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Autore: stillfreeit    28/04/2013    0 recensioni
Nella penisola Italica del 1458, in pieno Rinascimento, non è affatto comune che il Capitano della polizia locale sia una donna. D'altra parte, a quanto pare, esiste una piccola città sulla costa tirrenica della penisola che può vantare questo singolare prodigio. Viene da sé che Elena abbia sempre da dimostrare di essere all'altezza del suo ruolo. Il killer silenzioso piombato dal nulla in città è esattamente l'opportunità che Elena non avrebbe mai desiderato di dover cogliere per mostrare di che pasta è fatta.
Genere: Mistero, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cp15 La Sfregiata

6 Aprile 1458

Il tempo scorre veloce tra le tue dita.
L’ennesima notte per strada, sei invisibile quando non sei nessuno e non vali niente.
Unico pensiero fisso….che il Capitano avesse capito.
Unica speranza, trovare l’omuncolo impunito.
L’aveva seguita, osservata.... da quando l’aveva vista la prima volta china sulla sua prima vittima, intenta ad analizzare il cadavere.
Sapeva dove abitava, sapeva che la sua vita era divisa fra la sua abitazione e la caserma.
Sapeva di suo marito. Ma non sapeva dove trovarlo.
Era riuscita a mangiare senza versare un'ulteriore goccia di sangue, e questo la faceva sentire stranamente sollevata.
Nascosta come sempre aveva ascoltato la conversazione fra lei e suo marito…ma disgraziatamente non le era venuto in mente di seguirlo.
Ancora non sapeva cosa avrebbe voluto fare.
Aveva vagato per la città tutta la mattina, sedendosi ai bordi dei viottoli, come in un precario stato di trance alzando lo sguardo di tanto in tanto, per vedere se il passante di
turno impietosito era adatto e disposto a sganciarle qualche ducato.
Spesso veniva insultata e schernita in malo modo ....
“Ehi non provare ad avvicinarti…feccia!”
Oramai era abituata a ciò.
Le scivolava addosso, esattamente come la pioggia battente della sera prima.
Se il Capitano avesse capito si sarebbe diretta immediatamente nel luogo in cui era suo marito, inizialmente ipotizzò che poteva essere tornato nella loro casa.
Seduta per l’ennesima volta si guardò i piedi, scalza, le facevano male, erano pieni di vesciche.
Il selciato di certo non aiutava.
Trovò rifugio in quella zona della città dove i bambini scalzi giocavano con le pozzanghere lasciate dalla pioggia, e dove il fetore degli escrementi degli animali che
circolavano liberi si mescolavano a quello delle persone. Dove le case erano fatiscenti e quasi costruite l’una sull’altra, dove se volevi vivere non avevi altra scelta che rubare,
dove chiunque con un po‘ di ducati in tasca e un po’ di avventatezza ci si avventurava per sbaglio, moriva senza essere più trovato. Ma a lei vestita di stracci quel posto non poteva che essere familiare, ci era nata e ci aveva vissuto prima di entrare a far parte della squadretta di madame d’Ou e dopo, quando era stata cacciata. Trovava riparo nei fienili, o in mezzo alle mangiatoie abbandonate, inutilizzate e sporche tra una baracca e un rudere.
Organizzò stranamente i pensieri. C’erano due possibilità, restrinse quindi il campo di ricerca alla loro abitazione e alle taverne della città. Decise che avrebbe lasciato per
ultima l’abitazione. Dopo quanto era accaduto era la meno probabile. Rimase a pensare seduta vicino ad una mangiatoia, rannicchiata, la testa fra le ginocchia tra le urla dei
ragazzini che ora litigavano, ora giocavano senza curarsi di lei e della loro mera condizione di vita. Quando rialzò la testa era quasi il tramonto. Le aveva detto
mezzanotte. Ma in realtà non sapeva quando sarebbe stata, quando sarebbe arrivata la mezzanotte. Avrebbe potuto regolarsi con i rintocchi delle campane della chiesa più
vicina, ma le capitava spesso di confondersi, com'era successo la sera prima...non sapeva definire bene quanto tempo avesse aspettato sotto al campanile. Si rese conto di essere un ‘incosciente, aveva parlato a vanvera spinta dall’enfasi della situazione e del momento.
Il suo girovagare continuo per la città l’aiutava, conosceva esattamente quante taverne c’erano in città.
Cinque.
Il crepuscolo.
Si alzò per raggiungere la prima.
