto? Neppure lui riusciva a comprendere fino in fondo la scelta di Peter.
Perché lui prendeva tutto così alla leggera, anche se solo in apparenza. Pareva irriducibile, usava l’ironia come arma contro l’orrore e continuava la sua Lunga Marcia.
E poi si era fermato, ancora troppo lucido per perdere i sensi, per arrendersi. Garraty era sicuro che Peter avesse deliberatamente scelto di sedersi, come Scramm e Joe, come Pearson, come Olson, come Barkovitch che piuttosto che vedere altri indossare le metaforiche scarpette da ballo, aveva preferito squarciarsi la gola con le sue mani, decretando da sé la morte del cigno.
Il signor McVries aveva avuto un piccolo sussulto a quella frase lasciata in sospeso, poi le lacrime gli avevano rigato le guance scarne e si era liberato della sua dignitosa corazza. Piangeva e sorrideva e Garraty non poteva comprendere fin in fondo i suoi pensieri, finché le mani dell’uomo non strinsero le sue in una presa paterna.
-Dopo quello che era successo con la sua ragazza, pensavo che Peter fosse in qualche modo morto dentro, temevo che non avrebbe mai ritrovato uno scopo nella vita e, invece, ironico… -
Davvero ironico, pensò Garraty, lasciandosi andare al pianto anche lui.
Davvero un bello scherzetto, Peter.


Katrina lo prese per mano e lo strattonò su per le scale, fino a una porta bianca. Garraty intuì ancor prima di saperlo che cosa vi era oltre.
-Questa è la camera di Petie.- annunciò la bambina spalancando la porta.
La stanza era in penombra, pulita e ordinata secondo gli standard di un ragazzo. Vi erano poche cose sparse qua e là, più che altro carta, riviste, spiccioli, vestiti. Garraty rimase come impietrito di fronte al letto rifatto, di fronte alla camicia a righe recante l’adesivo “61 Peter McVries” ripulita dalla polvere e dal sudore, ma non dal sangue; profumata, ripiegata amorevolmente e posata sulle lenzuola.
Come se lavando la lordura, tutto sarebbe potuto tornare come prima.
Garraty la prese delicatamente fra le mani tremanti, senza riuscire a controllare le lacrime.
-Oh, Peter… - emise con voce strozzata e la tentazione di stringere a se quella rovinata camicia a righe fu insostenibile. La portò al petto e v’immerse il viso, ricercando l’odore della sua pelle sudata, l’unico odore di lui che aveva potuto conoscere; il suo calore, il suo petto. Ma vi era solo stoffa fredda e il gelido adesivo che lo classificava come un numero, come carne da macello. Un biglietto di sola andata per l’inferno o il paradiso, per qualunque luogo oltre la morte. Le lacrime bagnarono il sangue schizzato dalle sue tempie.
Non sarebbero mai andate via.
L’ammorbidente rendeva la stoffa piacevole al tatto e profumata all’olfatto. Chiudendo gli occhi poteva immaginare Peter nella sua stanza intento a leggere seduto alla scrivania, con quella stessa camicia. Poteva vederlo ridere, scherzare, fare quelle sue uscite strampalate, riusciva a vederlo giocare con la sua sorellina o semplicemente buttato sul letto con le mani dietro la nuca a oziare ad oltranza.
Il sangue però cancellava queste illusioni.
Peter era morto, le sue ceneri erano custodite nell’urna azzurra che troneggiava sul camino.
Quando Garraty l’aveva vista, aveva provato dolore. Quell’urna era Peter, dentro c’era Peter, Peter era in mezzo ai suoi cari, era cenere che non parlava e non piangeva. Era morto, ma al tempo stesso era ancora vivo. Si ritrovò confuso a riflettere sulla vita e sulla morte, su come possa un uomo morire davvero, se possa essere morto nonostante la vita scorra ancora nelle sue vene.
Peter era morto quando aveva iniziato a camminare, poi era risorto e sorridendo se n’era andato.
Garraty non seppe dire quanto tempo rimase immobile a pensare, davanti al letto, stretto spasmodicamente alla sua camicia. Quando si rese conto di essersi smarrito fra i propri pensieri, si accorse del signor McVries sulla porta. Istintivamente si separò dall’indumento, ma l’uomo si affrettò a dirgli -Puoi prenderla.-
-Ma… -
-Mia moglie ed io non riusciremo ad andare avanti se resterà piegata sul letto. Come se il nostro ragazzo dovesse tornare da un momento all’altro per indossarla e andare via di nuovo. Rivivere quel giorno in cui se n’è andato, pensare a quanto abbia sofferto senza che lo incoraggiassimo... - l’uomo si sedette sul letto con la testa fra le mani -Non ho avuto il coraggio di strapparlo ai militari… che razza di padre sono?-
Garraty si astenne dal rispondere.
Il padre di Peter era stato un codardo, il suo si era spinto troppo oltre e il risultato aveva comunque portato alla morte di qualcuno a lui caro, non era cambiato nulla. Le morti erano il pane quotidiano dell'America e la sofferenza era la spezia che lo insaporiva.
-Peter non ce l'aveva con lei. Si è messo lui in quella situazione... - voleva morire, ecco la verità, ma Garraty ebbe il buon senso di tenerlo per sé. Quella frase non era solo la verità, era l’insieme di tante cause poco piacevoli che avevano condotto Peter a sostenere il test e i genitori sarebbero stati distrutti dal pensiero di essere parte di tali cause.
Perché non l’avevano protetto.
-Non si è mai lamentato di nulla.- anche questa era una cruda realtà, ma era più sopportabile sapere che il proprio figlio si fosse comportato in maniera tanto fiera da esserne orgogliosi, piuttosto che sapere che, forse, se l'avessero davvero legato e imbavagliato e nascosto da qualche parte, sarebbe sopravvissuto ai propri anni.

