Capitolo
7: Finally you!
Quando
era tornata a villa De Chagny, aveva salutato
brevemente la madre di Raoul e poi accusando un malore s’era
rinchiusa in
camera sua. Raoul appena tornato da Parigi, era subito corso da lei,
preoccupato. Aveva bussato alla porta, ma Christine non
l’aveva lasciato
entrare.
-“Lottie
che ti succede? Cosa c’è che non va?”-
era
appoggiato allo stipite della porta e tendeva bene l’orecchio
per sentire cosa
succedeva nella camera.
-“Raoul
non è niente, ho avuto solo un piccolo capogiro,
adesso voglio solo riposare. Parleremo più
tardi!”- Christine seduta alla
specchiera fissava contemporaneamente il suo riflesso e quello della
porta.
Conoscendo Raoul, sapeva che non l’avrebbe forzata per farlo
entrare.
Un
sospiro rassegnato arrivò dalla porta: “Come vuoi
Christine, ti faccio portare la cena in camera!”
La
ragazza sentì distintamente i passi di Raoul che si
dirigevano alle scale. Non le era piaciuto il tono con cui
l’aveva chiamata
‘Christine’: che sospettasse qualcosa? No, era
impossibile! Lei non aveva mai
fatto trapelare nulla, s’era sempre dimostrata una fidanzata
premurosa e
devota. E poi Raoul era sempre fuori per lavoro e commissioni, non
poteva
conoscere tutti i suoi spostamenti, anche perché
l’unico a conoscere le
destinazioni delle sue uscite, era Maurice, al quale aveva chiesto il
massimo
riserbo. Forse era solo suggestione, o erano i sensi di colpa a farla
stare
all’erta!
Si
guardò allo specchio e quella che vide non fu più
la ragazzina timida che si acconciava i fiocchi nei capelli, no, quella
che
vedeva ora,era una donna matura ormai, stremata dagli eventi e
consumata dalla
paura e dalla passione, per un uomo che non voleva più
sapere nulla di lei.
Nonostante
fosse solo pomeriggio, si tolse i vestiti
castigati che aveva usato per quella giornata e indossò la
più comoda veste da
camera, quella che usava per dormire. Risedette al boudoir e
cominciò a
spettinarsi i lunghi capelli: il vento che aveva preso durante la corsa
in
carrozza le aveva scompigliato tutta l’acconciatura; con mani
esperte e con una
spazzola districò tutti i nodi. In quel momento avrebbe
voluto saper risolvere
altrettanto facilmente i nodi delle sue questioni in sospeso!
Più
tardi, quando fuori il sole era ormai alla fine
della sua corsa giornaliera, le venne portata la cena in camera. La
cameriera,
non aveva due anni in più di lei. Certo non conduceva una
vita agiata come la
sua, ma in quel momento Christine la invidiò: non aveva
certo i problemi che
aveva lei,non doveva combattere con i fantasmi del suo passato, non
doveva
seguire la rigida etichetta … Le sarebbe piaciuto essere al
posto di quella
ragazza in quel momento.
Quando
la giovane cameriera si chiuse la porta alle
spalle, Christine si avvicinò al tavolino dove era stato
poggiato il vassoio
con la cena: vellutata di verdure miste, spezzatino d’agnello
alle prugne e una
ciotola d’uva, il tutto accompagnato da un calice di vino
rosso. La cena era
molto invitante, ma lo stomaco della giovane soprano era ben lungi dal
voler
accogliere quelle prelibatezze. Non mangiò nulla, ma
piluccò pensierosa un po’
d’uva, finché il resto delle pietanze non si
freddò.
Distrutta e
spossata da tutte le emozioni provate in quella giornata, si distese
sul letto
e nel giro di qualche minuto, si abbandonò ad un sonno
agitato.
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-2
giorni alle nozze
Christine
venne svegliata dal chiacchiericcio dei
domestici nel cortile e l’andirivieni delle cameriere nei
corridoi:
parlottavano animatamente del matrimonio imminente, degli invitati e
della
fortuna sfacciata di Christine, presto accasata con uno dei rampolli
più
contesi di tutta Parigi.
