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Autore: _Kappa_    26/04/2013    1 recensioni
Doveva rimanere immobile. La coperta sulla sua testa e il freddo pavimento di cemento sotto di sé.
Queste erano le regole, questi erano gli ordini. Questo era quello che doveva fare, se ci teneva alla pelle.
Respirava poco, per non fare rumore, la guancia premuta a terra e gli occhi serrati. Qualche centimetro sopra la sua testa, la botola chiusa scricchiolava sotto i passi dei sodati, celata alla vista da un tappeto logoro.
Genere: Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alcune cose sono scritte in tedesco, in fondo c’è la traduzione
 


Doveva rimanere immobile. La coperta sulla sua testa e il freddo pavimento di cemento sotto di sé.
Queste erano le regole, questi erano gli ordini. Questo era quello che doveva fare, se ci teneva alla pelle.
Respirava poco, per non fare rumore, la guancia premuta a terra e gli occhi serrati. Qualche centimetro sopra la sua testa, la botola chiusa scricchiolava sotto i passi dei sodati, celata alla vista da un tappeto logoro.
Sentiva ordini urlati in tedesco, passi frettolosi e il rumore delle stoviglie che venivano scaraventate fuori dalla credenza e si infrangevano a terra.
La credenza. Stavano aprendo la credenza. E nascosta nella credenza c’era..
<< Hier! *>>
L’urlo del soldato risuonò nella stanza e giunse anche alle orecchie di Ben, che si affrettò a premere una mano sulla bocca della sorellina che tremava conto il suo petto. Sapeva cosa sarebbe successo.
<< Herauskommen, Hündin! **>>
Sentì l’urlo di sua madre, che veniva trascinata fuori dal suo nascondiglio.
Ben parlava tedesco. La mamma no. Ma era sicuro che anche lei avesse capito cosa la aspettava.
<< Ihre Kleidung entfernen ***>>
Ringraziò il cielo che Hannanh non parlasse il tedesco.
La testa bruna della bambina tremava visibilmente, la bocca coperta dalla mano del fratello
Aveva sette anni, otto meno di lui. E non voleva morire.
Sentiva sua madre urlare, i soldati ridere e gridare oscenità nella loro lingua.
Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per rimanere immobile e in silenzio, mentre sentiva la rabbia salire dentro di lui. Si accorse che Hannanh piangeva in silenzio, ma non fece nulla per consolarla. Se non altro si sarebbe sfogata.
I rumori si attutirono, i soldati, sfogatisi, ridevano sommessamente. La mamma piangeva.
All’improvviso cominciò ad urlare.
Un colpo di fucile.
Silenzio di tomba.
 
Hannanh morse a sangue la mano di Ben, ma lui non fece una piega.
Una lacrima gli scivolò sul viso, infrangendosi tra i riccioli scuri della bambina. Non riusciva a pensare.
Non era disperato, non provava angoscia o dolore, era calmo e lucidissimo.
La mamma era morta.

***

Era passato non so quanto tempo.
Tre ore, forse di più.
Ne lui ne Hannanh si erano mossi di un millimetro. I rumori provenienti da sopra si erano spenti da un pezzo, ma nessuno dei due riusciva a muoversi.
Ma non potevano rimanere laggiù per sempre.
Sotto la coperta con lui c’era una lettera che doveva imbucare "solo in caso di estrema necessità.", così aveva detto la mamma.
Era indirizzata a Papà.

***

La mamma era ebrea. Si chiamava Sulamith Azavey. Hannanh aveva preso tutto da lei: i suoi capelli, bruni e ricci, gli occhi scuri e la bassa statura. Ma i capelli biondo platino, gli occhi ceruli e l’altezza, Ben non li aveva certo ereditati dalla mamma. Papà era tedesco.
Non solo era tedesco: Papà era un nazista convinto. Amava sua moglie, certo. Ma non quanto amava il suo Paese. E così li aveva abbandonati. Aveva avuto la clemenza di non denunciarli, per quello che ne sapevano.
 
