12.
Won’t
you let me know?
Loki
afferrò con entrambe le mani e con una sorta di fremito reverenziale il bastone
dorato dalla punta azzurra e luminosa che Thanos gli aveva donato a suo tempo:
i tecnici dello S.H.I.E.L.D. lo avevano tenuto al sicuro in uno dei molti
arsenali della base, non senza averlo studiato a fondo per comprenderne il
funzionamento, e Nick Fury glielo aveva porto con cautela prendendolo dalla
teca in cui era stato racchiuso per quasi tre mesi.
Il Dio
degli Inganni piegò le labbra in un mezzo sorriso soddisfatto, stringendo le
dita attorno al liscio metallo dell’arma e assaporando in silenzio la
sensazione di averlo nuovamente con sé, il potere che gli comunicava nonostante
fosse un artefatto plasmato dal folle titano.
Il
direttore colse la sua espressione e gli si rivolse in tono asciutto:
«Perché
Thanos ti ha consegnato quell’oggetto? Non soltanto per combattere, immagino.»
«Dovresti
dirmelo tu, direttore. Non è forse con questa mia lancia che l’agente Romanoff
ha interrotto il contatto tra il Cubo e il varco dimensionale, a New York? Io
me ne sono servito per scopi ben più banali e non ho mai avuto modo di scoprire
se Thanos lo avesse progettato con ulteriori e più precisi propositi.» replicò
pacatamente l’asgardiano.
Fury lo
squadrò con occhio sospettoso: «Neppure noi siamo giunti a conclusioni più
approfondite. È innegabile che vi sia un qualche legame tra il Tesseract e il
tuo bastone, ma quale esso sia non saprei proprio. Nessuno lo sa.» rispose
misurando bene le parole; «Se però affermi che ci sarà utile in battaglia, per
il momento mi basta.»
«Combattere il nemico con le sue stesse armi o con armi da lui create è sempre
utile.» si limitò a dire Loki mentre ancora soppesava il manufatto. In verità
ciò che gl’importava realmente era l’averlo recuperato, sebbene fosse un
peccato che l’uomo dalla pelle scura non potesse dirgli alcunché di
interessante e che già lui stesso non sapesse. L’idea di domandare la lancia
indietro gli era balenata in mente a Seattle, all’improvviso, e non aveva
pensato al come e al perché gli sarebbe di nuovo servita; per quanto avrebbe
potuto ricrearne una identica dal nulla, qualcosa gli aveva suggerito che avere
l’originale avrebbe aumentato le possibilità di un confronto alla pari col titano
rosso – e forse la chiave era il nesso con il Cubo.
«Confido
che non te ne avrai a male se terrò il bastone con me, direttore.» soggiunse
quindi, e senza aspettare risposte fece danzare le dita nell’aria e l’oggetto
scomparve.
L’altro
lo fulminò con lo sguardo: «Confido che non lo userai per commettere idiozie
qui dentro. Dov’è la tua dama irlandese?»
«Mi ha
pregato di riferirti che si sarebbe fatta scortare sul tetto per gustare una
birra. Perdonami se ho dimenticato di avvertirti.» sogghignò l’asgardiano
andando verso la porta. Gli agenti la aprirono per lasciarlo passare e lo
seguirono fuori dal laboratorio per accompagnarlo nuovamente al suo alloggio,
ma nel corridoio trovarono il Dio del Tuono ad attenderli, le gambe divaricate
e l’espressione un po’ incerta:
«Anche
Jane si è recata sul tetto. Suppongo che voglia parlare con Erin.» disse a
Loki, e d’istinto gli uomini dello S.H.I.E.L.D. si allontanarono di un passo
dai due.
«E tu
vuoi parlare con me, non è così?»
Thor
annuì: «È quello che ti chiedo da quando siamo partiti da Seattle, fratello.»
«Se
convincerai il qui presente signor Fury a lasciarci da soli per qualche minuto
sarò felice di accontentarti. Del resto dovrebbe permettercelo, se si fida di
te.» suggerì il Dio degli Inganni.
