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Autore: marig28_libra    25/04/2013    4 recensioni
Nella mitezza di una notte di giugno, Manigoldo si ritrova a percorrere la via del suo villaggio defunto . Qui, tra gli ammassi delle rovine, ricorderà l’ infanzia demolita e il secondo inizio donatogli dal Maestro Sage…In questa one shot la forza effervescente del cavaliere del Cancro nel guardare le sofferenze remote e correre verso nuove albe…
( Fan fic giunta undicesima al contest “ quanto sei bravo a descrivere?” indetto da Ellecrz )
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer Manigoldo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 " D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell'immensità"
 

( G. Ungaretti)

 
 
 
 
Se c’è  una cosa che amo, di questo dannato mondo,   è la stranezza dei  riflessi.
Non puoi mai sapere con certezza  come ti saluta la realtà dopo l’alba.
Ti alzi e magari sta piovendo…
Tutto il tuo paese o il tuo villaggio sembra  la topaia più squallida da abitare…Se poi ti svegli,  con le palle girate , peggio ancora:  vedi  un’accozzaglia di rifiuti che puoi trovare nelle latrine e il terreno puzza di cane bagnato o pantegane marce.
Per fortuna  ci sono quelle  giornate in cui il Sole spacca di brutto.
Qualunque scantinato, qualunque stalla, qualunque catapecchia splende manco fosse  un edificio di una perfetta città rinascimentale.
Già…Chi non ama il Giorno? Il cielo azzurro, gli uccellini che cinguettano e non ti cagano in testa, l’aria tranquilla, la bella stagione…
Sono sempre contento di ammirare un’aurora senza nuvole di sozzume…Riesco almeno a fantasticare come un marmocchio e cerco di convincermi che forse il futuro non si presenterà così schifoso anche se sono un cavaliere e non so se mi sposerò , sfornerò pargoli e diventerò rugoso…
 
Il Maestro Sage  ha detto che tra quattro anni si scatenerà il pandemonio…
Si ripeterà il tornado della Guerra Sacra.
 
Per questo adoro la Notte. Se il mattino m’infuoca e riesce a farmi sopportare gli addestramenti  rompi schiena o squassa budella , la sera mi lascia volare, ridere, tacere, rattristare….
 
 Sono strambi  i riflessi notturni.
 
Atene e il porto del Pireo fanno luccicare le loro lanterne come gioielli d’una fattucchiera… Le case bianche,  con  le finestre turchesi,  si sporcano di cenere tenebrosa…Ciascuna strada ciottolosa perde l’aridità soleggiata del mattino e si inumidisce…
Le  taverne schiamazzano; i marinai, i pescatori e gli artigiani cantano sbronze; i ragazzi se la tirano cercando di abbordare belle pollastre;  le battone  adescano uomini allupati…
In mezzo a questa bolgia me la spasso alla grande! Il Maestro non mi può vedere, mi scolo le migliori birre, ghigno con i  babbuini ubriaconi e li batto a braccio di ferro ruttando più forte di loro! Oh! E’ troppo divertente!
Ho ventuno anni, cavolo!  Sono in potere, alto e con un fisico da paura!  Le gattine delle locande mi si strusciano contro e  non schifo certo un paio di poppe, delle belle cosce e dei culetti ben messi! Quale minchione rifiuterebbe  meraviglie simili?!      
 
Il sottoscritto.
 
Non mi trovo nel letto di nessuna damigella infoiata.
Non ho in mano nessun calice di birra.
Non smollo sganassoni ai rompi biglie di turno.
 
Questa notte è diversa.
 
Niente taverne.
Niente postriboli.
 
Solo io.
Io e la campagna fuori le mura di Atene.
 
Adesso non è che sono diventato il peccatore pentito che si butta in un eremitaggio di stenti, vesciche e fame per purificarsi nell’anima e nel corpo.
Figuriamoci se mi voto alla castità! Fossi pazzo! Non lo farei neppure se mi pagassero!
 
Ho  voglia di fregarmene delle voci del mondo.
Ho voglia di giocarmela col silenzio, con me stesso.
 
Mi lascio coccolare dalla calma più assoluta…
Tutto appare piatto ma in realtà non lo è…
 
Giugno mi entra nelle narici con i sussurri dei suoi odori, dei suoi colori…
I  grilli mimetizzati frullano melodie ordinate e dolcissime…Sono ruvide e lisce…Acute e gravi…Lampeggiano invisibili nelle orecchie…Sembra che ti vogliano mettere fretta però t’invitano a mangiare tranquillamente alla loro tavola…
 
C’è un bel fresco…
 
Nell’orizzonte di ponente vedo il mare nero  e depilato da schiume di tempesta…E’ lì, bello e temibile nella sua liquida levigatezza…Mi pare buono quasi fosse un vino d’infinita libidine che  fa scordare  il  saporaccio del sale.
Ti  trasformi in una squisitezza muta dove puoi navigare in un’ebbrezza pulita, senza conati di vomito e mal di testa…
 
Calpesto questa decrepita mulattiera.
E’ una stradina che conosco molto bene e che s’inerpica su un piccolo colle.
 
