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Autore: cerconicknamesugoogle    27/04/2013    9 recensioni
Estrassi parte dei soldi e glieli porsi, avvicinandomi ancora di qualche passo, affinchè li prendesse.
– Se mi paghi così tanto, vuol dire che vuoi il servizio completo-
Costringendo il mio stomaco a non fare brutti scherzi, negai con la testa.
– Vuoi una cosa veloce?- Domandò, sinceramente sorpreso, inclinando il capo.
C’era un che di elegante nei suoi movimenti. Una sensualità innata, probabilmente frutto dell’ereditarietà.
Non poteva essere solo lo sforzo di una puttana per sembrare attraente.
–Voglio parlare-
Sasuke sgranò gli occhi, inclinato di più il capo. Per un attimo, il suo sguardo non fu più vacuo o perso, come fino ad un attimo prima. Per un secondo, Sasuke parvevedermi per davvero.
Ma su solo un attimo, un istante. Tornò subito composto nella scompostezza e s’affrettò a lanciarmi i soldi. Non senza un certo rammarico negli occhi. Doveva avere fame. Era scheletrico.
– Vattene, io qui lavoro. Mi disturbi i clienti se resti -
Ed io me ne ero andato.
Ed il suo sguardo era tornato nel nulla, e la sigaretta era stata rimessa fra quelle labbra sottili.
(Naru-Sasu) ( accenni Ita-Sasu )
L'avvertimento OOC è più una precauzione, grazie a chiunque legga!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest | Contesto: Nessun contesto
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1.
La prima volta che lo vidi fu per caso.
Camminavo senza meta, sotto il cielo grigio di Tokyo.
Era quasi sera, i lampioni s’accendevano della loro luce fioca, il sole calava dietro alle strutture grigie.
All’angolo di una strada dimenticata, là in periferia, sedeva scomposto sul marciapiede. Una sigaretta fra le dita fini, labbra sottili a lambirne il contorno, sguardo vago perso in un nulla che forse, per lui, era tutto.
Sasuke mi apparve fin dal primo momento bello.
Non magnifico, o carino. Bello.  
Qualsiasi altro aggettivo stonava accanto alla sua figura. Qualsiasi iperbole,  qualsiasi vezzeggiativo, non avrebbe mai concordato con lui.
Perché Sasuke era solo questo.
Bello, con fili d’ossidiana a coprirgli il volto, a nascondere occhi neri come corvi. Scrutatori attenti di una realtà malata, decadente, cruda. Bello, con la pelle perfetta, bianca, diafana. Bello come può esserlo una creatura eterea caduta per errore sulla terra.
Era questo Sasuke, ai miei occhi. Angelo, forse demone, precipitato per sbaglio in quella strada, in quell’angolo. Calato per un inconcepibile errore in quei vestiti, così decisi a mostrarlo semi-nudo ai finestrini oscurati delle limousine di passaggio.
Chiunque si fermava per Sasuke. Anche chi non l’aveva in programma. I clienti fissi erano un pericolo, così mi rivelò in seguito. Quelli che tendono a cercare sempre, solo, la tua compagnia. Finisce male con i tipi così. Loro si affezionano, cominciano a parlare troppo ed a fare promesse vane, solo utopie per una puttana.
Era questa, la realtà di Sasuke.
Non mi fermai mai a parlare con lui. Non prima di quel giorno.
Prima d’allora scoprì spesso i miei piedi a muoversi verso quella zona della città, laddove le palazzine sembravano cadere al suolo e la spazzatura giaceva dimenticata sui marciapiedi. Solo i gatti randagi, scheletrici e restii al contatto umano, le prestavano attenzione.
La gente camminava a passo veloce, le ragazze si coprivano il doppio del dovuto, chiunque girava armato. Scoprì una vecchietta stringere convulsamente un coltellino svizzero, un giorno, attraversando la strada. Non ebbi mai il coraggio di andare in quel quartiere di notte. Non ce l’avrei fatta.
Scoprì di trovare Sasuke lì, seduto sul marciapiede, ogni venerdì verso le sei di sera.
Divenne il mio appuntamento fisso. Non so se lui si fosse accorto dei miei occhi che lo fissavano. Non so se si fosse mai reso conto delle attenzioni che gli prestavo, prima di tornare a casa dopo scuola.
Ai miei genitori mentivo, quando domandavano dove fossi stato. In giro con Kiba per il centro o A casa di Shikamaru a giocare a quel videogioco nuovo ripetevo, tornando tardi. In realtà non osservavo Sasuke per molto. Aveva troppi clienti. Dieci, quindici minuti dopo il mio arrivo, qualcuno lo abbordava.
Ed io vedevo.
A volte a malapena, senza desiderarlo davvero, attraverso i finestrini scuri di qualche auto di lusso. A volte bene, anche troppo, osservando senza sapere cosa pensare, cosa fare, ciò che accadeva sul marciapiede sporco.
Non avrei voluto assistere a quelle scene, ma qualcosa m’impediva di girare lo sguardo. A volte penso che, se avessi voltato la testa da un'altra parte, tutto nella mia vita sarebbe stato più semplice, in seguito.

