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Autore: summers001    28/04/2013    3 recensioni
Salve a tutti! Eccomi con un'altra Captain Swan OS. Non voglio anticiparvi la trama quindi non dirò niente. E' una storia piuttosto banale, molto AU, molto leggera, tenera non strettamente romantica, diverse dalle serie Angst che ho scritto finora (tornerà presto anche quello!). L'ispirazione è presa da un episodio della prima serie ;)
Cit:
"E' qui, non è arrabbiato, vuole vederti. E' tornato. Parlaci. Sta bene. Non riesco a nasconderti niente, perché mi guardi? Non voglio guardarti. Non farti vedere insicura. Spero tu non capisca.
Strizzò gli occhi confusa. Istintivamente gli fissò il petto sulla sinistra mentre lui si sedeva.
Sta bene.
Uncino sorrise, era tenera confusa, meno aggressiva."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il dottor Whale è desiderato al Pronto Soccorso.
Il dottor Whale è desiderato al Pronto Soccorso.
Il messaggio si era ripetuto fino a tre volte mentre Mary Margaret e David parlavano con il dottor Whale, che intanto faceva segno alla capo sala di spegnere quello stupido altoparlante.
"Cos'è successo?" chiese lui inseguendo una barella.
"Noi non... non lo sappiamo" iniziò piangendo Mary Margaret. Si portò le mani agli occhi e vi si nascose, alzandoli di tanto in tanto gli per controllare con la sua visione offuscata la testa che usciva da fuori alle coperte.
"Abbiamo visto un'esplosione verde, fumo, era magia, c'è un prezzo... Poi era lì... L'aiuti Whale!" spiegò David. I suoi occhi erano lucidi come quelli della moglie, ma si impose fermezza per poterla sostenere e per aiutare i dottori.
"Fidati di me!" scomparve dietro una porta sbarrata. Si accese una luce rossa sul soffitto che recitava a caratteri stampati "sala operatoria – occupato".
Mary Margaret e David vi si fermarono davanti. Lui la prese e la accolse tra le sue braccia, affondando con il viso sulla sua spalla, protetti e rinchiusi nel loro dolore.
Rimasero in attesa diverse ore prima che qualcuno potesse avvisarli che l'operazione s'era conclusa. Erano seduti su un divanetto che avevano trascinato davanti a quella porta. Le lacrime s'erano consumate ed asciugate, non c'era altro da piangere. Erano stretti l'uno accanto all'altra con le gambe stese in avanti sul pavimento. David la cullava e con un dito le accarezzava i capelli. Gli occhi di entrambi erano fissi sulla luce rossa.
Un'infermiera dovette sedersi accanto a loro per attirare la loro attenzione. Mary Margaret raffiorò dal petto del marito, si alzò nervosamente a sedere e con un'unghia tra i denti allentava la tensione.
"L'abbiamo trasferita in terapia intensiva attraverso l'altra corsia. L'operazione è andata bene" disse loro.
David e Mary Margaret si alzarono insieme guardarono la donna ed il corridoio frementi di andar via. "Grazie" le disse lei velocemente, poi si fece trascinare dal marito che l'aveva afferrata per il braccio e la trascinava via.

Il dottor Whale li stava aspettando davanti alla porta della stanza che le avevano riservato.
"Il trauma le aveva provocato una dissezione aortica. Lo shock le ha fatto perdere la coscienza, l'abbiamo recuperata giusto in tempo, stava per rompersi. Non spaventatevi per la..."
Il dottore non ebbe il tempo di finire che Mary Margaret era entrata nella stanza, si era avvicinata all'unico letto presente, aveva carezzato la fronte di sua figlia e scoperto il petto seminudo sul quale trovo una cicatrice verticale.
"Vi lascio soli" convenne serio Whale e s'allontanò.
Mary Margaret restò a guardare ancora qualche secondo, incapace di scostarle gli occhi di dosso. Si fece stringere per le spalle da David che, oltre la sua testa, vedeva anche lui sua figlia inerme recuperata in fin di vita in un letto in ospedale.
Si avvicinarono entrambi a carezzarle con il dorso della dita la mano abbandonata sulle coperte. Mary Margaret le agganciò meglio i bottoni della camicia, la coprì sul petto e distese i fili che la legavano ai computer. Quando David tornò con un paio di sedie ed una busta con viveri per lei, si sedette davanti al letto in cui Emma sembrava così piccola. Mangiò qualche morso di un panino che divise col marito, si addormentò poi addossata a lui, mentre David vegliava con gli occhi lucidi sua figlia.

