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Autore: viktoria    27/04/2013    0 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Partire da Pisa aveva fatto capire che il problema aeroporti italiani finiva una volta lasciata Roma. il check-in fu velocissimo, i controlli scrupolosi ed io ero troppo preso da altro per esserne innervosito. Quel pomeriggio era assolutamente più carina del solito. In jeans, converse e maglietta leggera, aveva tutta la mia più completa attenzione.

- Secondo te dovrei chiamare mia madre mentre sono ancora in territorio nazionale?- mi stava chiedendo mentre eravamo ancora in fila.

- Tecnicamente sei in un aeroporto quindi non sei più in territorio nazionale.- le feci notare cercando di non ridere. – prendi un giacchino a Londra fa freddo.-

Posò la valigia a terra, davanti a tutte le persone che ci stavano intorno e l’aprì. Era disordinata e fu costretta a tirare fuori quasi tutto prima di riuscire a trovare un giacchino di pelle che aveva portato per precauzione.

- Comunque mi uccideranno.- mormorò richiudendo la valigia e prendendo il telefono dalla tasca.

- Tocca a noi adesso, che ne dici di chiamarle tra dieci minuti così ti siedi e lei ha il tempo di rimproverarti come si deve.- le suggerì prendendo la sua valigia e i documenti che teneva in mano e porgendoli alla signorina che mi sorrise.

- Salve signore. Documenti per favore.- mi domandò gentilmente mentre gli porgevo le due carte d’identità e la fotocopia di prenotazione del volo.

Lei guardò dietro di me aprendo la carta d’identità di Laura e la guardò. Poi si voltò verso di me dubbiosa. La vidi mordersi il labbro in una crisi di coscienza.

- Qualche problema?- domandai sentendo in parte l’irritazione crescere dentro.

- No, nessuno.- rispose la signorina stampando i due biglietti e porgendomeli. – i bagagli da imbarcare sul rullo per favore.- continuò con un tono di voce fiacco.

Presi il mio bagaglio ed il suo, li posai sul nastro e li spedirono in stiva.

- Buon viaggio.- mi augurò di nuovo mentre ci allontanavamo.

Quando fummo finalmente seduti di fronte al nostro terminal la guardai. Era nervosa, ticchettava col piede sul pavimento muovendo la gamba e stava seduta sul bordo della sedia guardandosi intorno. Sembrava che volesse correre a casa di nuovo.

- Dovresti chiamare adesso.- le suggerì passandole una mano sulla schiena.

La sentì fremere sotto le mie mani e mi venne da sorridere. si voltò verso di me torturandosi il labbro con i denti. gli occhi spalancati per il terrore.

- Credi?- domandò come se non fosse più sicura di non voler dire a sua madre una bugia e raccontarle che, ammessa all’accademia, non avrebbe potuto chiamarle più.

- Sì, credo.- risposi con un mezzo sorriso.

In realtà ero più spaventato di lei. Da quello che le avrebbe detto sua madre e suo padre dipendeva tutto quanto per lei. E di conseguenza anche per me. non ero certo di essere disposto a farla tornare a casa.

Prese il telefono e compose lentamente il numero prima di portarselo all’orecchio e poggiarsi finalmente allo schienale.

- Pronto?- rispose velocemente dall’altra parte del telefono una voce femminile.

- Ciao mamma.- salutò lei con un filo di voce. Le strinsi il ginocchio e lei si voltò verso di me.

- Non sembrare così terrorizzata, si preoccuperà.- sussurrai mentre dall’altra parte del telefono scendeva il silenzio. Lei annuì.

- Che è successo? Stai male?- domandò infatti prontamente sua madre.

- No, no, sto bene. È solo che i test non sono andati bene.- mormorò passandosi una mano sul viso.

Dire la verità evidentemente non le sembrava la scelta migliore. Si passò il telefono sull’altro orecchio e non sentì più la voce di sua madre.

- Non lo so, mi è stato offerto di andare a Londra da…Jonathan e iscrivermi a medicina lì visto che non ci sono test d’ingresso.- rispose guardandomi. Sapevo che non avrebbe voluto dire il mio nome ma ero comunque contento che l’avesse fatto.

