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Autore: HuldraxVilia    28/04/2013    0 recensioni
Una ragazza riesce finalmente a fuggire dal suo oscuro passato che sembra perseguitarla ovenque.
Si ritoverà in inghilterra e si sentirà finalmente al sicuro e protetta.
Ma è davvero al sicuro?
Uno strano susseguirsi di eventi farà ricredere Amber.
Lei non è al sicuro. Nessuno di loro lo è.
Un esperimento genetico. Otto ragazzi. Verità minacciose incombono su di loro.
Potranno Amber, Adam, Beth, Moon, Gareth, Lily, Mattew e Johnathan uscire vivi da quella casa, conosciuta anche come Blay House? E se sì, avranno ancora delle certezze nella loro vita?
***dai capitoli***
Poi, successe qualcosa di assurdo, ed Amber dovette guardare molte volte per assicurarsi di essere sveglia e lucida: la ferita si stava rimarginando da sola. Gli ultimi rivoli di sangue si ritiravano di nuovo all’interno della ferita. La pelle si rimarginava ad una velocità impressionante.Era guarita.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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                                       CAPITOLO 1
Lynn, Inghilterra.
 
Quando, una mattina di settembre, Amber si avviò verso il college inglese, carica di bagagli, lo “spettacolo” che trovò al suo arrivo non le piacque affatto.
Da giorni ormai si chiedeva cosa avesse fatto cambiare idea alla sua assistente sociale; da mesi la pregava di mandarla via da Torino, dall’Italia. Non voleva più vedere nessuno, né i suoi amici, né i suoi genitori, voleva andar via da quel caos infernale, che ormai, era diventato la routine.
 Ma probabilmente, anzi di sicuro, non era quella l’accoglienza che si era aspettata una volta arrivata al college: due ragazze stavano discutendo animatamente, e dalle poche parole che Amber aveva afferrato in quell’inglese biascicato che stavano parlando, intuì che l’argomento dell’accesa discussione era un top azzurro, che la bionda doveva aver preso alla mora. Amber avanzò cauta, verso quella che le sembrava una sala da pranzo, dentro c’era una signora sulla quarantina, con i capelli neri. Amber la avvicinò chiedendole, in un inglese tutt’altro che perfetto, dove fosse la presidenza.
 < Sali le scale, la porta alla sinistra >. Le rispose sbrigativa.
Seguendo quelle indicazioni, Amber, si ritrovò davanti all’ufficio del preside. Bussò e prima che le arrivasse la risposta, entrò e si ritrovò davanti ad un uomo grassoccio, con un faccione tondo che emanava dolcezza da tutti i pori. Sono in Gran Bretagna nemmeno da un giorno, e vogliono già farmi venire il diabete!Pensò Amber, leggermente disgustata. Non era mai stata una ragazza dolce, anzi, ad un certo punto della sua infanzia dovette prendere in mano la situazione. Certo, con una madre alcolizzata, un padre più che povero e un fratellino da crescere, la dolcezza era l’ultimo dei suoi problemi.
Il preside Tacer la fece accomodare su una poltrona di velluto rosso davanti alla scrivania. Dopo aver parlato del più e del meno, il preside decise che era arrivato il momento di accompagnarla nella sua stanza. Alleluia, se sto un altro po’ con questo svitato mi sa che diventerò come lui.Quel pensiero acido e maligno si fece strada nella mente scombussolata di Amber, che si stupì di essere in grado di produrre pensieri così cattivi.
 
