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Autore: Blackmoody    27/04/2013    2 recensioni
Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
[...] «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Erin Anwar è una midgardiana giovane, brillante e arrogante. Non ha poteri o strani segreti, solo una mente particolare – e non brama l'asservimento. Non per se stessa, sicuramente. Il giorno in cui la sua strada incrocia quella di un certo dio asgardiano sarà un giorno che almeno due mondi ricorderanno a lungo.
Post-Avengers, diciassette capitoli, EPIC BADASSERY.
microcorrezioni 2O14
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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12.

Won’t you let me know?

 

 

 

 

 

 

Loki afferrò con entrambe le mani e con una sorta di fremito reverenziale il bastone dorato dalla punta azzurra e luminosa che Thanos gli aveva donato a suo tempo: i tecnici dello S.H.I.E.L.D. lo avevano tenuto al sicuro in uno dei molti arsenali della base, non senza averlo studiato a fondo per comprenderne il funzionamento, e Nick Fury glielo aveva porto con cautela prendendolo dalla teca in cui era stato racchiuso per quasi tre mesi.

Il Dio degli Inganni piegò le labbra in un mezzo sorriso soddisfatto, stringendo le dita attorno al liscio metallo dell’arma e assaporando in silenzio la sensazione di averlo nuovamente con sé, il potere che gli comunicava nonostante fosse un artefatto plasmato dal folle titano.

Il direttore colse la sua espressione e gli si rivolse in tono asciutto:

«Perché Thanos ti ha consegnato quell’oggetto? Non soltanto per combattere, immagino.»

«Dovresti dirmelo tu, direttore. Non è forse con questa mia lancia che l’agente Romanoff ha interrotto il contatto tra il Cubo e il varco dimensionale, a New York? Io me ne sono servito per scopi ben più banali e non ho mai avuto modo di scoprire se Thanos lo avesse progettato con ulteriori e più precisi propositi.» replicò pacatamente l’asgardiano.

Fury lo squadrò con occhio sospettoso: «Neppure noi siamo giunti a conclusioni più approfondite. È innegabile che vi sia un qualche legame tra il Tesseract e il tuo bastone, ma quale esso sia non saprei proprio. Nessuno lo sa.» rispose misurando bene le parole; «Se però affermi che ci sarà utile in battaglia, per il momento mi basta.»

«Combattere il nemico con le sue stesse armi o con armi da lui create è sempre utile.» si limitò a dire Loki mentre ancora soppesava il manufatto. In verità ciò che gl’importava realmente era l’averlo recuperato, sebbene fosse un peccato che l’uomo dalla pelle scura non potesse dirgli alcunché di interessante e che già lui stesso non sapesse. L’idea di domandare la lancia indietro gli era balenata in mente a Seattle, all’improvviso, e non aveva pensato al come e al perché gli sarebbe di nuovo servita; per quanto avrebbe potuto ricrearne una identica dal nulla, qualcosa gli aveva suggerito che avere l’originale avrebbe aumentato le possibilità di un confronto alla pari col titano rosso – e forse la chiave era il nesso con il Cubo.

«Confido che non te ne avrai a male se terrò il bastone con me, direttore.» soggiunse quindi, e senza aspettare risposte fece danzare le dita nell’aria e l’oggetto scomparve.

L’altro lo fulminò con lo sguardo: «Confido che non lo userai per commettere idiozie qui dentro. Dov’è la tua dama irlandese?»

«Mi ha pregato di riferirti che si sarebbe fatta scortare sul tetto per gustare una birra. Perdonami se ho dimenticato di avvertirti.» sogghignò l’asgardiano andando verso la porta. Gli agenti la aprirono per lasciarlo passare e lo seguirono fuori dal laboratorio per accompagnarlo nuovamente al suo alloggio, ma nel corridoio trovarono il Dio del Tuono ad attenderli, le gambe divaricate e l’espressione un po’ incerta:

«Anche Jane si è recata sul tetto. Suppongo che voglia parlare con Erin.» disse a Loki, e d’istinto gli uomini dello S.H.I.E.L.D. si allontanarono di un passo dai due.

