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Autore: BigFut16    27/04/2013    0 recensioni
Sarah Wolfmann è una ragazza strana, e proprio questa sua anormalità la porta a venire esclusa dalla società. A causa della sensibilità della sua pelle alla luce solare è costretta ad un abbigliamento appariscente e anomalo, che attira su di lei tutto il disprezzo della società per il diverso.
Ma tutto cambia con il suo trasferimento alla cupa cittadina di Glomy Bay. Qui la mancanza di sole le permette di iniziare una nuova vita come persona normale. Ma l'apparizione di un affascinante e misterioso individuo, con importanti informazioni sull'identità di Sarah, potrebbe sconvolgere questo delicato equilibrio.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gloomy Bay

 
Gli scarni eventi che mi appresto a raccontare provengono dalla storia di una sventurata ragazza chiamata Sarah Wolfmann. Non mi interessa fornirne una descrizione accurata, anche perché in tal caso dovrei soffermarmi sulla sua pochezza mentale, sulla limitatezza del suo corpo e su infinite altre caratteristiche che contribuivano a renderla un insulso essere umano (ovvero meschina persino nei desideri). Ciò che veramente mi preme è far notare come Sarah non abbia sprecato la propria vita come i suoi simili. Scelse invece di adattarsi al cambiamento, di rinascere, dando vita a ciò che io sono ora. Da un certo punto di vista si potrebbe anche dire che io sia stata quella ragazza, benché di quella vita conservi solo pochi frammenti.
Ricordo che inizialmente vivevo a Newburyport con i miei genitori, ma appena i tempi furono maturi decisi di frequentare l’high-school a Gloomy Bay: un paesino tutt’altro che soleggiato, proprio come può suggerire il nome.
Fu anche per questa peculiare caratteristica che decisi di trasferirmi, oltre che per la pessima fama che possedevo nella mia città natale. Non che avessi mai fatto nulla di sbagliato, ma è che nella squallida società umana è facile venir disprezzati, specialmente se non si è conformi alla massa. Infatti, a causa di alcuni fattori genetici che all’epoca stupidamente ritenevo malattie, la mia pelle non poteva venire a contatto diretto con la luce solare, a meno di coprirmi di strane piaghe. Questo mi costringeva ad utilizzare un abbigliamento singolare portandomi ad apparire molto diversa dalle normali ragazze.
Arrivai a Gloomy Bay qualche settimana prima dell’inizio delle lezioni e, benché per molti potesse apparire una cosa piuttosto tetra, fui più che lieta di constatare come il cielo fosse perennemente oscurato da una spessa patina grigia.
Decisi così di abbandonare il mio solito abbigliamento per andare a fare due passi scoprendo almeno il viso e le braccia: fu un’esperienza indimenticabile. Ma a fissare per sempre quei momenti nella memoria non fu tanto la mia nuova libertà, quanto lo strano individuo nel quale mi imbattei.
Ero ormai nei pressi del porto quando incontrai un ragazzo pallido e gracile, con i lineamenti che parevano segnati dalla fame, dall’insonnia e dalla malattia. Ma nonostante quel suo aspetto cadente, conservava un’aura di nobiltà e di fascino, che si rifletteva nei movimenti lenti ma sicuri, nelle labbra sottili, quasi diafane, nelle delicate mani lunghe e scarne e nei grandi occhi ricchi di tenebra. Tutto lo faceva apparire come il fantasma di una divinità.
All’epoca non seppi il perché, ma quella visione mi turbò così nel profondo che nei giorni seguenti presi a sognare lo strano individuo. Non ricordo cosa vedessi, ma so che, una volta sveglia, attendevo la flebile luce del giorno con la stessa pena di chi aspetta il ritorno della persona amata.
Qualche tempo dopo iniziò il periodo scolastico e, finalmente, venni introdotta nella nuova classe.
Grazie al mio aspetto normale potei interagire liberamente con le compagne, fino a giungere ad avere delle amiche. Benché tali ricordi mi appaiano confusi, insulsi e soprattutto ridicoli, ricordo la grande importanza assunta da questi eventi per la sventurata Sarah.
Col passare dei mesi imparai ad essere sempre più a mio agio nei rapporti sociali, le amicizie si consolidarono e i tempi in cui dovevo andare in giro coperta da capo a piedi mi parevano quasi un brutto sogno.
