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Autore: Verdonica    26/04/2013    2 recensioni
Dopo aver insultato per un po' la tua compagna di classe con appellativi quali "trippona" e "roia" per aver ricordato al professore il programma del giorno, dopo aver sfogliato incessantemente il libro cercando di capire il più possibile, il prof. ti chiama come previsto per un'interrogazione.
A chi non è mai capitato d'essere impreparato ad un'interrogazione? Ah, se fosse stata solo una.
A chi non è mai capitato d'essere impreparato all'ennesima interrogazione?
Tutto quello che speri è di non andare da solo al patibolo, ma soprattutto di essere accompagnato da persone che ne sanno quanto te: ovvero niente.
Perché è facile fare di tutta l'erba un fascio, è facile dire che non si studia per pigrizia.
A volte c'è altro dietro. A volte c'è il desiderio di cambiare e non sempre c'è la possibilità di farlo.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A me, che alla fine ce l'ho fatta.





Dopo aver insultato per un po' la tua compagna di classe con appellativi quali "trippona" e "roia" per aver ricordato al professore il programma del giorno, dopo aver sfogliato incessantemente il libro cercando di capire il più possibile, il prof. ti chiama come previsto per un'interrogazione. Tutto quello che speri è di non andare da solo al patibolo, ma soprattutto di essere accompagnato da persone che ne sanno quanto te: ovvero niente. "E adesso cosa gli dico?" mormori disperato alzandoti dal tuo posto e dirigendoti alla cattedra. 
Altri due estratti e alla fine siete in tre e tu sei esattamente in mezzo. La prima domanda viene fatta all'altro ragazzo: la ascolti attentamente e non ne capisci niente. Il tuo compagno, invece, pare che parli la stessa lingua del professore e dunque è molto veloce a rispondergli. 
Tocca a te. Ti ripete la domanda due volte, perché alla prima non eri andato oltre la seconda parola. Ti schiarisci la voce, il tuo esordio si limita ad un "ehm, sì" e dunque ti avvicini al computer per fare ciò che ti è stato chiesto: o almeno ci provi. Sbagli, ovviamente, e vieni subito messo da parte: subentra l'altra ragazza e fa ciò che era stato chiesto a te. 
Il tuo desiderio non è stato avverato: sanno decisamente qualcosa, loro.
Ti infili le mani in tasca e ti allontani leggermente dal computer. Lo sguardo basso, vuoto. Sei sempre più atterrito, sei già consapevole del voto che ti aspetta: un tre, se sei fortunato forse un quattro. 
Torna a te, ti chiede di continuare la funzione iniziata dalla tua compagna. Ci riprovi, questa volta scrivi qualcosa anziché parlare. Sbagliato anche quello. Ti fai da parte ancora prima che il professore chiami qualcun altro, con un sorriso ironico sulle labbra. Il resto dell'interrogazione è tenuta dagli altri due.
Di tanto in tanto la ragazza si gira verso di te e ti fa dei sorrisi, una volta mormora anche un "mi dispiace". Tu le rispondi con un'alzata di spalle e un "ma chi se ne importa".
Ma chi se ne importa, dici. Ma chi se ne importa, pensi. A me, ti rispondi.
Il problema è che non puoi fare altro che assecondare le loro aspettative, ragioni mentre il professore salta da un ragazzo all'altro facendo domande e ignorandoti. Hanno un'idea di te che non ti danno la possibilità di cambiare. Di riscattare. Vorresti tanto riscattarti, dimostrare che sei diverso, che sei cambiato, che ce la fai. Che poi, in realtà, non è vero. Non ce la fai. Non reggi la pressione e tutto quello che ne comporta. Non reggi le battutine, non reggi gli sguardi giudicatori. Nell'immaginario comune c'è un'idea di te indelebile, non puoi fare nulla per cancellarla. Non sanno che hai difficoltà, ma in realtà a loro non interessa. È una carneficina. Chi riesce a stare al passo bene, gli altri rimangono indietro: non aspettano nessuno.
Nel frattempo ti muovi, di tanto in tanto, spostando il tuo peso da un piede all'altro e grattandoti la nuca, giusto per far vedere al professore che ci sei, che tu sei ancora lì e che in teoria saresti interrogato. La tua testa e soprattutto il tuo sguardo però non si schiodano dal pavimento, sei a terra. Già ti immagini le storie che ti farà tua madre di fronte all'ennesima insufficienza. È la tua ultima possibilità questa, dopo ti aspetta il lavoro, qualsiasi tipo di lavoro. E ormai sei rassegnato al tuo inevitabile destino.
Non serve a molto muoversi in realtà, perché quello che ottieni è uno sguardo che passa subito oltre, come se non ti vedesse, come se non ci fossi. Come se non ti fosse mai capitato, poi. Sei sempre in secondo piano, se non addirittura in terzo.
Finalmente finisce l'interrogazione e quindi per te il mal di gambe. Vai al posto a prendere il tuo libretto e torni subito con gli altri due. Nel tragitto incontri qualche sguardo, nessuno particolarmente amichevole, qualcuno un po' sarcastico, altri disinteressati. Fai finta di nulla e questa volta sei tu quello che va oltre. Segna i voti dal più alto al peggiore: sai già che sarai ultimo. Ecco, il tuo turno. Il problema maggiore degli altri due era se mantenere la media dell'otto o abbassarla, tu ne hai ben altri. 
Il professore ti guarda da sopra gli occhiali e tu giri subito lo sguardo incapace di sostenerlo. Che smidollato, ti dici. Senti un leggero sospiro, con la coda dell'occhio lo vedi scuotere la testa e poi scribacchiare qualcosa. Ti riconsegna il libretto dei voti chiuso. Torni al posto, non sai se aprirlo. Alla fine ti dici che fare il superiore non ti porta niente, decidi di guardare. Dal canto tuo, non ti aspetti più di un 4, è dopotutto la migliore delle tue ipotesi.
Aggrotti la fronte e ricontrolli la pagina che hai aperto: informatica, è quella giusta. Non trovi nessun voto segnato se non quelli già presi. Guardi il professore, ti sta fissando. Il tuo sguardo interrogativo gli rivolge una silenziosa domanda di spiegazione a cui risponde con una scrollata di spalle. Suona la campanella, si alza per uscire. 
"La prossima volta interrogo", dice per poi lanciarti un'occhiata.
"La prossima volta vedi di essere pronto", ti dice senza parlare.
"La prossima volta ce la faccio", gli rispondi senza parole ma con un gesto affermativo del capo.
 

  
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