«E tu vuoi parlare con me, non è così?»

Thor annuì: «È quello che ti chiedo da quando siamo partiti da Seattle, fratello.»

«Se convincerai il qui presente signor Fury a lasciarci da soli per qualche minuto sarò felice di accontentarti. Del resto dovrebbe permettercelo, se si fida di te.» suggerì il Dio degli Inganni.

Il direttore, che nel frattempo li aveva raggiunti, incrociò le braccia e scrollò le spalle:

«Posso concedervi una stanza fuori dalla quale metterò questi agenti, pronti a intervenire. Di un asgardiano in media mi fido e dell’altro non mi fido affatto, se non vi fosse chiaro.»

«Cristallino, oserei dire.» ribatté Loki alzando gli occhi al cielo con fare annoiato: «Eppure, direttore, se avessi voluto nuocervi lo avrei già fatto, e per esperienza sai che persino un centinaio di tuoi uomini avrebbe difficoltà nel contrastarmi. E se volessi approfittare di una conversazione privata per colpire mio fratello a tradimento sarei un perfetto sciocco, poiché ciò non mi recherebbe alcun vantaggio.»

Fury rilassò appena i muscoli facciali e piegò impercettibilmente la testa, e il dio dai capelli neri intuì che il proprio logico ragionamento, peraltro sincero, lo aveva convinto:

«Una stanza, due soli agenti di guardia e tutto il tempo che volete.» concesse infatti l’uomo, indicando una porta scorrevole a pochi metri da loro che venne prontamente aperta.

Thor ringraziò il direttore, Loki sorrise con sufficienza e insieme varcarono la soglia.

 

 

Nella luce tenue del crepuscolo e dei fari accesi sul tetto Erin osservò Jane di rimando, incuriosita, e sollevandosi da terra le porse d’istinto la bottiglia di Red Stripe:

«La dottoressa Foster, giusto? Gradisci un sorso di birra?» la apostrofò.

Non riusciva a capire per quale motivo la giovane fisica si mostrasse tanto cordiale e quasi empatica nei suoi confronti, come nessuna delle altre donne presenti alla riunione e sulla pista d’atteraggio; forse perché doveva avere circa la sua stessa età, ipotizzò l’irlandese.

«Jane Foster. “Dottoressa” mi fa sentire vecchia.» sorrise la ragazza accettando l’offerta, quindi le restituì la bottiglia e le si fece più vicina. «Spero di non averti disturbata, Erin. Vorrei scambiare quattro chiacchiere con te, ora che sei qui.»

«Figurati, stavo solo...» iniziò a tranquillizzarla la musicista agitando l’iPod che ancora aveva in mano, ma si bloccò e la fissò corrugando le sopracciglia: «Aspetta un attimo. Ho la sensazione che mi sia sfuggito qualcosa che dovrei sapere e che tu invece sai benissimo.»

Jane sgranò i grandi occhi castani, stupita: «Non hai la più pallida idea di chi io sia?»

«Sei un’astrofisica e collabori con lo S.H.I.E.L.D.» rispose Erin con ovvietà.

La sua interlocutrice scoppiò a ridere, le guance tinte lievemente di rosso: «Oh, accidenti, credo di aver appena fatto una gaffe clamorosa! Perdonami, ero assolutamente convinta che tu fossi al corrente del mio legame con Thor e del mio ruolo nelle sue vicende, visto che in parte riguardano anche suo fratello. Ora ammetto che fosse un pensiero un po’ presuntuoso.»

La ragazza di Galway aprì la bocca per parlare, la richiuse subito e ridacchiò a sua volta rimettendosi a sedere, stupita e divertita dalla rivelazione di Jane Foster. Erano entrambe umane, entrambe giovani ed entrambe legate in qualche modo ai due fratelli piovuti dal Valhalla, ed era ovvio che la dottoressa, essendo a conoscenza della sua esistenza e del suo rapporto con Loki, si sentisse a lei affine e depositaria di un fato simile al suo.

«Scusami tu, non ne sapevo nulla.» disse guardandola dal basso: «Che genere di legame?»