A piedi scalzi e dolenti, cominciò con quella non molto lontana da dove si trovava. Una taverna frequentata per lo più da gente come lei, una taverna fatiscente e maleodorante, dove se volevi sederti dovevi chiedere permesso ai ratti.
Sbirciò dentro. Un uomo seduto con la testa appoggiata sul tavolo. Non era chi stava cercando.
La seconda taverna. Di media grandezza, frequentata per lo più da membri della giustizia cittadina, in effetti la trovò piena di soldati e gendarmi in splendente divisa, che invece di fare il loro lavoro si ubricavano lontano dagli occhi dei loro superiori.
Eccolo lì.
Diamine che fortuna.
Troppa fortuna.
Davvero troppa.
Inverosimilmente troppa.
Il solo guardarlo, le creava un moto di rabbia proveniente direttamente dalle viscere.
Quella sì che era feccia. Come poteva il mondo esser popolato da tanta feccia.
Come potevano essere loro-gli uomini- portatori della vita.
Come poteva quell’uomo con la testa ciondolante e i gomiti appoggiati sul bancone essere colui che quella donna che tanto ammirava, amava o aveva amato.
Si rese conto che non poteva saperlo e ebbe un momento d’indecisione. Lo osservava da quella finestrella sbarrata che dava dirtettamente sulla strada.
Era ubriaco, e parlava con un altro uomo. Un uomo che lei aveva già visto in quegli ultimi giorni.
Vide una donna avvicinarsi ai due con fare lascivo. Riconosceva quei modi, perché erano stai insegnati anche a lei.
Poi l'altro se ne andò.
La rabbia, il disgusto, il disprezzo, si fecero spazio nel suo stomaco infinitamente vuoto.
Lo vide mentre allungava una mano verso la donna, stava quasi per sbilanciarsi dallo sgabello quando quella stessa mano atterrò sul seno di lei.
L’avrebbe atteso uscire. Il coltello ben saldo nella mano destra sotto la mantella. Si sedette nel vicolo proprio accanto alla porta della taverna. Prima o poi sarebbe dovuto
uscire per far ritorno a casa.
Scende la notte.
Il coltello ben saldo nella mano destra.
Il momento era giunto.
Come le era accaduto nei giorni precedenti dimenticò ogni cosa. Dimenticò persino il Capitano. Una volta che l’obiettivo era focalizzato, non esisteva più nulla.
Solo lei, il suo coltello e chi sarebbe stato punito.
Seduta in quel vicolo buio, nascosta dal favore delle tenebre, si chiese se Aristotele approvasse quanto stava facendo. Una voce nella sua testa le disse di sì. Aristotele aveva
fatto sì che lei lo trovasse senza troppa fatica. Aristotele punisce i traditori. Lei era lo strumento della punizione divina.
La sua pazienza sembrò essere ripagata.
Udì la stessa voce che aveva implorato perdono il giorno prima, e si tenne pronta.
Sbirciò oltre l’angolo del vicolo per assicurarsi che il traditore fosse solo.
Con un boccale in mano, ciarlava da solo e piangeva quasi. Si sporse allungando la mano sinistra fuori dalla mantella
"Messer fate la carità ad una poveraccia messer, v’imploro fate la carità" Disse a testa bassa con voce tenera, quasi dolente
Lui d’apprima noncurante, si girò a guardarla avvicinandosi..
"Ehi…fatti vedere sotto quel cappuccio…magari possiamo…Aaaargh!"
Senza pensarci due volte, afferrò una sua mano per attirarlo a se nel vicolo, velocemente tirò fuori il coltello con l’altra e lo infilò nell’addome dell’uomo, che sentì l’urlo
scomparirgli in gola soffocato dal sangue che non trovò altra via d’uscita che dalla sua bocca. Lo pugnalò con talmente tanta rabbia e forza, che l’uomo rimase per alcuni istanti in piedi di fronte a lei, bloccato, sospeso fra la vita e la morte, trovando la volontà per scostare dal viso della sua truce assassina il cappuccio, per scoprire quel disgustoso sfregio che aveva in viso, guardarlo per un attimo e accasciarsi al suolo accompagnato dolcemente dal coltello che gli si rigirava nelle viscere.
Un ghigno soddisfatto e compiaciuto comparve sulle labbra della sfregiata.
L’osservò per un attimo agonizzare a terra, si chinò per afferrarlo per i piedi e trascinarlo nell’oscurità per terminare l'opera quando uno scalpitìo di passi e voci concitati si
avvicinava nella sua direzione….doveva fare in fretta.
Ma quell’uomo era davvero pesante per lei. E chiunque fosse passato di lì avrebbe notato una testa spuntare dal vicolo. Sperò nell'indifferenza dei passanti, colonna sonora della sua esistenza.
   
 
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