La
giovane rimase immobile sul grande letto, a fissare
il soffitto affrescato con scene bucoliche: tutte quelle chiacchiere la
innervosivano, da come la descriveva mezza servitù, lei era
una poco di
buono,arrampicatrice sociale , che sposava il buon visconte solo per
interesse.
Avrebbe voluto urlare a quella gente di smetterla di parlare di lei, di
cambiare argomento; ma non sarebbe servito a nulla,quel matrimonio
aveva reso
euforici tutti, persino i domestici!
Si
alzò dal letto, si preparò alla toeletta, si
vestì
svogliatamente e condusse l’intera giornata come una
marionetta: Raoul la
chiamava da una parte e madame De Chagny la trascinava
dall’altra, e lei si
faceva condurre senza fiatare.
Quando
quella sera, dopo una cena alquanto silenziosa
animata solo dai convenevoli di rito, si ritirò nella sua
stanza, non poté fare
a meno di sospirare. Ancora un giorno e quella storia sarebbe finita.
Poi
come la sera precedente si abbandonò ad un sonno
non certo ristoratore,popolato di angeli, fantasmi e occasioni bruciate.
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-Il
giorno prima delle nozze -
Proprio
come se il Sole l’avesse richiamata dal suo
sonno, Christine si svegliò alle prime luci
dell’alba. Quella notte, mentre si
girava e rigirava tra le lenzuola, aveva sognato il di mettere in
pratica il
suo piano: l’aveva sognato, aveva sognato di rincontrarlo, di
parlargli, di
stringerlo a sé, di cantare ancora la sua splendida musica.
Non
c’erano scusanti, s’era lasciata andare agli
eventi e aveva sprecato solo tempo: quel giorno stesso avrebbe messo in
pratica
i suoi intenti! In quel momento non le importava del matrimonio, di
Raoul, di
madame De Chagny, né tantomeno di quello che pensava di lei
la servitù. Tutto
passava in secondo piano!
C’era
solo un piccolo quanto fondamentale problema da
risolvere : come sarebbe arrivata all’opéra
Garnier? Chiedere a Maurice era
fuori discussione, avrebbe destato troppi sospetti. Doveva trovare il
modo di
arrivarci da sola, si ma come!? Non poteva di certo prendere la
carrozza e
vagare per Parigi! L’unica alternativa era raggiungere il
teatro con il solo
mezzo che aveva a disposizione: un cavallo.
L’unica
volta in cui era andata a cavallo, era stato
quando Erik l’aveva condotta per la prima volta nei
sotterranei dell’opera. Non
era sicura di saper governare una tale fiera ed orgogliosa bestia. Non
era
tempo di farsi prendere dal panico, era tempo di agire!
Sgattaiolò nella camera
di Raoul e frugò nei cassetti alla ricerca di un paio di
pantaloni: di certo
non avrebbe potuto cavalcare con la gonna. Ritornò nella sua
camera e li
nascose sul fondo dell’armadio, pieno di vestiti sfarzosi e
ingombranti.
Stonavano quasi tra tutto quel tulle e quella seta!
Essendo
il giorno prima delle nozze, le avevano
lasciato la giornata libera da qualsiasi impegno, in modo che riposasse.
Scese nelle
scuderie della villa per osservare e assorbire quante più
nozioni possibili sul
conto dei cavalli. Maurice e il figlio Martin si stavano occupando
l’uno dei finimenti
e l’altro del foraggio. Martin era un giovinetto di appena
tredici anni con i
capelli biondo cenere e gli occhi scuri, che in pratica la venerava:
ogni volta
che la incontrava si prostrava in mille riverenze e le faceva sempre
dei
complimenti così dolci ed innocenti, che Christine
l’aveva preso in simpatia.
-“Madamoiselle
cosa vi porta nelle stalle? Non è certo
luogo adatto a lei!”- Maurice aveva finito con i finimenti e
si era avvicinato,
incuriosito da quell’incursione inaspettata.