Emma si risvegliò il giorno dopo all'alba. Strizzò gli occhi confusa, non riusciva a muoversi, non vedeva bene, si sentiva spossata. Voltò il viso a destra e sinistra più volte, si asciugò la fronte sudata sul cuscino. Quando riuscì ad alzare le mani si esaminò la pelle, i lividi sulle braccia,. Sentiva un peso sul petto, come schiacciata da un'enorme sasso, si tastò e sentì il calore e il gonfiore del taglio chirurgico, il ruvido alternarsi dei punti che le stringevano i lembi di carne ed il dolore bruciante delle sue dita.
Si voltò di lato, vide Mary Margaret e David addormentati su una sedia e si commosse per averli trovati: non aveva mai avuto nessuno. Cercò il pulsante giallo per chiamare l'infermiera, lo premette più volte con le dita deboli e poco dopo una donna anziana in camice bianco e blu varcò la porta accompagnata dal dottor Whale. La donna svegliò i due sulle sedie, intimò loro gentilmente di aspettare fuori mentre il dottore visitava la paziente. Quelli preoccupati, eseguirono e cominciarono a fissare attraverso il vetro della porta verso l'interno.
Quando poi l'infermiera riaprì la porta entrarono frementi, in attesa di conoscere il responso.
"Beh," cominciò il dottore allegro "risponde meglio di quel che mi aspettassi. Stara bene, ma devi restare ancora con noi per qualche tempo, d'accordo Emma?" chiese Whale sorridendole e poggiandosi con le mani alle sbarre del letto per guardarla meglio.
"D'accordo!" rispose lei con tutta la voce che poteva in tono d'arresa.
"Nostra figlia è tornata!" dissero i genitori entrambi eccitati. Lei si teneva i pugni stretti al petto in un gesto di esultanza, lui la guardava sorridendo con le mani sulle sue spalle chinato leggermente su di lei.
"Nostra figlia, che dite, questa storia di Henry vi sta influenzando tutti!" rispose lei divertita.
"Emma," iniziò Mary Margaret "qual'è l'ultima cosa che ricordi?"
"Ahm, vediamo:" iniziò riflettendo Emma parlando già con voce più sveglia "stavo andando da Regina per dirle che me ne sarei andata da Storybrooke, ero in auto e..."
"Hai avuto un incidente" concluse Whale per tutti, spaventato dal fatto che i due potessero raccontarle qualcosa che l'avrebbe turbata, che le avrebbe reso necessari sedativi e tranquillanti.
"Henry?" chiese subito Emma preoccupata. Tentò di alzarsi a sedere con la schiena, puntando le mani sul materasso, ma si accasciò di nuovo.
"Sta bene, voleva venire qui ma..." cominciò David. Guardò la moglie non sapendo che cosa avrebbe dovuto dirle. "è rimasto con una persona" continuò Mary Margaret per lui "Ti – ti spiegheremo dopo!" cercò di sorridere lei.
Emma fece cenno di sì con la testa, chiuse gli occhi sperando la confusione s'alleviasse. Tutti aspettavano che dicesse qualcosa, erano in sospeso di una sua reazione e la guardavano. Sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, ogni sguardo la frustava e le bruciava addosso. Si sentiva stretta e claustrofobica. "Sentite vi dispiacerebbe se..." chiese schiudendo lievemente gli occhi.
"Certo" risposero voci confuse all'unisono.
Mary Margaret si avvicinò ad aggiustarle il cuscino, picchiettandolo sui lati. Emma la guardò stranita e intimidita dalle attenzioni eccessive che le stavano riservando. Le rimboccò infine le coperte con un gesto goffo, ripensandoci più volte e poi posandogliene i lembi nelle mani.