Ma un giorno, passeggiando spensieratamente con Martha e Alice, mi capitò di vedere di sfuggita lo strano ragazzo che tanto mi aveva turbato in precedenza e che ancora aveva il potere di rendermi così irrequieta.
Subito chiesi informazioni alle amiche che, con fare concitato, mi spiegarono che si trattava del conte Vladimir Ralye, un losco figuro di origine europea che abitava nel castello dietro le colline di Gloomy Bay: assolutamente da evitare! Mi narrarono di ragazze svenute e con strani segni sul collo ritrovate vicino alla sua dimora; di persone che sostenevano di aver assistito a terribili rituali compiuti nel castello o di altri che raccontavano che il conte usasse arcani incantesimi per oscurare il sole. Mi riportarono mille altre storie, alle quali non diedi neppure ascolto, anzi, servirono solo a far crescere in me un forte senso di fastidio nei loro confronti.
Cercai di spiegare loro come la gente avesse l’abitudine di discriminare chiunque apparisse diverso e di come fosse facile che nascessero delle storie assurde sui confronti di queste figure. Di come la gente fosse stupidamente portata a odiare ciò che non ritiene normale e ad affibbiargli qualsiasi colpa, persino di aver oscurato il sole!
Ma le due povere mentecatte, ovviamente, non potevano capire. Come potrebbe un essere sprovvisto di intelletto comprendere questa sua mancanza?
E anche la povera Sarah, all’epoca, si trovava nella stessa condizione. E continuava a ribattere e a innervosirsi, cercando di convincere le amiche, cercando di ottenere ragione. Non si stava infatti battendo per proteggere i diversi, ma solo per proteggere quella parte di lei che ancora si sentiva diversa e che stava venendo attaccata dalle altre due.
Povere stupide mediocri nullità.
Bastò un involontario cambiamento nel tono di Alice e la discussione smise di essere solo animata per infiammarsi completamente. Ancora un rapido scambio di battute e tutto virò sul personale. Poco dopo Sarah se ne andò fumante di rabbia. Io me ne andai fumante di rabbia.
Nel giro di pochi giorni cominciarono a girare strane voci riguardanti la “straniera arrivata da poco” e, per quanto cercassi di tenere una condotta impeccabile, qualsiasi situazione veniva utilizzata per mettere in risalto le mie stranezze. Fu così che presi a isolarmi. Mi sentivo stanca e abbandonata. Stufa.
Cominciai a saltare le lezioni e a trascorrere le mie giornate supina sul letto a leggere romanzi fantastici, d’avventura e d’amore. Tuttavia scoprii una nuova e straordinaria empatia verso i racconti dove figuravano strani esseri, come ruggenti uomini-lupo, affascinanti vampiri, grotteschi mostri e blasfeme divinità.
Un giorno, sentendo più forte l’oppressione delle mura domestiche, decisi di fare una passeggiata. Notai le occhiate di disprezzo della gente. Vidi persino Martha, la mia vecchia amica (se così la si poteva definire), che osservava con disgusto il mio aspetto emaciato. Ma nulla poté turbarmi, anzi, dentro di me provavo solo piacere. Godevo nel vedere come tutti mi scansassero.
Con questi pensieri per la testa, vagai per le stradine del paese, fino a ritrovarmi in un posto familiare e che, nonostante ciò, non riuscivo a ricordare. Ebbi un forte senso di déjà vu, poi mi assalii un violento capogiro e mi sembrò quasi di cadere addormentata.
Ero in un vicolo buio. Al termine stava lui, il conte Vladimir, immobile. Sembrava aspettarmi. Altro déjà vu. Mi fece segno di seguirlo.
Feci un passo ed ero fuori dal vicolo. Poi un altro: ero nella periferia della città. Poi un terzo: ero in centro città. Ero ai piedi della collina. Ero sulla collina. Ero nei boschi. Ora in un sentiero. Ora davanti al castello…
Ero stordita, drogata. Mi aveva investita una mitragliata di immagini sconnesse, che si presentavano alla mia mente accompagnate da fastidiosissimi déjà vu.
Benché non me ne rendessi veramente conto, una parte di me percepiva che quella visione frammentata stava lasciando posto a un placido, soffuso ambiente onirico.
Vladimir schiuse il portone senza neanche toccarlo e vi scomparve all’interno. Come levitando mi portai dentro la dimora. Camminai per labirintici corridoi e interminabili scale per un tempo che pareva infinito e in qualche modo anche nullo. Errai; errai forse per anni, come un spettro, fino a raggiungere una stanza dai colori troppo intensi per essere reali. Al centro stava Vladimir, mi dava le spalle, come se fosse intento a studiare gli arcani affreschi.
