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Autore: Harriet    16/11/2007    6 recensioni
[Il giorno dell'inizio del mondo]
Hikari è un ragazzino fragile, alle prese con un potere che non sa controllare. Shuichi è un tipo solitario, sensibile a suo modo, ma fondamentalmente poco interessato ai rapporti umani. Il loro incontro porterà cambiamenti inaspettati.
La realtà non è così semplice. Ci sono cose nascoste dietro ciò che vediamo, e i ricordi, i desideri e le storie sono molto più reali di quanto si pensi...
CAPITOLO X Online: EPILOGO!
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! E grazie di essere qui!
Questa storia è un mega omaggio ai manga e agli anime, e i debiti di ispirazione sono tanti. Li ammetto senza problemi!
E' ambientata in Giappone, ma non è un Giappone realistico. E' il Giappone sognato dagli appassionati di manga, immagino...
I personaggi sono stati battezzati da alcuni dei miei amici.
Questa storia è stata scritta per metà a marzo, quando non avevo nemmeno idea che esistesse una cosa fichissima chiamata “Heroes”, quindi, no, Iori e Shuichi non sono parenti di Isaac Mendez. Sono sicura di aver assorbito l'idea di dipingere il futuro da qualche parte che non ricordo. E comunque, i loro poteri funzionano in maniera diversa...
Questa storia, oltre ad essere un omaggio ai manga e alle storie, parla anche di rapporti umani. E di quanto sia interessante lasciare che un altro essere umano entri nella nostra vita.
Per questo è dedicata un po’ a tutti i miei amici.
Spero vi diverta almeno un po'...

La citazione iniziale di questo capitolo viene da “Inside your heart”, delle Fiction Junction, e la traduzione è quella di animelyrics.com.

Buona lettura!

Sekai no hajimari no hi
Il giorno dell’inizio del mondo


I - Every dream is dreamt by two

Kimi ga kimi ni deau tame no story
ima shizuka ni
hajimaru...

(La storia di te, in viaggio per incontrare te stesso
comincia ora, in silenzio)

Ci siamo incontrate un giorno luminoso, abbiamo iniziato a seguire la stessa strada, consapevoli appena che avevamo creato un legame.
Abbiamo riso e pianto, abbiamo disegnato sogni e intravisto risposte. Abbiamo dato vita alla magia, al genere più difficile di magia.
E poi abbiamo promesso che ci saremmo sempre state.
E poi non c’eravamo più, ma non per colpa nostra.
E adesso io non so dove sei, e mi sembra che una parte del mio cuore sia irraggiungibile per sempre.
Però...non ho perso le speranze di ritrovarti, anche perché i tuoi messaggi mi raggiungono, così come sono certa che i miei arrivano a te.
Hai fatto anche tu quel sogno, vero? Sono sicura che anche a te è stato affidato qualcosa.
C’è qualcosa, in questa città, nell’aria, oltre la realtà, che combatte accanto a noi due.
Noi due esisteremo sempre.
Anche se non dovessi rivederti mai più. Anche se arrivassi alla fine della mia vita, con l’ultima immagine che ho ora di te: una ragazza appena sbocciata, che ride e mi sommerge con una miriade di disegni, prima di correre via perché è in ritardo ancora una volta.
Esisteremo sempre. Anche se non riusciremo ad incontrarci mai più, la storia che abbiamo fatto iniziare andrà avanti e sarà raccontata tutta.