-“Oggi
ho la giornata libera,ma non avendo nulla da
fare, sto semplicemente passeggiando. Il mio vagare
mi ha portata qui! Mi piacciono molto i
cavalli.”- mentì spudoratamente, in effetti quegli
animali la intimorivano, ma
Maurice fece finta di crederci.
-“
Come vuole madamoiselle, ma non si avvicini troppo.
Oggi sono un po’ irrequieti, colpa del tempo che sta
cambiando …sentono
arrivare la tempesta!”-spiegò il cocchiere.
‘Bene’pensò
Christine tra sé ‘ci mancava solo che
fossero nervosi’.
Martin
intanto aveva finito di foraggiare le bestie
agitate e si stava lavando le mani in un piccolo catino ricolmo
d’acqua. A
Christine venne un’idea: aveva notato che ai cavalli, quando
stavano nelle
stalle, venivano tolte tutte le imbrigliature; sapeva che era cosa
alquanto
impossibile cavalcare senza briglie né morso, e lei non
sapeva nemmeno da dove
cominciare per preparare un cavallo ad un uscita! Qui entrava in gioco
Martin.
Avrebbe usato tutto l’ascendente che aveva sul ragazzino per
farsi aiutare in
quell’impresa. Lo raggiunse e gli fece qualche domanda sui
cavalli, sul suo
lavoro nelle stalle e della sua vita alla villa. Il ragazzino dapprima
impacciatissimo, s’era sciolto quando aveva visto
l’interesse genuino che
brillava negli occhi della giovane soprano.
-“Martin
ho da chiederti un favore…”- disse Christine,
quando si rese conto d’aver messo a proprio agio il piccolo
stalliere.
-“Madamoiselle
sono al suo servizio. Se mi sarà
possibile l’aiuterò!”-
accompagnò quelle parole con una piccola riverenza.
-“Ho
bisogno che questa sera tu mi selli un cavallo,
il più veloce che hai. Dovrà essere pronto per
una lunga cavalcata. Non
chiedermi perché, tanto non te lo dirò, ma devi
assolutamente giurarmi di non
farne parola alcuna con nessuno, nemmeno con tuo padre. Dovrai essere
silenzioso e non dovrai farti scoprire: in caso venissi scoperto non
dovrai
fare il mio nome. Ne va del buon nome dei De Chagny. Me lo
prometti?posso
fidarmi di te?”- aveva assunto un tono di voce più
duro e serio, e aveva
assunto un atteggiamento cospiratorio. Non era da lei, non era brava a
fare la
parte della cattiva.
-“Madamoiselle,
farò come mi chiede. Può fidarsi di
me!”- Martin pendeva dalle sue labbra.
-“Bene
allora. Appena tutte le luci della villa
saranno spente, verrò qui a prendere il mio
cavallo.”- gli diede un piccolo
buffetto sulla guancia e poi lasciò le stalle, sotto
l’occhio sempre più
curioso di Maurice.
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Il
resto della giornata passò tranquillamente, senza
che nulla turbasse la sua quiete. Alla sera, venne servita la cena e
conversò
amabilmente con i commensali, come non le capitava di fare da molto
tempo.
Augurò la buonanotte alla contessa e poi salì in
camera sua, scortata
sottobraccio da Raoul.
-“Sogni
d’oro dolce Lottie. Ti aspetto domani
sull’altare …Finalmente insieme per sempre, nulla
più potrà separarci!”- calcò
la voce su quelle ultime parole, prima di baciarla gentilmente a fior
di labbra.
Christine
chiuse la porta e subito venne pervasa da
una scarica di adrenalina: era arrivato il momento. Erano le dieci,
prima che
tutti gli abitanti della tenuta andassero a dormire e che tutte le luci
si
spegnessero, sarebbe passata un’altra ora. Spense le tre
lampade ad olio che
illuminavano la camera e cominciò a prepararsi alla sola
luce del camino, che,
nonostante fosse piena primavera, era stato acceso perché
quella sera l’aria
era più fredda.