Nei giorni seguenti tutti in città seppero dell'accaduto. Per solidarietà molti portavano doni al principe e sua moglie. Non facevano altro che ripetere che "perdere una figlia due volte deve essere davvero terribile". Quello che diplomaticamente rispondevano loro era che Emma era viva ed avrebbero trovato un modo per risolvere il problema. L'avrebbero ritrovata sempre.
Neal arrivò a chiedere aiuto a suo padre. Si presentò in ospedale quando il figlio lo chiamò d'urgenza al cellulare. Fu pochi giorni dopo l'accaduto che Gold fu informato.
"Figliolo, non è in mio potere lo sai" disse affranto, osservando lo sguardo di delusione scendere sul viso del figlio. Aveva capito fin da subito che Neal amava ancora la salvatrice, che poteva esserci una ragione per cui il loro figlio era così inteliggente e davvero fuori dal comune, come disse una veggente tempo addietro.
Si allontanarono tutti da lui per mantenere una certa riservatezza, mentre Gold continuava a scrutarli da più lontano per poi andar via, da solo.
"Forse Regina, per Henry" provò ad ipotizzare David.
"No, lei non ci aiuterebbe mai, non dopo quello che ho..."
"Va bene, va bene" la bloccò il marito.
"Il bacio del vero amore!" disse in slancio Biancaneve "Tu l'hai fatto a me!" i suoi occhi ricominciavano a brillare di speranza.
"Già, ma chi..." cominciò con chiedere David.
"Nessuno a quanto so!" una voce cupa provenire da un angolo buio fece voltare tutti. Capitan Uncino nascosto nell'ombra, con un le spalle poggiate distrattamente alla parete e le gambe incrociate. Con il suo arto d'acciaio si pungeva le dita, se lo rigirava nella mano destra, si guardava i polpastrelli e fingeva di ignorare tutti.
"Cosa ci fa qui quel farabutto?" chiese Neal. Uncino sorrise verso di lui cupo e minaccioso, pazzo.
"Lascia, andrà via" David si pose fra loro due, richiamando nuovamente l'attenzione degli interessati.
Passarono vari minuti in cui furono lanciati diversi nomi in una sorta di litigio frenetico, da quello di Henry a quello di Neal, che potevano aiutare Emma a ridivenire la salvatrice. Biancaneve ed il principe avevano anche pensato di tenerla fuori da quel mondo pazzo che li aveva minacciati più volte, ma sapevano dai suoi occhi che la loro bambina aveva bisogno dei suoi genitori, di trovare la sua famiglia, la pace e il lieto fine che aveva sempre immaginato fin da piccola.
Sapevano che c'era stata una connessione con Henry, da quando Emma spezzò la maledizione grazie a lui, ma era solo un bambino e non potevano coinvolgerlo nella magia. L'esperienza di tutti aveva fatto riflettere su quanto la magia potesse influire sull'animo.
"Lo farò io" si decise Neal.
"Non ti parlava da settimane" lo contraddisse David.
"La conosco, ho passato una vita con lei, abbiamo un figlio!" rispose Neal più sereno.
"L'hai solo scopata," la voce di Uncino si fece risentire dal cantuccio buio. Questa volta pareva più attento alle loro discussioni, come se ne facesse parte ed in facoltà piena di dire la sua "e sono abbastanza certo che non sei l'unico a poter vantare un'esperienza simile!"
Mary Margaret lo guardò col volto sconvolto, con la bocca aperta e la fronte corrucciata, arrabbiata. Rimase in silenzio però. David strinse un pugno, sforzandosi di fingere di ignorarlo, pensando prima a sua figlia ed alla ricerca veloce di una soluzione per aiutarla.
Neal rimase meno calmo "Arrabbiato perché sei rimasto senza?" gli si avventò addosso prendendolo per il bavero. Uncino emise una risatina divertita da gradasso qual'era. Si guardavano entrambi negli occhi, ostentando antiche rivalità.
"Prova!" li interruppe David. L'espressione sul viso di Neal si fece più calma. Attesero tutti che Neal si allontanasse per superare il corridoio ed entrare in stanza da Emma.
"E tu non parlare mai più di mia figlia in questi termini o ti ritroverai a dover cercare altra ferraglia!" David puntò un dito verso Uncino, che alzo le braccia in segno di resa.