*

Come si era cacciato in quella situazione? Come era riuscito a combinare una cosa tanto assurda?
Soprattutto...come pensava di venirne fuori?
C’erano almeno venti persone, attorno a lui, e se quelle malintenzionate erano cinque o sei soltanto, gli altri, avvoltoi curiosi, probabilmente avrebbero causato più danno che altro con la loro presenza lì.
E poi lo mettevano a disagio più di quanto non lo fosse già.
- Spostati di lì.- gli intimò quello che gli era più vicino, un giovane alto, dall’espressione non esattamente rassicurante.
- Perché non facciamo tutti finta di nulla e ve ne andate?- tentò di mediare, sentendo che la voce tremava, le gambe tremavano di più e accorgendosi di non avere idee per risolvere la cosa pacificamente.
- Non c’entra niente lui, è stata colpa mia!- gemette la piccola persona raggomitolata a terra, dietro di lui. E lui si sentiva di concordare pienamente con quell’affermazione. Non c’entrava niente, aveva combinato tutto quell’idiota, lì a terra. Un idiota che lui stava proteggendo da quelli che aveva fatto arrabbiare, anche se era la prima volta che lo vedeva in vita sua.
Non era un buon motivo per mollarlo lì, comunque. Però, se fossero riusciti a cavarsela senza troppi danni fisici, magari gli avrebbe detto con decisione cosa pensava degli scherzi stupidi, ecco.
- Allora, ti sposti o no?- La minaccia venne da un altro del gruppo.
- Beh...no.-
Geniale. Gli venne da ridere, nonostante la situazione assurda in cui si trovava, e questo fece infuriare ancora di più quelli che gli stavano attorno. Uno di loro scattò in avanti e lo afferrò per le spalle. Lui chiuse gli occhi e strinse i denti. Era alto e robusto, ma non aveva mai nemmeno provato a fare male a qualcuno, neanche per difendersi. Gli faceva venire da ridere anche questo.
Incredibile, fu il ragazzino a terra a reagire per lui. Scattò in piedi e si attaccò al braccio dell’aggressore, gridando di lasciarlo fare, che era solo colpa sua.
Ma la gente che era lì a guardare...a nessuno veniva in mente di aiutarli?
L’aggressore si scrollò di dosso il ragazzino, gettandolo a terra di nuovo. E lui aprì gli occhi, immaginando di dover fare qualcosa.
- Basta! Che cosa state facendo? Se non lo lasci andare chiamo la polizia!-
Una voce irata di donna interruppe il brutto momento. Tra la piccola folla si fece largo una ragazza che indossava la divisa dei commessi del centro commerciale, teatro di quella scena penosa. Sembrava veramente decisa, ed aveva già pronto il telefono per mettere in atto la sua minaccia.
Sembrò funzionare. L’aggressore lasciò andare la sua vittima, e si allontanò, insieme ai compagni. Il gruppetto di curiosi si dissolse ad una velocità impressionante, e al centro della scena rimasero solo due ragazzi, uno esile e piccolo, a terra, spettinato e col viso sporco di sangue, l’altro alto e robusto, con lunghi capelli neri ad ombreggiargli il viso serio. A terra, poco distante, giaceva una cartella, dalla quale erano usciti fogli ricoperti di schizzi e disegni.
- Si può sapere cos’è successo?- si alterò lei. Era piccola, portava i capelli legati e gli occhiali.
- Mi dispiace, ho fatto casino di nuovo.- piagnucolò il ragazzo a terra. – Mi dispiace davvero. Io non...-
- E piantala.- mormorò l’altro. Poi gli tese la mano per farlo rialzare.
- Come vi chiamate? Che ci facevate qui?- incalzò lei.
- Shuichi Yukishiro.- rispose il più alto. – Ed ero qui per fare acquisti, come la gente normale in un centro commerciale.- Intanto l’altro si era sollevato in piedi, con un po’di fatica, emettendo un lamento. – Ti hanno fatto male?-
- E’ stata solo colpa mia!- continuò a piagnucolare l’altro.
- Se lo ripeti un’altra volta ti faccio male io! Insomma, sei così noioso che quasi te lo sei meritato.- rispose tranquillo Shuichi. L’altro spalancò gli occhi, sconvolto da quelle parole così dirette.
- Mi sembra che stiate bene.- li interruppe la ragazza, con un sospiro. – Vedete di non mettervi più nei guai, voi due.-
Detto questo si allontanò in fretta, lasciandoli soli e sempre più a disagio.
- Ehi, perché dovremmo metterci nei guai insieme di nuovo?- domandò Shuichi. – Non credo ci rivedremo, dopo oggi.-
- Immagino tu non abbia assolutamente voglia di rivedermi.- commentò l’altro. – Scusami per il casino. Spero non ti abbiano fatto male.-
- Ma no. Senti, mi spieghi come ti è venuto in mente di dire a quel tipo che sua madre sarebbe morta? L’avrebbe capito chiunque, che quello lì non era proprio il massimo della gentilezza.-
La faccia dell’altro ragazzo si fece triste, e lui abbassò la testa, come sconfitto da qualcosa di più grande di lui.
- Non lo so. Non lo so davvero. Non è colpa mia.-
- Eh, infatti sono stato io a dirlo...-
- Sul serio! E’ che...a volte...-
- Ti viene voglia di fare scherzi idioti alla gente?-
- NO! Non faccio apposta.-
- Hai una doppia personalità?-
Gli occhi dell’altro si riempirono di lacrime, e per quanto si fosse sforzato, alla fine vennero fuori.
- Grazie comunque.- riuscì a dire. – Vai adesso, però.-
- Senti, scusami. Non volevo offenderti. Non volevo...Insomma...Vabbè. Ammetterai che dici cose strane.-
- Non è che lo voglia!- protestò l’altro, tentando di arginare le lacrime.
- Dai. Tranquillo. Va bene.- rispose Shuichi, piuttosto imbarazzato. – A me la gente strana piace. Davvero.-
- Io le vedo, le cose, e già quello fa paura, e quando mi viene da dirlo ai diretti interessati è ancora peggio!- si sfogò l’altro ragazzo. Non che Shuichi avesse afferrato bene il concetto. Però si sentiva in colpa lo stesso.
- Qualunque cosa significhi, mi dispiace.- tentò di consolarlo, ma l’altro ormai aveva ceduto alle lacrime. – Come ti chiami?- iniziò, per distrarlo.
- Hikari Aoi.- balbettò. – Adesso vado. Grazie di tutto e scusami.-
Si voltò, scappando via prima che Shuichi potesse dirgli qualunque cosa. Solo che dopo pochi passi si voltò, fermandosi in mezzo al corridoietto che ospitava tutti i bar del centro commerciale, e fissando negli occhi Shuichi.
- I tuoi guai cominciano oggi.-
Lo aveva detto con una voce... inquietante. Più sicura, più autorevole. Non c’era traccia del tipo piagnucoloso, in quella frase.
- Cosa...- mormorò Shuichi, continuando a non afferrare il senso del mistero che era l’altro.
All’improvviso l’espressione dell’altro s’incrinò, e Hikari ridiventò la persona di prima.
- L’ho fatto di nuovo! Te ne sei accorto?- gemette.
- Mi sono accorto che mi dicevi cose insensate.-
- Non volevo! E’ che l’ho visto!-
- Visto cosa?-
- Che i tuoi guai cominciavano oggi.-
- In effetti ti conosco da oggi e per ora mi hai già messo nei guai.-
Hikari abbassò la testa di nuovo, incapace di dare spiegazioni logiche. L’altro si fermò a riflettere per un attimo, squadrando il ragazzo più piccolo, come per studiarlo.
- Stai cercando di convincermi che hai come...delle premonizioni?-
-...sì. Ma tu ci credi?-
- Non lo so.- Shuichi si incupì. – Conoscevo una persona che ci capiva, in queste faccende. Ma a me non piaceva granché, come cosa, e questa persona non me ne parlava mai.-
- Scusami. Non ho idea di cosa possa voler dire. Non so, non lo so mai. Io prevedo, e delle volte è come se ciò che vedo fosse più forte di me, volesse venire fuori. Così lo dico alla gente, alle persone che hanno provocato la visione. A volte è chiaro, a volte non ha senso. Ma non so spiegarlo. Così finisce per essere tutto perfettamente inutile.-
Fece un sorrisino desolato, poi accennò un inchino.
- Ora ti lascio andare davvero. Perdonami.-
E sparì veramente, nel labirinto del centro, senza sentire le deboli proteste di Shuichi, che tentava di richiamarlo.
Sparì, e Shuichi fu colto da una sensazione senza nome, ma veramente brutta.
Come di errore.
Come di incompletezza.

