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Autore: Lady Minorin Lovelace    27/04/2013    1 recensioni
“Non andrà tutto bene nonostante quel che dicano. Guarda solamente il cielo mentre le stelle si spengono. E io mi disintegro.”
“Perché?” sussurrò. Sentii un passo verso di me. “Hai distrutto tutto…” [...] “Che cos’hai fatto, Sasuke? Perché non sei tornato?”
Era diventato cieco durante la mia assenza? Io ero lì, avevo appena raso al suolo la sua patria.
Mi voltai per fronteggiarlo: “Sono qui o non ci vedi? Sono tornato per annientarvi.”
“Ti sbagli. Tu non sei mai tornato,” gli colò una lacrima sullo zigomo graffiato, ma l’asciugò repentinamente con la manica della solita tuta arancione. “Uccidimi e dopo uccidi te stesso. Forse così potrò rincontrare il vero Sasuke nella morte.”
Tra le note di Death of Seasons degli A.F.I. si consuma la sua vendetta. Una vendetta senza vinti né vincitori, perché dopo di essa non può rimanere altro se non un immenso vuoto.
Genere: Drammatico, Guerra, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Death of Seasons

“I watch the stars as they fall from the sky.                                
I held a fallen star and it wept for me, dying.
I feel the fallen stars encircle me, now as they cry.”

 
“Guardo le stelle, mentre cadono dal cielo.
Avevo una stella cadente, che piangeva per me, morente.
Avverto le stelle cadute accerchiarmi, ora mentre piangono.”
 

Si faceva fatica a scorgere il cielo in quelle condizioni. Il fumo nero saliva verso l’alto in gigantesche spirali così dense da sembrare solide, mentre la volta celeste sembrava essersi trasformata nella cappa fuligginosa di un focolare. Effettivamente il fuoco c’era: brulicava come una nidiata di serpenti impazziti per le strade di Konoha, strisciando di dimora in dimora e inghiottendo con voracità tutto quello che si frapponesse sul suo cammino.
Ogni casa, ogni essere divorato dalle fauci voraci di quelle tecniche infernali.
Fiumi di fuoco.
Laghi di chakra. Il suo chakra.
Era suo il potere che stava mandando al rogo l’intero villaggio dei ninja della Foglia, la casa che aveva abbandonato.
La stava attaccando per distruggerla, la voleva radere al suolo per redimere un’offesa o, molto più semplicemente, per dimenticare. Cancellare il dolore del passato, spazzarlo via nel turbine di fiammate ardenti che sgorgavano direttamente dal suo cuore, dalla sua oscura linfa vitale.
“Ti ridurrò a un soffio di nulla,” minacciarono le sue parole, forse solo pensate nella sua mente buia e satura di intenzioni diaboliche.
Sterminava vite come un cieco che non avrebbe potuto distinguerle tra loro. Una dopo l’altra le mieteva come un sadico contadino che coglie il grano prematuramente.
La distruzione lo circondava, lame di fuoco lo precedevano, colpi di spada lo isolavano.
Nessuno riuscì ad opporglisi, nessuno che potesse placare la sua sete di vendetta.
Sulla lingua un sapore di morte che non gli sarebbe bastato mai. Ne voleva di più, ancora e ancora, ma prima o poi anche il sangue finisce per versare l’ultima goccia di un’esistenza.
Pezzi di palazzi bruciati cadevano a terra, provocando rumori sordi, mentre ormai non si sentivano neanche più le urla dei cittadini: erano tutti morti, divorati dal suo odio.
La fine di una vita, di molte racchiuse in una. Nessuno che meritasse di sopravvivere alla sua, macchiata di peccati imperdonabili.
“Ciò che vi meritavate, vi è stato reso. E io mi sono preso ciò che mi spettava.”
Questa era stata la sua potenza.
Questo era stato il suo compimento.


Autunno

“Of late, it's harder just to go outside
To leave this dead-space with hatred, so alive.
Writing with sickness, thrown into banality, I decay
Killed by the weakness, but forced to return. Turn it off.”