 Desidero proprio volare raso terra.
Desidero sentire le braccia della tristezza attorno al collo…
Non so perché mi stia dirigendo al mio morto villaggio…
Non so perché  il mio cuore  batta ansioso e mansueto nello stesso tempo….
 
Sono incapace di descrivere ciò che sento…
Ci sarebbe un po’ da piangere ma non piango…Non rido neanche…
 
Sono dentro una deliziosa cancrena.
 
Ribadisco che i riflessi della notte sono strambi…
 
Ricordo che di giorno questo sentiero mi faceva pena…
Da bambino m’immaginavo che fosse la pelle di una murena spiaccicata su un ammasso  di verze avariate…Tutte le piante che le stanno attorno erano depresse e acide come zitelle bacucche .
Non sopportavo, poi,  quei mucchi di arbusti gonfi  che costeggiano il versante marittimo: li consideravo palle di pelo di gatto sputacchiate e appiccicate in modo grezzo…
 
Sul lato orientale di questa via si estendono colture di ulivi…Suscitavano un po’ paura perché quei tronchi vecchi,  stracci strizzati e insudiciati, li ritenevo sbarre di una prigione senza fine…Non riuscivo ad intravedere campi liberi…Soltanto pilastri e  pilastri coperti di formiche insaziabili di lavoro…
 
Come sono differenti  le tenebre!
Ora il corpo del viottolo mi pare corposo e seducente…La sua lieve forma a zig zag assume la sensualità di una capigliatura nera…Ciascun sassolino diventa un ornamento di perla…
Che la maga Circe  mi stia attirando con una delle ciocche del suo magnifico capo?
 
Gli arbusti che disprezzavo , come pelame bavoso, assomigliano a soffici spugne di fondali oceanici…
Nuoto in un’ apnea di ossigeno, in un’aria sciacquata…
 
Gli alberi di olive , cotonati di argento,  sembrano un gruppo di preti dalle inconsuete chiome di foglioline magre e pudiche.
La luna piena nel cielo è l’ostia che essi aspettano per entrare in comunione col Creatore…
 
Io sto entrando in comunione con un cimitero: pezzente cadaverico e accantonato di un passato che esiste e non esiste…
 
Ad ogni passo  che avanza la stradina si accorcia sempre di più…
Intravedo la  fine…l’ingresso del mio villaggio…
Due pini marittimi, uno di fronte l’altro, simili a  duellanti o ad amanti in contemplazione,  segnano l’entrata.
Non profumano più.
Furono  bruciati.
 
Mi avvicino…
 
Le loro cortecce sono totalmente annerite, mortificate, piene di crepe impolverate…I rami mi paiono tante corna di cervo che tentano di mostrare ancora un briciolo di nobile dignità. Una dignità sfiammata  ed inservibile…
Gli aghetti verde smeraldo , che li coloravano,  sono scomparsi e danno l’impressione di non essere mai venuti al mondo…
 
Pazzesco.
Per far nascere le cose ci s’impiegano mesi ed anni mentre a  distruggerle bastano pochi minuti o addirittura qualche secondo.
 
Che bastardaggine. Che lurida bastardaggine.
Questi sono i fatti che ti fanno dire quanto la terra sia merdosa.
Costruisci e costruisci…Sudi  e sudi per essere felice o , per lo meno,   vivere nella serenità…
Che succede,  poi? Arrivano dei figli di puttana che mandano in fumo i tuoi tesori.
Un giorno e ti hanno disintegrato l’esistenza.
Un maledetto e fottuto giorno per dire addio a qualunque amore.
 
Io e mio padre ci imbarcammo da Ischia e giungemmo  qui in Grecia…
La nostra isola era bersaglio di pirati e in uno di questi assalti  ci distrussero la casa e saccheggiarono le nostre botteghe di vasellame e ceramiche…
Speravamo che in questo villaggio, vicino Atene,  ci saremmo potuti  sollevare daccapo…
 
I primi anni trascorsero tranquilli.
 
Se guardo queste macerie  non mi sembra vero di aver conosciuto la quotidianità.
 