Da dietro uno scaffale, in uno dei negozi lì vicino, la ragazza con gli occhiali mormorò un’imprecazione, mentre si toglieva la casacca della divisa (che non era sua), e cercava di ricordarsi dove accidenti l’avesse presa, prima.
Era andata bene, fino a un certo punto. Si erano incontrati. Aveva lavorato bene, da parte sua, e l’incontro era avvenuto.
Ma si erano separati bruscamente, quello scemo di Hikari Aoi se n’era fuggito in quel modo, e chissà se si sarebbero ritrovati ancora!
Sospirò, decidendosi finalmente a muoversi di lì.
Si doveva fidare.
Aveva fatto quanto era in suo potere, e non doveva dimenticare che non era sola, in quell’assurda faccenda.
Tsugumi era con lei. Tsugumi era lì, da qualche parte, in quel preciso istante, molto probabilmente, e il fatto che lei non potesse vederla non significava che la forza costante di Tsugumi non fosse al lavoro, per il suo stesso motivo.
Il pensiero di Tsugumi le fece tornare un po’ di buonumore. Erano sempre insieme, e anche se ora avevano un compito più complesso di quelli che si imponevano quando erano ragazzine, il loro lavoro di squadra era sempre stato invidiabile, e anche questa volta ce l’avrebbero fatta.
Insieme.