Neal non era calmo, non sapeva se avrebbe funzionato, se lo augurava per più di un motivo. Aveva sempre creduto che Emma oltre le sue battute pungenti non l'avesse dimenticato, che fosse infastidita dalla sua presenza perché sapeva di provare ancora qualcosa e non avrebbe voluto dargli quella soddisfazione, dopo essere stata ferita, ma che col tempo si sarebbe sciolta. Poteva perdonarlo come aveva già perdonato i suoi genitori. Tuttavia non ne era certo, era come un presentimento, qualcosa che non andava di cui non voleva accorgersi, qualcosa che sai che c'è ma non sai cos'è. Come aver dimenticato qualcosa, ma non ricordare cosa. In più la Emma che aveva conosciuto nell'ultimo periodo era completamente diversa dalla ragazzina di cui si era invaghito. Era una donna più dura con se stessa e se potesse ancora più sola, nonostante il calore che la sua famiglia le riservava. Poteva interpretarla meno di quanto potesse fare prima.
"Toc toc" chiese Neal prima di entrare.
Emma prese un respiro profondo, ingoiò parole impastate di saliva. Le era stato detto del legame di lui col signor Gold, del fatto che lui fosse tornato dopo averlo saputo e che avesse scoperto di avere un figlio. Le fu detto di quanto tempo in realtà fosse passato dal suo ultimo ricordo, di com'erano andate realmente le cose a New York, dell'inseguimento. Le pareva di ricordare allora l'eccitazione di esser riuscita a raggiungere il fuggitivo, di aver fissato le mattonelle sporche e bagnate di New York, aver sollevato la testa ed essere rimasta sconvolta. Allora aveva ricollegato l'accaduto con i fatti che le stavano narrando.
Non ricordarselo era come riviverlo ancora. Riconobbe la sua voce, sia perché lo stava aspettando sia perché l'avrebbe sempre riconosciuta dopo tutte le volte che se l'era immaginata da ragazzina.
"Carino da parte tua venire qui!" la sua sferzata ironica e cattiva lo raggiunse prima che potesse realmente entrare.
"Già!" cominciò Neal a voce bassa e con fare risolutivo "Senti, ho già risposto a qualunque domanda tu stia per pormi, ricorderai" continuò subito bloccando il suo fremito interrogativo.
"Uh uhm" mugugnò Emma e si voltò di lato. Aveva intenzione di ignorarlo finché non avrebbe ricordato.
Stronzo, la galera me la ricordo.
Eppure rivederlo era strano, come un déjà vu, sembrava di aver vissuto una situazione simile tutta la vita, con tutta la certezza che la vita reale era diversa.
Neal le si avvicinò. Il cuore gli batteva a mille, presto avrebbe scoperto se anche i sentimenti di lei erano rimasti immutati, come pensava, tagliando i preamboli ed agirando la sua rabbia. Se l'avesse sempre amato, come sospettava, se lo sarebbe ricordato anche allora e il suo bacio avrebbe senz'altro funzionato. Le si avvicinò ancora e si sentiva meno sicuro ad ogni passo. Emma si girò verso di lui ed iniziò a guardarlo preoccupata dalla notevole vicinanza. Si allontanò da lui appena s'avvicinò, spingendosi all'indietro sul cuscino e tirando il collo verso l'alto per guardarlo negli occhi e capire cosa aveva in mente.
Neal la prese per le spalle ed Emma s'irrigidì sbarrando gli occhi. Le poggiò le labbra sulle sue piano. Emma iniziò a respirare affannata e sorpresa. S'irritò. Lo spinse via con le mani cercando di sfuggire alla sua presa e portò il viso lontano dal suo.
"Che diavolo stai facendo?" chiese urlando. Non era abbastana in forze per allontanarlo del tutto, ma lo vide ritrarsi.
"Forse non ricorderò cos'è successo ultimamente, ma questo no di certo!"
Neal riconobbe così la sua Emma. Prese un respiro ritraendosi a sguardo basso, in fondo l'aveva saputo. La delusione lo fece sorridere di dolcezza, immaginando che lei era troppo fragile dentro per amarlo ancora dopo quello che le aveva fatto.
In fondo l'aveva saputo.
"Scusa!" disse solo senza guardarla negli occhi ed allontanandosi dalla camera.