Il direttore,
che nel frattempo li aveva raggiunti, incrociò le braccia e scrollò le spalle:
«Posso
concedervi una stanza fuori dalla quale metterò questi agenti, pronti a
intervenire. Di un asgardiano in media mi fido e dell’altro non mi fido
affatto, se non vi fosse chiaro.»
«Cristallino, oserei dire.» ribatté Loki alzando gli occhi al cielo con fare
annoiato: «Eppure, direttore, se avessi voluto nuocervi lo avrei già fatto, e
per esperienza sai che persino un centinaio di tuoi uomini avrebbe difficoltà nel
contrastarmi. E se volessi approfittare di una conversazione privata per
colpire mio fratello a tradimento sarei un perfetto sciocco, poiché ciò non mi
recherebbe alcun vantaggio.»
Fury
rilassò appena i muscoli facciali e piegò impercettibilmente la testa, e il dio
dai capelli neri intuì che il proprio logico ragionamento, peraltro sincero, lo
aveva convinto:
«Una
stanza, due soli agenti di guardia e tutto il tempo che volete.» concesse
infatti l’uomo, indicando una porta scorrevole a pochi metri da loro che venne
prontamente aperta.
Thor
ringraziò il direttore, Loki sorrise con sufficienza e insieme varcarono la
soglia.
Nella
luce tenue del crepuscolo e dei fari accesi sul tetto Erin osservò Jane di
rimando, incuriosita, e sollevandosi da terra le porse d’istinto la bottiglia
di Red Stripe:
«La
dottoressa Foster, giusto? Gradisci un sorso di birra?» la apostrofò.
Non
riusciva a capire per quale motivo la giovane fisica si mostrasse tanto
cordiale e quasi empatica nei suoi confronti, come nessuna delle altre donne
presenti alla riunione e sulla pista d’atteraggio; forse perché doveva avere
circa la sua stessa età, ipotizzò l’irlandese.
«Jane Foster. “Dottoressa” mi fa sentire
vecchia.» sorrise la ragazza accettando l’offerta, quindi le restituì la
bottiglia e le si fece più vicina. «Spero di non averti disturbata, Erin. Vorrei scambiare quattro chiacchiere con te, ora che sei qui.»
«Figurati, stavo solo...» iniziò a tranquillizzarla la musicista agitando
l’iPod che ancora aveva in mano, ma si bloccò e la fissò corrugando le
sopracciglia: «Aspetta un attimo. Ho la sensazione che mi sia sfuggito
qualcosa che dovrei sapere e che tu invece sai benissimo.»
Jane
sgranò i grandi occhi castani, stupita: «Non hai la più pallida idea di chi io
sia?»
«Sei
un’astrofisica e collabori con lo S.H.I.E.L.D.» rispose Erin con ovvietà.
La sua
interlocutrice scoppiò a ridere, le guance tinte lievemente di rosso: «Oh,
accidenti, credo di aver appena fatto una gaffe clamorosa! Perdonami, ero
assolutamente convinta che tu fossi al corrente del mio legame con Thor e del
mio ruolo nelle sue vicende, visto che in parte riguardano anche suo fratello.
Ora ammetto che fosse un pensiero un po’ presuntuoso.»
La
ragazza di Galway aprì la bocca per parlare, la richiuse subito e ridacchiò a
sua volta rimettendosi a sedere, stupita e divertita dalla rivelazione di Jane
Foster. Erano entrambe umane, entrambe giovani ed entrambe legate in qualche
modo ai due fratelli piovuti dal Valhalla, ed era ovvio che la dottoressa,
essendo a conoscenza della sua esistenza e del suo rapporto con Loki, si
sentisse a lei affine e depositaria di un fato simile al suo.
«Scusami
tu, non ne sapevo nulla.» disse guardandola dal basso: «Che genere di legame?»
Jane le
si sedette accanto, il bel viso più colorito di prima: «Non è semplice da
definire. Ci incontrammo più di un anno fa in New Mexico, durante il suo esilio
sulla Terra, e fino al mese scorso siamo stati lontani. Ma per quanto possa
sembrare stupido e infantile io amo lui e lui ama me, e davvero non so a cosa
questo potrà condurre.» raccontò.