Jane le si sedette accanto, il bel viso più colorito di prima: «Non è semplice da definire. Ci incontrammo più di un anno fa in New Mexico, durante il suo esilio sulla Terra, e fino al mese scorso siamo stati lontani. Ma per quanto possa sembrare stupido e infantile io amo lui e lui ama me, e davvero non so a cosa questo potrà condurre.» raccontò.

«Odino aveva cacciato anche Thor di casa privandolo dei suoi poteri? Dev’essere una prassi educativa molto gettonata, in quella famiglia.» commentò Erin cercando di suonare sorniona, eppure la voce le uscì più debole di quanto avrebbe voluto.

Era turbata, e il verbo “amare” utilizzato dall’altra nel parlare di ciò che provava per il biondo le suonò fin troppo familiare, fin troppo adatto per dare un nome a quel che lei sentiva ormai per il Dio degli Inganni, a quel groppo che le infuocava il petto.

«Perché non è tornato da te per più di un anno?» domandò allora alla fisica per distrarsi, mandando giù l’ultimo dito di birra rimasto.

«Esisteva una sorta di ponte tra Asgard e la Terra, una via tra i mondi che Thor chiama Bifröst e che mi ha descritto come un infinito arcobaleno. Nell’andarsene dal New Mexico mi promise che avrebbe fatto ritorno subito dopo aver fermato suo fratello, ma il loro scontro provocò grossi danni al Bifröst e i contatti diretti col nostro pianeta furono irrimediabilmente compromessi.» spiegò Jane: «Thor dice che adesso soltanto suo padre può permettere a qualcuno di superare le barriere dimensionali tra i Nove Regni, e che finora lo ha fatto unicamente per aiutare i Vendicatori e nel bandire Loki da Asgard.»

Erin alzò il capo verso il cielo che andava tingendosi di blu notte sopra di loro:

«E se il Bifröst tornasse a funzionare?» mormorò quasi tra sé.

«Penso che sarebbe tutto molto più facile. Per loro, per i Vendicatori e naturalmente anche per te e per me.» sospirò l’altra con un sorriso malinconico.

Era buffo e sciocco disquisire di affetti e sogni con la guerra alle porte, e per un po’ nessuna delle due parlò. Tutto era sereno e immoto intorno a loro, al punto che quando l’irlandese spezzò il silenzio lo fece con cautela per non intaccare quella pace:

«Ci ritieni così simili l’una all’altra, Jane?»

«Non ti conosco, Erin, e non conosco il tuo carattere, ma come potremmo non rassomigliarci? Siamo legate a due fratelli di un mondo lontanissimo dal nostro, siamo mortali e ignoriamo quel che ci accadrà. Eppure li amiamo, Erin, e questa è la cosa più bella e strana di tutte.» replicò l’astrofisica con fervido slancio, protesa verso la ragazza di Galway.

Questa la fissò senza realmente vederla, incapace di formulare una frase sensata: si trattava di questo? Era questo che Jane pensava della relazione tra lei e il Dio degli Inganni? Li paragonava a sé e a Thor e nulla sapeva di loro, e pronunciava con eccessiva facilità la parola “amore”.

Dalle labbra le sgorgò una risata altezzosa che sorprese entrambe:

«Non esagerare con le affinità, dottoressa! Cosa ti fa credere che il mio sentimento per Loki sia uguale a quello che tu provi per suo fratello? Cosa ti fa credere che io senta qualcosa del genere per lui?» se ne uscì in tono così convincente e beffardo che per pochi istanti credette a ciò che stava dicendo. Ma la scienziata tornò a sorridere con la piacevole malinconia di poco prima, gli occhi accesi e l’espressione incredibilmente limpida:

«Che cosa senti, allora?» le chiese con tranquillità.

Erin esitò, colpita suo malgrado dalla pacatezza della sua interlocutrice, e con il cuore più pulsante che mai prese a mettere in fila tutto quel che si portava dentro per sbrogliare la matassa delle proprie sensazioni.