- Sì, lo so. Però era quello che volevo fare dall’inizio e poi lui si è offerto di ospitarmi quindi non dovrei neanche pagare l’affitto.- continuò rispondendo ad una domanda che non avevo sentito ma che potevo immaginare.

- Se le cose non andranno bene torno a casa e l’anno prossimo mi iscrivo a legge a Catania ok?- propose a sua madre che fortunatamente non aveva fatto ancora nessuna sfuriata.

Rimase in silenzio per un po’, abbassando lo sguardo sulla mia mano che ancora le stringeva il ginocchio e giocherellò con le mie dita per tutto il tempo. Sapevo che sua madre le stava mostrando tutti i dubbi che aveva riguardo quella follia ma io sapevo anche che quella era la decisione migliore per lei e che se le cose a medicina fossero andate male c’era sempre l’opportunità di farle fare il mio lavoro.

Anzi, l’avrei portata dal signor Hennington l’indomani stesso. Se sua madre avesse visto quanto bene si stava trovando probabilmente non avrebbe avuto più nulla in contrario nella sua permanenza a Londra.

- Papà.- mormorò ad un tratto lei abbassando il viso anche più di prima.

- Papà ti prego fammi spiegare…- cercò di parlare dopo un attimo in cui sentii la voce profonda dell’uomo dall’altro lato del telefono.

Non la fece parlare. Le scaricò addosso tutto il suo rammarico prima di chiudere la comunicazione. Lei rimase per un attimo con il telefono all’orecchio prima di rimetterlo in tasca.

Non avevo il coraggio di chiederle nulla, me ne avrebbe parlato quando e se avesse voluto. Tutto ciò che potevo fare io era aiutare i suoi genitori a cambiare idea su di lei.

Se li era già messi contro la prima volta che aveva deciso di aiutarmi, per aiutare Marie con il suo lavoro. Adesso era solo per me che lo faceva. Per me e per se stessa in parte. Ci alzammo dopo qualche minuti per imbarcarci. Presentammo documenti e carte d’imbarco e, mentre camminavamo verso l’aeromobile, le passai un braccio intorno alle spalle e la strinsi a me posandole un bacio tra i capelli.

- Andrà tutto bene.- la rassicurai in un sussurro mentre sentivo il suo braccio stringersi alla mia vita.

- Non ne sono così convinta.- mormorò con la voce spezzata. Era così piccola alcune volte, così debole e vicina a crollare.

- Te lo prometto.- le dissi con convinzione mentre salivamo sull’aereo.

Non avevo fatto niente di buono nella mia vita. Non lo pensavo solo perché mi piaceva fare la parte del martire ma perché sapevo che era vero. Su tutti i fronti. Non ero stato bravo da ragazzo quando mi ero fatto espellere da tante scuole ed ero stato fermato un paio di volte per turbamento della quiete pubblica. Non ero stato bravo con mia madre facendole pesare ogni mio problema. Non ero stato bravo nel lavoro, avevo perso la mia opportunità a causa del mio caratteraccio. E non ero stato mai bravo neanche con le relazioni, ero stato spesso violento con Reena, indifferente e legato solo ai suoi soldi e al suo prestigio.

Non volevo essere così anche con Lorie. Lei non era forte come Reena, non avrebbe resistito a tutta la pressione del mondo se avessi aggiunto anche la mia. avrei dovuto essere io ad aiutarla a tenersi in piedi perché mi rendevo conto benissimo che in quel momento non aveva nessun altro oltre me. le sarei stato accanto come meglio avrei potuto. Avrei cercato di sorreggerla ed aiutarla. Avrei fatto tutto quanto in mio potere per darle ciò che di cui aveva bisogno lei e anche i suoi genitori per concederle tranquillità e fiducia.

Avevo trentacinque anni. Diciassette più di lei. Ed avevo a quel punto il dovere morale di sentirmi in qualche modo anche il suo tutore.

Ci sedemmo nei primi posti e lei, cercando probabilmente di non pensare a ciò che era appena successo, sedutasi, allungò le gambe davanti a se e scoppiò a ridere.