Con innaturale lentezza si girò verso di me, mentre la porta alle mie spalle si chiudeva da sola. Afferrò la mia mano, placidamente, e mi fissò negli occhi: due grandi occhi, enormi, maestosi, sconfinati. Vi sprofondai dentro.
Nessun opera di Escher riuscirebbe anche solo a rappresentare le immagini paradossali che si presentarono  alla mia mente, nessun Doré le cavalleresche e apocalittiche emozioni che dirompevano nel mio petto, nessun Giger l’orgia di mostruose perversioni nel mio ventre.
Mi risvegliai di soprassalto, o almeno mi sentii come se fosse accaduto. Tutto mi pareva concreto, massivo, reale. Mi sentivo come se la mia vita (Newburyport, i miei genitori, la mia casa, il mio trasferimento a Gloomy Bay, la scuola), tutta la mia vita, fosse stata solo un lungo sogno e mi fossi svegliata in quel preciso istante. Una sensazione terribile, ma che portava con se uno strano senso di soddisfazione. Ma la mia mentalità umana era ancora presente.
Ero in piedi nella stanza con Vladimir. Mi teneva per mano e mi fissava intensamente.
Cercai di dimenarmi, ma lui non parve neanche badarci: la sua presa era salda come quella di una statua di granito.
“Che cosa vuoi?” urlai. “Lasciami andare! Lasciami subito! Lasciami, oppure… mi metto a urlare!”
Non batté ciglio e dopo poco io tacqui.
“So perché tutti ti evitano.”
La sua voce era calda e fredda insieme. Mi fece rabbrividire, ma non saprei dire se per l’orrore o per il piacere.
“So perché sei dovuta fuggire da Newburyport e so anche dei tuoi problemi con la luce solare.”
Per qualche istante calò il silenzio. I miei occhi vennero rapiti dal suo fascino singolare: non potevo far altro che ascoltare.
“Tu non sei umana, così come non lo sono io.”
Lo disse lentamente, scandendo le parole, in modo che quel discorso potesse venir assorbito a dovere dalle mia mente.
“Apparteniamo alla stessa specie e anche per questo tu sei destinata a diventare la mia compagna.”
Cercai di dire qualcosa, ma produssi solo un mormorio sommesso. Mi pareva che il mondo si fosse messo a oscillare sotto i miei piedi.
“Non siamo esseri umani. Siamo una specie superiore, eletta.”
Per quanto cercassi di convincermi dell’assurdità di quelle parole, una parte di me sapeva che erano vere. Qualcosa di oscuro e bestiale si stava risvegliando dentro di me.
“Vuoi dire che noi… Insomma noi saremmo…”
Lui annuì con serietà.
“C-cioè, mi stai dicendo che noi saremmo d-d-dei… vampiri?”
“Vampiri?”
Non ebbi neanche il tempo di rispondere che subito esplose in una profonda risata che somigliava terribilmente al ribollire di una palude. Poi, così com’era comparsa, l’allegria gli svanì dal volto lasciando spazio solo al gelo dei suoi occhi.
“Preferirei l’oblio a essere un’ombra immortale di un misero essere umano.” Fece una lunga pausa, come se stesse riflettendo, poi aggiunse sottovoce, come se parlasse a sé stesso “o un essere affascinante che brilla al sole.”
Per un istante mi parve quasi di vedere l’ombra di un sogghigno.
“No, non siamo vampiri,” riprese con disprezzo. “Siamo qualcosa di nettamente superiore. Siamo qualcosa che gli umani non possono concepire neanche nei loro incubi peggiori. Noi…” e mi strinse a se con vigore, come un leone che si avventa sulla preda.
Potevo ammirare ogni singolo particolare del suo volto nobile e delicato; ogni piccola sfumatura di quelle labbra diafane verso le quali nutrivo un disperato desiderio.
“Noi siamo l’oscura progenie stellare dalla terribile divinità marina Cthulhu!”
In un attimo lo vidi trasformarsi in un umanoide verdastro coperto di squame putride e limacciose. Orrende escrescenze vermiformi si diramavano dalla bocca, vibrando, come dotate di vita propria. Quasi svenni a causa della terribile folata di pesce marcescente che mi investì.
Adesso mi aggiro per le cupe profondità marine assieme al mio nuovo compagno, che si appresta a insegnarmi la mia blasfema lingua natia e a usare dei nuovi, devastanti poteri. Con gli abitatori delle profondità di Innsmouth stiamo progettando un’invasione sulla terraferma, così da preparare il mondo all’avvento dei nostri padri. Ia! Ia! Cthulhu fhtagn! Certo, non ho trovato un compagno dolce e premuroso, ma ho scoperto una gloriosa, blasfema, putrida esistenza che adoro!
Ia! Ia! Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn!
 