 
“Ultimamente è più difficile anche solo uscire.
Abbandonare questo spazio morto insieme all’odio, così vivo.
Scrivendo di malavoglia, gettato in mezzo alla banalità, marcisco.
Ucciso dalla debolezza, ma costretto a ritornare. Abbandona quest’odio.”

 
Ero tornato a Konoha, brandendo una katana.
Mi ero gettato nella battaglia, spegnendo la mente e lasciando che fosse l’istinto a guidare i miei movimenti, per salvarmi da morte certa. Avevo squarciato ogni petto che mi si era avvicinato, predetto e bloccato ogni Jutsu scagliatomi contro, avevo liberato la bestia rabbiosa carica d’odio, che aveva dimorato dentro di me per tutti quegli anni. Era come un animale, cresciuto e nutrito, pronto a essere liberato dalle catene della mia razionalità. E l’avevo sguinzagliata, quella bestialità. L’avevo fatto appena avevo scorto con gli occhi di mio fratello l’unica altra persona che oltre a me possedesse lo Sharingan.
In me l’odio più vivo divampò alla vista di quell’occhio dall’abilità innata.
“Kakashi.”
“Sasuke.”
“Stai per morire,” riuscii a dire, prima che la rabbia per l’arte oculare, sottratta al mio clan, prendesse il sopravvento su di me. Il mio Mangekyou non aveva rivali e la mia tecnica del fulmine era di una classe superiore a quelle del mio ex maestro.
Mi scagliai contro di lui in un prevedibile attacco diretto. Sapeva perfettamente come ricevermi, ma aveva stupidamente previsto che sarebbe stato colpito dalla spada che brandivo. Ghignai nel fulminarlo.
L’elettricità passò, facendo schizzare quei capelli bianchi. Le sue palpebre vibrarono sclerotiche, mentre la mascella sbatteva ripetutamente contro la mandibola. Una visione pietosa.
Godei di quello scempio: lo vidi tirarsi su da terra, aiutandosi con le mani, le gambe tremanti sotto il suo peso.
“Sasuke,” biascicò, “abbandona la vendetta.” Un respiro. “Dopo non ti rimarrà più niente. Solo un gran vuoto.”
Ridacchiai, roteando le pupille e mostrando il bianco degli occhi: “Sei un illuso. Quest’odio,” riposi la katana, per lui mi sarebbe bastato un mero kumite, “necessita l’annullamento.”
“Risparmia il villaggio,” implorò, posizionando le mani per il suo patetico Mille falchi.
“Quest’odio,” scrocchiai il collo, “ha bisogno di essere sfogato… su qualcuno.”
Cercò di tenersi dritto, mettendosi in posizione: “Dovrai passare sul mio cadavere.”
Ghignai soddisfatto, osservando le scariche intorno alla sua mano: “Non vedo l’ora.”
Fu lui ad attaccarmi, raggiungendo da subito la sua massima velocità: ingenuo. Ero cresciuto, ero diventato più forte, più veloce, più astuto e tremendamente più spietato.
All’inizio feci finta di trovarmi in difficoltà; schivai il suo Chidori, ma mi lasciai colpire da un paio di pugni insulsi e un calcio ancor più debole.