Shuichi si incamminò verso il negozio che gli interessava, stringendo la cartella, nella quale aveva infilato alla rinfusa i suoi disegni. Era pensieroso, infastidito e oppresso da quella sensazione inspiegabile.
Mah.
Forse aveva veramente bisogno di stare un po’ di più tra gli esseri umani.
All’improvviso si scontrò con una donna che usciva correndo da uno dei negozi. Era la giornata degli incontri poco fortunati. La cartella gli sfuggì di mano e i disegni si sparpagliarono ovunque, di nuovo.
Che bello.
- Oh mi scusi mi scusi mi scusi!- esclamò lei, con un livello di voce da assordare all’istante l’uomo più sano del mondo.
- Ma no, si figuri. Ero distratto io.- le rispose, desideroso solo di essere lasciato in pace dal resto dell’universo.
La donna si mise subito all’opera per rimettere insieme i poveri maltrattati disegni, anche se per Shuichi quello non era un favore, ma un tormento. Per fortuna i disegni furono raccolti in fretta, e la donna glieli rese, con aria contrita.
Tutti tranne uno. C’era ancora un foglio che stazionava triste in un angolo. Lei si precipitò a prenderlo, e prima di renderlo al suo proprietario si fermò a guardarlo.
- Oh! Che bello schizzo!- esclamò, forse per farsi perdonare del disastro.
- Ah. Grazie.- rispose lui, colto alla sprovvista. Poi guardò il disegno, e per la seconda volta in quella giornata si sentì veramente spiazzato.
Quando lo aveva fatto?
Riconosceva il tratto: era senza dubbio la sua mano. Ma non avrebbe assolutamente saputo dire quando, come e perché quel disegno era nato.
Raffigurava uno scrittoio d’epoca. Su di esso vi erano una candela ed un calamaio, con la sua penna. E poi una busta...una modernissima busta, già chiusa ed affrancata, in attesa di ricevere un indirizzo per poter essere spedita.
Ma che senso aveva?
- Molto bello. Enigmatico ma bello.- scherzò lei. – Oh accidenti!- esclamò all’improvviso, col solito adorabile tono di voce. – Per fortuna ho visto questo disegno! Mi stavo scordando di una spedizione importantissima che ho da fare! Devo comprare i francobolli! Lei non lo sa, ma mi ha appena salvato la vita!-
E detto ciò affibbiò il disegno al suo stralunato (immemore) proprietario, e corse via.
Shuichi rimase a fissare il nulla, stringendo il disegno in mano e chiedendosi cos’era quel sentimento che aveva colto prima, tra lo stupore e l’incredulità, mentre la donna guardava il disegno e realizzava qualcosa.