Poi venne il giorno in cui mi avvicinai. Muovendo passi incerti, con un andatura irregolare dettata dall’insicurezza.
Fu la prima volta in cui Sasuke posò il suo sguardo nero, più nero di qualsiasi altra cosa io abbia mai visto, su di me. 
-  Ce li hai i soldi? -
Avevo già sentito la sua voce, avevo già notato quanto fosse fredda, ma per la prima volta quel tono era indirizzato a me. Per la prima volta, quegli occhi vuoti, attenti osservatori dei più piccoli dettagli, erano puntati su di me. Sulla mia figura. Per questo sussultai.
Per un attimo, non seppi neanche cosa dire.
Ce li avevo i soldi? Si, mamma non mi faceva uscire di casa senza un po’ di monete. Per ogni evenienza, diceva.
Ma per cosa, poi, quel denaro? Credo sussultai ancora, quando capì. Ed interiormente, il mio cuore cominciò a battere veloce.
Sono uno stupido.
M’insultai, quando afferrai che, avvicinandomi a Sasuke, che allora era solo un ragazzo bello- il ragazzo bello- senza nome, avevo seguito solo le pulsioni del mio corpo, le spinte del mio inconscio ad agire. Non avevo programmato un piano. Non avevo pensato a cosa dire, fare, in sua presenza.
Il ragazzo aspettava, fissandomi con quel suo sguardo perso, eppure magnetico, alzando le sopracciglia in segno d’irritazione.
– Si- Dissi alla fine, alla ricerca del piccolo gruzzolo che avevo nelle tasche. Estrassi parte dei soldi e glieli porsi, avvicinandomi ancora di qualche passo, affinchè li prendesse.
– Se mi paghi così tanto, vuol dire che vuoi il servizio completo- Costringendo il mio stomaco a non fare brutti scherzi, negai con la testa.
– Vuoi una cosa veloce?- Domandò, sinceramente sorpreso, inclinando il capo.
C’era un che di elegante nei suoi movimenti. Una sensualità innata frutto probabilmente dell’ereditarietà. Non poteva essere solo lo sforzo di una puttana per sembrare attraente.
–Voglio parlare-
Sasuke sgranò gli occhi, inclinato di più il capo. Per un attimo, il suo sguardo non fu più vacuo o perso, come fino ad un attimo prima. Per un secondo, Sasuke parvevedermi per davvero.
Ma su solo un attimo, un istante. Tornò subito composto nella scompostezza e s’affrettò a lanciarmi i soldi. Non senza un certo rammarico negli occhi. Doveva avere fame. Era scheletrico.
– Vattene, io qui lavoro. Mi disturbi i clienti se resti -
Ed io me ne ero andato. Ed il suo sguardo era tornato nel nulla, e la sigaretta era stata rimessa fra quelle labbra sottili.

2.
Dopo l’accaduto, quando tornai, non dissi nulla mentre gli porgevo un mazzo di soldi tutto sommato significativo. Mance che avevo raccolto in ben dieci mesi di vita.
Lui mi guardò, storse le labbra, piegò la testa,  considerò l'offerta.
Scosse il volto, mi disse di andarmene.
La terza volta che tornai avevo meno soldi, ma la proposta era cambiata.
Avevo sedici anni, non ero vergine, e di sicuro non avevo idea di quello che stavo facendo. Non so cosa mi spinse ad osare tanto, ad avvicinarmi a lui in quel modo. Non so nemmeno a cosa stessi pensando, quando presi quell’iniziativa
– Servizio completo – Enunciai, sventolandogli davanti al naso il piccolo gruzzolo. Lui annuì, non disse nulla. Mi condusse in un vicolo e fece il suo lavoro. Lasciai che si spogliasse da solo, ed ancora la mia mente non aveva recepito cosa sarebbe successo di lì a poco.
Quando le sue mani abili, sottili, scesero fino alla mia intimità, dopo che anche i miei indumenti erano caduti a terra, semplicemente smisi di pensare. Mi lasciai guidare dai suoi gesti meccanici, privi di sentimento, e fu dentro di lui che raggiunsi il culmine del piacere, schiacciandolo contro al muro sudicio di una casa, venendo all’interno del suo corpo.
Non mi ero immaginato quella scena prima d’allora, ma in seguito mi resi conto che se l’avessi fatto, non sarebbe stata così. Non avrei pensato a qualcosa di così sporco ed animalesco. Non avrei recepito così poco calore. Non avrei immaginato di penetrare il ragazzo bello così rudemente, senza che ci fosse almeno un poco di passione. Non avrei sospettato di un corpo così incapace di fremere, provare le stesse sensazioni  che invece scuotevano il mio
– Come ti chiami? – Gli chiesi, mentre mi rivestivo quasi frettolosamente.  
– Sasuke – Fu la risposta secca che ricevetti.
– Posso tornare, Sasuke? – Osai titubante, puntando gli occhi al terreno.
– Se con i soldi, si – Ricordo che sorrisi, a quelle parole
– Io sono Naruto – Mi grattai la testa, alzai lo sguardo, sfoderando un’espressione vivace che sapevo essere una delle migliori
– Il nome non m’interessa. La prossima volta costerà di più – Ignorando la sottile linea di sperma che gli colava sulla coscia, indossò i pantaloni e si accinse a tornare sul marciapiede. I suoi occhi incontrarono i miei per un’ ultima volta, prima che mi voltasse la schiena.
Il suo sguardo vuoto, eppure penetrante, fece male. Sembrava esserci una muta accusa, dietro a quegli occhi. Ed io, dall’alto dei miei sedici anni, pensai di scorgervi anche una silenziosa richiesta d’aiuto.

Non so dove presi i soldi per la stanza dell’albergo più vicino.
Non so dove trovai il coraggio per invitarvi Sasuke, sempre con il denaro in mano, spiegando frettolosamente che preferivo un letto ad un vicolo.
Era un hotel vecchio, malconcio, dove vecchietti in incognito si riunivano per farsi seghe tutta la notte davanti a video porno. Sasuke mi seguì un poco titubante, sebbene cercasse di nasconderlo.
A vederci all’ingresso, il ciccione che prese la prenotazione capì immediatamente chi di noi due era la puttana. Lanciò un’occhiata languida a Sasuke, leccandosi un poco le labbra.
Rabbrividendo, mi avviai con il moro fino alla nostra stanza.
Pareti strette, imbrattate di scritte raccapriccianti, letto cigolante e ragnatele un po’ ovunque.
Le molle del materasso stridettero, nel mentre il nostro amplesso si svolgeva. Durò un poco di più questa volta, ed io mi scoprì a cercare un contatto con Sasuke che la prima volta non avevo avuto. Cercavo il suo corpo con le mani, gli accarezzavo i fianchi, tentando di imprimere dolcezza nei miei gesti. Volevo che lui capisse. Volevo che sapesse che per me non era una semplice puttana.
Gli sussurrai il suo nome all’orecchio, mentre mi riversavo dentro il suo antro stretto, provato.
Sasuke mi lasciò fare, ricambiando le mie attenzioni come fa una puttana. Accarezzando la mia intimità prima e dopo, leccandomi l’orecchio ripetutamente.
Ci provava, a calarsi nella parte, sussurrando frasi sconce e lanciando sguardi languidi, benché privi del minimo sentimento.
In seguito gli chiesi di non farlo. Ero abbastanza sveglio per capire che Sasuke con i clienti era tale e quale ad una macchina. Svolgeva il suo lavoro e sapeva che il suo aspetto esteriore bastava a non essere una puttana mediocre. Però, a farla davvero, la puttana, non ne era poi tanto capace. 
Svolse il suo lavoro, comunque, probabilmente simulò anche l’orgasmo. Ma non aveva importanza.
Perché quella volta era durato di più, quella volta mi ero avvicinato un poco a lui. O almeno così credetti.
Non osai mai marchiarlo, ne tentai in alcun modo di avvicinare le mie labbra alle sue. Sasuke non era mio, ne poteva o voleva esserlo. Sasuke era la puttana all’angolo di quella strada anonima di periferia, e doveva restare così per tutti i suoi clienti. Passarono tre settimane, ed io trascorsi ogni venerdì verso le sette di sera a farmi Sasuke. Poco alla volta, scoprì qualcosa di lui.
Inizialmente non mi rivolgeva molte parole, dopo i nostri amplessi. Lasciava che io gli venissi dentro, senza chiedere soldi extra per il mancato uso del preservativo, e poi se ne andava.
Freddo e lontano. 
Ed era qualcosa che non potevo sopportare.
Perché per Sasuke ero solo l’ennesimo cliente. Perché Sasuke non mivedeva. Ne mi guardava veramente.
Dopo che avessi raggiunto l’orgasmo, lui toglieva velocemente il disturbo, senza nemmeno prendersi la briga di salutare. Si riallacciava frettolosamente i pantaloni e copriva con la maglietta il suo fisico esile, eppure invitante, assicurandosi di avere nelle tasche i soldi.
Ed io gridavo, gridavo silenziosamente. Erano piccoli e futili quei miei gesti che accompagnavano la sua uscita. Sorrisi non troppo sinceri, movimenti frenetici delle mani nella speranza che lui mi notasse. Che lui mi guardasse.
Perché non mi vedi, Sasuke? Perché non vedi che mi sto innamorando di te?


