Questa storia partecipa al contest: Il giro del mondo
in 80 giorni (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10502671)
Titolo: Doll's Heart
Autore: redseapearl
Beta-reading:
No
Fandom: Kuroshitsuji/Black Butler
Tipologia: One-shot
Introduzione: Quando
una bambola viene abbandonata, i suoi sentimenti si acuiscono. Quasi sempre, in
esse germoglia un desiderio di vendetta nei confronti dei loro padroni che, se
non viene spento in alcun modo, cresce a dismisura come un albero che si
innalzi sino a toccare il cielo. Si erano verificati casi in cui alcune bambine
erano state assassinate misteriosamente; casi a cui nessun ispettore era mai
riuscito a trovare soluzione. Del resto, chi mai avrebbe immaginato che una
bambola potesse animarsi e uccidere?
Rating: giallo
Personaggi: Ciel Phantomhive,
Drocell, Sebastian Michaelis,
OC
Generi: sovrannaturale, sentimentale, drammatico
Avvertimenti: //
Pacchetto scelto: Miami. Della canzone, verso la fine,
ho utilizzato le prime strofe, ovvero:
"Prendimi, sono viva
Non sono mai stata una ragazza con una mente malvagia
Ma tutto appare migliore quando il sole tramonta"
in più il testo spesso utilizza il termine bruciare
("Brucerò nella luce") che, sempre verso la fine, sarà predominante
nella storia.
NdA: Era da tanto tempo che volevo scrivere questa fanfic. Una vaghissima self!cest CielxLadyCiel, all'incirca, anche se l'idea iniziale era
molto diversa quindi l'ho adattata per il contest anche se devo dire che non ne
sono molto convinta. Buona lettura!
Doll’s Heart
Ciel osservò scettico la scatola di
legno che Sebastian aveva appena posato sullo scrittoio. “Di che si tratta?”
“È il prototipo della nuova bambola della Phantom Company. Ci è arrivata dalla fabbrica giusto questa
mattina.”
Ciel avvicinò a sé il piccolo scrigno ligneo e aprì
il coperchio. Sbarrò gli occhi per lo stupore quando vide la fisionomia della
bambola di porcellana adagiata su un cuscino rosso di velluto. L’afferrò con
entrambe le mani. L’incredulità iniziale ben presto si tramutò in irosa
indignazione.
“Sebastian!”
“Sì, signorino?”
“È forse opera tua questa?” disse Ciel, sollevando
l’occhio sinistro per studiare ogni singola espressione sul volto del demone.
“Cosa intende esattamente per ‘questa’?” Sebastian
non fece alcuno sforzo per inscenare una credibile inconsapevolezza, persino la
persona più sciocca avrebbe capito che stava fingendo.
Il signorino sbottò. “Guardala bene! È praticamente
identica a me quando mi travestii da ragazza alla festa del Visconte di Druitt!”
“Oh, intendete quello. Mi sono permesso di inviare
all’indirizzo dei progettisti uno schizzo riguardante la nuova bambola che avrebbero
dovuto ideare. Il mio voleva essere solo un suggerimento. In realtà non avrei
immaginato che lo avrebbero preso così in considerazione.”
“Ti stai facendo beffe di me?”
“Oh no, non oserei mai. Al contrario, ho solo fatto
i vostri interessi. Mi sono premurato di far sì che la compagnia producesse un
nuovo giocattolo quanto più pregiato possibile, di modo da mantenere il marchio
della Phantom ad alti livelli come sempre.” Il tono
mellifluo di Sebastian spense ogni fervore in Ciel, come una campana di vetro
su di una fiamma. Al giovane nobile era impossibile controbattere.
Il maggiordomo gli porse un foglio. “Questo resoconto
illustra nel dettaglio le caratteristiche della bambola, compresi materiali,
tempo di realizzazione e prezzo. Occorre la vostra firma per autorizzarne la
produzione e la vendita.”
Ciel afferrò il prospetto strappandolo con poco
garbo dalla mano inguantata del demone. Prese la tazza di tè che questi gli
aveva portato poco prima e sorseggiò la bevanda intanto che leggeva velocemente
il documento. Ignorò tutti i particolari di poco conto, come l’uso di una
particolare varietà di seta per la realizzazione dei capelli, o di un pizzo
italiano per certi dettagli del vestito, e così via. Quando saltò direttamente
alla fine del foglio per poco non rischiò di sputare su Sebastian il sorso di
tè che ancora non aveva deglutito. “È uno scherzo, forse?”