Lo distrassi con qualche tecnica di fuoco, una banalità, eppure lo misi in difficoltà: il fumo annebbiava il suo patetico Sharingan che non riusciva più a vedermi.
Per pietà attesi il dissiparsi delle fiamme per attaccare di nuovo con una serie infallibile di kunai che si conficcò nelle sue carni nei punti da me mirati.
Ascoltai compiaciuto il suo grido gelido e lo ammirai strapparsi via quei coltelli, facendo sanguinare copiosamente le membra un tempo flessuose.
“Come hai intenzione di eliminarmi?” lo derisi, incrociando le braccia difronte al petto.
“Non ho mai avuto intenzione di eliminare un mio allievo,” confessò come se avesse dovuto essere una rivelazione d’importanza catastrofica.
“Sei il solito stolto, sempliciotto,” lo schernii, “ora mi sono rotto di giocare con te.”
Volevo il sangue della mia prossima preda. Kakashi era diventato monotono. Le sue mosse scontate mi stavano rovinando il gusto di quella mia vendetta lungamente premeditata.
Mi mossi in una corsa zigzagata, prima di saltargli alla gola per stringerla in una stretta mortale della mia mano. Schivò per miracolo e tentò un attacco doppio combinato di Kage Bunshin, troppo scontato, troppo prevedibile, così tanto che intuii che era tutto un modo per distrarmi dall’inutile tentativo di colpirmi con il Chidori di un terzo copione nascosto.
Scattai più volte in direzioni diverse, rendendo la mia figura inafferrabile. Non riusciva neanche più a sfiorarmi, talmente ero diventato abile e svelto. Mi venne da ridere sguaiatamente, mentre il sensei si fermava per riprendere fiato. Come era vecchio.
Brandii Kusanagi in una stretta salda. Con la manica del mio haori(1) bianco pulii la lama dal sangue fresco degli altri shinobi morti prima di lui, così che la stoffa preziosa s’insudiciasse.
“Concedo che il tuo sangue non si mischi con quello pessimo dei tuoi compagni.”
Lui sgranò gli occhi nel prendere coscienza che quella era la sua fine, ma il suo Sharingan non aveva neanche più la forza di vorticare, solo quella di spegnersi.
“Sasuke, farai del male a te stesso,” tentò vanamente, ma io ero già scattato.
Alzai l’arma verso il cielo infelice e feci pervadere in lei una scarica elettrica mortale. Le sue pupille si dilatarono, ma era troppo tardi per fermarmi. Poteva solo vedere le foglie delle piante intorno agitarsi al mio repentino passaggio senza, però, potermi individuare.
Kakashi non mi vide quando gli giunsi alle spalle e lo trafissi in mezzo alle scapole, puntando al suo cuore pulsante. La lama si macchiò di vermiglio caldo e viscoso, mentre il suo rantolo di morte si imprimeva a fuoco nella mia memoria.