Quando Garraty lasciò la casa, Katrina lo seguì correndo sul selciato con le sue ballerine lucide e il suo abitino svolazzante.
La bambina si aggrappò alla busta con gli abiti del fratello e, per un attimo, Garraty desiderò strappargliela dalle mani, nel timore che si riprendesse l'unico ricordo che di lui gli era stato concesso insieme a un'unica foto un po' sbiadita in cui la magnifica cicatrice si notava a malapena. Tuttavia non osò ferire la bambina. La guardò mentre come lui si cullava negli abiti del suo Petie e rimase sbalordito di quanto matura fosse quando gli rese quel dono.
-Petie è partito per un viaggio.- disse -Ma io lo rivedrò quando andrò in cielo. E anche tu.-
Garraty sorrise -Tu sicuramente.- le diede una pacca sulla testolina scura e le disse -Perciò fai da brava e sii forte.-
La lasciò sul cancelletto che separava il giardino dalla strada, si voltò un’ultima volta per scorgere i due coniugi sulla porta di casa e la piccola ancora immobile a fissarlo, poi riprese a camminare.
Lontano, lontano, distanziando tutto ciò che Peter aveva lasciato dietro di sé in Terra, prima di sedersi e scegliere il Cielo oltre l'orizzonte della strada.
-Vorrei tanto capire come hai potuto rinunciare a tutto questo per me… - disse rivolto alla foto dell’altro -Con che coraggio sei riuscito a farlo?-
Non l'avrebbe mai saputo, pensò. Poi ripensando alla piccola Katrina sospirò -Suppongo che dovrò a chiedertelo di persona prima o poi...
In quel momento la luce del sole pulsò facendo capolino fra le nubi e illuminando il sorriso immortalato nella foto, vivificandolo e rendendolo più somigliante al suo ultimo sorriso, che con soddisfazione era stato l'addio di Peter McVries al mondo.

E a Garraty.









Note: Questa fic era sepolta nel mio quaderno perché sono davvero troppo pigra quando si tratta di  ricopiarle. Infatti, la mia one shot su Suikoden Tierkreis è rimasta per metà lì... Vabbè... nello scriverla sono stata evidentemente ispirata da  "I segreti di Brokeback Mountain" e, ancora, Masini ormai lo associo a  King, Q^Q
Mi fanno piangere indecentemente entrambi.
A volte vorrei scrivere qualcosa di diverso su Petie e Ray, ma è quasi un'utopia, assurdo... però sarebbe bello vederli felici a camminare per strada senza il terrore di essere ammoniti
   
 
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