«Odino aveva cacciato anche Thor di casa privandolo dei suoi poteri? Dev’essere
una prassi educativa molto gettonata, in quella famiglia.» commentò Erin
cercando di suonare sorniona, eppure la voce le uscì più debole di quanto
avrebbe voluto.
Era
turbata, e il verbo “amare” utilizzato dall’altra nel parlare di ciò che
provava per il biondo le suonò fin troppo familiare, fin troppo adatto per dare un
nome a quel che lei sentiva ormai per il Dio degli Inganni, a quel groppo che
le infuocava il petto.
«Perché
non è tornato da te per più di un anno?» domandò allora alla fisica per
distrarsi, mandando giù l’ultimo dito di birra rimasto.
«Esisteva una sorta di ponte tra Asgard e la Terra, una via tra i mondi che Thor chiama Bifröst
e che mi ha descritto come un infinito arcobaleno. Nell’andarsene dal New
Mexico mi promise che avrebbe fatto ritorno subito dopo aver fermato suo
fratello, ma il loro scontro provocò grossi danni al Bifröst e i contatti
diretti col nostro pianeta furono irrimediabilmente compromessi.» spiegò Jane:
«Thor dice che adesso soltanto suo padre può permettere a qualcuno di superare
le barriere dimensionali tra i Nove Regni, e che finora lo ha fatto unicamente
per aiutare i Vendicatori e nel bandire Loki da Asgard.»
Erin alzò
il capo verso il cielo che andava tingendosi di blu notte sopra di loro:
«E se il
Bifröst tornasse a funzionare?» mormorò quasi tra sé.
«Penso
che sarebbe tutto molto più facile. Per loro, per i Vendicatori e naturalmente
anche per te e per me.» sospirò l’altra con un sorriso malinconico.
Era buffo
e sciocco disquisire di affetti e sogni con la guerra alle porte, e per un po’
nessuna delle due parlò. Tutto era sereno e immoto intorno a loro, al punto che
quando l’irlandese spezzò il silenzio lo fece con cautela per non intaccare
quella pace:
«Ci
ritieni così simili l’una all’altra, Jane?»
«Non ti
conosco, Erin, e non conosco il tuo carattere, ma come potremmo non rassomigliarci?
Siamo legate a due fratelli di un mondo lontanissimo dal nostro, siamo mortali
e ignoriamo quel che ci accadrà. Eppure li amiamo, Erin, e questa è la cosa più bella e strana di tutte.» replicò
l’astrofisica con fervido slancio, protesa verso la ragazza di Galway.
Questa la
fissò senza realmente vederla, incapace di formulare una frase sensata: si
trattava di questo? Era questo che Jane pensava della relazione tra lei
e il Dio degli Inganni? Li paragonava a sé e a Thor e nulla sapeva di
loro, e pronunciava con eccessiva facilità la parola “amore”.
Dalle
labbra le sgorgò una risata altezzosa che sorprese entrambe:
«Non
esagerare con le affinità, dottoressa! Cosa ti fa credere che il mio sentimento
per Loki sia uguale a quello che tu provi per suo fratello? Cosa ti fa credere
che io senta qualcosa del genere per lui?» se ne uscì in tono così convincente
e beffardo che per pochi istanti credette a ciò che stava dicendo. Ma la
scienziata tornò a sorridere con la piacevole malinconia di poco prima, gli
occhi accesi e l’espressione incredibilmente limpida:
«Che
cosa senti, allora?» le chiese con tranquillità.
Erin
esitò, colpita suo malgrado dalla pacatezza della sua interlocutrice, e con il cuore più pulsante che mai prese a mettere in fila tutto quel che si portava dentro
per sbrogliare la matassa delle proprie sensazioni.
«Lo
desidero, lo ammiro, mi piace il suo modo di vedere il mondo. Lo sento a me
vicino più di chiunque altro e mi affascina terribilmente, anche se ne ho
un po’ paura. All’inizio era come aver trovato un inestimabile tesoro da sfruttare
a mio esclusivo beneficio, un’eccitante novità e un’occasione per mettere in
mostra la mia misantropia. Ma ora la sola idea di
vederlo andare via e di dirgli addio mi rende triste, e immaginare di tornare
alla normalità senza di lui mi sembra di uno squallore eclatante.» confessò tutto d’un fiato, e man mano che parlava ogni cosa pareva farsi chiara e
lampante e acquistare un senso. Poi un singulto la colse, e vinta dall’emozione
l’irlandese aggiunse in un soffio:
«Non
voglio perderlo, cazzo.»