"A quanto pare non sei durato abbastanza" lo accolse allusivo Uncino, leccandosi il labbro, lasciando che fraintendesse.
"Toglietemelo dai piedi!" chiese Neal con un tono tra il depresso e l'irritato.
"Perché sei qui Uncino?" lo sorprese Mary Margaret all'improvviso. Tutti si voltarono verso di lui. Uncino li guardò torvo da sotto le sue sopracciglia. Strinse forte i denti, accolse la tacita richiesta irritato e s'incamminò via a grandi falcate.
David e Neal tornarono a guardarsi fra di loro l'un l'altro, il primo chiedendo spiegazioni, il secondo non avendo idea di come spiegare ad un padre di come aveva fallito con sua figlia. Era diventato più sensibile sull'argomento dopo aver ritrovato il suo, suo padre e suo figlio. I suoi occhi esprimevano dolore.
"Gli importa di lei" sussurrò lasciando cadere piano la notizia Mary Margaret, che al contrario degli altri era rimasta a fissare Uncino andar via. Si pose una mano sul petto, cercò di ricordare tutti quei momenti che aveva passato tra loro due nella Foresta Incantata, come lui paresse deluso da lei nelle segrete del castello e pensò che forse avrebbe dovuto capirlo allora.
"Cos..." iniziò Neal "Gli importa... Gli importa di lei?" lo stupore lo fece balbettare, cercando di immaginare Capitan Uncino amare Emma. Le sue parole le fecero eco infastidito ed incuriosito.
David guardò con lo stesso sguardo interrogativo che era stampato sul volto di Neal, verso sua moglie che gli fece cenno di sì col capo. Al quel gesto Neal scattò ed iniziò ad inseguire Uncino. Corse più veloce di lui, superò l'atrio e le porte dell'ospedale, raggiungendolo. Erano entrambi sul vialetto principale circondati da aiule mal tenute, la notte ed i lampioni illuminavano un sentiero di ciottoli di pietra su cui le scarpe spingevano e sfregavano. 
Neal afferrò Uncino per la spalla e lo costrinse a voltarsi. "E' vero? E' così? Ti importa?" lo tempestò di domande frettoloso, irritato, disgustato, stomacato.
Uncino non rispose, si voltò solo tornando sulla sua strada e continuando a camminare, lasciando l'avversario fermo dov'era.
"Ti importa di lei?" gli urlò come se fosse lontano. La voce di Uncino ancora non si fece sentire ed il suo ignorarlo lo irritava ulteriormente.
"Fermati figlio di puttana!" gli urlò disperato. Uncino si fermò e si girò piano verso di lui, guardandolo con un'espressione in bronzo, altezzoso. Quando Neal vide lo sguardo di lui, lo snob con cui lo trattava, l'esibizionismo del suo volto, crollò di rabbia tirandogli un pugno sulla guancia. Il pirata si piegò di lato, rimase qualche secondo ad attendere l'attenuarsi del dolore, poi rialzò il viso e sistemò la mascella con la mano. Rispose ricambiandogli il favore, nello stomaco di lui senza preavviso.
Neal cadde a terra piegandosi sulle ginocchia. Fece per rialzarsi stringendo ancora un pugno poggiato sul ginocchio a far leva, mentre con l'altra mano si teneva la pancia.
"Non costringermi ad usare l'altra mano!" gli disse ironico Uncino, scoprendo di lato i denti nella minaccia. Attese l'arresa dell'uomo e poi si girò per andar via.
"Va allora! Va da lei, provalo!" lo trattenne Neal disperato. Rivoleva solo Emma, la sua Emma e la sua felicità con la sua famiglia indietro. Uncino ragionò sulla probabilità che forse anche lui amava la donna, di un amore lascivo e senza pretese, arreso e non combattivo.
"Emma non è un giocattolo" gli rispose piano con tono di sufficienza, voltandosi posteriormente ed incontrando il suo sguardo "e tu sei patetico. Avresti dovuto sfruttare la tua occasione quando ancora ne avevi una, proprio come tuo padre!".
Lo lasciò in terra, con le mani tra i ciottoli ed andò via.


Neal cosa avrebbe dovuto provare? Forse un lampo di gelosia?
Il tutto gli si presentò palesemente davanti. Uncino amava Emma. Lo realizzò e si sentì stupido per non aver collegato prima. Rise al pensiero. Rise di se stesso per essere stato così cieco.
Uncino ed Emma. Era esattamente ciò che ci si poteva aspettare da loro, entrambi, prevedibili nella loro imprevedibilità. Testardi, concreti, realisti, furbi, imbroglioni, liberi. Seguivano entrambi le proprie regole, si riscrivevano le leggi. Riuscivano in tutto quello che volevano, erano capaci di sottomettere e vincere. Creavano fastidi e strataggemmi entrambi, operavano con la stessa mano pulita. Improvvisatori talentati. Feriti e chiusi alle porte del mondo. Facevano forza entrambi sul proprio dolore, non permettevano a nessuno di lasciarsi colpire, men che meno all'altro. Così capì anche perché si odiavano tanto, entrambi a dare addosso all'altro.
Tornò dalla famiglia di Emma con le mani infuligginate. Erano di nuovo in alto mare.