Indossò
delle calze pesanti, poi i pantaloni che aveva
preso ‘in prestito’ da Raoul, sopra mise una
camicia bianca con delle rouche
sul collo e uno scalda cuore di lana azzurra. Infine indossò
le uniche scarpe
basse che potessero andar bene per quell’occasione e si
coprì con il mantello
blu scuro che aveva usato la notte in cui era scappata dal teatro.
Alle
undici precise, stava scendendo le scale che
portavano agli alloggi della servitù. Da lì
uscì nel cortile sul retro, sul
quale si affacciavano le stalle. Una piccola luce soffusa proveniva da
uno dei
box, Christine si avvicinò e trovò Martin intento
a fasciare gli zoccoli del
cavallo dal manto scuro, con degli
stracci.
-“Cosa
stai facendo Martin?”- chiese allarmata.
-“Madamoiselle,
credo d’aver capito che questa uscita
deve essere tenuta segreta, quindi mi premuro di non farla scoprire. Il
suono
degli zoccoli sul selciato, sveglierebbe tutta la villa. In questo modo
attutirete il rumore.”- Martin le sorrise, per farle capire
che nonostante
tutto non avrebbe fatto parola con nessuno di tutto quello.
-“Grazie,
Martin. Sei più sveglio di quanto
credessi!”- detto questo gli scoccò un bacio sulla
guancia paffuta ancora da
bambino.
Martin
poi, l’aiutò ad issarsi sul dorso del cavallo e
l’accompagnò al cancello secondario della villa.
Durante il breve percorso,
rendendosi conto che la giovane era alquanto inesperta ed impreparata,
le
spiegò brevemente come governare il cavallo.
Dopo
le ultime raccomandazioni, Martin le indicò la
strada da percorrere per Parigi e scoccò una pacca
all’animale, che partì al
galoppo, con una spaventata Christine sul dorso.
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Christine
aveva fatto un breve calcolo mentale,
sarebbe dovuta arrivare a Parigi in mezz’ora,
un’ora al massimo. Poi avrebbe
impiegato un po’ di tempo per trovare la strada per
l’opéra.
Mentre
cavalcava spedita verso la città, si rese conto
che la campagna scura e silenziosa era spaventosa. La luna in cielo,
era
coperta da grosse nuvole scure che preannunciavano la tempesta di cui
aveva
parlato Maurice. Sperò solo che non cominciasse a piovere,
altrimenti il
cavallo l’avrebbe disarcionata.
I
suoi calcoli non erano errati: arrivò nel centro di
Parigi, quando il grande orologio del palazzo di giustizia scoccava la
mezzanotte.
A
dispetto di quanto credeva, riuscì subito a trovare
la strada per il teatro e in men che non si dica si ritrovò
in rue de Scribe,
dove sapeva esserci un’entrata per la dimora sul lago.
Scese
con difficoltà dal cavallo e si sgranchì le
gambe indolenzite dalla lunga cavalcata. Quando la notte
dell’incendio era
fuggita, era uscita proprio da una delle grate che davano su rue de
Scribe. Non
ricordava quale fosse e così cominciò a scuoterle
una per una, fino a trovarne
una che si mosse sui cardini come una piccola porta.
Senza
esitare scese nell’oscurità di quel passaggio e
proseguì a tentoni, tenendo le mani attaccate alle pareti
del tunnel. Faceva
piccoli passi, timorosa di trovare una delle tante trappole piazzate da
Erik
per tenere lontani i ficcanaso. Fortunatamente per lei, i tranelli
dovevano
essere già scattati in precedenza, quindi il suo cammino non
venne intralciato
da nessun ostacolo.
In
poco tempo era arrivata sulle sponde del lago
sotterraneo,dove stranamente aveva trovato la barca che Erik utilizzava
per
spostarsi da una parte all’altra. Tentò di
raggiungere la piccola imbarcazione,
immergendosi fino alla vita nell’acqua: benedisse mentalmente
i pantaloni
leggeri che aveva indossato; con la sottana e la gonna sarebbe andata a
fondo!
L’acqua
era fredda e scura, alla stregua di una
palude, come c’era da immaginarsi d’altronde:non un
caldo raggio di sole
penetrava laggiù.