Poi, un giorno, gli chiesi di rimanere un poco sdraiato sul letto, con me. Dovetti chiederglielo per le altre due volte a seguire, promettendogli qualche soldo in più, perché lui restasse. Cominciammo a parlare.
A dire il vero, fui io quello che aprì bocca di più. Gli raccontai della scuola, dei compagni di classe, dei professori, degli amici, della famiglia… Le prime volte che lui rimase accanto a me anche dopo un amplesso, io gli svelai me stesso, offrendomi su un piatto d’argento, pur consapevole che fossi una portata ben lontana dai suoi interessi.

Ben presto trovai lavoro come dog-sitter, guadagnando un po’ di soldi. Ai miei amici, che mi vedevano a passeggio per Tokyo con al guinzaglio dei cani, dissi che miravo a comprarmi un impianto stereo decente. Mentì anche ai miei genitori, buttando lì che non volevo dipendere sempre da loro in ambito economico. In realtà quei soldi li spesi per il tempo di Sasuke.
Passarono due mesi, ed io continuai ininterrottamente a vederlo. Per lui non era un problema, pagavo bene e comunque l’intera notte la spendeva passando da un cliente all’altro.  La mia vita, nelle zone pulite e rispettabili di Tokyo, non si fermò in alcun modo.
Ero sempre Naruto, il ragazzo solare e troppo vivace. Il figlio da rimproverare per i brutti voti ma da abbracciare non appena metteva il broncio, e l’amico che andava trascinato ogni sabato sera a fare qualcosa in giro.
A volte mi distraevo, lo ammetto, a pensare a Sasuke. Ma tentai con tutto me stesso di non farlo diventare l’epicentro della mia esistenza. Sapevo che, se così fosse stato, ne sarei uscito distrutto. Sasuke era una puttana. Fingeva gli orgasmi ed ascoltava le mie chiacchere fino alle nove di sera- per un simile risultato era servito un secondo lavoro, in quanto barista-.
Nessuno venne mai a sapere di lui, di questo mio segreto. Come mi sarei potuto giustificare, dopotutto? Non riuscivo nemmeno io a capire l’attrazione che provavo verso quel ragazzo moro. Non riuscivo a spiegarmi cosa mi spingesse fra le sue braccia. Ma c’era qualcosa, in lui, che m’impediva di lasciarlo stare, di dimenticarmi della sua esistenza. Se solo avessi avuto un po’ di fegato, o se solo non fossi stato tanto masochista, gli avrei voltato le spalle.
Era solo una puttana.

3.
In quattro mesi riuscì a far maturare qualcosa, nelle nostre serate.
Riducevo il tempo degli amplessi, del mio appagamento, e tentavo di avvicinarmi a lui. Gli parlavo delle mie giornate steso fra le coperte impregnate di sesso,  l’odore di nicotina si levava dalla sigaretta che lui fumana nel mentre.
Scoprì che il moro non era solo una puttana capace, ma anche un ottimo ascoltatore.
Recepiva tutte le mie chiacchere senza mai interrompere il flusso di parole che abbandonava la mia bocca. Coglieva ogni sfumatura di tono nelle mie frasi e, alla fine dei miei monologhi, chiedeva. Ed era questa, la straordinaria capacità che possedeva.
Sasuke non poneva domande.
Sasuke poneva le domande. Quelle domande che colpiscono il bersaglio e lo atterrano. Le domande giuste, che ti lasciano spiazzato, che ti portano all’inevitabile conclusione di un problema o al dubbio giusto per la data situazione.
 Fu fra le volute di fumo di una stanza decadente, in una periferia dimenticata, che la puttana Sasuke mi fece scoprire non sé, ma me stesso. Un giorno mi addormentai con lui fra le mie braccia. Stavo chiacchierando riguardo una verifica andata male, ed una probabile sospensione, quando gli occhi mi si chiusero ed il respiro si fece regolare. La figura sottile, nuda, di Sasuke stretta a me, nudo, che giacevo scomposto.
Mi svegliai poco dopo, appena una mezzoretta, e lui non c’era più. In seguito mi capitò altre volte di addormentarmi dopo i nostri amplessi.
Una volta, quando aprì gli occhi sicuro di non trovarlo, scoprì le sue iridi nere intente a scrutarmi, attente.
Ricordo che rabbrividì davanti a quello sguardo magnetico, perforante.
– Naruto – Cominciò cautamente, senza aspettare che mi svegliassi a dovere. Sussultai nel sentirgli dire il mio nome. Era raro che lo facesse. Solitamente, lo pronunciava solo quando io gli ero dentro ed ero quasi all’apice del piacere. Inutile dire che reazione innescasse, nel mio corpo, questa sua premura
– Perché? – Ricordo bene il suo sguardo concentrato sui miei lineamenti, intento a non perdersi neanche una mia espressione mentre andavo alla ricerca di una risposta. Penso che dovetti sembrare stranito, per questo s’affrettò a spiegare.
– Perché fai questo? Hai preso due lavori part-time pur di pagarmi. Passi due ore ogni venerdì sera parlando con me. Riduci il sesso e mi racconti dei cazzi tuoi. Per quale assurdo motivo? Non sono uno psicologo, lo sai vero? Sono una puttana. Quindi, perché? –
Era il discorso più lungo che gli fosse mai uscito dalle labbra. Ma non era solo questo, a far battere troppo velocemente quello stupido muscolo involontario nel mio petto. Il fatto era che, Sasuke, aveva la sua intera attenzione focalizzata su di me. Una sincera confusione appariva sul suo volto, un’ espressione attenta gli dipingeva il viso. Per questo, quando risposi cauto, prestai molta attenzione a cosa dire
– Perché penso che tu non abbia amici Sas’ke – Il moro era troppo attento alle mie parole, per prestare attenzione alla pronuncia storpiata del suo nome
– E mi piacerebbe davvero diventarlo – Rifletté sulle mie parole in silenzio, incapace di capire
– Perché? – Domandò nuovamente, alla ricerca di una risposta più soddisfacente nelle mie iridi azzurre
– Perché di si, Sas’ke. Mi stai simpatico. Non tutte le persone con cui hai a che fare devono per forza volere solo sesso, da te. E poi ti pago, no? Decido io come spendere il tempo che mi compro –
Il discorso s’era chiuso, e noi non ne avevamo più parlato. Eppure, da quel giorno in poi, Sasuke parve un po’, e dico solo un po’, più rilassato nei miei confronti. Forse il sesso gli pesava ancora, ma arrivati a quel punto ero io che non potevo smettere. L’attrazione fisica verso di lui era diventata parte di me.
A volte, riflettendoci a sangue freddo, mi rendevo conto che la risposta data a Sasuke non avesse senso. Quale idiota instaurerebbe un rapporto d’amicizia con lo stesso ragazzo che ogni venerdì gli vende il suo corpo per soldi?
Mi sentivo sporco, meschino, un essere che s’approfitta degli altri. A volte ero tentato di smetterla di fare sesso con Sasuke. Parlare e basta, con lui. Ma tutte le volte che me lo trovavo davanti, le mie buone intenzioni crollavano come castelli di carta.
Ed io, semplicemente, non fui mai abbastanza forte da ricostruirli.