- Che c’è?- le domandai alzando un sopracciglio e guardandola stranito.

- Guarda, posso stendere le gambe.- mi fece notare meritandosi un’occhiata di compassione.

- La tristezza ti porta a dire scemenze?- le domandai di nuovo cercando di trattenere una risata. Lei mi rispose facendomi la linguaccia.

- No, però io non ho mai volato in prima classe, di solito i posti economy sono stretti. Certo fai amicizia con la gente però non puoi fare questo.- continuò abbassando completamente lo schienale della poltrona.

La guardai senza capire sorridendo divertito e poggiai i gomiti sul bracciolo sporgendomi verso di lei e lasciandole dolcemente un bacio sulle labbra.

- Dio…- sussurrò lei contro le mie labbra prima che mi allontanassi di nuovo per tornare al mio posto. – questo è il paradiso.- mormorò ridacchiando.

Nascosi una risata compiaciuta contro la mano e presi il telefono dalla tasca spegnendolo. Quella volta non aspettavo nessuna chiamata importante che non sarebbe arrivata.

- Dove abiti a Londra?- mi domandò lei quando l’hostess la invitò a rimettere dritto lo schienale e ad allacciarsi la cintura di sicurezza.

- In una casa piccolina.- le risposi vago.

- Non vuoi dirmelo?- mi domandò lei poggiandosi al finestrino. – devo dedurre che è tipo un magazzino in periferia?- continuò lei quando capì che non le avrei risposto. – no, tu non sei tipo, viaggi in prima classe per un volo Pisa-Londra.- dedusse ridacchiando. –allora è un attico in centro!-

- Lorie, non è che se mi torturi per tutto il tempo divento più magnanimo e te lo dico, anzi ti abbandono all’aeroporto e ti lascio tornare a casa a piedi.- l’avvisai guardandola con serietà.

- Ma se non so dov’è “casa” come faccio a tornarci?- mi sfidò lei alzando un sopracciglio in segno di sfida.

- Appunto.- conclusi io con un mezzo sorriso soddisfatto.

Lei mise il muso e incrociò le braccia al petto dimostrando ancora meno anni di quei pochi che già aveva. Era assolutamente bellissima quando faceva così ma la mia coscienza mi faceva notare come mi stessi approfittando di una bambina.

- Invece parliamo di cose serie.- dopo neanche due minuti aveva deciso di smettere di fare l’arrabbiata e mi aveva stretto il braccio tra le mani per attirare la mia attenzione.

- Cosa?- domandai io voltandomi verso di lei.

- Domani hai da fare?- mi domandò gentilmente sfoderando il suo sguardo più ammaliante.

No, non credo. Perché?- le chiesi semplicemente riuscendo a nascondere perfettamente con quell’espressione disinteressata, quanta voglia avessi di essere già a casa.

- Mi potresti accompagnare all’università così presento la domanda d’iscrizione?- mi domandò passandomi una mano sul collo.

- Sì, domattina andiamo a presentare i documenti.- la rassicurai scostandole la mano.

Lei rimase per un attimo interdetta poi allontanò la mano senza aggiungere altro e si voltò dalla parte opposta pensierosa ringraziandomi a mezza voce.

- Ti andrebbe dopo di lasciare dei documenti anche da un’altra parte?- le domandai guardandola attentamente per cogliere le sue reazioni.

- Dove?- domandò lei senza voltarsi verso di me.

- Al mio manager.- risposi semplicemente mentre la scrutavo sottecchi.

Si era voltata verso di me e mi guardava aggrottando la fronte.

- Chi te lo ha detto?- domandò guardandomi male. Anche se poi, a voler essere sinceri, il suo sguardo arrabbiato era tenero quasi.

- Cosa?- domandai a mia volta cercando di non ridere voltandomi verso di lei.

- Che avrei voluto fare l’attrice. Chi è stato?- riprese di nuovo mostrandosi adirata e carinissima.

- Nessuno, credevo fosse un modo per poter mettere da parte un po’ di soldi.- costatai semplicemente facendo spallucce e meritandomi un’altra occhiataccia. – ma se non vuoi non è per forza.- conclusi.

