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Autore: Uccellino Assurdo    25/04/2013    2 recensioni
Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e/ mani troppo grandi / per regalare un fiore; /come un amore / con gelosia. (Umberto Saba, Trieste)
Trieste, 1914. Nella città "crocevia di popoli e di culture" per eccellenza la storia dei due fratelli Vargas, Romano ed Alice, che vedono la loro vita sconvolta dall'avvento della Grande Guerra e dell' amore...
Nota: presente Fem/Italia del Nord
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!Questa è la prima volta in assoluto che scrivo una fanfic e che ho l’ardire di pubblicare qualcosa di mio. Non sono sicura delle mie capacità ma cercherò di fare il mio meglio per riuscire a rendere le emozioni, i sentimenti e l’anima dei personaggi che ho così impudentemente rapito da Hetalia! Se qualcuno volesse lasciare un commento, positivo o negativo, mi farebbe molto piacere … siate pure spietati!

E adesso, ecco a voi…

 

BUONGIORNO TRIESTE

 

 

 

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.

(Umberto Saba da Trieste)

 

 

 

Prologo

 

Anche quella mattina la sveglia suonò puntuale alle sei. Romano, ancora con gli occhi cisposi per il sonno, la guardò per un secondo con uno sguardo di disappunto misto a rassegnazione ma poi, sconfitto, allungò il braccio fuori dalle coperte per spegnerla e si decise ad alzare. I raggi del sole filtravano a fatica dalle imposte, gettando disegni fantasiosi sulle coltri del letto e sulle pareti.

«Ali…» chiamò con la voce impastata «Ali, dai svegliati, sono le sei…»

La ragazza che era sdraiata accanto a lui  sembrava ancora nella fase REM inoltrata. Rispose con una specie di tenue grugnito interpretabile in tutti i modi e nessuno, si limitò a voltarsi dall’altra parte e nascondere la testa sotto al cuscino.

« Alice, porco cane, ogni maledetta mattina la stessa storia! » sbottò Romano, già mezzo vestito in tempo record « Ti vuoi alzare o no?! »

« No! » avrebbe tanto voluto rispondere Alice, tanto più che lei riusciva a dormire anche con tutti i rumori che il fratello continuava a fare in giro per la stanza e indipendentemente dalle maledizioni, i rimproveri e gli improperi che questo le mandava.

« Va bene … scendo a preparare la colazione. Usciamo alle sette meno un quarto, se entro quell’ora non sei lavata, vestita, preparata e sfamata dimenticati della pasta a cena! » le intimò Romano.

Alice parve svegliarsi tutt’ a un colpo.

« Ah, Romano, aspetta  sono sveglia!», piagnucolò con aria disfatta. «Mh … buongiorno fratellino!», si stropicciò gli occhi, stirò le braccia sorridendo, si alzò e aprì le persiane della portafinestra che dava su un balconcino.

« … e buongiorno a te, Trieste!»

Trieste anche quella mattina si offriva con quella sua scontrosa grazia e strana sensualità, un continuo arcobaleno di culture, lingue, suoni, colori diversi che si incontravano sulle vie affollate, per i mercati, nelle piazze, fino a creare un insieme unico, di modernità e familiarità.

 

Romano non riusciva a decidersi a far finalmente capire alla sorella che non era opportuno a quell’età dormire nello stesso letto di un ragazzo, fosse anche suo fratello. Ci aveva provato, a dirglielo, ma ogni volta lei lo guardava con quegli occhi socchiusi e in procinto di scoppiare in lacrime come se le avesse frantumato il cuore in mille pezzi e trovava una scusa: si era iniziato con gli gnomi nascosti sotto al letto, per passare a strane creature che spuntavano dal buio, temporali spaventosi, suoni misteriosi, incubi tremendi fino a fermarsi alla scusa ormai rimasta stabile da anni: «Ho paura di dormire da sola!» E il tutto detto con un’ovvietà e una seraficità che Romano non avrebbe potuto rifiutare neanche se avesse voluto.

In realtà Romano non avrebbe rifiutato davvero nulla alla sorella, le avrebbe dato la vita. «Grazie al cazzo…», avrebbe detto, « …ho solo lei! Siamo soli! »

Da quando i genitori dei fratelli Vargas erano venuti a mancare, ormai tredici anni prima, Romano si era preso cura della sorellina in tutti i modi, era deciso che nulla mai avrebbe potuto separarli, che nessuno avrebbe solo dovuto pensare di far del male a ciò che rimaneva della sua famiglia.

 Certo, all’ inizio non era stato facile, per
quelli che erano solo due bambini, ricominciare a camminare da soli nel faticoso sentiero della vita. Tutto ciò che era loro rimasto era quella casa, che ancora conservava da qualche parte il profumo della mamma, le sue lenzuola ricamate a mano, i libri del papà, che ormai prendevano polvere nella grande libreria, i dipinti nella cornici dorate appesi alle pareti lacere, le porcellane istoriate e i pochi ritratti di famiglia. Avevano più  volte avuto bisogno di denaro, molte volte, ma mai era loro venuto in mente di procurarselo vendendo una sola spilla appartenuta ai loro genitori. In un modo o nell’altro, erano riusciti ad andare avanti, sempre insieme.