“Non mi pare che i suoi dipendenti abbiano molto
senso dell’umorismo” rispose ironico Sebastian.
“Il costo di produzione è una cifra esorbitante per
una singola bambola!” Ciel strappò il foglio lungo un’immaginaria linea
centrale e porse le due metà al servitore affinché le buttasse. “Riferisci ai
progettisti di pensare a qualcosa di più economico. E puoi anche disfarti di
questo prototipo. È stata solo una perdita di tempo.”
Sebastian afferrò la scatola con all’interno la
bambola, sul volto un sorriso accattivante.
“Cos’hai da sorridere?”
“Oh, nulla in particolare. Pensavo solo che il
signorino sa sorprendermi ogni giorno di più. Non avrei mai pensato che tra i
suoi vizi potesse annidarsi anche l’avarizia.” Una simile scoperta non fece
altro che accrescere le fantasie del demone. Aveva appena scoperto una nuova,
deliziosa sfumatura di sapore nell’animo del suo signorino.
Perché?
Un lamento sussurrato, appena udibile, giunse alle
sue orecchie.
Perché
mi ha trattata così?
L’uomo si guardò attorno. Nessuno, a parte lui,
sembrava accorgersi di quella fioca voce.
Non
ho fatto nulla per meritare questo.
Sentì che la voce proveniva da un punto indefinito
di una stradina. Si affacciò e non vide altro che spazzatura ammonticchiata
nell’angolo più remoto di quel vicolo cieco. Tuttavia…
Se
solo potessi… se solo ne avessi la possibilità… gliela farei pagare per tutto
questo!
Non c’erano dubbi, ormai. Quello che udiva era il
lamento di una bambola abbandonata. Non era la prima volta che gli capitava di
ascoltarne una. Le persone erano così egoiste e ciniche da non accorgersi che
ciò che li circondava possedeva un’anima. Quante bambole aveva visto piangere
lacrime vere dopo essere state dimenticate dai loro padroni. Inutili, vecchie,
rotte: appena si stancavano di loro, gli esseri umani le gettavano senza il
minimo ripensamento. E lì, sole e immobili, si lasciavano morire lentamente,
macerandosi nella disperazione e nella solitudine.
Drocell
aveva udito molte delle loro storie, tutte diverse ma accomunate dallo stesso,
triste finale. Si avvicinò alla collina di pattume e lì vicino vide uno scatolo
di legno, ancora lucido.
Ti
odio! Ti odio! Ti odio!
Senza timore, il giovane uomo aprì lo scatolo e vide
una delle bambole più belle su cui i suoi occhi d’ametista si fossero mai
posati. Era praticamente nuova: non vi erano segni di usura sulla pelle; il
vestito non aveva una singola piega; tutto il contenitore non presentava la
minima ammaccatura. La sollevò da terra con molta cura, incantato dalla beltà
di quel viso e dalla sua squisita manifattura. Era la prima volta che gli
capitava di ammirare una bambola ancora intonsa buttata via senza riguardo.
“Non essere più arrabbiata” le disse. “Io ti aiuterò
e ascolterò la tua storia con grande piacere.”
Quando una bambola viene abbandonata,
i suoi sentimenti si acuiscono. Quasi sempre, in esse germoglia un desiderio di
vendetta nei confronti dei loro padroni che, se non viene spento in alcun modo,
cresce a dismisura come un albero che si innalzi sino a toccare il cielo. Si
erano verificati casi in cui alcune bambine erano state assassinate misteriosamente;
casi a cui nessun ispettore era mai riuscito a trovare soluzione. Del resto,
chi mai avrebbe immaginato che una bambola potesse animarsi e uccidere?
Tuttavia, questo processo richiedeva del tempo, a
volte persino anni. Per la prima volta, Drocell aveva
incontrato una bambola che, sebbene abbandonata da poco, nutriva un istinto
omicida molto prepotente. Era come se quella creatura artificiale fosse stata
creata solo per quello scopo.
“Come ti chiami?” le chiese l’uomo al termine del
suo breve racconto.
“Gli artigiani che mi hanno costruita si riferivano
a me come Lady Phantom” rispose lei, adagiata su una
sedia di legno davanti a Drocell. Se qualcuno fosse
entrato nella stanza, avrebbe visto un giovane uomo conversare con una bambola
di porcellana inanimata. Sarebbe stato di certo preso per pazzo.
“Phantom… sei della Phantom Company, allora” affermò sicuro Drocell.