Una
volta raggiunta la barca, si issò goffamente a
bordo e trovato i remi sul fondo, li raccolse e riportando alla mente i
movimenti del suo maestro, cominciò, seppur in modo
scoordinato,a remare. Ogni
remata le costava un’immensa fatica, i muscoli delle braccia
le dolevano e le
bruciavano per lo sforzo, dopotutto il suo corpo non era abituato.
Sorrise fra
sé: quella era solo un’altra prova da superare per
raggiungere la tanto
agognata meta … per raggiungere lui!
Dopo,
non sapeva nemmeno lei quanto tempo fosse
passato, raggiunse la sponda della dimora sul lago: un silenzio
inquietante
s’era impadronito di quel posto, che di solito risuonava dei
più meravigliosi
virtuosismi musicali. Di lui, come doveva aspettarsi,nemmeno
l’ombra. Dove
prima regnava sovrana la musica, ora tiranneggiava un indicibile caos:
gli
specchi che circondavano le pareti semicircolari della casa, erano
stati
distrutti in centinaia di pezzi: l’immagine distorta di
Christine si rifletteva
dovunque, dando a quel posto già tetro,
un’atmosfera inquietante. Intere risme
di spartiti erano sparse per terra, alcuni bruciati, altri insozzati
dall’acqua
del lago, altri ancora strappati in piccoli pezzettini e sparpagliati a
mo di
semina; i minuziosi modellini del teatro e delle invenzioni di Erik,
erano
stati gettati nell’acqua bassa della riva, e a causa del
tempo trascorso
lì,avevano perso quasi del tutto il colore. Tale scempio
della genialità del
suo maestro, le fecero salire le lacrime agli occhi: quanto crudele e
bestiale
può essere l’animo umano!?
Scese
dalla barca e arrancò fino alla riva: da vicino
quello spettacolo era ancora più tremendo.
Dopo
aver fatto una decina di passi in quello sfacelo,
fu quasi tentata di tornare indietro: come avrebbe potuto Erik vivere
in un
tale stato di abbandono e degrado? Forse non era lì come
aveva sperato fin
dall’inizio, forse era andato via da Villemomble per
raggiungere un altro
luogo, lontano da lei e dai ricordi del passato; forse addirittura non
era più
in Francia!
In
preda allo sconforto più totale cominciò a
vagare,
come un cane in gabbia, nel resto della casa: entrò nella
stanza della musica,
dove le si parò di fronte lo stesso spettacolo della stanza
precedente; poi
varcò la soglia della stanza Luigi Filippo e rimase con
occhi sgranati a
fissare, quella che per due settimane era stata la sua camera da letto:
le lenzuola
pregiate erano state strappate a forza dal grande letto a baldacchino,
le tende
che lo incorniciavano erano solo un vago ricordo, ora giacevano a
brandelli sul
pavimento. I cassetti erano stati divelti dalla struttura del grande
comò che
occupava una delle pareti, ed ora gli abiti che aveva indossato un
tempo,
giacevano in terra.
Indietreggiò
con le lacrime agli occhi,
spaventata da tanta
efferatezza . Andò a
sbattere contro qualcosa, si voltò per uscire, ma colui che
le si parò innanzi
la inchiodò con lo sguardo: i suoi occhi, che divampavano
come braci nella
notte, la trafissero.
Solo
una persona le sarebbe potuta arrivare alle
spalle, muovendosi così silenziosamente da non farsi
sentire: LUI.
Finalmente
era riuscita a trovarlo, ma la gioia per
quel momento venne smorzata dalla tono di voce brusco con cui si
rivolse a lei
: “Cosa ci fai TU qui?”
Angolino
di Farah: sinceramente non ho nulla da dire su qst
capitolo… forse che è un po’ troppo
lungo, che non è il finale che avevo
promesso, che sto allungando il brodo ecc. ma non potevo saltare alcuni
particolari! Il prossimo capitolo sarà quello che tutti
aspettano, compresa
io:That night beneath a moonless sky! Cmq spero vi piaccia e che dopo
la
lettura lasciate una minirecensione! Quindi buona lettura fedeli
lettori ;)