Primavera

“Out there so quickly grows malignant tribes.
Post-human extinction excels, unrecognized.
Feeling surrounded. So bored with mortality, I decay.
All of this hatred is fucking real. Turn it on... yeah!”
 

“Lì fuori crescono così velocemente tribù ostili.
L’estinzione post-umana eccelle, misconosciuta.
Sentendomi sconfitto, così annoiato dalla mortalità, marcisco.
Tutto quest’odio è fottutamente reale. Accettalo…sì!”

 
Le mura si stavano sgretolando, generando rumori cupi contro il suolo bruciato. L’odore di carne carbonizzata mi avrebbe nauseato, se non avessi saputo che fosse merito mio.
Quello era il profumo perfetto per la mia vendetta. Morite, abitanti di questo insulso paese, nato nell’errore e vissuto nell’ipocrisia. Morite arsi dalla fiamma del mio risentimento.
Avevo appena raso al suolo l’ospedale. Le urla di malati e medici erano state le più melodiose perché le più indifese. Il mio rancore non poteva risparmiare nessuno.
Nessuno sarebbe sopravvissuto, non dopo aver causato lo sterminio della mia famiglia. Tutto il villaggio ne avrebbe pagato le conseguenze. La loro vita e il loro sangue sarebbero stati il pegno che avrei esatto come tassa per i loro peccati.
Ed il sangue non mi sembrava mai abbastanza, ne volevo ancora. L’avrei bevuto direttamente dalle carni maciullate di qualche vittima, se ce ne fosse stata qualcuna degna di questo onore.
“Ho sete,” realizzai. “Ho sete di morte.”
Ridacchiai impazzito, agitando le spalle e mordendomi le labbra per non far uscire suoni e tenere il divertimento tutto per me.
“Sasuke, basta,” mi chiamò una voce. “Ti prego.”
Pianse.
Nei miei occhi potevano solo riflettersi le fiamme divoratrici di anime del mio Amaterasu. Fiamme che nessuno avrebbe spento, men che meno una voce lamentevole come quella.
Un sorriso sghembo sorse come un sole letale sulla mia bocca riarsa: avevo la mia prossima preda.
“Sasuke…” gemette l’illusa. Nessuno avrebbe potuto fermarmi dalla mia vendetta sui mortali, che mi avevamo privato del focolare materno. Nessuno… tanto meno una piattola lamentosa.
“Sakura,” sorrisi oscenamente, vedendola accasciata a terra con un braccio sanguinante e diverse bruciature a sfregiarle il volto, “ti concedo un minuto per fuggire, prima che ti elimini.”
Era fin troppo facile per un Uchiha spezzare un’esistenza. Quella che mi scorreva nelle vene e si concentrava negli occhi era un’onnipotenza reale e l’avrei sfruttata, usurpando ogni diritto alla vita.
“Sappi che…” singhiozzò pateticamente, “io ti perdono. So che non lo vuoi fare davvero.”
Nel mio gene c’era prepotenza, innata malignità e fascino per la morte, ma lei ignorava tutto questo. Lo aveva sempre fatto. Non sapeva quanto io bramassi sottrarre vite come un ladro ruba gioielli di notte nelle case nobili.
“Non conosco pietà. Scappa finché sono di buon umore,” le consigliai freddamente, irritato dal suo buonismo insulso e insensato.
“Sasuke, io ti conosco. Ragiona!” strillò forse in preda al panico, forse schiava della disperazione.
La Volontà del Fuoco non mi sarebbe sopravvissuta, nemmeno la sua.
Voltai lentamente il collo in direzione di quella voce femminile. Lei era ancora lì, accasciata per terra con le spalle tremanti e il volto rigato di stupide lacrime.
“Cerchi ancora della misericordia in me?” chiesi stupito per quell’assurdità, inarcando un sopracciglio esterrefatto dalla sua ottusità.
Lei singhiozzò, annuendo inutilmente la sua risposta.
Era una visione pietosa, indegna anche solo di entrare nel mio campo visivo. Chiusi le palpebre, concentrandovi un regolare flusso di chakra, poi le riaprii e la puntai.
Mi avvicinai di qualche passo, lo sguardo pronto, ma un ingannevole sorriso sul volto. Ero venuto a Konoha per divertirmi e lo avrei fatto in modo spregiudicato.
Mi chinai su di lei, brandendo il suo mento tra le mie dita e alzandolo in mia direzione.
“Sasuke…” singhiozzò, guardandomi con quegli occhi verdi colmi d’impossibili speranze.
Non riuscii a trattenere il ghigno malato che mi storpiò la bocca: godevo troppo, come un sadico.
Avvicinai le labbra alle sue e lei mi scrutò con sguardo smarrito eppure fiducioso. La sfiorai.
“Illusa,” la gettai via lontano dalla mia algida figura, buttandola in mezzo al fango e facendola gemere. Un suono orrendo anche per un animale. Non la volevo più di fronte ai miei occhi.
“Muori con dignità,” la intimai e lei alzò lo sguardo finalmente impaurito.
Il secondo dopo la sua figura era sparita, sommersa da una bollente vampata nera, che le avrebbe fatto da pira per il suo riposo eterno.
 


Estate

“It won't be all right, despite what they say.
Just watch the stars tonight as they, as they disappear, disintegrate.
And I disintegrate, 'cause this hate is fucking real.
And I hope to shade the world, as stars go out and I disintegrate.”

 
“Non andrà tutto bene, nonostante quel che dicano.
Stanotte guarda solamente le stelle, come loro… come loro scompaiono e si disintegrano.
E anche io mi disintegro, perché questo odio è fottutamente reale.
E spero di oscurare il mondo, mentre le stelle si spengono e io mi annullo.”