Ripensò alla storia che aveva appena ascoltato. Quel ragazzo che l’aveva
buttata via solo per una mera questione economica, di certo era il capo della
più importante azienda produttrice di giocattoli dell’Inghilterra: Ciel Phantomhive.
Drocell
ricordava bene quel ragazzino e il suo maggiordomo demoniaco. Per colpa loro,
il suo padrone lo aveva ripudiato e lo aveva costretto a vivere tra i comuni
esseri umani. Da quel giorno, aveva votato la sua vita a salvare dall’abisso
della disperazione tutte quelle creature che, come lui, avevano perso la
propria utilità e l’affetto dei loro padroni.
Tutti lo conoscevano come Drocell
il burattinaio, il più abile artigiano di giocattoli e bambole. Nella sua
bottega, le anime delle bambole trovavano pace, e spesso, dopo un accurato
restauro, riuscivano a trovare un nuovo padrone dopo essere state esposte nella
vetrina del negozio. Un po’ il giocattolaio invidiava la loro benevola sorte.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere l’occasione di riscattarsi.
Forse era stato il destino a mandargli in dono Lady Phantom. Grazie a lei, avrebbe potuto uccidere Ciel Phantomhive e ritornare quindi tra le grazie del suo amato
padrone.
“Ogni bambola nasce sotto il segno di un determinato
destino. Ascoltando la tua sfortunata storia, ho capito quale è il tuo.”
“Dici davvero?” Benché non potesse mostrare alcuna
espressione, il tono di voce della bambola era incredulo e speranzoso.
Proprio come Drocell aveva
previsto, i sentimenti di lei erano maturi e la sua smania di vendicarsi
necessitava solo di un piccolo incoraggiamento. “Il tuo destino è uccidere Ciel
Phantomhive e io ti aiuterò a compierlo.”
Entrare nella magione dei Phantomhive si rivelò più semplice del previsto.
Quando Finnian si avvicinò
al cancello rimase incantato davanti la bellezza della giovane visitatrice.
Poteva avere all’incirca la stessa età del signorino Ciel e non mancò di notare
la strabiliante somiglianza tra i due, benché reputasse la fanciulla molto più
graziosa.
A Lady Phantom bastò
presentarsi come una cugina di secondo grado di Ciel per far sì che l’ingenuo Finnian la lasciasse entrare. Il giardiniere non avrebbe
mai potuto immaginare che colei che aveva davanti non era altro che un
artefatto. Drocell le aveva costruito un corpo a
grandezza naturale, dato indicazioni su come comportarsi in ogni evenienza per
la buona riuscita del loro piano e insegnato a parlare nel modo più
appropriato.
Lady Phantom era stata
un’allieva perfetta. D’altronde era questa la natura di una bambola: asservirsi
completamente a chiunque e lasciarsi manovrare senza obiezioni.
Finnian le disse che avrebbe avvisato il padrone del suo
arrivo, ma lei lo fermò.
“Oh no, vorrei fargli una sorpresa, in verità. È da
tanto che non ci vediamo” disse in modo civettuolo. Il giardiniere arrossì
vistosamente e si propose di accompagnarla verso lo studio del padroncino.
Tutto procedette secondo quanto pronosticato da Drocell.
Finnian
le indicò l’ubicazione dello studio una volta saliti al primo piano della
residenza. La giovane lady lo ringraziò con un casto bacio sulla guancia, per
poi congedarlo. Quando il ragazzo si fu allontanato, la bambola si avvicinò
alla porta che la separava da Ciel.
Senza esitazione alcuna, abbassò la maniglia e
l’aprì. L’oggetto del suo rancore era seduto davanti a lei, con la testa
piegata di lato, addormentato. Non poteva sperare in una sorte più fortuita.
Più che mai in quel momento pensò a quanto fossero vere le parole di Drocell riguardanti il suo destino. Ciel era indifeso come
un agnello isolato dal gregge. Ucciderlo era solo questione di secondi. Tutti
gli eventi si erano susseguiti in modo così naturale, senza intoppi, che non
potevano portare a nessun altro epilogo.
Si appropinquò al rampollo in punta di piedi. Si
concesse solo un secondo per guardare ancora una volta quel volto che l’aveva
disprezzata e rifiutata per colpa della sua avarizia. Così sereno, placido,
quasi innocente. Allungò le mani verso il collo sottile.
Benché all’apparenza si mostrasse fragile e minuta,
il suo corpo artificiale possedeva una forza ben al di sopra di quella umana.