***

 
Salve a tutti, sono l’autore di questo racconto. La storia è finita e spero vi sia piaciuta. In ogni caso, se avete tempo e voglia, desidererei fare qualche breve commento su quanto avete appena letto.
Questo racconto non è nato come parodia dei libri del genere di Twiligth, ma come canzonatura a chiunque parta dal presupposto che si tratti di letteratura horror.
Capita spesso, nelle librerie, di trovare racconti di Poe e Lovecraft assieme a Twilight o I promessi vampiri (che comunque trovo abbia un titolo veramente infelice). O anche di discussioni agguerrite sul fatto che i vampiri dovrebbero comportarsi in un certo modo piuttosto che in un altro.
Siamo concreti: I promessi vampiri non è un romanzo horror e non mira minimamente a generare le emozioni di questa letteratura, dunque è normale che sia un horror ridicolo. E sapete perché? Perché non lo è, né vuole esserlo (almeno spero).
I due generi si rivolgono a lettori molto diversi tra loro e hanno anche obiettivi diversi. Non è che se compare la parola “vampiro” allora si tratta di un romanzo horror.
È come accomunare Cappuccetto Rosso e Il signore degli anelli solo perché entrambi hanno elementi fantastici. O domandarsi quale sia il fantasy migliore tra i due. O aggiungere che quando i lupi mangiano le persone quelle non rimangono vive al loro interno. O ancora far notare che per la tradizione gli elfi non dovrebbero essere vulcaniani dai lineamenti femminei, ma dei nanerottoli col cappello verde intenti a confezionare regali con Babbo Natale.
Non so voi, ma io trovo che tutto questo non abbia senso. Insomma, “elfi” e “vampiri” sono solo parole. Che poi, a guardarci bene, nel mondo del fantasy ci sono sempre gli elfi, ma ogni volta appaiono totalmente diversi come aspetto e personalità; e poi ci sono i mostri brutti, grossi e stupidi, che cambiano nome ogni volta, anche se poi le loro caratteristiche chiave sono le stesse in ogni libro.
Ma questa è una divagazione inutile.
In fin dei conti quello che volevo dire è solo che, quando vado i libreria, vorrei poter trovare una bella storia horror senza dover spendere mezz’ora a scavare tra libri che di horror hanno proprio niente. E anche che trovo stupide discussioni su quanto sia più horror un testo horror piuttosto che uno che non lo è affatto.
 
Aggiungo solo che forse avrei dovuto classificare questa storia come fan fiction collegata al ciclo di Cthulhu di H.P. Lovecraft, tuttavia questo avrebbe distrutto il colpo di scena finale e dunque lo spirito stesso della storia.
 
Che dire adesso?
Spero che il racconto vi sia piaciuto.
Se volete potete andare su internet e visitare la pagina del vostro autore preferito. Se invece avete tempo da perdere potete visualizzare la mia.
Trovate tutto agli indirizzi:
 
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=254603 (Mia pagina di efp)
http://www.facebook.com/BigFut16 (Mia pagina su facebook)
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1352815&i=1(Mia parodia di Harry Potter)
 
Sono molto interessato a critiche, pareri e commenti, specialmente se possono permettere di migliorarmi.
A presto (o a mai più, non so, dipende da voi).
   
 
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