Jane le
strinse amichevolmente una mano: «Lo so. E come chiameresti tutto questo?»
«Che
sono un’imbecille, ecco come lo chiamerei.» borbottò la musicista con una
smorfia.
«Amare
qualcuno non ci rende mai molto più furbi, Erin.»
E lei,
finalmente, si arrese. Sotto la volta celeste ormai ammantata di buio e di
stelle, su quel tetto in penombra e tra i suoni ovattati della notte, la donna
d’Irlanda seppe di amare profondamente il Dio degli Inganni: e benché il solo
pensarlo fosse folle, benché lo avesse compreso troppo tardi, Erin Anwar
fu felice di ammetterlo e capì, come quando si erano baciati per la prima volta
a ritmo di swing, che non avrebbe potuto essere altrimenti e che era giusto
così. Ridendo si godette quel momento e pensò che di fronte a una verità
tanto assurda e splendida persino la tristezza poteva aspettare, e ricambiando
la stretta di mano di Jane Foster la guardò e disse: «Qui urge un brindisi. Ti
va un’altra birra?»
Thor si
era ripromesso di raccontare al fratello cos’era accaduto ad Asgard durante il
primo attacco bostoniano dei guerrieri di Thanos e di come avesse pregato il padre di
restituire i poteri al secondogenito, ma adesso che poteva avere con questi un
confronto che non prevedesse l’avere armi in pugno, dopo tanto tempo, il biondo
tentennò: una simile rivelazione avrebbe soltanto avuto l’effetto di scatenare
la collera di Loki e il proverbiale rancore che gli serbava, e certo lui non
cercava lo scontro. Per una volta poteva permettersi di essere quello che
taceva una verità all’altro, convenne tra sé il Dio del Tuono, e lo faceva a
fin di bene.
«Come
fai a essere certo che il figlio di Mentore ci attaccherà a breve, fratello?»
esordì quindi nella stanza vuota che Fury aveva loro messo a disposizione; non
era proprio l’argomento di conversazione che aveva in mente, eppure i dubbi che
la riunione aveva sollevato in lui continuavano a renderlo inquieto.
Loki, che
misurava a passi lenti il perimetro della saletta, si fermò e appoggiando
pigramente le spalle al muro lo guardò: «Non lo sono. Diciamo che lo ritengo
assai plausibile.» rispose.
«Non si
è mai mostrato e non ha mai dato segno di voler cambiare strategia. Perché dovrebbe farlo proprio ora, proprio nel momento in cui coloro che
possono contrastarlo hanno unito le forze?» proseguì Thor in tono grave,
avvicinandosi.
Il Dio
degli Inganni pensò che se il suo roboante congiunto fosse stato lievemente più
intelligente e sospettoso il quesito che aveva appena posto avrebbe potuto
essere interpretato come un avvertimento, come il segnale che il figlio
prediletto di Odino aveva colto un barlume d’imbroglio nelle sue intenzioni, giacché il suo collaborare coi Vendicatori puntava effettivamente a provocare il
titano rosso. Tuttavia niente nell’atteggiamento di Thor lasciava supporre che
lo stesse velatamente accusando di qualcosa, e l’asgardiano dai capelli neri
decise che poteva arrischiarsi a non negare del tutto:
«Se
fossi al posto di Thanos è proprio adesso che attaccherei, con i miei nemici
riuniti sotto il medesimo tetto. È ciò su cui ho ponderato nel venire da te e
dai tuoi midgardiani compari, ritenendola un’ottima occasione per indurlo a
uscire allo scoperto.» disse.
«E non
hai considerato il pericolo cui andiamo incontro?» gli ribatté il fratello; «Non
fraintendermi, l’averti qui mi riempie di gioia. Eppure mi chiedo se non stiamo
giocando col fuoco, fornendo addirittura un vantaggio al nostro
avversario.»
