Gli
scatoloni aperti sul pavimento aspettavano soltanto di essere riempiti dei suoi
effetti personali.
Era
stata un’idea di Harry di mettere tutto dentro delle scatole, nonostante le sue
ripetute rimostranze che la sua sacca militare fosse
sufficiente.
-Così
il taglio con il passato sarà definitivo-aveva detto.
Ma
come poteva chiudere con il passato quando questo era ancora il suo
presente?
Erano
passati otto mesi dalla morte di Sherlock Holmes e il sentimento predominante in
John Watson era l’apatia.
Dopo
La caduta c’erano voluti tre giorni per
convincerlo a mangiare qualcosa,Greg aveva quasi dovuto costringerlo con
la forza ad ingoiare due pezzi di toast, due settimane per convincerlo ad uscire
dal letto e a mettersi sotto la doccia permettendo così a Mrs. Hudson o Greg o a
qualcun altro di cambiare le lenzuola del letto,prima che lui ci si rinfilasse
dentro.
Non
era riuscito neanche ad andare al funerale…
La
prima volta che aveva messo piede fuori di casa era stato per accompagnare Mrs.
Hudson al cimitero nel primo mesiversario della morte di Sherlock…O era stata
lei ad accompagnare lui?
L’aveva
ascoltata mentre fra i singhiozzi trattenuti si lamentava per l’ennesima volta
di quell’affittuario così stravagante e rumoroso,capace di suonare il violino
alle tre di notte soltanto per aiutare il filo dei pensieri che lo assillava in
quel momento o di sparare al muro per combattere la noia,soltanto per nascondere
il dolore e la tristezza per la
perdita di quello che ormai considerava alla stregua di un
figlio.
Quando
finalmente era rimasto da solo con la lapide che ormai era tutto ciò che gli
restava del suo migliore amico,aveva dato voce ai suoi
sentimenti.
“Una volta mi hai detto che non eri un
eroe.
Ci sono stati momenti in cui ho persino dubitato tu fossi umano,ma
lasciami dire che tu eri la migliore persona il più umano essere umano che io
abbia mai conosciuto e nessuno potrà mai convincermi che tu mi abbia detto una
bugia…Ecco.-si
era avvicinato alla lapide e l’aveva sfiorata,come poche volte aveva fatto con
Sherlock.
-Ero così solo e ti devo così tanto…-
Più
di quanto Sherlock avrebbe mai saputo e di quanto lui fosse disposto ad
ammettere.
Aveva
voltato le spalle al marmo nero lucido,muovendo un passo verso la figura lontana
di Mr. Hudson,prima che un ultimo pensiero gli attraversasse la mente,un’ultima
cosa di cui rendere partecipe l’amico.
-C’è un ultima cosa…Per favore, un’ultima cosa…Un ultimo miracolo
Sherlock,per me.
Non essere morto…Puoi far smettere tutto questo? Fallo
smettere.-
gli aveva chiesto sentendo la gola stringersi per colpa di nuove
lacrime.
Si
era coperto gli occhi con una mano,timoroso che qualcuno potesse essere
testimone di quell’attimo di debolezza,ma pochi attimi dopo si era ricomposto
atteggiando il corpo in una posa militare.
Aveva
salutato Sherlock un’ultima volta e si era avviato verso Mrs.
Hudson.
Quella
era stata l’unica visita che aveva fatto al cimitero.
Il
miracolo chiesto non era avvenuto,neanche Sherlock era capace di
tanto.
I
giorni erano passati,trasformandosi in settimane e poi mesi e ora eccolo lì per
l’ultima volta.
221B
Baker Street sarebbe stata la sua casa per poche ore
ancora.
Aveva
provato a resistere,dicendo a sé stesso che doveva restare in
quell’appartamento, lasciare tutto com’era al momento…al momento de La
caduta,così quando Sherlock sarebbe tornato tutto sarebbe ripreso da dove si era
interrotto otto mesi prima.
Ma
non poteva più farlo.
Non
poteva continuare ad illudersi…Sherlock non sarebbe più
tornato.