«Dai, sbrighiamoci e usciamo, è già tardi e non ho voglia di sentirmi dire da quel bastardo spagnolo che sono arrivato in ritardo anche oggi!» disse il ragazzo, mentre Alice versava il latte caldo nelle tazze.

«Ma è davvero così antipatico questo signor Fernandez Carriedo?» chiese la sorella prendendo anche lei posto a tavola.

«Bha, insopportabile!», bofonchiò Romano, « a proposito… oggi chiudiamo completamente con questa storia degli austriaci, dì chiaramente al signor Edelstein che questo sarà l’ultimo giorno che presterai servizio nella sua casa».

Alice lo guardò con sguardo malinconico. Roderich Edelstein, amico del padre dei fratelli Vargas,  era stato il loro tutore legale fino al compimento della maggiore età e benché Romano non avesse mai accettato di risiedere nella sua casa riconosceva che solo grazie a lui ed al suo interesse erano riusciti a salvare dai creditori quel poco di denaro rimasto sul conto dei loro genitori dopo la loro morte. Anche in seguito Roderich era sempre stato presente per tutti quei problemi pratici, burocratici e persino economici che i due avevano incontrato in quegli anni; era stato grazie a lui che Alice aveva avuto la possibilità di avere una buona istruzione studiando insieme alla sorella di Roderich, Elizabetha, riuscì ad imparare il tedesco e persino a suonare il pianoforte proprio come avrebbe voluto la mamma, e lei cercava di sdebitarsi aiutando nelle faccende domestiche e in cucina. Ecco, magari che si fosse limitata a cucinare forse sarebbe stato meglio, ma questa è un’altra storia…. In ogni caso l’idea di non vedere più il Signor Roderich, che giudicava quasi un secondo padre, non la rendeva felice.

«A me fa piacere aiutare come posso, in fondo dobbiamo molto al signor Roderich e poi non voglio non poter più vedere Elizabetha!» si lamentò Alice.

«Nessuno ti obbliga a non vederla più, potrai tornare a trovarla, ma non voglio che mia sorella faccia la serva!» disse Romano.

«Ma… non sono una serva, io ed Elizabetha siamo amiche e voglio bene anche al signor Roderich…» rispose la ragazza, con gli occhi fissi sulla tazza di latte.

«Quel pezzo di ghiaccio espressivo come un palo…sì, sì, risparmiami la solita litania: ma se lo sentissi quando suona capiresti che ha un cuore gentile e bla bla!», disse Romano facendo il verso alla sorella, «è il momento che ti trovi un lavoro vero!». Si alzò dalla tavola.

«Ma…» cominciò a dire Alice.

«Niente ma… mettiti il cappotto e usciamo che è tardi!»

I due fratelli uscirono di casa insieme; come ogni mattina Romano accompagnava, con la sua vecchia bicicletta un po’ malandata, la sorella fino a casa Edelstein e poi proseguiva dritto per andare a lavorare.

«Buongiorno, buongiorno!», gridava Alice sventolando le mani a tutte le persone che incontrava per strada e chi salutava con un sorriso intenerito, chi alzando leggermente la testa o facendo segno con la mano. Ma rispondevano tutti.

«Ma la vuoi finire di fare ogni santo giorno questa storia?», chiese infastidito Romano.

«Perché? È buona educazione salutare i vicini», rispose la ragazza, «non dovresti essere sempre così scostante!». Romano grugnì qualcosa e continuò a pedalare.

Quel giorno Trieste aveva la luce di una città appena risvegliatasi da un lungo sonno; la notte doveva aver piovuto perché le strade erano bagnate e ancora qui e lì dalle tegole spandeva un po’ d’acqua, ma l’aria era tiepida e il cielo sereno, già la gente iniziava ad affollare e risvegliare le strade. Alice pensò quanto fosse bella la sua città al mattino, quando tenendosi stretta al fratello sfrecciavano insieme per quelle vie appena illuminate dal sole, e quanto fosse bella alla sera, quando lei e Romano tornavano a casa e per la città ritornava il silenzio. Non avrebbero mai lasciato Trieste e la casa dei loro genitori, sarebbero rimasti là, insieme, a prendersi cura l’uno dell’altra e questa convinzione la faceva rassicurare e sentire felice; anche quel mattino era certa che nulla avrebbe potuto far traballare la serenità dei suoi giorni.

I due si lasciarono davanti al cancello d’ingresso della grande casa.

«Buona giornata sorellina, stai attenta a non farti male», Romano addolcì il tono e lo sguardo vedendo un velo di malinconia che adombrava la sorella. Ma Alice gli sorrise dolcemente e lo salutò: «Buona giornata e buon lavoro anche a te, Romano!» e gli diede un bacio sulla guancia.

E anche quella mattina il cielo iniziò a risplendere sopra Trieste.

   
 
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