Loki
scosse il capo: «Valeva la pena tentare, e la vale tuttora. Inoltre,» asserì
mentre i suoi occhi si spostavano ad arte verso la porta della stanza, «combattere in due soltanto stava divenendo altrettanto pericoloso.»
Thor
sorrise, cogliendo il voluto riferimento dell’altro alla ragazza di Galway:
«Erin è
forte e straordinaria. In tutta Midgard non avresti potuto incontrare
donna più degna di te, così come Jane lo è per me.»
Le sue
parole, oneste come sempre, produssero un inatteso sussulto nel Dio degli
Inganni, che si rese conto di aver appena scoperto il più inusuale dei punti in
comune che mai si sarebbe sognato di avere col Dio del Tuono: non nel
pensiero, non nelle armi e non nell’ambizione, bensì nella rovina e negli
affetti. Entrambi avevano subìto l’umiliante punizione dell’esilio per aver
deluso il Padre degli Dei ed entrambi in quella sconfitta avevano trovato,
senza volerlo, qualcosa di piccolo e inestimabile che li aveva in qualche modo mutati: un’astrofisica del New Mexico per il primo e una flautista di
Galway per il secondo.
E se
l’incontro con Jane Foster aveva reso Thor miracolosamente saggio e umile,
l’avere Erin Anwar al proprio fianco non aveva cambiato molto l’animo di Loki,
se non nei confronti dell’irlandese stessa. Era divenuta parte integrante del
suo modo d’essere, d’agire e di sentire, e nel pensarlo egli ne fu
irrimediabilmente felice.
«Forse
hai ragione.» concesse quindi con un mezzo sorriso.
«Quando
tutto questo sarà finito e torneremo ad Asgard pregherò Jane di venire con me. Implorerò nostro padre affinché escogiti una soluzione per
ricreare il Ponte che la nostra follia ha distrutto, e molte cose miglioreranno
per molti.» proclamò il biondo con ardore. «E tu cosa farai, fratello? Porterai
Erin ad Asgard quando verrà il momento?»
«Se verrà il momento, per me.» lo freddò
Loki con voce tagliente. Non aveva intenzione di rispondere, nulla aveva deciso al riguardo e d’altronde la riuscita del suo piano non era affatto scontata. Così ritenne opportuno concludere la conversazione
prima che suo fratello toccasse altri argomenti delicati con quella sua
spontaneità che spesso si dimostrava più insidiosa di abili menzogne e
persuasive favelle.
«Si è
fatto tardi. Io torno da lei.» annunciò avviandosi verso la porta.
Thor
indugiò un istante e gli strinse una mano: «Ti ringrazio per aver parlato con
me, Loki.»
Il Dio
degli Inganni gli volse le spalle e si allontanò per avvisare gli uomini dello
S.H.I.E.L.D. che lì avevano finito. Abbandonarono la stanza in silenzio, scambiandosi
soltanto un ultimo sguardo, e i due agenti rimasti di guardia scortarono l’asgardiano
al suo alloggio.
La camera
era illuminata solo dai bassi neon sopra i letti e tutto vi appariva più
morbido e confortevole. Erin era già rientrata e se ne stava in piedi, appoggiata
alla scrivania metallica posta accanto all’armadio, e sollevò il capo quando
Loki rientrò. Lui notò il suo volto colorito e i suoi occhi lucidi nonostante
la poca luce e le si avvicinò lentamente, cogliendo qualcosa di completamente nuovo
nella sua espressione e nella sua postura: era morbido e confortevole come
l’atmosfera che permeava la stanza, e vibrante e acceso come soltanto
l’irlandese sapeva essere. Lei sorrise e parve quasi trattenere il respiro:
«Com’è
andata col caro direttore? Hai riavuto la lancia?» s’informò.
Il dio
sogghignò e fece ricomparire il bastone in forma di scettro, la bolla blu che vivida brillava sulla sua punta: «È stato meno arduo del previsto. La tua
conversazione con la donna di scienza si è rivelata interessante?» chiese di
rimando.