«Lo desidero, lo ammiro, mi piace il suo modo di vedere il mondo. Lo sento a me vicino più di chiunque altro e mi affascina terribilmente, anche se ne ho un po’ paura. All’inizio era come aver trovato un inestimabile tesoro da sfruttare a mio esclusivo beneficio, un’eccitante novità e un’occasione per mettere in mostra la mia misantropia. Ma ora la sola idea di vederlo andare via e di dirgli addio mi rende triste, e immaginare di tornare alla normalità senza di lui mi sembra di uno squallore eclatante.» confessò tutto d’un fiato, e man mano che parlava ogni cosa pareva farsi chiara e lampante e acquistare un senso. Poi un singulto la colse, e vinta dall’emozione l’irlandese aggiunse in un soffio:

«Non voglio perderlo, cazzo.»

Jane le strinse amichevolmente una mano: «Lo so. E come chiameresti tutto questo?»

«Che sono un’imbecille, ecco come lo chiamerei.» borbottò la musicista con una smorfia.

«Amare qualcuno non ci rende mai molto più furbi, Erin.»

E lei, finalmente, si arrese. Sotto la volta celeste ormai ammantata di buio e di stelle, su quel tetto in penombra e tra i suoni ovattati della notte, la donna d’Irlanda seppe di amare profondamente il Dio degli Inganni: e benché il solo pensarlo fosse folle, benché lo avesse compreso troppo tardi, Erin Anwar fu felice di ammetterlo e capì, come quando si erano baciati per la prima volta a ritmo di swing, che non avrebbe potuto essere altrimenti e che era giusto così. Ridendo si godette quel momento e pensò che di fronte a una verità tanto assurda e splendida persino la tristezza poteva aspettare, e ricambiando la stretta di mano di Jane Foster la guardò e disse: «Qui urge un brindisi. Ti va un’altra birra?»

 

 

Thor si era ripromesso di raccontare al fratello cos’era accaduto ad Asgard durante il primo attacco bostoniano dei guerrieri di Thanos e di come avesse pregato il padre di restituire i poteri al secondogenito, ma adesso che poteva avere con questi un confronto che non prevedesse l’avere armi in pugno, dopo tanto tempo, il biondo tentennò: una simile rivelazione avrebbe soltanto avuto l’effetto di scatenare la collera di Loki e il proverbiale rancore che gli serbava, e certo lui non cercava lo scontro. Per una volta poteva permettersi di essere quello che taceva una verità all’altro, convenne tra sé il Dio del Tuono, e lo faceva a fin di bene.

«Come fai a essere certo che il figlio di Mentore ci attaccherà a breve, fratello?» esordì quindi nella stanza vuota che Fury aveva loro messo a disposizione; non era proprio l’argomento di conversazione che aveva in mente, eppure i dubbi che la riunione aveva sollevato in lui continuavano a renderlo inquieto.

Loki, che misurava a passi lenti il perimetro della saletta, si fermò e appoggiando pigramente le spalle al muro lo guardò: «Non lo sono. Diciamo che lo ritengo assai plausibile.» rispose.

«Non si è mai mostrato e non ha mai dato segno di voler cambiare strategia. Perché dovrebbe farlo proprio ora, proprio nel momento in cui coloro che possono contrastarlo hanno unito le forze?» proseguì Thor in tono grave, avvicinandosi.

Il Dio degli Inganni pensò che se il suo roboante congiunto fosse stato lievemente più intelligente e sospettoso il quesito che aveva appena posto avrebbe potuto essere interpretato come un avvertimento, come il segnale che il figlio prediletto di Odino aveva colto un barlume d’imbroglio nelle sue intenzioni, giacché il suo collaborare coi Vendicatori puntava effettivamente a provocare il titano rosso. Tuttavia niente nell’atteggiamento di Thor lasciava supporre che lo stesse velatamente accusando di qualcosa, e l’asgardiano dai capelli neri decise che poteva arrischiarsi a non negare del tutto:

«Se fossi al posto di Thanos è proprio adesso che attaccherei, con i miei nemici riuniti sotto il medesimo tetto. È ciò su cui ho ponderato nel venire da te e dai tuoi midgardiani compari, ritenendola un’ottima occasione per indurlo a uscire allo scoperto.» disse.