- Certo che voglio, che domande, solo che sembra tutto così…- sembrava cercare il termine adatto. – strano.- aggiunse alla fine.

- Strano?- domandai io cercando di farmi spiegare meglio quello che per lei era il concetto di strano.

- Si voglio dire, tranne i miei genitori che mi odiano e non senza motivo poi tutto il resto sembra così dannatamente perfetto.- costatò come se la cosa non fosse possibile.

- Che intendi per perfetto?- in realtà avrei potuto immaginarlo ma sentirselo dire era sempre più bello. E poi sembrava in vena di confessioni tanto vale approfittarne.

- Beh siamo qui, e non ci stiamo scannando, e…siamo una coppia?- concluse la frase come fosse una domanda. Sorrisi divertito e annuii.

- Si Lorie, siamo una coppia.- acconsentii io e lei arrossì leggermente.

- Sì, poi. Sto andando a vivere a Londra probabilmente in pieno centro, studierò a Londra in una seria capitale europea e presenterai i miei documenti ad un menager che, se va proprio male, comunque qualcosa per me la trova anche in una pubblicità per pannolini.- concluse il tutto tenendo il conto sulle dita. – capisci perché mi sembra strano?- domandò poi voltandosi di nuovo verso di me uscendo dalle sue meditazioni.

- A dire il vero non esattamente.- le risposi onestamente portandomi una mano al mento. – ma capirti non è mai stato facile quindi mi accontenterò.- conclusi prendendole il mento tra le dita e avvicinandola a me.

Avrei onestamente passato tutto il giorno a baciarla tanto mi appariva bella e perfetta. E poi potevo farlo. Non mi avrebbe gridato contro, magari mi avrebbe dato del mieloso ma mi andava bene, purché si lasciasse baciare e coccolare. Le sfiorai le labbra con le mia delicatamente prima che lei liberamente decidesse di schiuderle e di approfondire quel bacio. Alcune volte nella sua iniziativa sapeva essere così tremendamente sexy.

Il volo durò relativamente poco. Sia perché non ero partito dal culo del mondo, sia perché c’era lei con le sue chiacchiere, a farmi compagnia. Quando vide la macchina nel parcheggio lei scoppiò a ridere.

- Cos’è tutta questa ilarità?- le domandai aprendo il cofano e caricando i due bagagli che avevamo con noi.

- Sei proprio fissato con quest’auto vero?- domandò lei guardandola con sguardo critico.

- È la migliore della sua categoria, ed è figa.- costatai io. – non ti piace?- le chiesi salendo in macchina.

- Che ne farai dell’auto che hai lasciato a Catania?- mi domandò deviando la mia richiesta con facilità. Accesi l’auto e uscì con calma dal parcheggio con il motore che mi dava il benvenuto facendo le fusa.

- Onestamente credo che non sia una buona idea quella di chiedere a tuo padre di spedirmela. Magari gli chiamerò e gliela regalerò, magari me lo faccio amico.- proposi ridacchiando.

- Mio padre non lo corrompi così facilmente.- mi rispose seria.

- Lo farò quando sarai diventata ricca, famosa e ti sarai data almeno tre esami al college.- risposi prontamente sapendo che a quel punto, se ci fossimo arrivati, a suo padre della mia auto sarebbe fregato meno di zero.

Chissà se per allora mi avrebbe accettato con piacere o mi avrebbe odiato lo stesso per principio. Se era come sua figlia onestamente ero quasi sicuro che mi avrebbe odiato lo stesso.

Arrivammo a casa dopo un’oretta di viaggio. Quando avevo imboccato l’uscita per Londra centro lei si era voltata verso di me e mi aveva puntato contro un dito.

- Avevo ragione!- mi accusò facendomi scoppiare a ridere.

- Eh già, avevi ragione, brava bambina.- la presi in giro ridacchiando.

Quando poi avevo aperto la porta del mio appartamento per farla entrare era rimasta bloccata sulla soglia con gli occhi spalancati.