La  strada principale è l’unico elemento ancora intatto e spaesato. Il suo vestito di sassi,  un po’ squadrati,  dorme bacato e ansioso in un’attesa pessimista e speranzosa…Resta stiracchiato al suolo con la paura di lasciar trapelare brividi di lacrime…
 
Due smunti sentieri intersecano longitudinali quest’ampia via…
 
Riesco a malapena a distinguerli perché i cumuli delle rovine annaspano dappertutto…
La vista è tartassata da cubi e parallelepipedi irregolari, scrostati, pieni di vaiolo di abbandono…Ciarpami  di immondizia elemosinano logoramento  per liberarsi da una vergognosa pateticità.  
 
C’erano delle belle dimore…Avevano piccole dimensioni ma le loro piante quadrangolari davano sicurezza e un incrollabile  senso di bontà…Niente di crudele sarebbe potuto accadere…
Quelle mura di mattoni , stuccate di bianco,  sembravano platino…Le finestrelle di legno erano dipinte di blu o di azzurro…Molte di esse si velavano di tendine come odalische oppure ostentavano vasi di fiori multicolori che attiravano farfalle, api e odiose vespe.
Le abitazioni si rivelavano manipoli di scatolini  luminosi, disposti fianco a fianco , tali a quali a fedeli alleati di battaglia. 
 
I giovedì e i venerdì si allestivano mercati di prodotti agricoli, artigianali e sartoriali…
Mi divertivo un sacco a correre tra le bancarelle e tra le case a forma di dado. Nascondino era l’ideale e  riuscivo sempre a fregare i miei compagni.  Si lamentavano che io baravo. Si lamentavano, praticamente,   sempre di me.
Rubavo le loro merende,  ero insuperabile nella lotta,  spaventavo i bimbi più piccoli con boiate su mostri e demoni mangia-cervelli…
Sì… ero una peste  poco raccomandabile…Rompevo le scatole a chiunque. Me la godevo a bagnare i gatti, a far incavolare le capre , a correre in groppa ai muli…
Quant’ero mitico! Peccato che finivo rincorso da mio padre che mi gonfiava la zucca e il culo di scapaccioni…Malgrado fosse un omone massiccio e quadrato come un mastino, diventava un ghepardo! Riusciva a pigliarmi  per la nuca al pari di  un coniglio o di un pollo…Sono indimenticabili i suoi urli minacciosi:  “ Adrià ! T’aggia accid’ ! “ , “ Adrià si’ nu’ disgraziat’ fetent!” , “ All’anim’ du’ malament!! Quant sang m’ha fa jttà?! “  *  
     
 Presto  mi appiopparono un soprannome degno della mia gagliarda indole: diventai Adriano “ il  Manigoldo”  finché poi…  rimasi  Manigoldo.
 
L’ultima volta che sentì gridare il mio vero nome fu quel giorno.
Avevo dieci anni.
Una turma di soldati ottomani prese d’assedio il villaggio.
 
Tutto finì.
Non ci fu più bianco. Non ci furono più botteghe, rumori di chiacchiericci, discussioni, scalpelli che lavoravano…
Fiamme, corse, sangue, scimitarre ed alabarde. Ecco le serpi che s’ingurgitarono e  massacrarono gli abitanti, i pozzi d’acqua, i giochi, i focolari.
 
 I miei polmoni avrebbero conosciuto una tubercolosi inestirpabile..
 
“ Adriano! Adriano! Vai via! “ 
Le parole finali di mio padre prima di venire squarciato dalla sciabola di un gendarme.
Mi aveva voluto proteggere infischiandosene di sé .
Mi uccise nel ventre, negli occhi, nel petto.
 
Non sono in grado di descrivere quel macello.
Non voglio descriverlo.
 
Ricordo che non riuscii a piangere subito.
Urlai incredulo per svegliarmi, per far resuscitare mio padre, per evadere da quell’inferno…
 
Non avevo capito nulla.
Solo una grande energia mi esplose da dentro.
Era il mio Cosmo.
 
Non so quanti uomini avrò devastato.
Dopo quell’incendio svenni.
 
Nel momento in cui  mi ripresi ero rimasto io.
 
Io, cadaveri  irriconoscibili e  macerie.
 
Macerie. Macerie.
Un letamaio fumante, umiliante, stuprato.
 
Spazzatura.
Quella per me divenne la sola verità.
La vita era spazzatura.
Te la potevano rastrellare, bollire  e castrare come un niente.
Vissi per due anni pensando a come non morire di fame. Rubai nei sobborghi del Pireo e di Atene, fuggivo da un distretto all’altro , se mi andava grassa riuscivo anche a rivendere gioielli e guadagnarmi un po’ di carne.
 
