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Autore: againstyou    24/04/2013    2 recensioni
"Sento il suo sguardo sul mio corpo fragile. Sento che fissa le mie braccia coperte dal tessuto ormai rosso. Sta fermo, immobile, mi osserva attentamente, ma non fa nulla.
[Cosa mai avrebbe potuto fare?]"
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono una ragazza tranquilla, serena, in pace nel mondo. Cerco sempre di essere gentile con tutti, ma cerco anche di divertirmi.
Adoro leggere e ascoltare la musica. Amo la musica psichedelica e i quadri che raffigurano personaggi strani ed insoliti.

Il mio film preferito è Donnie Darko, il mio attore preferito è Heath Ledger e la mia canzone preferita è Teardrops.

 
Questo è quello che avrei detto tempo fa, prima di essere considerata pazza.
 
 
 
E’ un normalissimo giorno di Ottobre, un mercoledì. La prima ora passa lentamente, mentre il professore di Fisica spiega in modo dettagliato e confusionario la struttura di una molecola di non so esattamente cosa. La seconda ora passa velocemente, mentre la professore di Russo interroga le persone che si sono proposte come volontarie.
La prima mezz’ora della terza ora passa, in qualche modo, mentre il professore di Scienze ci illustra gli argomenti della prossima verifica. Dopo poco sento qualcosa colpire leggermente il mio braccio, come un soffio. Apro il foglietto che mi è stato lanciato, riconoscendo la scrittura. “Phil mi ha detto che oggi hanno la partita.” leggo sul pezzo di carta stropicciato. Mi giro in direzione della mia amica e le sorrido, per farle intendere che avevo capito cosa mi avrebbe chiesto in seguito.
Guardo fuori dalla finestra, osservando il cielo. E’ grigio, spento, come mi sento io in questo momento.
E’ come se tutto mi stesse crollando addosso, come se improvvisamente desidererei morire velocemente e subito, che continuare a stare male per qualcosa di indefinito.
Non è la prima volta che immagino e desidero la mia morte. E’ successo molte volte.
Ora mi sento come tutti quei momenti in cui sentivo il bisogno di staccare la spina una volta per tutte.
Corro in bagno con il permesso del professore. Soffro di rabbia repressa, ma non sono un pericolo per le altre persone: sfogo la mia rabbia contro me stessa.
Mi chiudo in un gabinetto e tiro fuori la lametta, custodita in una scatolina di plastica trasparente. Alzo la manica della felpa, e cerco di concentrarmi.
Da quanto tempo non mi capitava una cosa simile? Di solito, in pubblico, cercavo di gestire la mia rabbia in qualche altro modo, soprattutto cercando di controllarmi.
Mi focalizzo sul motivo di questa crisi, trovandone almeno un centinaio, sparsi come biglie nella mia mente confusa. D’istinto conficco il pezzo di ferro nell’interno del braccio, provocandomi una forte fitta nel punto colpito. Esce sangue, tanto sangue. Non mi fermo, continuo a tracciare linee che diventano sempre più rosse.
Dopo qualche secondo mi accorgo di non avere più spazio sul braccio sinistro. Impugno la lametta con l’altra mano, e prendendo un respiro profondo, mi procuro le stesse ferite. Sono arrabbiata, triste, confusa e terrorizzata. Se qualcuno dovesse venirlo a sapere? Succederebbe un caos. I miei verrebbero a sapere che ho smesso di prendere le pillole prescritte dal medico per il mio problema, e finirei, al peggio, in un ospedale psichiatrico. Non riesco a fermarmi, dopo i primi tre tagli.
Diventa come una droga, un’ossessione, aiuta a liberarmi.
Dopo poco mi accorgo del disastro che ho combinato: noto sul pavimento miriadi di gocce rosse, sparse un po’ dappertutto, alcune gocce sulle All Star, altre ancora sui jeans.
La felpa ha i bordi delle maniche tirate su, completamente impregnate del liquido scuro. E’ un completo macello. Esco dalla piccola stanza e mi guardo allo specchio.
Cosa provo? Disgusto, rabbia, orrore, insoddisfazione, quasi ripugno, per l’immagine che mi ritrae.
 