4.
Il giorno in cui scoprì Sasuke vomitare fu l’ennesima volta in cui m’ addormentai dopo il sesso.
Mi svegliai alzando piano le palpebre, aspettandomi di avere il suo corpo esile stretto ad un fianco. Era da un po’ di tempo che Sasuke non lasciava quel posto, una volta che io fossi caduto fra le braccia di Morfeo.
Eppure lui non era lì.
Lo trovai chino sul cesso del bagno correlato alla stanza.
I capelli neri coprivano il suo viso ai miei occhi, il suo corpo semi-nudo era scosso da spasmi violenti. E per la prima volta, vidi un Sasuke senza maschera.
Lo stesso Sasuke che faceva a botte con sé stesso per mantenere un po’ di dignità. Lo stesso Sasuke che lottava, per far sopravvivere quella parte di lui che non era la puttana, che non vendeva il suo corpo. Magro, chino sul cesso, pallido.
Scosso dai fremiti che due dita giù per la gola gli stavano causando, mentre la bile abbandonava il suo stomaco ed usciva dalle labbra accompagnata dai suoi rantoli, dai suoi singhiozzi spezzati.
Sasuke in quel momento mi parve la creatura più indifesa che fosse mai esistita. Debole, incapace di reagire davanti a tutto quello che faceva per sopravvivenza. Ricordo che s’accorse della mia presenza solo quando gli appoggiai una mano sulla spalla.
Ricordo che rabbrividì, alzando il suo sguardo su di me. Quegli occhi, quella paura così evidente, non li dimenticherò mai.
Sasuke piangeva, spoglio della sua maschera. Lacrime sottili scendevano sulle sue guance, accompagnate da singhiozzi silenziosi, palesati solo dal corpo tremante. Le iridi erano spalancate dalla consapevolezza di essere stato scoperto, di essere stato visto debole.
– Naruto, potresti andartene? –
No
Ricordo che lo presi in braccio, allontanandolo da lì.
Lo stesi sul letto sfatto, pregno del nostro sudore. Ricordo che mi stesi accanto a lui, stringendolo in un abbraccio protettivo e cullandolo dolcemente. E lui fu semplicemente troppo debole per ribellarsi, per sorprendersi e protestare. Forse, dopo tutto quel tempo, aveva solo bisogno di essere amato.  Rimanemmo a lungo in quella posizione. L’odore della stanza era asfissiante, i resti del mio piacere appiccicati alle lenzuola sporche, il sudore che aveva ricoperto i nostri corpi che ancora aleggiava nell’aria. Dovetti abbandonare un istante Sasuke per aprire le imposte e lasciare che l’aria della sera riempisse la stanzaDopodichè mi sedetti a terra e portai con me il moro.
Lo cullai fra le mie braccia, lontano dal letto complice dei miei peccati.

Poi, Sasuke cominciò a parlare. Non l’aveva mai fatto di sua spontanea iniziativa. Non aveva mai aperto le labbra ed articolato sillabe se non per domandare. Quella volta, lo fece per raccontare. Ed io scoprì chi era Sasuke.  Sasuke Uchiha