Vivevo e non vivevo.
Campavo  per inerzia, per non pensare. Se mi fermavo ero finito.
 
L’unica magra consolazione erano le vescicole dei fuochi fatui che mi tenevano compagnia…Riuscivo a riconoscere le anime dei miei genitori…
Mi arrabbiavo poiché non potevano abbracciarmi. Non potevano prendermi a sberle e dirmi che mi stavo buttando via, che mi stavo stracciando…
 
Una notte di giugno come questa mi trovavo qua.
Ero appoggiato a  queste carogne di rovine dove sporgono infissi e travi di legno putrescente…
 
Giunse un signore.
Aveva lunghi capelli d’argento, due strane macchie sulla fronte, lo sguardo blu e un’eleganza senza pari. Portava collane sacerdotali e una tunica bianca orlata ai bordi…
 
Sage, il mio Maestro.
Come me , vedeva gli spiriti defunti.
 
Capì la situazione.
Mi scandagliò con espressione triste, severa ma straordinariamente inattaccabile.
Fece domande…
Destabilizzato dalla sua aurea gli dissi che per me la vita non valeva nulla. Nel mio villaggio esisteva la normalità e l’avevano revocata col sangue come una norma illegittima. Un diritto inutile e stolido visto che ciascuna cosa del mondo è destinata a crollare…
 
Credevo di aver ragione.
Credevo di essere insensato e che sarei scaduto anche io presto o tardi.
 
Provo ancora vergogna nel rimembrare ciò che feci dopo.
Giuro che vorrei strozzare il  me stesso bamboccio! Che testa di tacchino avevo?!
Aggredii il Sommo Sage  con un coltello e gli strappai i suoi collari!
Mi  sarei meritato un pugno fracassa cranio ma quel sant’ uomo si limitò a bloccarmi il polso.
Aveva una forza strabiliante e mi accorsi, attraverso uno strappo nella veste, che portava un’armatura dorata…
 
Mi guardò…Si arenò per un istante sulle mie spiagge scalcagnate ed ottuse…
Sorrise con una dolcezza affaticata…
Mi raccontò  che anche lui aveva visto molti suoi compagni di battaglia morire fragili e ,a momenti,  privi di valore…
Ciononostante essi avevano combattuto intensamente lasciando che la loro piccola fiamma maturasse in un enorme sole…
 
“ Le nostre vite sono minuscole se prese singolarmente. Eppure ognuna di esse costituisce un frammento dell'universo. Se lo si comprende, sentendo e ardendo la propria vita, ciascuno di noi è in grado di farla brillare.”   
 
 Non capii profondamente il significato di quelle parole ma lui m’invitò a seguirlo: nel Gran Santuario di Atene.
 
Verso un secondo inizio.
Verso un destino che mai la mia fantasia aveva impastato.
 
 
Mi avete salvato, Maestro Sage.
Mi avete salvato da me stesso. Dai ragionamenti assassini della depressione.
 
Mi avete salvato dalla miseria, dall’ignoranza.
Dall’incubo della bestialità.
Sarei potuto diventare un criminale, una merce per pederasti , uno schiavo mandato a crepare in qualche miniera…
 
Mi avete donato un continente.
Una via. Una via di sacrificio, di dolore, ma di grandezza e senso.
 
Ahimè non avrò mai la vostra ineguagliabile finezza, il vostro genio che prima mi appariva strambo e poi ho compreso eccezionale al di sopra di ogni dimensione.
Non siete un dio ma per me è come se lo foste…
 
So bene che siete un uomo. Vi ho fatto imbufalire un mucchio di volte! Un giorno volevate rinchiudermi negli Inferi , in compagnia di Cerbero,  per sei mesi!
 
Sicuramente avrete vissuto pure voi  periodi di sballamento e stupidaggini…Chissà… Avrete  dichiarato guerre a vostro fratello Hakurei ,  fatto pace  e dopo nuove  mazzate !  
Vi sarete preso a scazzottate con gli energumeni , avrete corteggiato delle ragazze o , meglio ancora, vi sarete innamorato e dannato…
Avrete avuto sogni folli . Avreste voluto condurre un’esistenza semplice…
 
Non conosco quasi nulla della vostra giovinezza ma sono certo che siate diventato divino.
 
Purtroppo , per ogni secolo, il mondo partorisce un milione di idioti e solo una decina di grandi  persone. Io faccio parte della prima categoria ma sono un idiota che combatterà fino alla fine per far trionfare la vostra stirpe.
Sono solamente un manigoldo ma sono soprattutto  il  Manigoldo che continuerà ad essere vostro discepolo e vostro figlio.
 