Greg,Molly
Mike ed Harry avevano ragione:doveva smetterla di nascondersi in
quell’appartamento e riprendere la sua vita, anche se la sola idea gli faceva
mancare il respiro.
Fermo
nel salotto fra le due poltrone si guardò intorno,cercando di evitare con lo
sguardo la poltrona di pelle nera che ancora conservava l’impronta del suo
proprietario nonostante fossero otto mesi che non vi si sedesse sopra;c’erano
talmente tante cose di Sherlock in quella stanza e in quell’appartamento che si
domandò se la sua presenza fosse soltanto di passaggio:quasi tutti i suoi
oggetti personali erano nella sua stanza, dove da mesi aveva preso l’abitudine
di rifugiarsi, di sfuggire alla realtà, esclusi alcuni libri e cd ed il suo
portatile che erano lì nel salotto.
Per
un’istante si chiese cosa ne sarebbe stato degli oggetti di Sherlock:tutta
l’attrezzatura scientifica, i suoi vestiti, l’arpione e tutte le altre
cianfrusaglie che era solito portare a casa in nome dei suoi
esperimenti.
Le
uniche cose che erano sparite dal giorno de La Caduta erano state le parti
mozzate che il detective teneva sempre nel frigorifero, probabilmente grazie
all’intervento di Mrs. Hudson.
Era
quasi certo che presto i tirapiedi di Mycroft avrebbero chiuso tutti quegli
oggetti in varie scatole e le avrebbero chiuse in un magazzino, dimenticandosene e
facendo cadere il silenzio sul consulente detective e la sua
storia.
Come
se non fosse mai esistito…
Aveva
tagliato ogni rapporto con il maggiore degli Holmes, colpevole a suo giudizio di
aver consapevolmente venduto il fratello ad un pazzo che voleva soltanto la sua
distruzione; il loro ultimo incontro era stato nell’ufficio di Mycroft al Club
Diogene e John non poteva certo dire di sentire la mancanza
dell’uomo.
John
chiuse gli occhi prendendo un respiro profondo:era venuto il
momento.
Greg
si era gentilmente offerto di ospitarlo a casa sua finchè non si fosse rimesso
in sesto e, John sospettava,per tenerlo d’occhio ed essere sicuro che non
commettesse una sciocchezza.
Il
pensiero per un’istante andò a Barts, a quel giorno in cui spinto dalla
solitudine e dal dolore era salito sul tetto,cercando di dare un senso alla
confusione che gli ronzava in testa.
Era
rimasto fermo,immobile, cercando una traccia, un minimo ricordo di quello che
era successo lì sopra;la pioggia ed il tempo avevano cancellato il ricordo del
sangue di Moriarty, e non c’era niente che rendesse quel posto diverso da un
qualsiasi altro tetto.
Si
era seduto sul cornicione,le gambe all’interno,e aveva guardato in basso, alle
piccole macchine in movimento vari metri sotto, e si era domandato per
l’ennesima volta cosa fosse passato per la mente del detective prima di…prima di
cadere.
Aveva
vagato con lo sguardo fino a trovare il punto esatto sul marciapiede sottostante
in cui mesi prima era rimasto fermo,immobile, con lo sguardo puntato su quel
pipistrello nero sul tetto, il cuore in gola e la folle speranza di riuscire a
dire la cosa giusta per convincerlo a scendere da lì
sopra.
Con
la stupida convinzione che le sue parole e la sua sola presenza bastassero a far
cambiare idea all’uomo.
Era
rimasto a lungo a fissare il vuoto sotto di sé e per la prima volta una nuova
domanda si era fatta strada nella sua testa:cosa aveva provato
Sherlock?
Qual
era stato il suo ultimo pensiero mentre vedeva avvicinarsi la fine del
volo?
Aveva
chiuso gli occhi,cercando di combattere il nodo alla gola che quasi gli impediva di respirare
e per la prima volta in mesi si era detto che sarebbe bastato un gesto, soltanto
un po’ di coraggio per far cessare tutto:il dolore, la solitudine, la
confusione.