Non so cosa lo spinse ad aprirsi con me tanto da raccontarmi la sua storia. Credo che, dopo tutto quel tempo, fosse semplicemente stanco di tenersi tutto dentro ed io ebbi l’unica fortuna di trovarmi lì, a tenerlo stretto.
Mi raccontò di essere nato in uno dei quartieri più ricchi di Tokyo. Mi raccontò dei sorrisi dolci della madre, dello sguardo freddo, eppure benevolo, del padre.
Mi narrò del fratello maggiore, Itachi. Itachi era il suo eroe, e lo rimase fino ai tredici anni.
Sasuke viveva per Itachi, Sasuke voleva un bene profondo al fratello. Ed anche lui, il Nii-San, ne voleva al suo piccolo fratellino. Passavano intere giornate a giocare, a ridere, a vivere come fanno due fratelli normali che nel tempo hanno sviluppato un attaccamento profondo l’uno nei confronti dell’altro.
Quando Sasuke compì tredici anni i loro genitori morirono in un banale incidente automobilistico.
Fu una botta difficile da digerire, ma all’epoca Itachi era già maggiorenne, e potè mandare avanti gli affari di famiglia- gli Uchiha possedevano un’ azienda d’automobili piuttosto famosa. Si occupava lui di portare i soldi a casa e non aveva alcun problema a gestire un eredità tanto grande.
Da sempre, Itachi aveva spiccate doti intellettive, anche se, a dirla tutta, si dimostrava bravo in qualsiasi cosa facesse. Lui era un genio, a detta di tutti.
E Sasuke lo venerava. Sasuke gli stava aggrappato per questo. Perché Itachi era l’unica figura affettiva che era rimasta nella sua vita, e lui non voleva perderla. Inoltre, il ragazzino non era molto sociale. Aveva pochi amici a scuola, ed erano perlopiù conoscenze superficiali.
Fu normale, per lui, sviluppare un sentimento così fraterno verso il Nii-San.
Ma l’attaccamento di Sasuke nei confronti di Itachi era probabilmente minimo rispetto a quello che il fratello aveva verso di lui.
Perché il Nii-San aveva sviluppato un legame morboso nei confronti dell’otouto. Un legame che, sfortunatamente, venne a galla nella sua interezza quando, una sera, Itachi tornò a casa ubriaco e violentò il fratello. 
Fu per questo che Sasuke scappò, quella notte, senza lasciare tempo al fratello di svegliarsi dal sonno in cui era caduto, di spiegarsi. Fu per questo che andò a vivere nell’unico quartiere dove avrebbe potuto pagare un affitto senza mai essere riconosciuto da chicchessia. Nessuno lo avrebbe cercato, lì.
E quando i soldi rubati dalla cassaforte del fratello finirono, quando Sasuke conobbe il vero significato della fame, il ragazzino scese in strada.

 Ricordo bene il racconto di Sasuke, interrotto dai suoi fremiti, dai suoi spasmi, dalla sua voce spezzata. Lo ricordo come se me lo stesse sussurrando ancora, attraverso il vento che sibila per Tokyo. Quella notte la passai vegliando su di lui, dormiente, senza distogliere gli occhi da quel volto che ancora cercava la pace.

5.
Accadde due volte soltanto. Due, lo giuro.
Solo per due venerdì consecutivi non mi presentai a Sasuke. Solo per due venerdì di seguito non potei andare a trovarlo, poiché trattenuto dai miei genitori in punizione.
Sfortunatamente, furono i due venerdì appena dopo il racconto della sua storia.
Il venerdì seguente la periferia mi si presentò come sempre. Sporca, priva del minimo briciolo di umanità. M’avventurai per quel vicolo che dava sulla strada dove avrei trovato Sasuke e ne uscì trattenendo il respiro. Faceva sempre un certo effetto, passare per quelle zone. Il brivido d’inquietudine non mi aveva mai abbandonato del tutto.
Ricordo ancora come se fosse ieri lo sgomento che mi invase, quando non vidi la figura del moro.
Ricordo l’ansia assalirmi, ed il panico rendere il mio respiro irregolare.
Ricordo come cercai di convincermi che, probabilmente, un cliente era venuto a fargli visita prima del solito. Così m’appostai nel vicolo, in giro non c’era nessuno e non correvo molti rischi. So che passarono due ore, quando decisi che era tempo di darsi da fare.
Ormai, il buio era calato ed i lampioni illuminavano malamente le strade. Decisi di fare in fretta, non mi andava di girare lì intorno dopo le dieci. Mi mossi velocemente per cercare Sasuke.
Ricordo che girai le strade alla ricerca di anima viva. Non importava chi fosse, se una vecchietta armata o un ragazzone col passa-montagna. In quel momento, l’agitazione mandava gentilmente la mia prudenze a puttane.
Fermai un signore, gli chiesi di Sasuke. Non seppe rispondermi.
Fermai una bambina, non seppe rispondermi.
Poi un bambino, una signora sui quaranta, un ragazzone spaventoso.
Un uomo anziano camminava ricurvo appoggiato ad un bastone. Lui ebbe una risposta.
– Sei un amico di Sasuke? – Domandò, assottigliando lo sguardo. Per un attimo, non ebbi risposta. Che cos’era, Sasuke, per me? Potevo davvero azzardarmi a definirlo amico?   – Si – Dissi alla fine, giusto per convincere l’uomo che mi stava dinnanzi a parlare
– E come lo sei diventato, di grazia? Per quel che ne so io quel ragazzo non va neanche a scuola. Passa le sue giornate a dormire ed esce solo di sera. - Era chiaramente perplesso, però, credo che qualcosa nei miei modi frenetici di ritrovare il moro lo indusse a non farsi troppi dubbi – Abita oltre quella via, alla palazzina a tre piani. Lo trovi al secondo, lo so perché è sul mio stesso pianerottolo –
Non lo ringraziai, affrettandomi piuttosto a seguire le sue indicazioni.
Trovai subito la palazzina e la porta d’ingresso era scassinata, quindi non ebbi problemi ad entrare. Da uno dei vani del piano terra usciva una musica assordante, una di quelle da discoteca. Immaginai che qualcuno stessa dando una festa, a giudicare dal vociare che potevo sentire anche salendo le scale. Arrivato al secondo piano, individuata la porta che avrebbe dovuto dare sull’appartamento di Sasuke, cominciai a bussare.
– Sasuke, apri, sono io –
Perché dovrebbe riconoscere la mia voce, rispetto a quella degli altri clienti? Chiese una vocina fastidiosa all’interno della mia testa. La scacciai, specificando
– Sono Naruto – Bussai ancora, ed ancora, senza ricevere risposta. La parte razionale di me giunse alla conclusione che nessuno fosse in casa. Però, dentro, chissà poi perché, sentivo che non era così. Io lo sapevo che Sasuke era aldilà di quella porta.
Sapevo che non mi stava rispondendo. Quello che non sapevo, e che non sospettavo, era il motivo. Sfondai la porta. Non so bene quando fossi diventato così irruente, so solo che l’agitazione aveva preso il sopravvento.
Non prestai particolare attenzione al piccolo appartamento che potevo vedere, sebbene un aggettivo rimbalzasse da una parete all’altra.
Ordine.
Ero sicuro di non aver mai visto un bilocale così pulito ed ordinato a pennello. Può essere una puttana così maniacale nelle pulizie? Ma non vi feci caso, avanzando e chiamando continuamente il nome di Sasuke. Spostai lo sguardo dall’angolo cottura a quello che, con una stretta al cuore, individuai come il giaciglio di Sasuke, che non era altro che un materasso gettato a terra.
Osservai quella piccola libreria attaccata al muro scrostato, sorprendendomi un poco davanti ai libri che leggeva Sasuke.
Orwell? Davvero? A scuola ci avevano detto di leggere Firenight, ed io non ero andato oltre la seconda pagina. Cosa ci faceva 1984 fra gli scaffali di un ragazzo che non frequentava un istituto scolastico dai tredici anni?
Un mugolio indistinto si espanse dall’unica porta chiusa, richiamando la mia attenzione altrove. Non bussai nemmeno, entrai e basta, irrompendo nel bagno. Quello che vidi, una volta dentro, non lo scorderò mai.