Finalmente si era lasciato alle spalle il centro commerciale e tutte le assurdità di quella giornata. Ora sarebbe andato a casa e...
Urla, parole concitate, agitazione, gente che correva da tutte le parti.
Si fermò in mezzo al marciapiede, e comprese subito quel che era successo. Una delle villette lungo la strada era in fiamme. Immaginò che l’incendio lo avesse provocato qualche esplosione. In lontananza si sentivano le sirene dei vigili del fuoco, ma non sarebbero riusciti a salvare molto: le fiamme erano troppo alte e la casa già troppo devastata. Il cuore perse un battito, e la sua naturale sensibilità gli fece domandare subito, con ansia, se non ci fosse qualcuno in quella casa.
E poi spostò gli occhi sulla folla che attorniava la casa, e notò una persona.
Che...che cavolo ci fa lì, quello?
Irrimediabilmente attratto da ciò che stava accadendo, come si è attratti solo dai guai, Shuichi accorse verso il luogo del disastro, e raggiunse la figura che lo aveva richiamato lì.
Che naturalmente stava piangendo, fissando le fiamme come se quel disastro fosse avvenuto per causa sua.
- Devi essere un frignone del cavolo.- lo apostrofò. – Cos’è successo?-
- Vattene!- gridò l’altro, tra i singhiozzi. – Non hai idea di ciò che dici, quindi vattene!-
- Ehi, scusami. Perché sei qui?-
- Non lo so! Perché i miei poteri mi ci hanno portato, credo. Io gliel’avevo detto, ma non sapevo cosa sarebbe accaduto, e nessuno ha potuto fare nulla!-
- Ma cosa...-
Poi capì, e allo stesso tempo desiderò non aver mai capito. Poco distante c’era uno dei ragazzi che li avevano aggrediti prima. Quello a cui Hikari aveva predetto la morte della madre. Il ragazzo stava gridando, indicando la casa, infuriandosi con chi lo teneva fermo. Shuichi rabbrividì.
- Non...non vorrai dire che...sua madre era...-
- Succede sempre così.- rispose Hikari, continuando a piangere. – Ha senso vivere così, secondo te?-
Shuichi voleva dire qualcosa, voleva capire meglio, voleva consolare l’altro, ma non venne fuori nemmeno una parola.
Quel tipo aveva detto ad un ragazzo che sua madre doveva morire. Ed era successo davvero. E a meno che quel frignone non fosse andato appositamente ad appiccare il fuoco (ma non gli sembrava il tipo), allora...
Quella donna era morta, proprio come quel tipo aveva previsto.
E poi tutto fu rovesciato, e Shuichi sperimentò che non c’era mai fine allo stupore e alla follia. Perché in quel momento accadde qualcosa di prodigioso.
Una donna accorse sul luogo del disastro, gridando e facendo grandi gesti. Il ragazzo disperato la vide: sembrò rianimarsi, e le corse incontro, chiamandola “mamma”.
- Sua madre? Ma allora...-
Già, non era morta, ma questo non cambiava la straordinarietà della situazione.
- Non è morta.- mormorò Shuichi, tentando di venire a patti con la sensazione di stare vivendo qualcosa di veramente troppo grande anche solo da immaginare. – Non è morta, perché non era in casa. E non era in casa perché doveva andare a comprare dei francobolli!-
- Cosa?- mormorò Hikari, sconvolto.
- E le sono venuti in mente in francobolli perché ha incontrato me. Perché ha visto un mio disegno. Che non ricordo di aver fatto. Ma se non lo avesse visto, sarebbe tornata a casa, e ci sarebbe stata l’esplosione, e...-
E fu questione di un istante: c’era un vento impetuoso attorno a lui, che però poteva sentire solo lui, e una voce invase la sua mente, dolce e prepotente, promettendo cose lontane e oscure, che lo attraevano...
Vuoi capire il senso di tutto, vero?
Vuoi andare a casa, vero?
Vuoi che troviate la strada di casa insieme?
Vuoi condividere un destino misterioso?
Il prezzo da pagare sarà alto, ma non sarai mai più vuoto.
Puoi anche rifiutare, ma non saprai mai cosa significa veramente essere completo.
E ora scegli...

