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Autore: formerly_known_as_A    28/04/2013    1 recensioni
Quando Norvegia torna al villaggio, dopo una lunga assenza, porta con sé un carico molto più prezioso di qualsiasi tesoro.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Islanda, Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il ritorno di Norvegia era atteso da ormai mesi. Nessuno sapeva perché fosse rimasto tanto a lungo per mare, anche se tutti, al villaggio, sapevano che il ragazzo era imparentato agli Æsir e non poteva essere stato reclamato dal mare.

Per questo, quando finalmente comparvero le vele della nave in lontananza, il villaggio fu immediatamente invaso da parole e speranze.

Lo svedese non si era preoccupato. La sua fiducia nell'altro era inattaccabile. Non per questo non si affrettò verso il mare, quando la notizia arrivò anche a lui. Era tornato da poco da un viaggio ad est e Knut appena partito. Questo significava che aveva la possibilità di godersi quel ritorno con Leifr, soli.

Attese che i volti fossero visibili dalla spiaggia, però, prima di rilassarsi davvero. Bastò notarlo aggrappato alla prua come l'esploratore navigato che era, per sentire riaccendersi la fiamma che Leifr alimentava ad ogni respiro.

Aveva un fagotto stretto al petto ed una rete carica di oggetti preziosi pendeva dalla sua spalla. Sembrava, però, fare più attenzione a ciò che le coperte celavano e questo non mancò di incuriosirlo.

Osservò le mogli cercare i mariti, chiedere notizie a Leifr, cadere nella disperazione quando essi erano stati reclamati dal mare. Bjorn si sentì stupidamente felice di non avere nessuna possibilità di ricevere una notizia simile, anche al costo crudele di non poter far altro che abbracciare il norvegese, quando gli si avvicinò.

Leifr sembrò sorridere, posandogli una mano nella schiena e portandolo verso casa, assicurandosi di aver chiuso bene la porta, prima di premere le labbra sulle sue come ogni marito avrebbe fatto con una moglie, dopo essere tornato da un viaggio tanto lungo.

Leccò le sue labbra e si scontrò contro la sua lingua in una lotta che riallacciava un rapporto, in un bacio che sapeva di salsedine e desiderio. Non ebbe alcun dubbio sulla sua fedeltà, quando il bacio si protrasse con un lamento. La mancanza era stata lacerante, la felicità dell'incontro sempre nuova, benvenuta come una vecchia amica.

Leifr si allontanò e lo fece sedere, prima di posare il suo fardello tra le sue braccia.

Il fagotto sembrava non pesare nulla e, pronto com'era a ricevere qualcosa di pesante, per poco non lo lasciò cadere. Il norvegese sembrava pronto a quell'eventualità ed appoggiò le mani alle sue braccia, come per aiutarlo a sorreggerlo. Soltanto quando fu certo che fosse al sicuro lo liberò dalla pressione di una mano, l'altra ancora appoggiata alle sue braccia, per scostare il lino e mostrargli il contenuto.

Un bambino minuscolo, aggrappato alla coperta con una manina altrettanto piccola. I suoi capelli erano sottili e chiari, così chiari da sembrare fili d'argento, la sua testa grossa poco più di una mela -ne era quasi certo- racchiudeva la perfezione di due occhi ancora chiusi ed il naso più piccolo che avesse mai viso. Le labbra erano appena aperte e si muovevano di tanto in tanto, come se sognasse.

Bjorn ebbe per un momento il terrore di schiacciarlo, di usare troppa forza o di lasciarsi andare ad un gridolino che poco si addiceva alla propria natura di adulto.

«Dove...?» cercò di chiedere, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal fagottino che ora muoveva la mano libera, posandosela sul viso. Si stava svegliando? Aveva fatto attenzione a non parlare a voce troppo alta, ma l'aveva disturbato comunque.

Leifr appoggiò la testa sulla sua spalla, in un dei gesti più intimi che avesse mai fatto con l'amante. E c'erano state cose molto più intime che lo svedese faticava a ricordare senza arrossire.

Era un'intimità diversa, del tutto simile a quella che gli era già capitato di vedere in alcune famiglie.

«Ero pronto a ripartire, ma molti sono rimasti, scontenti di quello che il Re vuole fare. Hanno deciso di restare e, il mattino seguente, lui era accanto a me.» spiegò il norvegese, sfiorando un minuscolo dito con l'indice e spostando la mano dal viso corrucciato. Il dito fu requisito dalla manina e portato alle labbra mentre gli occhi si spalancavano.

Occhi di un viola particolare, non umano, ma di un colore che si poteva osservare nelle luci del cielo, un colore che aveva collegato ad un paio di occhi in particolare.

Si voltò verso il norvegese e sorrise. Un sorriso raro quanto quel colore di occhi e da questi causato.

«Ha gli occhi di sua madre.» mormorò, non riuscendo a perdere il sorriso neppure quando Leifr lo morse sulla spalla, borbottando.

Era come loro, allora? Quel minuscolo fagotto che aveva preso ad agitarsi tra le sue braccia, reclamando il dito del norvegese per sé e tutto concentrato nel mordicchiarlo, era... loro?

«Knut impazzirà quando lo vedrà.» commentò, sentendo il corpo che si rilassava, finalmente, che ricordava qualcosa che non avrebbe dovuto essere nella sua memoria, perché nessuno di loro era umano, facendo dondolare il piccolo con un braccio, sentendosi abbastanza sicuro di sé da liberare la mano per sfiorarlo.

La sua mano sembrava enorme, di fronte a tanta fragilità, ma seppe essere delicato, quando lo sfiorò, sorridendo ancora quando il piccolo incrociò gli occhi per seguire il suo percorso.

«Knut comincerà a blaterare le sue storie non appena capirà che è nostro.» lo corresse Leifr, socchiudendo appena gli occhi e tornando immediatamente a guardarlo. «Vorrà portarlo subito su una nave e gli farà fare un arco in miniatura per cacciare gli orsi.»

«Temo che possa arrivare a catturare un piccolo orso per fargli compagnia.» disse lo svedese.

«Si dimentica che c'è già un piccolo orso nella famiglia.» ribatté l'altro e Bjorn riuscì a sentire un sorriso, nel suo tono di voce. Ridacchiò, sentendosi chiamato in causa e il bambino lo guardò con occhi grandi.

«Come hai deciso di chiamarlo?» chiese, divertito dal modo in cui quello seguiva il movimento delle sue dita. Sembrava avere qualche problema a tenere gli occhi dritti ed era buffo, così.

«Eirik. Eirìk Íslandson.» sussurrò, una luce negli occhi che Bjorn aveva visto in altri uomini, quando gli Æsir avevano ritenuto giusto dar loro un figlio.

«Benvenuto in questa famiglia, Eirìk Íslandson.» disse lo svedese, stringendosi al petto il bambino minuscolo e sentendo le guance tirare per quel sorriso.

   
 
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