- Quello lì davanti e il Tamigi vero?- domandò lei ancora stralunata mentre con delicatezza, dopo averle avvolto un braccio intorno alla vita, la spingevo verso la vetrata.

- Sì.- risposi io lasciando che avesse il suo momento.

Quando ero entrato per la prima volta in quella casa ero rimasto piacevolmente colpito da tutto quello ma non avevo avuto quella reazione. Forse se avessi visto il mondo come lo vedeva lei sarei stato più entusiasta della mia fortuna. Forse adesso che c’era lei, avrei imparato a vederlo nella giusta prospettiva.

- E quello è il London eyes vero?- domandò di nuovo dopo un attimo di silenzio.

- Sì.- risposi di nuovo stringendole la vita con le braccia da dietro e poggiando il mento tra i suoi capelli. – ti piace?- le domandai dopo un attimo baciandole il collo.

- Sì. Mi piace da morire.- sussurrò con la commozione nella voce.

Doveva essere stata una settimana incredibile per lei. E adesso che era finalmente finita era accolta da quella vista di Londra di notte, stretta tra le mie braccia, con una decisione presa dodici ore prima che le aveva cambiato la vita.

- Hai fame?- le domandai dopo un attimo senza però lasciarla andare.

- No.- mi rispose monosillabica.

- Andiamo a letto?- domandai di nuovo in un sussurro contro il suo orecchio.

Lei si voltò verso di me e mi guardò negli occhi. Quando assumeva quell’espressione seria non mi sentivo troppo in colpa per stare con una bambina. Lei non era piccola come sembrava. Era matura, sapeva prendere le sue decisioni e l’aveva fatto. E una delle sue scelte l’aveva portata qui.

- Sì.- mi rispose convinta.

Mi abbassai su di lei baciandole piano le labbra, lei mi strinse le braccia al collo, la presi in braccio e la portai in camera da letto.

Quella notte non facemmo nulla. E non perché lei mi avesse fermato o perché io non l’avessi voluta ma perché quella notte non era venuto.

Mi risvegliai con la sua mano tiepida sulla guancia e il suo respiro caldo sul collo. Era stretta al mio petto e il mio braccio l’avvolgeva tenendola stretta. Lei era rimasta in intimo, come me, mostrando le sue forme non più generose ma piccole ed eleganti. Mi svegliai per il sole che mi colpiva dritto in viso. Avevo completamente dimenticato di chiudere le tende ma la sua presenza mi aveva distratto.

Mi alzai lentamente dal letto attento a non svegliarla e le lasciai un bacio tra i capelli prima di andare in cucina. Avevo dimenticato che quella casa era praticamente solo una camera d’albergo e che il frigo era lì solo per bellezza.

Lei mi raggiunse pochi minuti dopo, era scalza ma aveva recuperato una felpa che le arrivava al ginocchio.

- Buongiorno.- mi salutò con un filo di voce avvicinandosi.

La guardai poggiandomi al piano cucina con un sorrisetti divertito. Avevi visto un bel po’ di donne svegliarsi la mattina e avere un pessimo aspetto, i capelli arruffati, pallide, con le occhiaie, e la cosa più drammatica è che cercavano in tutti i modi di correre velocemente in bagno per truccarsi e sistemare il tutto. Lei invece sembrava non essersene nemmeno accorta. In realtà non era un disastro come ogni altra. I capelli arruffati le davano un’aria tenera e il visino non era completamente pallido grazie all’abbronzatura estiva che le aveva colorato la pelle.

- Buongiorno.- la salutai tranquillamente mentre, come una bambina, si avvicinava al bancone e si sedeva. – se stai aspettando la colazione sappi che qui non ho neanche il caffè.- le annunciai meritandomi un lamento.

Fece cadere la testa sul tavolo e si accucciò su se stessa quasi volesse riaddormentarsi lì. Guardai l’orologio sul caminetto.

- Comunque se devi andare all’università devi andare a lavarti adesso.- le feci presente avvicinandomi a lei e passandole una mano tra i capelli annodati. – truccati e vestiti elegante, il signor Hennington è una persona molto formale.- l’avvisai sottovoce prima di darle un bacio sulla tempia scoperta e dirigermi verso il bagno della camera degli ospiti lasciando a lei quello patronale.