D’istinto afferrò la mano dell’altro.
Ora.
- Il disegno ha completato la tua premonizione. Riproviamo!-
- ...che cosa?-
- Devi dirmi quando hai la prossima premonizione. Voglio vedere se funziona ancora. Se io...se un mio disegno può...spiegarla, o far sì che non si avveri. O comunque aiutarci a capirla.-
- Che...cosa?- ripeté Hikari, stravolto. – Ma non ha senso! E’ una coincidenza, per forza! Come puoi esserne così sicuro?-
Già, appunto, come faceva ad esserne così sicuro?
- Fidati.-
Questo non rispondeva alla domanda.
- Io...-
- L’hai detto tu, che vivi da sempre così e non ce la fai. Proviamo. Magari è una follia, magari no. Potrebbe essere la soluzione che aspettavi da una vita.-
- Sì, ma a te...- mormorò Hikari. – A te che cosa importa?-
Quella era una buona domanda.
- Non lo so. Cioè. Niente, credo. Ma... penso sia la cosa giusta.-
Hikari si asciugò gli occhi e questa volta smise di piangere davvero.
- Mi sembra assurdo, ma tanto non è che tutto il resto fosse molto normale, anche prima.- rispose. – Va bene, proviamo.-
Rimasero in silenzio a fissarsi, entrambi con la strana sensazione di non essere veramente nella realtà.
- Promettimi che sarai meno lamentoso, però.- finalmente Shuichi ruppe il clima quasi sacrale.
- E tu meno brutale!- protestò Hikari.
- Dai, non dirmi che te la prendi per come parlo.-
- Invece sì, non sei né educato né gentile.-
- La prossima volta lascio che ti picchino, eh.-
- Vuol dire che me la caverò da solo!-
- Senti, ma tu sei almeno alle medie, vero?-
-...ho quindici anni, anche se non sembra.- sospirò l’altro, rassegnato.
- Oh. In effetti. Cioè, scusa, volevo dire...-
- Lascia perdere.-
- Ok. Io ne ho sedici.-
- Ti devo chiamare Yukishiro senpai?- domandò Hikari, che sembrava poco contento dell’idea.
- Ma no. Mi farebbe troppo ridere. Va bene Yukishiro. Comunque...Io penso di avere seriamente bisogno di un caffè. Vuoi venire con me?-
- Non lo bevo, il caffè.-
- Sei davvero un moccioso, comunque.-
- Ma che cavolo dici?-

Dal suo angolo riparato, dietro una delle villette contigue a quella incendiata, la donna guardò i due che si allontanavano insieme, e sorrise. Le dispiaceva che avessero dovuto conoscersi in un’occasione simile. Avevano avuto paura, avevano temuto che la donna fosse morta.
E invece no, ed era tutto grazie a loro.
Nemmeno lei avrebbe potuto prevederlo...anche se avrebbe dovuto immaginarlo, ovviamente. Non era nuova a questo genere di cose, e poi quei due erano fatti per condividere la stessa misteriosa magia, e finalmente erano riusciti a scoprirsi.
E tutto grazie a noi.
Sospirò e si fece triste per un attimo. Chissà dov’era Iori. Da qualche parte, lì attorno, di sicuro, e lei non poteva vederla!
Ciò non toglieva che Hikari e Shuichi si fossero incontrati grazie al loro lavoro combinato.
Ancora una volta, anche se una maledizione le aveva separate, erano riuscite a sfidare il destino insieme.

...continua...

   
 
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