 
Lascio cadere la lametta a terra, e non riesco a trattenere le lacrime. Mi alzo, ma appena lo faccio sento la testa girarmi.
Sarà perché non ho fatto colazione.
[Perché sono così sciocca?]
Mi tiro giù le maniche della felpa, mi sciacquo le mani e mi avvio verso il corridoio. Mi sento intorpidita, stupida, ubriaca.
Continua a girarmi la testa, e sono costretta a fermarmi e a chiudere gli occhi per un secondo. Sento dei passi e continuo a camminare, con le gambe che sembrano essere indolenzite. Scorgo alla fine del corridoio una figura alta, vestita di scuro, con una strana camminata, che riconoscerei ovunque.
Quante volte ti capita di scambiare per la prima volta uno sguardo con una persona e cominciare a schifarlo così tanto fino ad innamorartene?
Insomma, lui è completamente differente dal tipo di ragazzo che una giovane liceale adorerebbe. Lui non è biondo con gli occhi chiari, non è palestrato, non si veste alla moda, non ha il gel ai capelli, ha un voto basso in educazione fisica, non si fa notare, è stato bocciato e non ha la faccia simpatica.
Ma allora come mai tutto questo? Come mai tutte le volte che gli passo accanto sento ribollirmi il sangue nelle vene? Come mai tutte le volte che lo vedo abbasso lo sguardo per paura che riesca a leggere i miei pensieri così sciocchi? Come mai tutte le volte che qualcuno lo nomina faccio finta di nulla e mi impongo di non arrossire?
Odio il fatto che lui mi faccia questo effetto, odio il fatto che mi faccia sentire così insicura di me,
odio il fatto che il suo nome rimbombi nella mia testa come rumori di fuochi d’artificio e odio il fatto che mi abbia fatto innamorare di lui, pur sapendo che non ci potrà mai essere nulla.
[Odio anche lui? Si può odiare ed amare allo stesso tempo?]
Ed ora odio anche il fatto che mi veda in queste condizioni. Ma forse alla fine non sono nemmeno tanto diversa dal solito, solo con gli occhi,
oltre che pieni di disperazioni, ora sono anche pieni di lacrime.
Cammino lentamente, con lo sguardo abbassato. Sento le mani cospargersi lentamente di qualcosa di liquido.
Osservo attentamente, fermandomi, i palmi delle mie mani: sono ricoperti di un rosso scuro. Alzo lo sguardo con fare impaurito, accorgendomi che il ragazzo è di fronte a me, che mi guarda con un’espressione quasi spaventata.
[Sarebbe potuto andare peggio di così?]
Le maniche sono completamente sporche di sangue, il pavimento macchiato di rosso.
[Il sangue mi ricorda i mirtilli.]
Sento il suo sguardo sul mio corpo fragile. Sento che fissa le mie braccia coperte dal tessuto ormai rosso.
Sta fermo, immobile, mi osserva attentamente, ma non fa nulla.
[Cosa mai avrebbe potuto fare?]
Dopo un tempo che non so indicare,
[Avrei detto dopo qualche anno]
si avvicina ancora di più, e vedo che ha gli occhi lucidi. Mi è parso di potergli leggere dentro, quasi.
Tenta un sorriso: le sue labbra circondate da corta barba incolta formano un semicerchio, la figura geometrica più bella che avessi mai visto.
Ma qui i miei pensieri si interrompono, sento le gambe di gelatina, il mio corpo ricoprirsi di calore, la testa esplodere e mi sembra di non poggiare più i piedi per terra.
Il bruciore delle ferite mi pare qualcosa di quasi soave.
 Svengo,
[Debole]
accasciandomi per terra e chiudendo la mia mente in una cantina oscura, legandola a ricordi e delusioni con una presa troppo forte.
  
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