Solo
un piccolo gesto…
-John-
La
voce alle sue spalle non era profonda
e baritonale come quella che agognava a sentire ancora una volta,era una
voce chiaramente preoccupata e dal forte accento
scozzese.
Gregory
Lestrade,il suo angelo custode…
Sicuramente
qualcuno, quasi certamente Molly, doveva averlo visto salire sul tetto e aveva
chiamato l’ispettore perché intervenisse.
John
aveva riaperto gli occhi,ma aveva continuato a fissare il
vuoto.
-Ti
stai godendo il panorama?-gli aveva chiesto,cercando di non far trasparire la
propria preoccupazione.
Un’istante
di silenzio fra i due amici,aveva portato Lestrade a chiedersi se l’altro
l’avesse sentito, finché John non parlò.
-Ti
sei mai chiesto cosa ha pensato prima di…-aveva chiesto bloccandosi incapace di
finire la frase.
-Lo
sai che per me era un mistero cosa passasse per la testa di Sherlock…-aveva
risposto cauto l’altro.
Un
doubledecker rosso aveva attirato per istante l’attenzione del dottore, prima di
dare voce a quello che lo tormentava da settimane.
-E’
colpa mia…-aveva mormorato,sentendo le prime lacrime scorrergli sulle
guance.
Il
rumore dietro di sé gli aveva fatto capire che Greg si era avvicinato a lui,
chiaramente pronto ad un’azione repentina nel caso ce ne fosse stato
bisogno.
-Sai
che non è così…-
-Allora
spiegami perché!
Spiegami
perché mi ha costretto a guardarlo,perché ho dovuto assistere a…-aveva detto, il
resto della frase troncato da un singhiozzo.
“Tieni
i tuoi occhi fissi su di me!”
Gregory aveva sospirato e,anche se non lo poteva
vedere, John seppe che il detective aveva affondato una mano fra i corti capelli
brizzolati, alla ricerca delle parole giuste da dire.
-Non
lo so…-aveva ammesso sconfitto- Non lo so cosa gli è passato per la testa, non so neanche se c’è una
spiegazione logica.
Però
so per certo che non è colpa tua quello che è successo,e soprattutto so che
Sherlock sarebbe veramente incazzato se ti vedesse ora, qui su questo
cornicione-aveva aggiunto.
Una
risata triste aveva portato l’ispettore ad inarcare le sopracciglia in
un’espressione stupita.
-Non
ero così importante per lui…-aveva detto, dando voce a quel pensiero che lo
tormentava.
Non
quanto lui era importante per me…
-John
per favore…Andiamo via da qui.
Andiamo
a parlarne da qualche altra parte-lo aveva quasi supplicato
Greg.
Un
sospiro spezzato era uscito dalle labbra semichiuse di John, poi il buon dottore
aveva portato una mano alle guance e cancellato i segni della propria
debolezza.
Si
era voltato lentamente verso l’amico e aveva abbassato lo sguardo per evitare
quell’occhiata di pietà e tristezza che vedeva riflessa negli occhi
dell’altro.
-Non
c’è nulla di cui parlare-aveva detto,alzandosi in piedi e avviandosi verso la
porta del tetto, seguito pochi istanti dopo
dall’ispettore.
John
riaprì gli occhi, allontanando la mente da quel pensiero e cercò di ritornare al
presente:era ora di mettersi al lavoro.
Alla
ricerca di qualcosa che lo spronasse ad iniziare quel lavoro,si avvicinò
zoppicando allo stereo e diede un’ occhiata ai vari cd, fermandosi quando il
titolo di una canzone gli capitò sotto gli occhi.
“Against all odds”
Un
sorriso triste gli incurvò le labbra… “Contro tutte le probabilità”,
quel titolo era pieno di significato.
Mise
il cd nel lettore e selezionò la canzone giusta,lasciandosi cadere sulla propria
poltrona mentre nella stanza si diffondeva l’assolo di pianoforte che apriva la
canzone.
“How can I just let you walk
away
Just leave without a
trace
When I’m standing here taking every breath with
you”
Chiuse
gli occhi e poggiò la testa contro la poltrona;per l’ennesima volta si pose La
domanda a cui non riusciva a trovare risposta: come aveva potuto Sherlock fargli
una cosa del genere?