 
Il villaggio era completamente in rovina. Sorrisi soddisfatto, osservando lo scenario di distruzione che si estendeva sotto il mio sguardo: dall’altura dei Kage la vista era impagabile.
Quello che era il potere inviolabile di Konoha e dei Senju era appena stato spazzato via da me, l’ultimo Uchiha. Mi veniva da ridere.
“Che cos’hai fatto, Sasuke?” pronunciò incerta una voce alle mie spalle.
“Ho infranto il tuo sogno di diventare Hokage.”
Avrei alzato le spalle dispiaciuto, se l’intera situazione non mi fosse stata indifferente. Rimasi impassibile, godendomi ancora quello spettacolo di fiamme affamate di vita da consumare.
“Perché?” sussurrò. Sentii un passo verso di me. “Hai distrutto tutto…”
“Non ho mai potuto permettermi un sogno,” dissi semplicemente. Io ero diverso da lui.
“Lo sai che non intendevo quello,” Naruto fece un altro passo verso di me, facendo scricchiolare le pietruzze per terra. “Perché non sei tornato?”
Era diventato cieco durante la mia assenza? Io ero lì, avevo appena raso al suolo la sua patria.
Mi voltai per fronteggiarlo: “Sono qui o non ci vedi? Sono tornato per annientarvi.”
“Ti sbagli. Tu non sei mai tornato,” gli colò una lacrima sullo zigomo graffiato, ma l’asciugò repentinamente con la manica della solita tuta arancione. “Uccidimi e dopo uccidi te stesso. Forse così potrò rincontrare il vero Sasuke nella morte.”
Parlava in modo terribilmente insensato. Evidentemente era scioccato. Probabilmente era perché avevo appena fatto crollare la terra sotto i suoi piedi, non gli rimaneva più nulla, ma il fatto che non riconoscesse che fossi stato io ad annullarlo, a cancellare la viscida realtà del nostro villaggio, mi infastidiva. Volevo che riconoscesse i miei atti, le mie colpe. Lo avrei ammazzato.
“Io sono qui,” ripetei con gelida fermezza. “Io ho ammazzato tutti i tuoi cari amici.”
“Non capisci vero?” disse, scuotendo la testa sconsolato. Poi portò una mano alla cerniera della felpa e tirò la zip, fino ad aprirla completamente e scoprire il petto inerme, offrendomelo apertamente. “Eliminami, non mi opporrò.”
“Ma sei scemo?” mi inalberai. “Io non ti ucciderò perché me l’hai chiesto tu, ma perché era già in programma che lo facessi!”
Fece un altro passo verso di me, infilandosi le mani in tasca e guardando spensierato il cielo ormai notturno sopra le nostre teste: “Dovrei scegliere le ultime parole da dirti, ma…”
Lasciò la frase sospesa, mentre cercava di scrutare qualcosa nell’aria, le stelle probabilmente.
Inspirò profondamente e poi disse con un sorriso, che gli spaccò le labbra secche, facendo colare una goccia d’amaranto: “Sei il mio migliore amico, Sasuke.”
Il mio Sharingan si attivò da solo a quelle parole, iniziando a vorticare come impazzito. Continue ed ininterrotte fitte alla testa iniziarono a conficcarsi ripetutamente nel mio cervello come spilli aguzzi e letali. Mi afferrai il capo tra le mani, premendo sulle tempie, mentre immagini di morte e sofferenza scorrevano davanti ai miei occhi impazziti, sovrapponendosi e confondendosi in un fluido scorrere di dolorose sensazioni. Era come se mi stessi sottoponendo da solo a uno Tsukuyomi, incontrollabile, inopponibile, fatale.
Urlai, straziato dalla mia stessa tecnica, che mi stava facendo perdere il controllo. Dovevo fermarla prima che il dolore della pazzia di impossessasse di me, del mio essere senziente.