Non sembrò vero il giorno che Whale, il dottore, visitò la pelle di Emma.
"Sembra che questa ferita stia guarendo davvero bene, nessuna infezione, il gonfiore è scomparso. Hai avuto qualche disturbo? Febbre?" cercava di ispezionarla lui, intendeva non tralasciare niente.
Emma fece cenno di no con la testa sorridendo a labbra chiuse.
"Bene, quindi..." cominciò Whale spegnendo i monitor.
"Posso tornare a casa?" chiese fremente lei.
"Anche questa sera!" annunciò felice. Era sempre una soddisfazione curare un paziente. Curare, non uccidere, né resuscitare, curare.
Emma allora sorrise, felice di poter lasciare quel letto, le infermiere, la camicia da notte, l'odore di disinfettante, la finestre chiuse, l'aria condizionata opprimente.
Il dottor Whale la lasciò sola, chiuse la sua cartella, la ripose sul comodino. Fece scattare la sua penna chiudendola e riposandola nel taschino sul petto del suo camice mentre oltrepassava la porta. Si allontanò in direzione degli ascensori ed attese battendo la punta del piede in terra.

Uncino, ancora nell'ombra, lo spiava nelle sue mosse. Attese che scomparisse oltre le porte scorrevoli prima di intrufolarsi nella camera di Emma.
La trovò a frugare davanti allo specchio in un borsone marrone, piccolo. Tirò fuori una maglia scura di filo leggero. Aveva indosso dei pantaloni neri ed ancora la camicia da notte. Se la tolse, restò a guardarsi per qualche attimo sul petto, sfiorandosi la ferita chiusa ma ancora in rilievo di color porpora.
"Oh" fece Uncino annunciandosi "queste non sono immagini che si dimenticano facilmente!" la sua voce bassa fece eco nella stanza prima che lei, sopresa ed istitiva, chiuse gli occhi.
Si infilò rapidamente la maglietta e la fece scendere lungo i fianchi. Cercò prima il nuovo personaggio nell'angolo dello specchio, non trovandolo si voltò e lo vide poggiato sgarbatamente allo stipite della porta.
Sollevò un sopracciglio interrogativa: l'uomo era vestito in nero, abiti in pelle succinti ed una camicia larga che pareva venire dagli anni novanta o dall'ottocento. Nascondeva il braccio sinistro dietro la schiena. Aveva gli occhi chiari puntati su di lei ed una barba sfatta da giorni. Sulle sue labbra era disegnato un sorriso malizioso ed arrogante. Qualcosa tuttavia nel suo modo di porgersi verso di lei, nel suo tono, nella postura, la mancanza di gesticolazioni superflue lo rendevano compito e disinvolto allo stesso tempo.
"C'è un orario di visite" disse lei offesa "ed io non ti conosco" il tono che aveva assunto Emma era assai duro.
"Oh si, beh" disse abbassando lo sguardo ed iniziando a spiegare "io e la tua famiglia non siamo mai andati così d'accordo!". Il sorriso arrogante esprimeva l'irrilevanza e la trascurabilità che Uncino riservava verso gli altri, poco interessanti. Non si premurò di spiegarle a quale famiglia si riferisse, né volle sapere fino a che punto le sue conoscenze dei fatti si estendessero.
"Chi sei?" chiese Emma freddamente incrociando le braccia.
"Mi chiamo Killian Jones" rispose pacato. Allungò il braccio sinistro di lato e si portò il destro sulla pancia, piegandosi ed accennando ad un inchino. Allora Emma vide la mutilazione, indossava un aggeggio di cuio e bottoni di metallo a coprirsi il moncone della mano mancante.
