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Autore: Malanova    25/04/2013    1 recensioni
Si doveva essere addormentato. Ma … che cosa aveva sognato per farlo piangere cosi? Si alzò in piedi e si stiracchiò. Quei dannati mocciosi non erano ancora tornati. “Che vadano al diavolo, me ne torno a casa …”
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dark Master's remind'
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Puppetmon si stava annoiando.

Era seduto sotto le fronde di una grandissima quercia e giocherellava, senza troppo entusiasmo, con il suo martello ed ogni tanto dava un’occhiata seccata al cielo. I Bambini Prescelti erano spariti nella luce accecante che aveva invaso l’intera foresta, un energia talmente potente che lo aveva scagliato lontano dal campo di battaglia come se non pesasse nulla, accecandolo. Poi, quando essa fu scomparsa, era ritornato laggiù ed ora stava aspettando che quei marmocchi riapparissero, pronto a combattere. Ma erano passate più di tre ore e loro non erano ancora tornati. Sbadigliò. Stava iniziando a perdere la pazienza.

Si appoggiò di più con la schiena al tronco e sbuffò. Attorno a lui c’era solo il rumore della foresta. Quando iniziò a sfilare e rinfilare i proiettili dal suo martello meccanico, avvertì un suono che lo mise in stato d’allerta: una risata. Si alzò di colpo e si guardò in giro. Alcuni bossoli gli caddero a terra, il loro tintinnio attutito dall’erba. La risata si ripeté, con tono allegro, più forte. “Vieni a ridermi in faccia se ne hai il coraggio!” urlò stizzito il burattino, girando su sé stesso in modo da vedere tra gli anfratti degli alberi vicini. La risata risuonò più vicina ma lui non vedeva nulla. “Ti stai divertendo, eh?” ringhiò Puppetmon scrutando inferocito tra i cespugli “Vedrai quanto mi divertirò appena ti trovo…” e, al pensiero di una adeguata punizione per quel fastidioso intruso, sorrise malignamente. Il suono si ripeté alle sue spalle, così vicino che lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto, stringendo forte il manico del martello, ma non trovò ancora nessuno. “Mi sto stancando di questo stupido gioco! Esci fuori altrimenti darò fuoco all’intera area!”. Non ricevendo risposta, il burattino digrignò i denti “Va bene… Come vuoi…”. Alzò la pesante arma sopra la testa e stava sferrando l’attacco quando qualcosa gli afferrò con forza la spalla e lo costrinse a voltarsi. Il martello sfuggì dalle mani del Digimon e cadde pesantemente a terra ma lui parve non accorgersene talmente lo stupore che provava. Di fronte a lui c’era una bellissima ragazza dai lunghi capelli ramati, che terminavano in boccoli da bambola e incorniciavano il viso dalle guance rosee. Però furono i suoi occhi a disorientarlo: erano così scuri da sembrare neri ma riuscivano a trasmettere così tanto amore…

Puppetmon sentì le gambe cedergli ma la ragazza lo afferrò prima che cadesse a terra e lo strinse a sé. “Luisa…” rantolò lui, scioccato “Ma com’è possibile?”. Si scostò leggermente. La ragazza gli tese una mano e il Digimon la prese nella sua e se la portò sulla sua guancia. Scoppiò a piangere “Mi manchi così tanto…”. Ella sospirò e inclinò leggermente la testa. Il vento primaverile soffiò tra gli alberi, caldo, facendo frusciare le fronde come se si scambiassero sussurri. Anche la tunica della ragazza, identica a quella di Gennai, si mosse facendo risaltare le sue forme.

Le lacrime del Digimon continuarono a scendere, copiose e senza controllo “Luisa…” singhiozzò “Ti prego, parlami”. Tornò ad abbracciarla con forza e poggiò il viso sul suo seno “Di che mi perdoni! Di…”. La voce divenne bassa, pronunciando a fatica “Che non sei morta per colpa mia…”. Quando tornò a guardarla i suoi occhi erano dilatati dalla disperazione “Quel giorno… Io…”. Luisa gli afferrò il viso con entrambe le mani e gli baciò delicatamente la fronte. Il burattino chiuse gli occhi “Luisa…”.

Quando il Digimon riaprì gli occhi si ritrovò esattamente dove era prima, sotto le fronde della quercia. Alcuni bossoli erano caduti per terra e luccicavano sotto i raggi del sole. Si toccò il viso e, con stupore, se lo ritrovò bagnato di lacrime. Alla fine doveva essersi addormentato, vinto dalla noia dell’attesa, ma… cosa aveva sognato per farlo piangere così tanto? Si alzò in piedi e si stiracchiò. Quei dannati Digi mocciosi non erano ancora tornati. “Che vadano al diavolo! ora me ne ritorno a casa…” sbuffò alla fine, riprendendo il martello metallico al suo fianco e fissandolo sulla schiena come se fosse una calamita. Si asciugò il viso, seccato. Odiava mettersi a piangere. Mentre se ne stava andando, una ragazza lo fissava poco lontano, tristemente, per poi sparire nel vento.

  
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