Il mio corpo intero cominciò a tremare spasmodicamente, la pelle prese ad ardere e il chakra generò automaticamente scosse di elettricità, che iniziarono a circondarmi e infliggermi le prime bruciature, ferendomi ovunque sopra e sotto le vesti. Afferrai i lembi della casacca, tirandoli, come se denudarmi avesse potuto servire a lenire quella tortura.
“Sas’ke!” gridò Naruto, correndo al mio fianco, la voce dilaniata dalla preoccupazione. “Stai bene? Cosa sta succedendo?” chiese invano, “Resisti!”
Si piegò su me, sorreggendomi per le spalle, mentre cercava di sopportare lui stesso i fulmini impazziti che scagliavo involontariamente e che scaricavo su di lui.
“Sas’ke, che cos’hai?” mi domandò, serrando i denti per evitare che sbattessero nelle scosse incontrollate che lo attraversavano. Strinse ancora la presa per non lasciarmi cadere al suolo.
Poi tutto fu repentino, veloce come il battito di un cuore. Alzai lo sguardo e incrociai il suo.
Improvvisamente cademmo dentro il mio Genjutsu, insieme: il mondo divenne nero, vermiglio e blu. Io, sorretto dalle sue mani, lo scrutai e lui di rimando mi sorrise mestamente.
“Questa volta non siamo dentro di me,” infatti non c’era Kyuubi, ma solo tutta la mia sofferenza; la si poteva respirare come aria liquida in quella dimensione mentale.
Poi un urlo di fanciullo e a destra comparve un ricordo sbiadito nel rosso: io, ferito da lunghi spilli conficcati in tutto il corpo, giacevo tra le braccia di Naruto. Eravamo bambini e lo avevo appena protetto dall’attacco di Haku. Gli parlavo, gli confessavo le mie ultime parole, prima di morire.
Quella volta non ci lasciai le penne, lui mi aveva protetto.
Strinsi i denti, sfregandoli. Poi le immagini si dissolsero, lasciando il posto a delle nuove: noi un po’ più grandi sul tetto dell’ospedale. Io lo guardavo con odio e malcelata invidia, il suo sguardo invece era di sfida.
“Non hai mai capito niente di me,” accusai allora il Naruto che mi stava ancora sorreggendo. Lo guardai e notai un rivolo di sangue scendergli dalla bocca, piegata in un vago sorriso.
“Una volta era diverso,” sussurrò, distogliendo gli occhi dal nostro antico duello.
“Ora cos’è cambiato?” domandai nella mia impassibilità, poi venne richiamato alla memoria il nostro primo incontro dopo tre anni di separazione. Io l’avrei ucciso volentieri in quell’occasione.
“Ho imparato ad accettarti,” disse, poggiando la fronte sulla mia, “ad accettare le tue scelte.”
Poi sentii le sue mani scivolare via dalle mie spalle e la sua fronte staccarsi.
Spalancai gli occhi per incrociare i suoi, grandi e cerulei, così da specchiarsi a vicenda: i miei impazziti per il Genjutsu contro i suoi pacifici, gentili.
Mi resi conto solo in quel momento che stavo ancora scaricando tutto il mio Chidori su di lui, sopraffacendolo nella carne. Riuscii a terminarlo.
Il suo corpo cadde tra la polvere, alzandola in una leggera nuvola.
La carne era abbronzata, ma non del suo colore naturale; era stata cotta dalla mia corrente e fumava vapore dall’odore nauseante.
Gli occhi chiari erano riversi all’indietro, ormai ciechi per questa realtà. La mia arte illusoria aveva mostrato loro i nostri momenti peggiori in questo mondo l’attimo prima che lui lo lasciasse.
Appoggiai una mano sul suo cuore, anche se ormai ne avevo già la certezza: era ancora caldo, ma nulla in lui si sarebbe più mosso.
“Naruto…” mi tremò la voce.
 