«E tu ne
hai avuta una con Thor, a quanto pare.» chiosò Erin sforzandosi di risultare
arrogante. Il cuore le rimbombò nelle orecchie, battendo con orgoglio nel suo
petto, e nello sfiorare con attenzione il metallo dell’arma che il compagno le
stava mostrando pensò che avrebbe dovuto confessargli i propri sentimenti fintanto che ne aveva la possibilità. Le emozioni che provava premevano per uscire
allo scoperto con l’irruenza di un’onda, ma rivelarle avrebbe comportato venire
a conoscenza di ciò che Loki sentiva e non era sicura di volerlo sapere.
Tutto sarebbe finito a breve, in un modo o nell’altro, e che il Dio degli
Inganni la ricambiasse o meno aveva ormai poca importanza: l’aver compreso
l’amore che gli portava era sufficiente.
«Cosa ti
turba, donna d’Irlanda?» domandò l’asgardiano a bassa voce.
«Il
futuro.» sussurrò Erin, e involontariamente ritrasse la mano
destra dal bastone dorato per carezzargli il viso. Egli intuì con
chiarezza che il turbamento dell’irlandese era dovuto a lui, più che alle
incognite sul destino di Midgard, e facendo svanire nuovamente la
lancia nell’aria premette il proprio corpo contro quello di lei e la baciò.
Erin gli
si aggrappò con impeto, beandosi del suo sapore, e Loki fece scivolare le dita
lungo il suo busto sino a raggiungere l’orlo dei corti calzoni di jeans che indossava: senza fretta glieli sbottonò, e con la mano cercò la carne calda e
tenera tra le sue gambe.
Lei
annaspò e con un gemito nascose il volto nell’incavo del collo del compagno,
mordendoglielo appena e chiudendo gli occhi per assaporare ogni singola goccia
del piacere che il movimento delle dita del Dio degli Inganni le procurava. Sentì i di lui abiti da guerra dissolverlesi tra i polpastrelli e con gesti
febbrili gli aprì la tunica che portava al di sotto per stringersi alla pelle
nuda e tiepida del suo torace. Quindi gli slacciò i pantaloni e lasciò che i
propri cadessero a terra assieme agli slip, e Loki la fece sedere sul freddo
ripiano metallico della scrivania cui si appoggiavano e la guardò negli occhi –
e per un attimo si chiese se l’emozione che vi leggeva altro non fosse che un
riflesso di ciò che aveva nei propri.
Tenendola
saldamente per i fianchi entrò in lei, affondando con gratitudine nel suo
calore, ed Erin gli allacciò le gambe intorno alla vita e rispose con tutto il
fuoco e la forza che aveva: si convinse che quella sarebbe stata l’ultima volta
che univa cuore, pelle e respiro col suo ingannatore divino piombato dritto dal
Valhalla, e desiderò che quella notte non avesse mai fine.
> Note a piè di
pagina
Ricordo a tutti che ho scritto questa storia l’anno scorso, perciò non è
collegata in alcun modo a quella che probabilmente sarà la trama di The Dark World.
Doveroso era il confronto incrociato tra i due fratelli asgardiani e le
loro signore, per chiarire e definire quali sono i pensieri e il sentire di
Erin e Loki. È ricomparso lo scettro che quest’ultimo usa in Avengers e che come arma apprezzo un
sacco: non vedevo l’ora che tornasse a utilizzarla, anche se si tratta pur
sempre di un oggetto creato da Thanos e i suoi.
Il titolo del capitolo è una frase di Violet
Hill dei Coldplay (if you love me /
won’t you let me know?), canzone che potete tranquillamente ascoltarvi
durante la lettura – insieme, eventualmente, a What if? (sempre dei Coldplay).
Prima di salutarvi volevo lanciare un piccolo appello: recensite, o miei
lettori. Vedo che leggete, vedo che seguite, eppure conosco il parere di
pochissimi tra voi (che colgo l’occasione per ringraziare direttamente – Maura77, Smith of Lies, Artemis Black,
Tony Stark e Dama Galadriel) e questo mi dispiace. Se entro la fine della storia
mi faceste tutti sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuta, se vi ha coinvolto e
incuriosito, ne sarei oltremodo contenta :)
Ossequi asgardiani e alla prossima!