Mi potranno fare a pezzi.
Il vostro cosmo , però, rimarrà immortale.
Mi vedrete  al vostro fianco oltre la morte.  Atena ha bisogno di esseri umani come voi.
 
Sono in mezzo ad accatastamenti di calcinacci, mattoni sgangherati…
Sono tra i rifiuti della mia antica esistenza trucidata…
Nell’oscurità riposano arti amputati di cartapesta…
Potrei dire che questo è un deserto di tombe dissacrate ed  involute in un’eternità di precipizio…
 
Potrei dire che sono macerie schifose.
 
No.
 
Dico che sono macerie stellate, Maestro.
 
Il firmamento della notte rimane arrampicato al paradiso ma le sue mani e i suoi piedi toccano i suoli…
Le stelle si scrollano i loro diamanti di sudore e li lasciano cadere…
 
È su questa brandina di morte che ho cominciato di nuovo a sentire.
 
Oltre quelle case sbudellate vedo il mare…Il mare oscuro che altalena fermo ai sorrisi degli astri…
 
Esco dalla via maggiore del villaggio.
C’è una rampa di scalette di sassi e legno che conduce ad una spiaggia.
Alberi d’agrumi la cingono ai fianchi simili a trombettieri che , dirimpetto gli uni agli altri, annunciano l’arrivo di un re. 
L’aroma  fresco ed aspro delle foglie morbide e un po’ gommose mi tiene per mano.
 
Sento le onde dell'Egeo che borbottano canzoni  omeriche ai sassi e alle conchiglie…
 
Ecco che scorgo le schiumarole salate che si cuciono e si disfano uguali a merletti candidi…
 
Metto il primo piede sulla baia.
 
È una lingua di terra un po’ pigmea ma allettante: sembra una lunetta di polvere lignea ammucchiata da un falegname…
 
Calpesto i granelli di sabbia.
Mi tolgo le calighe, la camicia di lino, i pantaloni…
Rimango nudo.
Un venticello bambino mi sfiora lievemente come se temesse di farmi male o darmi fastidio…
Non ho niente addosso ma mi sento più forte di prima.
 
In questa libera fragilità m’immergo nei flussi tiepidi…
Il sole ha sperperato gli aliti del mezzogiorno abbandonandoli nelle acque.
 
I marosi corrono rimbambiti e sdentati contro le  mie gambe e il mio ventre…
 
Mi butto sott’acqua.
Nel silenzio soltanto il rumore del mio infrangermi nel nero:  tante bollicine emettono gargarismi di rottura…
 
Emergo con la testa e comincio a nuotare più veloce di Tritone…
Vado forte.
 
Mi sento allegro, ammattito e moccioso in quest’immensità danzante…
 
Divento Alessandro il Macedone che conquista l’Asia, divento Annibale che invade l’Italia…
Ad ogni bracciata una città di tristezza cade…
 
Aro sotto il cielo.
Sghignazzo  sopra gli abissi.
Evado dal mio respiro…
 
Sono il carnefice del Terrore.
Sono il Buio artigliato di stelle che traghetterà il Mattino.
 
 
 
Note traduttive (dialetto campano-italiano):
““ Adrià ! T’aggia accid’ ! “ : “ Adriano, ti devo uccidere!”
 “ Adrià si’ nu’ disgraziat’ fetent : ” Adriano, sei un disgraziato fetente!”
“ All’anim’ du’ malament!! Quant sang m’ha fa jttà?! “:   “ All’anima del malamente! Quanto sangue mi devi far gettare?! “  
 



 
 
Note personali: salve a tutti!! ^^
Spero che abbiate apprezzato questa breve one shot…Sono riuscita a stenderla in un periodo di tempo un po’ limitato -.- ho lavorato tre giorni in modo intenso, soprattutto l’ultimo XD
Ho deciso di partecipare a questo contest con Manigoldo ^^  mi aveva colpito e intenerito il flash back durante la battaglia contro Thanatos in cui Cancer rimembra la notte in cui viene “ preso” da Sage…è una delle storie che ho adorato di più e ci tenevo a parlarne…
Ahimè non ho letto ancora i gaiden sui saint d’oro e quindi  perdonatemi se magari avrò commesso delle imprecisioni…io mi sono attenuta al manga ufficiale inventandomi per esigenze narrative alcuni fatti ( per esempio la provenienza del protagonista e il suo vecchio nome “ Adriano” )
 
Mi auguro che abbiate comunque gradito!! ^^
 
Grazie! :)    
 
 
 
 
  
 
 
 
 

   
 
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