«E non hai considerato il pericolo cui andiamo incontro?» gli ribatté il fratello; «Non fraintendermi, l’averti qui mi riempie di gioia. Eppure mi chiedo se non stiamo giocando col fuoco, fornendo addirittura un vantaggio al nostro avversario.»

Loki scosse il capo: «Valeva la pena tentare, e la vale tuttora. Inoltre,» asserì mentre i suoi occhi si spostavano ad arte verso la porta della stanza, «combattere in due soltanto stava divenendo altrettanto pericoloso.»

Thor sorrise, cogliendo il voluto riferimento dell’altro alla ragazza di Galway:

«Erin è forte e straordinaria. In tutta Midgard non avresti potuto incontrare donna più degna di te, così come Jane lo è per me.»

Le sue parole, oneste come sempre, produssero un inatteso sussulto nel Dio degli Inganni, che si rese conto di aver appena scoperto il più inusuale dei punti in comune che mai si sarebbe sognato di avere col Dio del Tuono: non nel pensiero, non nelle armi e non nell’ambizione, bensì nella rovina e negli affetti. Entrambi avevano subìto l’umiliante punizione dell’esilio per aver deluso il Padre degli Dei ed entrambi in quella sconfitta avevano trovato, senza volerlo, qualcosa di piccolo e inestimabile che li aveva in qualche modo mutati: un’astrofisica del New Mexico per il primo e una flautista di Galway per il secondo.

E se l’incontro con Jane Foster aveva reso Thor miracolosamente saggio e umile, l’avere Erin Anwar al proprio fianco non aveva cambiato molto l’animo di Loki, se non nei confronti dell’irlandese stessa. Era divenuta parte integrante del suo modo d’essere, d’agire e di sentire, e nel pensarlo egli ne fu irrimediabilmente felice.

«Forse hai ragione.» concesse quindi con un mezzo sorriso.

«Quando tutto questo sarà finito e torneremo ad Asgard pregherò Jane di venire con me. Implorerò nostro padre affinché escogiti una soluzione per ricreare il Ponte che la nostra follia ha distrutto, e molte cose miglioreranno per molti.» proclamò il biondo con ardore. «E tu cosa farai, fratello? Porterai Erin ad Asgard quando verrà il momento?»

«Se verrà il momento, per me.» lo freddò Loki con voce tagliente. Non aveva intenzione di rispondere, nulla aveva deciso al riguardo e d’altronde la riuscita del suo piano non era affatto scontata. Così ritenne opportuno concludere la conversazione prima che suo fratello toccasse altri argomenti delicati con quella sua spontaneità che spesso si dimostrava più insidiosa di abili menzogne e persuasive favelle.

«Si è fatto tardi. Io torno da lei.» annunciò avviandosi verso la porta.

Thor indugiò un istante e gli strinse una mano: «Ti ringrazio per aver parlato con me, Loki.»

Il Dio degli Inganni gli volse le spalle e si allontanò per avvisare gli uomini dello S.H.I.E.L.D. che lì avevano finito. Abbandonarono la stanza in silenzio, scambiandosi soltanto un ultimo sguardo, e i due agenti rimasti di guardia scortarono l’asgardiano al suo alloggio.

La camera era illuminata solo dai bassi neon sopra i letti e tutto vi appariva più morbido e confortevole. Erin era già rientrata e se ne stava in piedi, appoggiata alla scrivania metallica posta accanto all’armadio, e sollevò il capo quando Loki rientrò. Lui notò il suo volto colorito e i suoi occhi lucidi nonostante la poca luce e le si avvicinò lentamente, cogliendo qualcosa di completamente nuovo nella sua espressione e nella sua postura: era morbido e confortevole come l’atmosfera che permeava la stanza, e vibrante e acceso come soltanto l’irlandese sapeva essere. Lei sorrise e parve quasi trattenere il respiro:

«Com’è andata col caro direttore? Hai riavuto la lancia?» s’informò.

Il dio sogghignò e fece ricomparire il bastone in forma di scettro, la bolla blu che vivida brillava sulla sua punta: «È stato meno arduo del previsto. La tua conversazione con la donna di scienza si è rivelata interessante?» chiese di rimando.