Inverno

“Will not be alright...
...despite what they say.
Just watch the sky...
...as stars go out.
And I disintegrate!”
 

“Non andrà tutto bene…
… nonostante quel che dicano.
Guarda solamente il cielo…
… mentre le stelle si spengono.
E io mi disintegro!”

 
La mia mente uscì dal corpo e si mise ad osservarmi.
Ero lì, inginocchiato accanto al cadavere di Naruto, le spalle che non riuscivano a tenersi dritte e le braccia abbandonate senza forza lungo i fianchi.
Il volto era inespressivo, lo era sempre stato. Perché avrei dovuto scompormi per lui?
“Naruto…” ripetei.
Nell’impassibilità scorsi una lacrima scendermi giù lungo una guancia, solitaria.
Alzai il volto verso l’alto, pensando: “Avevo una stella cadente, che piangeva per me, morente.”
Un seconda lacrima seguì la prima, poi una goccia di sangue e una nuova lacrima di sale.
Ero impazzito, ma lui mi era stato accanto. Anche se sapeva che stavo per ucciderlo, mi si era avvicinato per soccorrermi. Aveva sfidato il mio chakra ribelle, bruciante e letale per sorreggermi un’ultima volta.
Era il mio migliore amico. Forse.
Chiusi gli occhi, ripensando a Sakura e Kakashi che ora giacevano nella terra in compagnia dei vermi, che si sarebbero cibati delle loro interiora.
Non me ne fregava niente di loro, tuttavia… i capelli biondi sbiadirono nel mio sguardo annebbiato da un pianto amaro.
Lui mi aveva compreso. Lui mi aveva accettato. Lui… aveva mantenuto la promessa di morire, se non fosse riuscito a riportarmi indietro.
Alla fine era morto, ma a casa mi ci aveva riportato.
Decisi.
“Morirò qui, dove tu mi hai ritrovato, amico mio.”
Aveva detto che saremmo morti insieme e non lo volevo più deludere.
“Manterrò la tua parola data, così che tu possa conservare il tuo onore.”
Passai la mano sui suoi occhi spenti per nasconderli al resto del mondo. Erano miei e sarei andato a riprendermeli nell’Aldilà.
“Ti raggiungerò e ti restituirò il tuo Sasuke.”
Mi sarei tolto la vita lì, sull’altura dei Kage, lì dove l’ultima persona che potesse avere importanza per me aveva esalato il suo ultimo respiro.
Mi chinai e sfiorai le sue labbra, rimproverandolo: “Avresti dovuto dirmele prima quelle parole.”
Ora anche il corpo di Naruto sarebbe stato divorato dai batteri decompositori. Insieme al mio.
Afferrai Kusanagi.
“Lascia che io muoia al tuo fianco.”
Accarezzai la paffuta guancia morta, poi sfiorai le palpebre di quegli occhi celati così limpidi, che probabilmente mi stavano osservando dal cielo come una stella.
Alzai di nuovo lo sguardo sui lumi celesti. Sarebbero stata l’ultima cosa che avrei visto, ma non mi dispiaceva perderle per sempre. In fin dei conti, le mie stelle cadute mi stavano già aspettando altrove.
Sarei morto insieme al mio Team. Lo avrei raggiunto presto e questo pensiero bloccò le lacrime, ristorandomi. Non avrebbe avuto senso continuare a vivere nel vuoto della mia vendetta consumata.
“Torna ai tuoi cari, Sasuke,” mi suggerii, poi mi allargai la casacca e accostai la punta della lama contro l’ombelico nudo.
Abbassai di nuovo lo sguardo e decisi che l’ultima cosa che invece avrei visto sarebbe stato il familiare volto di Naruto che, per quantoerapacifico in quell’immobilità cadaverica, mi trasmise serenità, annullando ogni possibile paura.
“Questa volta tornerò davvero. Aspettami,” dissi con risolutezza.
Spinsi con forza la katana contro la mia stessa carne, squarciandomi il ventre, fino ad arrivare al diaframma e bucare i polmoni. Tremai.
Rantolai, tossendo sangue, mentre i respiri iniziavano a farsi brucianti e impossibili.
Quando non ebbi più la forza di reggermi, accasciai il mio busto trafitto sull’addome del mio amico e lasciai che la testa penzolasse dal suo petto muscoloso.
Lo sporcai col mio sangue, ma dentro di me sapevo che lui ne sarebbe stato felice.
Matane(2)” sussurrai, regalandogli un unico, irripetibile sorriso.
Poi le palpebre si calarono da sole sul mio Sharingan morente, facendomi perdere la vista dell’unica stella a cui fosse mai importato qualcosa di me.
 
NOTE:
(1)   Haori: casacca più corta del kimono che funge da giacca al kimono stesso. In questo caso si riferisce al tipico abbigliamento di Sasuke in Naruto Shippuuden.
(2)  Matane: espressione colloquiale giapponese che si dice tra amici quando ci si separa, sapendo che ci si rivedrà. Lett.: “Ci vediamo.”
(3)  La canzone è: Death of Seasons degli A.F.I. [http://www.youtube.com/watch?v=y1r5rfjcmXI]
(4)  La traduzione del testo della canzone è stata fatta da me. Non assicuro la totale correttezza, ma è molto meglio di altre che ho letto in giro ed ovviamente rispecchia la mia interpretazione della canzone stessa, che può non concordare con quella originale.
(5)  I personaggi non sono miei, ma appartengono al sensei Masashi Kishimoto. La storia mi appartiene e non è stata scritta a scopi di lucro.
 
   
 
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