Quale
istinto sadistico lo aveva animato quel giorno quando,fermo sul cornicione del
Barts gli aveva impedito di andargli incontro,di fare tutto quello che era in
suo potere per convincerlo a scendere da lì sopra?
Moriarty
era morto,quindi non c’era alcun bisogno di un gesto così eclatante, avrebbe
potuto chiarire la propria posizione e riprendere la loro vita come l’avevano
lasciata.
Ma
quello che davvero non riusciva a capire era perché lo avesse costretto a
guardare…Perché aveva dovuto assistere alla sua caduta,alla morte dell’ unica
persona importante della sua vita…dell’unica persona che lo conoscesse
veramente.
“You are the only one who really know me at
all”
Fin
dal primo istante,in quel laboratorio del Barts, nonostante l’imbarazzo e la
confusione aveva sentito con Sherlock un’affinità che non aveva provato con
nessun altro nella sua vita, neanche con i suoi compagni di armi in
Afghanistan.
Era
riuscito ad andare oltre la corazza fatta di deduzioni, menefreghismo e
genialità che Sherlock aveva creato attorno a sé, arrivando ad uccidere un uomo
neanche ventiquattro ore dopo averlo incontrato.
“Sherlock
è un gran uomo e sono sicuro che presto si renderà conto di essere anche un buon
uomo”
gli aveva detto il Detective Lestrade quella stessa sera e,anche se all’epoca
non aveva capito,ora non poteva fare a meno di concordare con
lui.
“Cause we share the laughter and the pain
And even share the tear”
Un
sorriso triste apparve sul viso di John.
Aveva
perso il conto delle volte che aveva dovuto ricucire o medicare Sherlock alla
fine di un caso facendogli ogni volta una ramanzina sulla mancanza di attenzione
o alla noncuranza con cui il detective si lanciava all’inseguimento del
“cattivo” di turno incurante se questo fosse armato o meno, o delle volte che si
erano ritrovati a ridacchiare neanche due adolescenti nei momenti meno
appropriati.
“Non possiamo ridere!E’ una scena del
crimine!”
John
Watson era un soldato, ma non si vergognava ad ammettere che con Sherlock aveva
abbassato le barriere che aveva innalzato dopo l’incidente,permettendo all’altro
di conoscerlo profondamente e non soltanto grazie alle sue spettacolari
deduzioni.
Avevano
creato un legame inspiegabile e inaspettato fin dal primo momento,un’ alleanza
che, nonostante le liti e le incomprensioni non si era mai
incrinata.
Fino all’ultimo
giorno…
“You are the only one who really know me at
all”
L’incontro
con Sherlock era stato provvidenziale:quello spilungone era entrato nella sua
vita proprio quando credeva di non aver più nessun punto di riferimento, nessun
motivo per continuare a lottare e con le sue indagini,le sue idiosincrasie e la
sua amicizia gli aveva dato qualcosa per cui alzarsi dal letto ogni
mattina.
“So take a look at me
now
Well there just an empty space
and
There is nothing here left to remind me
Just the memory of you face”
Ed
ora? Cosa gli era rimasto dopo diciotto mesi?
Se
non fosse stato per il suo blog avrebbe potuto facilmente credere che Sherlock
era stato un’invenzione della sua mente annoiata.
Escluse
le varie foto prese dai giornali non aveva neanche una foto privata del suo
coinquilino;una casa piena di oggetti che glielo ricordavano non era
abbastanza:aveva un bisogno fisico di rivedere quel viso altero,gli zigomi
affilati per cui tante volte lo aveva preso in giro o i capelli corvini in cui
molte volte aveva desiderato affondare le dita per sentirne la
morbidezza.
Di
sfiorare quelle labbra perfettamente disegnate con la punta dei polpastrelli
come aveva fatto soltanto una volta,approfittando del momento di incoscienza
gentilmente offerto da Irene Adler.