Arrivata nella sua camera, Amber, si soffermò un attimo a guardare il secondo letto che c’era nella stanza: sopra c’era ammucchiata una quantità di roba pazzesca, e subito Amber si chiese come facessero a stare in piedi tutte quelle cose buttate alla rinfusa. Poi, dopo aver valutato per bene il resto della stanza, che comprendeva un armadio vuoto e una scrivania di legno, si buttò sul letto valutandone la morbidezza, non le erano mai piaciuti i materassi duri. Da piccola, quando andava a dormire da sua nonna, i materassi erano talmente duri da sembrare di pietra. Ma quel materasso era morbido, perfetto per lunghe dormite, che a casa sua duravano dal venerdì sera alla domenica pomeriggio, a quel punto doveva alzarsi per fare i compiti per il lunedì successivo.
Per un po’ la sua compagna di stanza non si fece viva, e Amber se ne stette sdraiata comodamente sul letto a leggere un libro, adorava leggere. Soprattutto i romanzi fantasy, perché, come diceva lei: “La prendevano un casino”. S’immedesimava talmente nella protagonista che a volte si metteva a parlare con il libro, imprecando contro un personaggio che, di sicuro, aveva fatto qualcosa di sbagliato. E la maggior parte delle volte piangeva per il finale, o si arrabbiava tantissimo perché non era finito come voleva lei.
Finalmente verso le undici, la sua compagna di stanza si fece viva, la riconobbe come la ragazza che al suo arrivo stava litigando con la ragazza castana.  Era una ragazza carina, con i capelli corti e biondi portati in un caschetto molto chic, decisamente in contrasto con le sue iridi nero carbone.
 < Ciao! Mi chiamo Beth. Cioè, Lisbeth, ma è troppo lungo, capisci, no? Tu? >. Le chiese con un sorriso tutto fossette.
 < Amber > rispose con un sorriso sgargiante. Da quando aveva tolto l’apparecchio ai denti (a giugno) non si vergognava più di fare un sorriso. Amber si riteneva una ragazza carina, certo, non una di quelle ragazze che quando passano tutti voltano la testa, semplicemente carina.
 < Sai > le fece Beth ad un certo punto < Artur è proprio un maledetto.... >. E qui partì con una serie d’imprecazioni che Amber capì benissimo, perché Beth le scandiva una ad una, quasi volesse farsi sentire da codesto Artur. Quando terminò il lunghissimo arsenale d’imprecazioni che aveva a disposizione, toccò ad Amber parlare:< Ma almeno si può sapere chi diavolo è Artur? >.
 < Oh... Certo, Artur è il padrone di questa casa, è un’arpia al maschile, capisci che intendo, no? Ci vuole tutti nelle nostre camere alle nove, e le luci si spengono alle nove e mezzo!! Cioè, è un’ingiustizia! Non credi? >
 < Emh.. si certo, una vera ingiustizia >. Esclamò Amber veemente.
  < Adoro i tuoi capelli! Sono stupendi! Sono naturali o li hai tinti? >. Le chiese, scrutando la sua chioma mossa e rosso fuoco. Amber arrossì violentemente:< Li ho tinti, prima li avevo biondi, proprio come i tuoi. >
 < Anche io avevo pensato di farmeli rossi, ma con i miei occhi il rosso stava proprio male! Invece con i tuoi... >. Disse guardando meravigliata i suoi occhi verde foresta.
Ad un certo punto scoccò la mezza, e Beth informò Amber che era ora di pranzo. Così s’incamminarono verso la sala da pranzo al piano di sotto. Durante il breve tragitto, Amber approfittò del poco tempo per chiedere:< Senti Beth, quella donna con i capelli neri che sta in sala da pranzo, chi è? >
 < Oh, quella è Cecilia, noi la chiamiamo Cece. È molto gentile, ma soprattutto cucina benissimo >. Aggiunse leccandosi i baffi. Amber rise. Per la prima volta dopo anni fece una risata vera, sincera. Non quei risolini finti che faceva a casa, quando la voglia di ridere le stava sotto ai piedi.
La sala da pranzo era ben illuminata, ampia e spaziosa. Ma soprattutto, nonostante Amber fosse lì da poche ore, si rese conto che quella stanza era calda e accogliente, e per la prima volta, vedendo i bei sorrisi che le rivolgevano i ragazzi seduti a tavola, si sentì davvero a casa.
Amber aveva sempre avuto un debole per i bei ragazzi, ma non lo stereotipo di bel ragazzo, che doveva essere alto, bellissimo, forte e muscoloso. No, Amber aveva un debole per i ragazzi con un bel visino, le fossette, e una corporatura normale. E appena seduta a tavola, vide un ragazzo seduto dall’altra parte del tavolo, con i capelli castano-rossicci, delle fossette da far girare la testa, e... quando Amber si sporse un po’ per osservare con discrezione gli occhi del ragazzo, restò di stucco. A prima vista sembravano blu, ma guardandoli bene si notavano le innumerevoli righe violette all’interno dell’iride. Ottima scelta Amber, capelli castano-rossicci, fossette e occhi blu-violetti. Pensò Amber con una nota di sarcasmo.
Il pranzo era ottimo. Fish&chips, con variante, ovvero, il pesce non era fritto ma, impanato, e la patate non erano fritte ma al forno; cavoletti di bruxelles, e torta alle fragole. Alla fine del pranzo Amber era davvero sazia, e si rese conto che Beth non scherzava dicendo che Cece cucinava benissimo.
Dopo pranzo si misero tutti in sala comune, come gli altri ragazzi erano soliti fare. Mentre gli altri chiacchieravano animatamente, Amber si prese un po’ di tempo per associare i nomi dei ragazzi alle loro facce. Vediamo... beh c’è Beth; poi c’è Adam, il figo stratosferico con gli occhi viola; Emily, la ragazza mora che questa mattina litigava con Beth, ma lei preferisce che la si chiami Lily; Mugain, che è irlandese, il suo nome si pronuncia Moon, carina, capelli lunghi, neri e liscissimi; Mattew, il ragazzo carino con i capelli biondi e gli occhi gialli; Gareth, il bel tenebroso con i capelli neri (n.b.: è un po’ scorbutico); e Johnathan, che sembra il modello di una crema anti acne, prima della cura. Quindi, quattro maschi: Adam, Mattew; Gareth e Johnathan. E quattro femmine: io, Beth, Lily e Moon….< Amber? Amber! > l’acuta voce di Moon la fece riaffiorare dai propri pensieri.
 < si? >. Rispose.
 < Ti ho chiesto, almeno quattro volte, da dove vieni? >.
 < Oh... sono nata in Italia, a Torino >.
 < Forte! >. Esclamò Lily, esaltata:< E dimmi, com’è L’Italia? >.
 < Uno schifo >. Disse Amber secca, lasciando tutti, compreso Gareth, che sembrava non farsi mai toccare da niente, a bocca aperta. Continuò:< Si. Le strade fanno schifo, i politici fanno schifo, i genitori fanno schifo, fa tutto schifo, la maggior parte delle volte, anche i ragazzi fanno schifo! >. 
  
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