Qualche anno fa, Papà prese con sé Ben. Solo per sette mesi.
Era a causa del suo aspetto. Ovviamente non aveva voluto la sorella.
Era in quei mesi che aveva imparato il tedesco. Era in quei mesi che aveva imparato la guerra.
 
Era stato bene con Papà, non poteva negarlo.
Gli mancava molto la mamma, e anche Hannanh.
Ma era stato bene.
Papà era severo con lui. Troppo severo forse, ma gli voleva bene.
 
Ma la gente aveva cominciato a parlare.
Dicevano che era Ebreo, e in effetti non avevano torto.
Così era stato rispedito a casa, aveva cucito la stella di David su tutti i suoi vestiti e aveva smesso di frequentare la gente che frequentava prima, i negozi che frequentava prima e la scuola che frequentava prima. E aveva cominciato a nascondersi.

***

Si mosse piano. Hannanh non diede segno d’essersene accorta. Lentamente, senza fare rumore, la lasciò a terra, la coprì con la coperta e, sempre strisciando per non sbattere la testa contro a botola, cercò la candela. La trovò, e con un fiammifero umido e malconcio fece luce.
 
La fiammella rischiarava uno spazio angusto e umido, di cemento grezzo. Largo al massimo un metro quadrato e alto la metà, era un rifugio piccolo e squallido, ma comunque sicuro. Posò la candela in un angolo, stando attento a non farla cadere.
Contro la parete opposta, la brocca dell’acqua scintillava  alla luce prodotta dallo stoppino che bruciava lento. Di fianco, un sacchetto di carta che conteneva dei tozzi di pane e del formaggio era appoggiato sopra un libro e un mozzicone di matita, malconcio e mangiucchiato.
 
Prese il libro e guardò la copertina: era di Hannanh, il suo libro preferito.
Ignorando la scritta: “Alice nel Paese delle Meraviglie” stampata a lettere dorate sullo sfondo verde, aprì la copertina e sulla prima pagina, bianca, scrisse:
 
Hannanh,
Sono andato a imbucare la Lettera.
Se la candela finisce di bruciare prima che io torni, allora non tornerò più.
Sai cosa fare.
Ben
 
Strappò la pagina, la piegò in quattro e la mise in mano alla sorella. Lei non si mosse.
Lentamente, sollevò la botola, e uscì fuori.
Respirò l’aria relativamente pulita.
Chiuse la botola, e risistemò il tappeto sopra di essa.
La stanza era a soqquadro: le stoviglie rotte erano in terra, la credenza era devastata, e il corpo di sua madre giaceva supino, coperto di sangue.
Non provò nulla.
Guardò quel viso macchiato di sangue, e sentì l’impulso di ripulirlo, ma non aveva tempo.
Uscì di casa, camminando circospetto e nascondendosi in un vicolo.
Il suo aspetto poteva dargli un vantaggio, ma la stella che portava sulla camicia era inequivocabile.
Una pattuglia di soldati passò li vicino. Li fissò a lungo, chiedendosi se tra quelli per caso non ci fosse anche quello che aveva ucciso sua madre.
Scacciò quel pensiero.
 
Sperava solo che suo padre avesse accolto la supplica di sua madre, e preso almeno Hannanh con se.
Non poteva rimanere li per sempre. La candela bruciava.
Aspettò che i soldati si allontanassero, poi si decise.
 
Uscì di corsa dal vicolo, e corse a imbucare la lettera, ma uno di loro, sempre con quell'odioso fucile in mano, lo aspettava. Due passi prima della buca delle lettere. 
Sentì il fucile caricarsi. Sapeva che sarebbe successo.
Un colpo di fucile.
Poi più nulla.
L’ultimo pensiero che ebbe prima di chiudere gli occhi, fu che avrebbe tanto voluto che quella candela bruciasse per sempre.
 
Spazio me
L'avevo scritta per un contest. Volevo pubblicarla anche qui, perché ci ho messo l'anima.
E perché potrebbe tranquillamente essere successo.

TRADUZIONI:
*Ecco!
**Vieni fuori, puttana!
***Toglietele i vestiti.
  
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