Bastava solo stringere le dita e nella loro morsa avrebbe sentito l’osso del
collo spezzarsi, sbriciolarsi come il più friabile dei biscotti. Ciel non
avrebbe neanche avuto il tempo di accorgersi di ciò che stava succedendo.
Ancora pochi millimetri e le sue mani avrebbero
artigliato la preda, ma qualcuno le bloccò i polsi. Lady Phantom
sollevò la testa per vedere chi si stesse opponendo al suo destino. Un
bellissimo uomo sorridente la guardava dall’alto in basso.
“Per favore, così rischiate di svegliare il
signorino.”
Riconobbe la sua voce dolce come miele. Era l’uomo
che l’aveva disegnata e inviato lo schizzo ai suoi costruttori. Non aveva nulla
contro di lui, ma se il suo intento era difendere Ciel allora lo avrebbe
eliminato.
Solo dal suo aspetto, Sebastian capì che la ragazza
non era umana, essendo una copia al femminile del signorino. Tra i palmi, non
avvertì la morbida consistenza della carne, ma solo del duro legno. Inoltre non
riusciva a scorgere alcuna anima in quel corpo femmineo.
La bambola tentò di divincolarsi, ma invano.
“Lasciami!” urlò.
Ciel si svegliò di soprassalto, udendo quel grido
così vicino a sé. La prima scena che il suo occhio scoperto vide non appena si
aprì, fu il suo maggiordomo che spezzava brutalmente le braccia di una giovane
ragazza.
“Sebastian, che cosa…” Le parole gli morirono in
gola quando vide il volto di lei. Rimase impietrito per un paio di secondi. La
scena era grottesca, quasi stesse osservando allo specchio un combattimento tra
lui e il demone. Poi si riscosse.
Notò che lei, nonostante la violenza subita, non
aveva emesso neanche il più flebile gemito di dolore. La sua espressione non
manifestava sofferenza. Anzi, nonostante le braccia fossero state ritorte
all’indietro, la fanciulla continuava a muoversi come se nulla fosse, cercando
di divincolarsi dalla stretta ferrea del maggiordomo.
“Ma tu sei…”
“Ciel Phantomhive, sono
qui per ucciderti!”
Sebastian contenne ogni tentativo di fuga della
bambola. “Signorino, inutile dirle che questa ragazza non è umana. Penso che si
tratti proprio della bambola che mi avete ordinato di buttare due giorni fa.
Immagino che avrete intuito di chi sia opera tutto questo” disse il demone con
tono calmo, serafico quasi.
“Drocell” affermò cupo
Ciel.
“Tu mi hai buttata via senza la minima
considerazione dei miei sentimenti. Sei un essere meschino, Ciel! Drocell è stato l’unico a capirmi!”
“Non lo trova curioso, signorino? Una bambola con le
sue fattezze che prova gli stessi suoi disdicevoli desideri di vendetta.” Benché
ironiche, le parole di Sebastian dicevano il vero.
Ciel non poteva negare a se stesso quanto i
sentimenti della bambola fossero simili ai suoi. Doveva però fare qualcosa.
Ricordò che dopo il primo scontro con Drocell, lui e
il demone si erano messi alla ricerca di un modo per poterlo fermare se mai si
fossero incontrati di nuovo. Non era da escludere che quello stesso sistema
potesse applicarsi anche ad una creatura a lui simile.
“Non avrei mai immaginato che una bambola potesse
provare simili emozioni. Non era mia intenzione ferirti” disse Ciel, ostentando
dispiacere e una tacita richiesta di perdono.
“Cosa?”
“Sebastian” Ciel si scambiò uno sguardo d’intesa con
il maggiordomo. “Lasciala andare.”
Sebastian sorrise in modo complice. “Come desidera.”
Lasciò andare la presa e la bambola, sbilanciata, cadde sul pavimento. Tentò di
risollevarsi, ma a causa delle braccia spezzate e piegate in una posizione
innaturale non poteva far leva e mettersi in piedi.
“Puoi lasciarci soli” ordinò Ciel e il servitore
uscì dalla stanza, non senza scambiarsi un’ulteriore eloquente occhiata con il
giovane padrone. “Sono stato un insensibile” disse questi, avvicinandosi a lei.
Lady Phantom girò la testa
quel tanto che le bastava per osservare il volto del nobile rampollo. Fin dalla
prima volta che lo aveva visto, lo aveva ritenuto estremamente bello e ora, con
quell’espressione addolorata, lo considerava ancora più splendido.
Ciel si inginocchiò e le afferrò le spalle per
sollevarla. Il suo tocco era delicato.