Penso che, in quell’istante, pochi secondi diventarono ore intere.
Il cuore mi martellava a sangue nelle orecchie, i miei occhi ceruli erano sgranati e per un attimo, un fottutissimo attimo, fui certo di non ricordare come si facesse a respirare.
Sasuke giaceva sulle piastrelle, semi cosciente.
Gli occhi neri erano riversi all’indietro, accerchiati da occhiaie che non gli avevo mai visto. I capelli erano appiccicati per il sudore alla pelle bianca. Più bianca del solito. Troppo bianca. Il sangue era sgorgato dai polsi fino alle piastrelle, espandendosi un poco.
Linee scarlatte ricoprivano la pelle eterea di Sasuke, come greche di un quaderno per bambini. Il contrasto netto fra quel colore così vivo, eppure spaventoso, ed il pallore angelico del moro mi fece accapponare la pelle. Ricordo che la vista s’appannò e finì a gattoni a terra, vomitando tutta la bile che avevo in corpo. Solo dopo mi precipitai sul corpo della puttana. Solo dopo cominciai ad urlare, chiedendo aiuto.
Ricordo il rumore dei passi, lo strillo spaventato di una qualche ragazzina. – Chiamate un ambulanza – Ripetei all’infinito, piangendo, gridando, pregando. Stingevo quel corpo esile, fragile, debole, fra le braccia.
Pregai Dio. Pregai Dio perché non mi portasse via Sasuke.
Pregai Dio perché mi desse una possibilità, la possibilità d’aiutarlo.
Lo farò smettere Giurai Non farà più la puttana, però ti prego, ti prego, non portarmelo via.  
In seguito, mi dissero che urlavo ancora quando arrivò l’ambulanza*.
 
 6.
Sasuke giaceva etereo sulle candide lenzuola ospedaliere da tre giorni, e non si svegliava.
I medici dicevano che il pericolo era scampato, che potevo smetterla di preoccuparmi, ma io andavo a trovarlo continuamente, nella speranza che si risvegliasse in mia presenza. 
Il quarto giorno mi chiesero il numero telefonico di un suo parente, o qualcuno che ne avrebbe potute fare le veci. In mancanza di alternative, chiamai i miei genitori.
Minato Namikaze e Kushina Uzumaki si precipitarono in ospedale. Lessi nei loro occhi domande, tante domande, ma anche loro dovettero leggere qualcosa nei miei, perché si limitarono a parlare coi medici, in principio.

– Naruto, non ti chiedo di spiegarmi chi è il ragazzo, non ora. Avrai tutto il tempo per parlarmene dopo. Ora però devi dirmi se c’è qualcuno che si possa occupare di lui, qualcuno che possa venire a trovarlo. Non sappiamo niente di lui ed i medici hanno detto che ti sei rifiutato di raccontare qualsiasi cosa. Almeno dimmi il suo nome -  Il tono di mia madre risultò gentile, in quel lontano pomeriggio di settembre.
Ricordo la dolcezza trapelare dalle sue parole, e non potei fare a meno di sentirmi in colpa.
Per la prima volta dopo aver trovato il moro riverso in quel bagno, piansi, dando libero sfogo alla mia frustrazione.
Dio, Sasuke aveva tentato di suicidarsi. Sasuke aveva tentato di suicidarsi ed io non avevo fatto nulla per impedirglielo.
Io non ero stato capace di ancorarlo alla vita
– Sasuke – Singhiozzai, lasciando che lei mi abbracciasse
– Non ha… Non ha nessuno. Solo me. Ti prego, mi occuperò io di lui. L’aiuterò, promesso. Io l’aiuterò –
Non so se stessi parlando con lei, o ancora con Dio.