"Non mi ricordo di te" esordì pensando che sarebbe stato difficile dimenticare un simil personaggio.
"Non importa!" l'espressione di lui seccata le fece capire che non era lì per aiutarla, né gli importava dei suoi ricordi, dei trascorsi. In realtà Uncino era infastidito dagli eccessivamente numerosi tentativi che la sua famiglia, così preoccupata, stava provando. Emma fu sollevata. Si sentiva pressata.
"Eri un qualche specie di amico?" si sentiva sospettosa dalla sua apparizione disinvolta. Doveva conoscerlo evidentemente. Ti ho già visto da qualche parte.
Uncino rispose prima con una risata. "No," constatò poi "no in realtà ti odiavo!"
"Non mi sembra difficile da credere!" le sfuggì "Almeno sei l'unico che pare avermi detto subito la verità!" Lui mente. E' un professionista. Ti sta mentendo.
Uncino continuava a sorridere, sorpreso dalla sua nuova prima impressione "Questa è bella!"
Era serio. Però ti aveva mentito, forse in passato. O forse no.
"Ed io?"
"Era reciproco! Anche se ammetto che mi piaceva averti alle calcagna" le rispose lui sottile, riscrivendo i loro incontri nei suoi ricordi tramite le parole.
"Io ti avrei seguito?" chiese Emma con l'espressione sospettosa, attendendo la sua risposta, avendo capito l'imbroglio dell'uomo, immaginandosi quale altra storia avrebbe inventato.
"Diciamo che i nostri interessi si sono scontrati diverse volte" optò lui per la verità.
I tuoi super poteri vacillano, Emma? Non essere sciocca, non fare la ragazzina. Riprenditi, ce l'hai fatta, sei ancora brava.
Il viso di Emma si illuminò allora di soddisfazione. Uncino sorrise osservando e ripensando al suo vizio di ispezionare tutti, capirli e reagire di conseguenza. Si ricordò di quando lei si vantò con lui delle sue magiche abilità quando si conobbero.
"Da dove vieni così conciato?" Emma si sedette sul bordo del letto continuando a fissarlo ed incrociando le braccia minacciosa.
Killian sorrise di nuovo "dall'isola che non c'è!" si divertì a stuzzicarla, irritandola.
"Divertente!"
Allontanalo Emma, allontanalo, non guardarlo.
"Vieni con me" Uncino le si avvicinò e le porse la mano con il palmo teso verso l'alto. Muoveva le dita in segno di sollecitazione.
"Dove?" chiese Emma stranita. Aveva stretto le dita e s'era ritirata la mano. Fissò quella di lui e l'idea di una cosa già vissuta s'insinuò nella sua testa, confondendola e bloccandola. Uncino si spazientì e fece per tirare via l'invito, quando sentì la stretta delle dita di lei. Le afferrò la mano e la tirò via.
Il suo stesso gesto la lasciò interdetta. Emma era stata titubante, sapeva perché: non avrebbe dovuto fidarsi mai più di qualcuno, ci si fa male troppo, la vita non è una favola, non esiste Biancaneve né il principe Azzurro, non esiste il vero amore. Tutto di lui, l'atteggiamento, i vestiti, le parole, le dicevano di non fidarsi. In più vedeva una maschera crepata sul punto di rompersi: c'era qualcosa. Emma avrebbe scoperto cosa. Si convinse di essere solo curiosa.
Tu mi somigli troppo.