La bambola si sentì smarrita da tanta cortesia, così
antitetica rispetto al trattamento che aveva subito la volta precedente.
Si chiese se non fosse tutto merito del suo nuovo
corpo. Forse aveva giudicato male Ciel.
Gli ammonimenti di Drocell
le risuonarono nella testa. ‘Fai molta
attenzione quando sarai davanti a lui. Cercherà di ingannarti.’
La voce di Ciel si sovrappose a quella del
burattinaio. “Il mio maggiordomo è stato brutale, prima. Ti farò costruire
delle braccia nuove.” Tenendola stretta a sé, il ragazzo la issò senza fatica.
I loro visi erano così vicini.
‘Cercherà
di controllarti.’
“Io capisco quello che provi, più di chiunque altro.
Anche io ho subito maltrattamenti terribili in passato.”
‘Ti
guarderà negli occhi e ti avvelenerà l’anima con bugie e inganni.’
La voce di Drocell era diventata poco più che un’eco
lontana, ormai.
Lady Phantom poteva
specchiarsi nel grande occhio blu oltremare di Ciel. Il colore così intenso e
profondo risaltava la propria immagine riflessa. Per un attimo ebbe l’illusione
di essere dentro di lui, di scorgere il suo animo puro e fondersi con esso. Non
era concepibile che un giovane così bello potesse mentirle con tanta maestria.
“So che non lo merito, ma ti scongiuro: concedimi la
possibilità di redimermi dal mio peccato.”
“Io…” tentò di dire. Gli ammonimenti del burattinaio
e le dolci parole di Ciel la stavano trascinando in una spirale di confusione.
‘Quando
ti sembrerà di impazzire, guarda dentro di te e ricorda il tuo destino…
Ricordati chi sei.’
Chi era lei? “Io non sono malvagia. Credevi che io
non fossi un essere vivente, per questo hai commesso quell’errore. Ma io sono
viva. Prendimi con te!” L’influenza di Drocell su di
lei si era dissolta, come se Ciel avesse tagliato i fili invisibili che il
burattinaio usava per manovrarla.
La fanciulla affondò il viso nell’incavo tra la
spalla e il collo di Ciel. Sentiva il calore della sua pelle e si lasciò
inebriare da quella nuova sensazione.
Il sole stava volgendo al tramonto mentre dipingeva
il cielo di amaranto e porpora. Tutto appariva migliore sotto quella luce
vermiglia.
Sollevò il capo e lasciò che il respiro di Ciel le
lambisse il volto. Si sporse verso di lui desiderosa di baciarlo. Drocell le aveva mentito: il suo destino non era uccidere
Ciel Phantomhive.
Il ragazzo le strinse le spalle. Lo vide sorridere,
ma la sua espressione non trasmetteva alcun senso di gioia. “Addio” sussurrò.
Lady Phantom vide il bel
viso efebico di Ciel allontanarsi. D’improvviso le mancò il terreno sotto i
piedi. La figura del giovane rampollo incorniciata dalla finestra si faceva
sempre più distante. Infine atterrò su un letto di foglie e ceppi di legno. In
un istante si vide circondata da fiamme alte quasi due metri. Sentiva il
proprio corpo bruciare, crepitare, consumarsi, ma non avvertiva alcun dolore.
Negli occhi aveva solo l’immagine di Ciel che la osservava impassibile
dall’alto, immobile come un ritratto.
Girò la testa e vide il maggiordomo ritto in piedi
lì vicino. Con l’ultimo barlume di lucidità, capì che era stato lui ad
appiccare il rogo, sicuramente sotto ordine del suo padrone.
Alzò la mano nel vano tentativo di afferrare la
piccola sagoma di Ciel che si stagliava davanti a lei. Vide le dita ormai
ridotte a cinque moncherini neri. Il fuoco in breve mangiò anche quelli,
bruciando poi il polso, l’avambraccio, fino al gomito. Sentiva il proprio corpo
ridursi in cenere sempre più velocemente. Nessun patimento fisico, solo la
feroce rabbia di essersi lasciata ingannare e l’impossibilità ora di avere una
seconda opportunità.
Drocell…
Ciel… la sua vendetta fallita… il suo destino inesistente… Nessuno, nella sua
breve esistenza, le aveva mai detto la verità.
Eppure, tutto ciò che aveva chiesto era di essere
amata.
“Drocell…” sussurrò, “… perché
anche tu…?” Le ultime parole si librarono dalle sue labbra assieme alla sua
anima.