Sasuke si svegliò dopo dieci giorni. Io ero in sala d’attesa, con i miei genitori. Non avevo ancora spiegato nulla riguardo lui, ma loro non mi avevano fatto alcuna pressione. Sapevo che pretendevano delle risposte, presto o tardi, ma continuavo a rimandare. Saltavo anche scuola, in continuazione, pur di stare in ospedale. Ai miei amici dissi che avevo la febbre alta ed un virus contagioso, e nessuno andò l’oltre scrivermi dei messaggi.
Io non risposi. Non sapevo neanche come avrei dovuto fare, dopotutto.
Mi ero dimenticato delle cose normali.
Quando Sasuke aprì gli occhi, io fui il primo a cui vennero a dirlo.
Una ragazza dai capelli rosa, giovane, poco più grande di me, mi sorrise incoraggiante
– Il tuo amico sta bene, Naruto. Puoi parlargli, ma non per più di cinque minuti. Deve riprendersi –
Si chiamava Sakura, non era un’infermiera, ma una specializzanda.
Mirava a diventare primario dell’ospedale, e tutti lì dicevano che ci sarebbe riuscita. Era in gamba.
La ringraziai, mentre scattavo verso la stanza di Sasuke, senza essere seguito dai miei genitori. Ringraziai mentalmente anche loro per questo, avevo bisogno di stare da solo con il moro.
Lo trovai intento a guardare il sole, fuori dalla finestra. Il viso illuminato appena dai raggi, proteso verso una luce che chissà da quanto tempo non aveva il tempo di ammirare. I suoi occhi neri erano persi aldilà del mio comprendonio, in una realtà di Sasuke, che non m’apparteneva. 
La sensazione che provai nel vederlo lì, sveglio, mi riempì lo stomaco e per un attimo fui certo di vomitare per il sollievo. Quando mi sentì chiudere la porta alle spalle, il suo viso scattò verso di me.
Ci osservammo per istanti che parvero minuti, prima che io, un po’ esitante, avanzassi verso di lui.
– Allora ti sei svegliato – Esordì, titubante. Lui sembrò non voler replicare alcunché, ma dovette ripensarci, perché poco dopo rispose
– Mi hanno detto che devo ringraziare te, per questo – I suoi occhi spenti lanciavano lampi di disperazione. Sembrava profondamente scosso. Come dargli torto, aveva tentato il suicidio.
– Ti ho trovato io – Confermai
– Come facevi a sapere dove abitavo? – I suoi occhi –Dio, quanto erano vuoti- s’assottigliarono un poco. Sembrava quasi mi volesse fare il terzo grado. Probabilmente era esattamente quella la sua intenzione
– Ti cercavo e ho chiesto in giro – Risposi, fingendo una noncuranza che non m’apparteneva, azzardandomi ad avvicinarmi al suo letto di qualche altro passo.
Lo vidi irrigidirsi. Bloccai la mia camminata
– Perché? – Qualcun altro non l’avrebbe sentito. Un qualsiasi estraneo non avrebbe riconosciuto il lieve tremolio che accompagnò le sue parole. Non dovetti chiedere a cosa si riferisse, per capire.
Sospirai – Perché voglio aiutarti – Risposi, sincero. Lo vidi esaminarmi ancora, come la prima volta in cui c’eravamo incontrati. Il suo sguardo vivisezionava la mia anima in una lenta tortura a cui io non potevo sottrarmi. Credo che i risultati di tali elucubrazioni mentali non avessero mai ricevuto esiti completi e definiti, poiché il suo sguardo s’accigliò
– Nessuno può aiutarmi –
- Non puoi saperlo finchè non lasci che qualcuno ci provi -
- Tu? -
-Io, perché no?-
-Perché mi abbandonerai. - A quella risposta rimasi basito.
Per questo hai cercato di ucciderti, Sasuke? Perché non sono ritornato?
–Non lo farò- Replicai, dandomi dello stupido. Non poteva essere stata la mia assenza a spingere Sasuke sull’orlo del baratro. No, la mia mancanza era stata solo la piuma che, poggiata sul piatto della morte, da sempre in precario equilibrio con il piatto della vita, aveva sbilanciato le due parti.  
–Perché dovrei lasciarti?- Sasuke mi rivolse un’occhiata di vuoto disprezzo, il mio corpo s’irrigidì
– Io li conosco quelli come te.- Cominciò, sputando le parole come si vomita veleno –  Non sapete accettare il significato della parola puttana. Pensate ad un futuro rose e fiori e non guardate in faccia la realtà – Una pausa
–Quale realtà?- Azzardai a chiedere, costringendo il mio volto a non tradire l’insicurezza, l’amarezza nel sospettare che quella che mi si stava dicendo altro non era che la verità
– Che sono solo una puttana. Che divido il letto con voi per soldi. I sentimenti sono vostri, se pensi di aver trovato l’amore ti sbagli. Se pensi che grazie a ciò riuscirai a cambiare la mia vita, ti sbagli –
Ci fissammo ancora, ed ancora. Incassai in silenzio le sue parole, prima di rispondere. Ero certo che, in un modo o nell’altro, m’avessero ferito nel profondo. Lo sapevo, come sapevo di aver sviluppato un attaccamento profondo verso Sasuke.   
– Non voglio amore, o sesso, in cambio. Non te lo sto domandando. Io ti aiuterò, Sasuke, che ti piaccia o no –
La determinazione trapelò dalle mie parole, impregnandole della sua forma. I nostri occhi presero a specchiarsi gli uni negli altri, di nuovo. Rabbrividì davanti a quel ragazzo così apparentemente forte, ma così insicuro dentro.
Non farlo Sas’ke pregai Non farmi uscire dalla tua vita. Lascia che ti aiuti.  
Fu allora che, per la seconda volta davanti a me, Sasuke Uchiha pianse.
– Non lasciarmi più – Sussurrò, stringendo convulsamente nei pugni il lenzuolo, lacrime silenziose a scendergli le guance – Non farlo, Naruto – 
- Non lo farò – Esordì avvicinandomi a lui, chinandomi verso la sua esile figura ed abbracciandolo. Il corpo magro si strinse al mio petto, aggrappandosi alla mia maglia, scosso dai fremiti.  

- Io non ti abbandonerò, Sas’ke. È una promessa. Nessuno abuserà più di te e tu non dovrai prostituirti. Saremo amici, amici e non amanti, e tu sarai felice. Io te lo prometto, Sasuke, ti renderò felice –
 
7.
Non so e non saprò mai cosa pensasse Sasuke di me.
So per certo non m’amava, so per certo che non condivideva nei miei confronti quel sentimento che io invece avevo lasciato, da stupido, maturare dentro di me.  Forse ero solo un cliente come un altro, per lui. Uno di quelli che cercavano solo lui, e parlavano. Parlavano tanto e troppo, impregnando le loro parole di sottointese promesse vane, utopie, per una puttana.
Chissà, forse era questa la realtà di Sasuke.
Eppure, so per certo di aver goduto, anche se per pochi istanti, della sua vista.
Perché Sasuke m’aveva guardato, abbandonando quello sguardo vacuo e privo del minimo sentimento. Dovevano essergli bastati pochi secondi, per vedere.
Vedere cosa fossi. I miei sogni, le mie ambizioni, la mia ingenua determinazione. Sasuke aveva imparato tante, troppe, cose di me senza che me ne accorgessi, ed io non riuscirò mai a saperne altrettante su di lui.