“Oh take a look at me
now
There is just an empty
space
And you coming back to me is against the
odds
And it’s what I’ve gotta
face”
John
si coprì gli occhi con una mano, respirando profondamente.
Perché
si ostinava a farsi del male con quei pensieri inutili?
Sherlock
non c’era più,non sarebbe più tornato e continuare a sperare il contrario era
inutile e deleterio.
Aveva
chiesto un miracolo e non lo aveva ottenuto, doveva rassegnarsi ed andare avanti
con la propria vita.
Già…Ma
quale vita?
Quella
che conduceva prima de La caduta o quell’altra che conduceva quando ancora non
conosceva il detective?
Per
anni la sua vita era stato l’Esercito,ma quel colpo alla spalla aveva messo fine
a quell’esperienza.
Certo,aveva
ancora il suo lavoro all’ambulatorio, ma erano mesi che era in aspettativa e non
sapeva neanche se ci avrebbe mai rimesso piede;come avrebbe fatto ad affrontare
Sarah, Judith alla reception e tutti i suoi colleghi?
Tutti
lo avrebbero osservato guardinghi, chiedendosi se avesse finalmente superato il
lutto, avrebbe colto degli scampoli di conversazione su di lui e Sherlock e sul
rapporto che li legava.
Erano
soltanto amici oppure c’era qualcosa di più fra di loro?
Un
suono befferdo uscì dalle labbra piene di John per via di quel
pensiero.
Amici…
Due dannatissimi amici.
“Io non ho amici,ne ho soltanto uno”
Sherlock
lo aveva onorato della sua amicizia, in barba alla scusa del sociopatico e degli
avvertimenti che tutti,partendo da Sally e finendo con Mycroft gli avevano
propinato sull’incapacità del detective nell’avere
amicizie.
E
John ne era stato felice,fin dal primo momento… Era quindi sbagliato che avesse
sperato in qualcosa di più per gran parte della loro
amicizia?
“I wish I could just make you turn
around
Turn around and see me
cry
There so much I need to say to
you
So many reasons
why
You are the only one who really know me at
all”
John
per tutta la sua vita era stato attratto dalle donne,fin da quando aveva posato gli occhi su Miss
Ebony,la sua insegnante di ginnastica alle elementari, e aveva avuto anche una
discreta fortuna con il sesso opposto.
Certo,
c’erano stati degli episodi in Afghanistan durante le notti solitarie in cui si
era lasciato “consolare” da uno dei suoi compagni, ricambiando poi il favore, ma
quelli erano episodi scaturiti da un momento di estrema necessità a cui non
aveva mai dato troppo peso.
Ma Sherlock…
Sherlock
era un discorso a parte.
“John devi sapere che io mi considero sposato con il mio lavoro,e
malgrado sia onorato non posso ricambiare le tue
attenzioni”.
Quella
sera,seduti al tavolo nel ristorante di Angelo,il detective aveva mal
interpretato la sua curiosità, respingendo delicatamente quelle che considerava
avances; e malgrado John avesse provato a spiegargli che non intendeva affatto
tentare un approccio dei confini erano stati segnati.
Così
lui era andato avanti con la sua vita, frequentando prima Sarah e poi altre
donne, ma con ognuna di loro il suo rapporto con Sherlock era stato un problema,
esacerbato anche dall’eccessiva invadenza dell’uomo.
E
tutte le volte quando si era trattato di scegliere,o di prendere una posizione,
John aveva sempre scelto Sherlock.
Senza
che il detective glielo chiedesse.
Inizialmente
aveva interpretato quei sentimenti come lealtà verso l’uomo o semplice amicizia,
finché Irene Adler non era entrata nelle loro vite.
Scoprire
che anche Sherlock potesse provare attrazione per un altro essere umano,avere la
conferma che fosse capace di sentimenti come tutti gli altri, lo aveva
sorpreso.
La
sorpresa però aveva lasciato presto spazio alla gelosia quando si era accorto
del gioco di sguardi fra i due e il non tanto velato approccio che La donna
tentava verso Sherlock.