La portò fuori da quella stanza d'ospedale.
Le infermiere la indicarono mentre passava davanti a loro insieme all'inaffidabile pirata.
"Eppure si capisce chi è" , "non si ricorda" , "questo rende tutto molto chiaro" mormoravano con una mano davanti alla bocca.
La portò all'esterno sul vialetto. Il sole picchiava sulle pietre e sugli alberi. Emma si sentì bruciare la testa ed il petto. Si strinse le braccia attorno alle spalle, chiusa nelle nuove sensazioni che il mondo esterno le lanciava addosso. Uncino notò il suo gesto, sulla difensiva. Erano rimasti in silenzio, lui indeciso di cosa parlarle. La prima volta che fu solo con lei quando la conobbe aveva molto più da dire, cercava di scoprirla, di giocare e divertirsi. Usava le parole per scioglierla. In quell'occasione si scoprì, attirato dalla praticità di lei dal carattere e dal coraggio, a volerla e poi, divertito e stupito, a voler stare con lei.
"Fermati!" lo chiamò lei, ferma in piedi sui sassolini del vialetto. "Mi piacerebbe mangiare qualcosa di decente!" annunciò indicando un chiosco che sorgeva nel giardino dell'ospedale. Era pieno di persone che lo circondavano, camici bianchi e signori in borghese. Dalla folla si poteva capire che era il meglio che quell'ospedale potesse offrire, valeva la pena approfittarne e testare lo strano individuo.
Uncino si guardò intorno: gente seduta ai tavoli, persone che circondavano una sola con portafogli aperti e banconote in mano, buste bianche piene di cibo oleoso, cartoni quadrati piccoli e chiusi, bicchieri pieni.
Indicò ad Emma un posto vuoto, le fece segno con la mano di avvicinarsi e le spostò la sedia di ferro da cavaliere.
Emma lo guardò quasi irritata e stupita "Vuoi fare il gentiluomo?" chiese scettica.
Uncinò la fissò di rimando e rafforzò il suo invito con un gesto della mano.
"D'accordo" si decise lei titubante.
"Torno subito!" le sussurrò lui vezzoso e languido.
Uncino s'avvicinò al chiosco, osservò bene le persone, le loro ordinazioni. Rimase distaccato da loro. Attese, scelse la sua vittima. Urtò semplicemente con due dita la mano della preda, lo guardò chinarsi a raccogliere le sue cose ed allora si allontanò col suo pranzo in un sacchetto stretto nelle cinque dita rimaste.
Lei lo guardava da lontano, furtivo, pratico, bravo. Tu mi somigli decisamente troppo. Ma da dove vieni, chi sei.
Tornò da Emma sorprendendola alle spalle pensierosa. Le lasciò il cibo sul tavolo e le parlò all'orecchio chianandosi su di lei. "Eccomi splendore, ti sono mancato?".
Un ciuffo di capelli le ondeggiava con il fiato di lui, seguendone il ritmo. Le sfiorò con la punta del naso la linea del collo e s'allontanò. Emma sentì un brivido e scosse più volte le palpebre confusa e inquieta. C'era qualcosa che le tornava in mente: una necessità, una sensazione spiacevole di ansia e prostrazione insieme. Una voce le diceva di fuggire, nascondersi. Sarebbe tornato, l'avrebbe trovata, era arrabbiato. Lei non voleva saperlo, non voleva vederlo. E' qui, non è arrabbiato, vuole vederti. E' tornato. Parlaci. Sta bene. Non riesco a nasconderti niente, perché mi guardi? Non voglio guardarti. Non farti vedere insicura. Spero tu non capisca.
Strizzò gli occhi confusa. Istintivamente gli fissò il petto sulla sinistra mentre lui si sedeva. Sta bene.
Uncino sorrise, era tenera confusa, meno aggressiva.
L'agitazione di Emma, nascosta, cresceva.
"Parlami dell'isola che non c'è!" gli chiese, totalmente irrazionale ed impulsiva.

 

 

 

Angolo dell'autore:

Il titolo si riferisce a tutto. Tutti qui hanno perso qualcosa.
C'è stata una mini mini comparsa anche di Gold, ma è un personaggio talmente... talmente Gold che non me la sento di scriverne a riguardo, sbaglierei sicuramente qualcosa! L'avrei anche dovuto fare in un contesto padre-figlio, ma vorrei vedere ancora come cambia il loro rapporto.
Avrei voluto inserire anche Regina, ci sarebbe stato molto un "l'avrebbe aiutata per Henry", ma stesso discorso di prima.
Che mi dite dei personaggi? Ho esagerato con Hook? Troppo OC? Mi piace troppo quando fa il cattivone, ma forse le parolacce non sono da lui, forse Hook è più garbato nei modi ma ho pensato "hey è un pirata!" quando ce vò ce vò =P Confesso di averla scritta solo per poter scrivere di quelle scene xD
Ah dimenticavo, ho preso qualche spunticino da una canzone che ho intenzione di riusare "you found me" dei The Fray che trovo si adatti molto alla Emma post Neal.
Ma, sono arrivata alla NONA fanfiction Captain Swan? Ma, sono seriamente malata! Nove... That's incredible! Tornerò con storie più serie comunque, questo lo chiamo esercizio creativo!

Ringrazio di cuore pilvia_s e Roly_chan! Senza di voi non avrei neanche recensioni XD

  
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