Se dovessi ripensarci ora, non saprei dire cose mi spinse da Sasuke. Non so perché fino all’ultimo momento fui attratto da quel ragazzo.
Personalmente, non ho mai creduto nell’amore a prima vista. L’ho sempre trovato stupido e profondamente idiota. Ma se anche lo fosse stato, il mio, so per certo che non era corrisposto.
Sasuke non ha mai avuto la capacità di amare qualcuno, e di questo ne sono sicuro.
Come so che nel suo cuore, al fratello che l’aveva violentato a tredici anni, riservò sempre uno spazio maggiore del mio. Vorrei poter dire di essere stata una figura dominante nella sua vita, quella che gli ha dato la svolta positiva, la spinta ad agire in meglio. Sarebbe una bugia. Non ho mai raggiunto Sasuke per davvero, mai. L’ho rincorso, ho cercato con le unghie e coi denti il suo cuore, ma lui me lo ha precluso.
Perché lui era Sasuke e Sasuke non sapeva amare.
Però, giuro che c’ho provato. Con tutto me stesso l’ho legato alla vita. Con tutto me stesso ho tentato di iniettargli nelle vene un po’ di felicità. Ma non è servito, ed io avrei dovuto saperlo. Solo, non me l’aspettavo. O forse si, forse una parte di me in fondo in fondo lo sapeva, che non sarebbe durata.
Ci siamo illusi entrambi che la nostra amicizia l’avrebbe aiutato. Sasuke è stato il primo ad accorgersi dell’errore.
Sasuke s’è suicidato il dieci dicembre dello stesso anno in cui l’avevo conosciuto,  ancora in ospedale, ed io non ho potuto fare nulla per lui. Il suo corpo giacque riverso per due ore al suolo, schiacciato dalla gravità e dall’impatto che buttarsi dal primo piano aveva avuto.
Qualche volta ripenso alle ore di sesso passate con lui. Non c’era passione, ma solo la mia fame della sua figura. Erano momenti rudi, che di dolce non ebbero mai quasi nulla.
Il sesso, con Sasuke, era solo sesso. Non sapeva fare altro.
Ripenso al suo corpo esile, puro.
A quanto mi piaceva toccarlo, sfiorarlo, leccarlo, illudendomi di aver un minimo d’effetto su di lui. 
Dio, quanto mi sbagliavo.
Spesso mi rendo conto che non l’ho mai nemmeno baciato, e questo è motivo di rammarico. Forse, se l’avessi fatto, Sasuke non m’avrebbe visto come un semplice cliente. Io da lui non volevo sesso, ma amore.
Me ne rendo conto solo ora. Cercavo disperatamente di farmi largo nel suo cuore e forse, un poco, ci sono riuscito. Ma non abbastanza. Non sono stato all’altezza delle aspettative.
Ed ora, ora è troppo tardi.

Questo, Sas’ke, lo faccio per te.

Cammino per Tokyo, è venerdì sera.
Non vado in periferia,  mi dirigo da tutt’altra parte.
C’è qualcuno che ancora lo sta aspettando, e lui non mi perdonerebbe se non chiudessi questa faccenda al posto suo. 
Lui non ne ha avuto il coraggio, non ha potuto farlo.
Un po’ mi dispiace, perché alla fine, Sasuke è stato un vigliacco. Il peso della vita l’ha schiacciato, e lui non ha saputo rialzarsi. È questo, il mio più grande rimpianto. Non essere stato una ragione sufficiente per Sasuke a levarsi in piedi.
Busso alla porta della villa un paio di volte e poi aspetto, paziente.
Una figura estranea ai miei occhi compare sulla soglia, guardandomi perplesso. Occhiaie profonde solcano il suo viso, ed i suoi occhi scuri sono segnati da un rimorso profondo, un senso di colpa radicato. È stata un’ altra vigliaccheria di Sasuke, non perdonare quest’uomo che tanto gli somiglia.
Se assottiglio lo sguardo, posso vedere il mio amante far capolino nel viso di questo sconosciuto.

- Scusi l’ora, Signor Itachi. Sono qui per parlarle di suo fratello Sasuke –


  
*Okay si, questa frase è scopiazzata dal cacciatore d’aquiloni, ma mi sembrava d’effetto
Angolo Autrice:
Oddio, non ci credo. Okay che è sotto forma di One-Shot, ma sono davvero riuscita a completare una storia!
Evento più unico che raro, credetemi!
Allora, innanzitutto, è la prima fict che oso postare sul fandom di Naruto, quindi pietà. Dopodichè, è la prima fict drammatica che scrivo, quindi altra dose di pietà!
No, sul serio, so che non è il massimo. In alcuni punti avrei dovuto scriverla meglio, ci sono dei periodi allucinanti che fanno accapponare la pelle, per cui vi chiedo scusa se leggerla sarà risultata sgradevole.. Se siete arrivati fino a qui, grazie di cuore. Era un periodo in cui la mia stupida mente non riusciva a pensare a nulla ed a scrivere niente, questa fict è servita allo scopo di farmi sciogliere un pochetto^^
Ho provato a scrivere un sacco di storie su Naruto ( tutte rigorosamente NaruSasu, sono l’unica che li ama così? D. ). Una era drammatica come questa, ma m’ha stancato dopo troppo poco quindi l’ho mollata lì^^ Un’altra era alla mo di Skins, e non appena avrò sistemato un cap per un’altra storia vedrò come continuarla!
Vorrei chiarire una cosa riguardo due personaggi appena accennati, ci tengo parecchio. Cominciamo da Itachi. Io amo quel ragazzo, sul serio, e vorrei che fosse chiaro che lui non voleva realmente fare del male a Sasuke. Probabilmente il messaggio non è passato, e forse vi aspettavate qualcosa di più approfondito in merito. Spiacente, questa fict s’è prodigata in troppi particolari per i miei gusti, ed Itachi non dev’essere uno di questi. Quindi, libera interpretazione al riguardo del maggiore degli Uchiha^^
Su Sakura non ho praticamente nulla da dire. Non sono arrivata ancora a quelle puntate di Shippuden dove dicono che ridiventa una che corre decisamente troppo dietro a Sasuke e ricomincia a farsi odiare. No. Io ho amato quella ragazza dall’inizio di Shippuden ( e non me l’aspettavo, considerando come fosse nella prima serie -.-‘’) Per  cui, nelle due righe che ho scritto di lei volevo far vedere come io vedo Sakura, o come mi piace vederla. Un medico eccezionale, forte sia dentro che fuori, e con una forza d’animo che ammiro. ( E poi, accidenti, io amo le ragazze che quando s’incazzano spaccano tutto!!) Forse è una visione totalmente sbagliata, ma lasciatemela tenere per un po’!!
Un’ultima cosa: so di aver omesso parecchi particolari. Tipo il come Sasuke sopravvivesse da solo, il fatto che fosse solo una prostituta a parte e non in un giro specifico… Cos’è successo da quando è stato ricoverato a quando s’è suicidato.. Ah, quanto ha detto o no Naruto ai suoi genitori!
Tutte cose che non penso vadano specificate. Un po’ perché preferisco che ognuno interpreti a modo suo, un po’ perché non li ritenevo particolari importanti o finali alla storia.
 

 Detto questo, niente. Non pretendo di dire che questa one-shot sia bella, ma io c’ho provato a renderla leggibile!
Grazie a chiunque abbia fatto l’immane sforzo di leggerla!
Wani
 
  
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