«E tu ne hai avuta una con Thor, a quanto pare.» chiosò Erin sforzandosi di risultare arrogante. Il cuore le rimbombò nelle orecchie, battendo con orgoglio nel suo petto, e nello sfiorare con attenzione il metallo dell’arma che il compagno le stava mostrando pensò che avrebbe dovuto confessargli i propri sentimenti fintanto che ne aveva la possibilità. Le emozioni che provava premevano per uscire allo scoperto con l’irruenza di un’onda, ma rivelarle avrebbe comportato venire a conoscenza di ciò che Loki sentiva e non era sicura di volerlo sapere. Tutto sarebbe finito a breve, in un modo o nell’altro, e che il Dio degli Inganni la ricambiasse o meno aveva ormai poca importanza: l’aver compreso l’amore che gli portava era sufficiente.

«Cosa ti turba, donna d’Irlanda?» domandò l’asgardiano a bassa voce.

«Il futuro.» sussurrò Erin, e involontariamente ritrasse la mano destra dal bastone dorato per carezzargli il viso. Egli intuì con chiarezza che il turbamento dell’irlandese era dovuto a lui, più che alle incognite sul destino di Midgard, e facendo svanire nuovamente la lancia nell’aria premette il proprio corpo contro quello di lei e la baciò.

Erin gli si aggrappò con impeto, beandosi del suo sapore, e Loki fece scivolare le dita lungo il suo busto sino a raggiungere l’orlo dei corti calzoni di jeans che indossava: senza fretta glieli sbottonò, e con la mano cercò la carne calda e tenera tra le sue gambe.

Lei annaspò e con un gemito nascose il volto nell’incavo del collo del compagno, mordendoglielo appena e chiudendo gli occhi per assaporare ogni singola goccia del piacere che il movimento delle dita del Dio degli Inganni le procurava. Sentì i di lui abiti da guerra dissolverlesi tra i polpastrelli e con gesti febbrili gli aprì la tunica che portava al di sotto per stringersi alla pelle nuda e tiepida del suo torace. Quindi gli slacciò i pantaloni e lasciò che i propri cadessero a terra assieme agli slip, e Loki la fece sedere sul freddo ripiano metallico della scrivania cui si appoggiavano e la guardò negli occhi – e per un attimo si chiese se l’emozione che vi leggeva altro non fosse che un riflesso di ciò che aveva nei propri.

Tenendola saldamente per i fianchi entrò in lei, affondando con gratitudine nel suo calore, ed Erin gli allacciò le gambe intorno alla vita e rispose con tutto il fuoco e la forza che aveva: si convinse che quella sarebbe stata l’ultima volta che univa cuore, pelle e respiro col suo ingannatore divino piombato dritto dal Valhalla, e desiderò che quella notte non avesse mai fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

Ricordo a tutti che ho scritto questa storia l’anno scorso, perciò non è collegata in alcun modo a quella che probabilmente sarà la trama di The Dark World.

Doveroso era il confronto incrociato tra i due fratelli asgardiani e le loro signore, per chiarire e definire quali sono i pensieri e il sentire di Erin e Loki. È ricomparso lo scettro che quest’ultimo usa in Avengers e che come arma apprezzo un sacco: non vedevo l’ora che tornasse a utilizzarla, anche se si tratta pur sempre di un oggetto creato da Thanos e i suoi.

Il titolo del capitolo è una frase di Violet Hill dei Coldplay (if you love me / won’t you let me know?), canzone che potete tranquillamente ascoltarvi durante la lettura – insieme, eventualmente, a What if? (sempre dei Coldplay).

Prima di salutarvi volevo lanciare un piccolo appello: recensite, o miei lettori. Vedo che leggete, vedo che seguite, eppure conosco il parere di pochissimi tra voi (che colgo l’occasione per ringraziare direttamente – Maura77, Smith of Lies, Artemis Black, Tony Stark e Dama Galadriel) e questo mi dispiace. Se entro la fine della storia mi faceste tutti sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se vi ha coinvolto e incuriosito, ne sarei oltremodo contenta :)

Ossequi asgardiani e alla prossima!

 

 

  
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