Quanto ero diventato buono.

Mi aveva pregato di aspettarla poco lontano dall’ingresso del King’s College.

- Posso capire perché non vuoi che ti accompagni?- le domandai tamburellando nervosamente le dita sullo sterzo dopo aver spento la macchina.

- Se la gente ti riconosceva in Italia figurati qui.- mi fece presente lei. – e poi io vorrei una vita normale almeno a scuola ed evitare di trovarmi dietro uno stuolo di rompipalle che vogliono solo passare una notte nel tuo letto.- mormorò con una punta di gelosia nella voce che mi fece morire dal ridere.

- In tre si sta stretti.- le risposi io guardandola. Lei arrossì un po’ poi si voltò dalla parte opposta aprendo la portiera.

- Magari quando mi sarò già fatta delle amiche mi farò accompagnare da te. Ma fino ad allora ti prego…- non la lasciai finire. La interruppi alzando una mano.

- Vai, ti aspetto qui.- le risposi semplicemente mentre lei sorrideva chiudendo la portiera alle sue spalle.

A dire il vero non ero sicuro che avesse ben capito dove ci trovavamo quando era scesa tranquillamente dall’auto dirigendosi verso la segreteria. Sembrava tranquilla, teneva la borsa sulla spalla e si guardava intorno incuriosita. Quando sparì dietro l’angolo non potei far altro che aspettare.

Tornò dopo una buona mezz’ora con dei moduli tra le mani e un sorriso trionfante in viso.

- Allora?- domandai prendendo i documenti che mi porgeva e sfogliandoli velocemente.

- Sono ufficialmente una studentessa del miglior College di Londra!- annunciò lei soddisfatta battendo le mani. – comincio i corsi Lunedì. Ma ci pensi? È il mio sogno di sempre questo.- cominciò allegra mentre le riconsegnavo i documenti e riaccendevo l’auto diretto verso il centro amministrativo di Londra.

Ero già stato in quel grattacielo in vetro una volta. Ma quella volta ero solo, arrabbiato e speravo che ci fosse almeno qualcosa che potesse andare bene in tutto quello schifo che mi stava attorno. Speravo che quello che mi era sembrato oro solo poche settimane prima non fosse diventato ben altro. Parcheggiai nei posti riservati e prendemmo l’ascensore per salire all’ultimo piano di quell’enorme grattacielo.

- Forse non sono abbastanza formale.- mormorò lei quando le porte dell’ascensore si aprirono mostrandoci un meraviglioso atrio in marmo con una scrivania infondo anch’essa in marmo ed una signorina seduta dietro di essa con un formale tailleur, i capelli legati e degli occhiali alla moda calati sul naso.

La guardai per un attimo cercando di avere uno sguardo critico e disinteressato. Indossava una bella gonna tubino stretta in vita e sui fianchi che la fasciava perfettamente, una camicetta bianca e delle ballerina nere. Non era il massimo della formalità ma sembrava comunque una bambolina appena uscita dalla scatola. I capelli tenuti raccolti sulla nuca e un trucco leggerissimo comporto da un semplice tratto di matita nera sotto l’occhio. A me sembrava bellissima.

- Credo possa andare.- la rassicurai avvicinandomi alla signorina che avevo già visto la prima volta che ero stato accolto in quello studio.

- Signor Rhys-Meyers, che piacere vederla, posso esserle d’aiuto?- domandò lei sorridendo professionale e civettuola allo stesso tempo senza però essere volgare.

- Vorrei parlare col signor Hennington.- l’avvisai tranquillamente rispondendo al suo sorriso e meritandomi una leggera gomitata sul fianco.

- La riceverò subito, la ragazzina intanto può aspettare lì.- l’avvisò guardandola e indicandole gentilmente delle poltrone poco lontane.

- A dire il vero vorrei che mi seguisse.- la interruppi io cercando di nuovo la sua attenzione.

- Oh- mormorò stupita la ragazza. – prego allora, accomodatevi.- rispose semplicemente alzandosi e facendoci strada.

  
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