Nonostante
la sua scomparsa avesse portato a mesi di tristi canzoni suonate al violino,ad
una ricaduta nel vizio del fumo da parte del detective, John non si vergognava
ad ammettere che era stato sollevato quando la donna era uscita dalla loro vite.
Quel
sentimento lo aveva naturalmente portato a farsi delle domande:non era geloso
della moglie di Mike o delle conquiste di Greg, allora perché quell’inaspettato
attaccamento per il suo coinquilino?
La
risposta era stata chiara quando nei mesi successivi si era ritrovato ad
osservare più attentamente il corpo di Sherlock, osservando la fermezza dei
muscoli,il sedere perfettamente sodo o a scoprirsi felice quando riusciva a
strappare una vera risata all’uomo.
Remore
però di quella sera da Angelo era restato in silenzio, cercando di non
interrogarsi ulteriormente su cosa significassero quei
sentimenti.
In
fin dei conti era meglio accontentarsi dell’amicizia di Sherlock, piuttosto che
rischiare di perderla per qualcosa di aleatorio a cui non riusciva a dare un
significato.
“So take a look at me
now
Well there’s just an empty
space
And there is nothing left here to remind
me
Just the memory of your
face”
Ma
in quegli otto mesi di solitudine tante volte si era trovato a chiedersi cosa
sarebbe successo se avesse detto qualcosa.
Certo
il pessimismo era il sentimento predominante in quella situazione,ma se invece
fosse andata diversamente?
Se
invece dopo aver confessato i propri sentimenti a Sherlock questi gli avesse
detto che provava la stessa cosa?
Sarebbero
stati una coppia,e non soltanto in ambito lavorativo…
John
non aveva la minima idea dell’esperienza sessuale di Sherlock, anzi era quasi
certo che l’uomo non ne avesse nessuna, però sarebbe stato felice di affrontare
insieme quell’esperienza, di guidarlo e mostrargli che c’era qualcosa di
eccitante al pari se non forse più delle sue adorate scene del
crimine.
Riaprì
gli occhi e si guardò intorno.
Era
davvero pronto a voltare pagina?
Voleva
davvero dare un taglio con il passato, lasciare quella casa che nel bene e nel
male considerava “sua”, che aveva visto tutta la sua storia con
Sherlock?
I
litigi, le risate, le discussioni dei vari casi di cui si erano occupati, erano
ancora impressi nei muri di quella casa, al pari dei colpi di pistola impressi
nel muro alle sue spalle.
“Oh take a look at me
now
Cause there’s just an empty
space
But to wait for you is all I can do
And that’s what I’ve gotta
face”
No,non
era ancora pronto.
Forse
con il tempo avrebbe incontrato qualcun altro, una persona che sarebbe diventata
importante per lui quasi come lo era stato Sherlock e magari allora sarebbe
stato in grado di voltare le spalle a quell’appartamento e a quello che
significava.
Nel
frattempo avrebbe cercato di riprendere in mano la propria vita, di
riorganizzarla in modo da non passare gran parte della giornata a fissare i
buchi di proiettile sul muro o a controllare l’orologio con la speranza che il
tempo scorresse più velocemente.
“Take a good look at me
now
Cause I’ll still be standing
here
And you coming back to me is against all
odds
It’s the chance I’ve gotta
take”
E
nel frattempo sarebbe rimasto in attesa di quel miracolo.
Contro
tutte le probabilità avrebbe continuato a sperare.
Era
consapevole che tutti lo avrebbero ritenuto pazzo anche per aver pensato una
cosa del genere,ma aggrapparsi a quella speranza era l’unico modo che aveva per
non lasciarsi cadere nella depressione.
Sulle
note finali della canzone sospirò profondamente, accennando un leggero sorriso,
il primo da molto tempo a non essere malinconico.
Si
alzò in piedi e scrutò la stanza alla ricerca del cellulare:era meglio informare
Greg della sua decisione.
Trascinandosi
dietro la gamba si avvicinò al caminetto e prese il telefono, premendo poi un
tasto in cui aveva memorizzato il numero dell’ispettore,restando poi in
attesa.
In
un modo o nell’altro le cose si sarebbero sistemate.
Ne
era convinto.
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