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Autore: Keiko    29/04/2013    5 recensioni
All'età di sei anni, Asha Greyjoy aveva dovuto imparare che nella vita nulla era scontato, e che la vittoria non l'hai in pugno sino a quando non l'hai afferrata e legata alla cintola. La seconda cosa che imparò in fretta dalla vita, fu che gli uomini fanno promesse che non possono mantenere. Asha imparò anche una terza cosa, quando Theon lasciò il castello, la schiena curva che nascondeva un pianto sommesso: per essere padroni del proprio destino, occorre piegarsi prima al volere degli altri.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Yara Greyjoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Keiko © 2013 (29 aprile 2013)
Disclaimer: Theon Greyjoy, Asha Greyjoy e tutti gli altri personaggi appartengono a George R.R. Martin e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Quando era bambina era certa che avrebbe avuto una vita normale: si sarebbe sposata, avrebbe avuto dei figli e sarebbe diventata la lady di una terra calda e umida, dove crescevano fiori e i prati erano distese verdi che fronteggiavano tramonti mozzafiato. L'aveva creduto possibile, un destino talmente comune per quelle come lei che non c'era nemmeno bisogno di desiderarlo: sarebbe stato così e basta. Invece, all'età di sei anni, Asha Greyjoy aveva dovuto imparare che nella vita nulla era scontato, e che la vittoria non l'hai in pugno sino a quando non l'hai afferrata e legata alla cintola. All'età di sei anni, di quattro fratelli restarono in due: lei e Theon. Gli altri, morti ammazzati nella ribellione contro gli Stark, gente del Nord che sbranava là dove la carne era più tenera.
“Asha, resteremo insieme per sempre. Ti difenderò io, qualsiasi cosa accada.”
La seconda cosa che imparò in fretta dalla vita, fu che gli uomini fanno promesse che non possono mantenere. Theon venne mandato da suo padre in ostaggio dagli Stark, come pegno per una tregua umiliante che confinava la sua famiglia e il suo popolo alle Isole di Ferro, senza che alcuno potesse toccare la terraferma, dominio dei lupi. Sarebbe stato logico che fosse lei la merce di scambio: perfetta per un futuro matrimonio che potesse mettere a tacere le rappresaglie passate. Invece venne cacciato Theon, colpevole di essere l'unico figlio maschio sopravvissuto a una guerra a cui non aveva preso parte perché ancora bambino.
Asha imparò anche una terza cosa, quando Theon lasciò il castello, la schiena curva che nascondeva un pianto sommesso: per essere padroni del proprio destino, occorre piegarsi prima al volere degli altri.
“Non voglio che te ne vada” piagnucolò lei alla luce tremula di una candela consunta, adagiata su un piatto adiacente al camino della sala principale del palazzo. Accovacciati l'uno accanto all'altra, occupavano in due la poltrona su cui il loro vecchio padre sedeva da solo.
“Un giorno governeremo insieme.”
“Tu ed io? Ma non possiamo!” rispose lei stizzita, sconvolta da quell'affermazione tanto forte e lontana dalle leggi.
“Come fratelli. Potremmo farlo insieme, no?” puntualizzò lui accarezzandole i capelli biondi raccolti in due lunghe trecce, mentre il suo sorriso si distendeva in un'apertura vuota e buia, là dove gli incisivi avevano lasciato un posto vacante tra la fila di piccoli denti bianchi come marmo levigato abbandonato sulla rena dalla corrente.
Di quell'ultima notte insieme Asha ricordava il profumo della salsedine sulle mani di Theon, la brezza mite che spirava dalle finestre aperte e il passo solenne e duro di suo padre che li aveva svegliati all’improvviso. Si era avvicinato a loro senza concedere spiegazioni o conforto. Si limitò a  sollevare a forza Theon da quel loro giaciglio improvvisato, trascinandolo fuori dal castello per consegnarlo alle guardie personali di Eddard Stark.
Da quel momento Asha era diventata figlia unica.
Figlia di un uomo che aveva imposto ai due figli sopravvissuti il prezzo del proprio dolore. Quando gli avevano strappato ogni gioia, aveva deciso di privarne anche ciò che era rimasto della sua dinastia. Theon era una visione dolorosa, orrenda. L'abominio di un figlio cadetto ancora in vita e l'orrore di due uomini morti in battaglia che riaffiorava davanti ai suoi occhi riflesso nel sorriso buono di un ragazzino forse troppo fortunato. Suo padre aveva fatto una scelta, quasi imponendo una maledizione su di loro: nessuno sarebbe mai stato felice. Non sulle Isole di Ferro, almeno. Asha dismise i vestiti di lady e indossò quelli che Theon, nella fretta della partenza, non aveva portato con sé, e poi altri di nuova fattura, seppur grezza, da ragazzo. Erano più comodi per cavalcare e salpare, per governare una nave facendosi rispettare. Per mimetizzarsi e trasformarsi in una di loro sino a quando il corpo acerbo gliel’avrebbe permesso. E poi… poi sarebbe stato troppo tardi per ripudiarla. Non si era fatta accettare, si era imposta. Era facile credere che le donne, su di una nave, portassero morte e sventura. Aveva tagliato i lunghi capelli biondi lasciando sulla testa una spazzola cortissima di capelli ispidi, una massa incolta di oro, salsedine e sabbia rappresa. Asha era stata costretta a combattere dapprima con le tradizioni e poi con i propri uomini. Per farsi accettare si era finta un garzone sulla prima nave della flotta per poi rivelarsi una ragazzina quando la fiducia l’aveva sudata e sputata a terra con la saliva e il sangue rappreso, risultato dell’ennesima insubordinazione al re, colpita allo sterno sino a quando non aveva sentito le ossa incrinarsi sotto il piede del nostromo e la saliva colarle tra le labbra come lacrime silenziose. Era strano come il suo corpo avesse appreso l’arte di un pianto differente rispetto a quello di una donna comune. Aveva la tempesta nel cuore, gli occhi asciutti e secchi, mai resi liquidi dalla debolezza. Da suo padre aveva imparato che la mano che ti accarezza il viso quando piangi non è altro che quella che ti costringerà a mangiare la polvere quando si tratterà di rendere la propria vita un po' più lunga. Si era imposta sul prossimo perché non c'era soluzione: se non schiacciavi, saresti stato massacrato sotto i tacchi di qualcuno più forte, o che solo aveva provato ad esserlo con chi riteneva più debole. Aveva imparato a dare ordini e a colpire chi non li eseguiva. Aveva imparato a non provare orrore davanti al sangue, né pietà. Nessuno l'aveva avuta con lei, quando le avevano dato in mano una nave da governare e avanzi di galera da domare. Serpi crudeli che le si rivoltavano contro non appena osava parlare, deridendola o ignorandola. A nessuno importava fosse la figlia del re, era solo una donna al comando del regno sbagliato. Poi, con il tempo, aveva imparato a ottenere il loro rispetto. Li aveva umiliati, spesso si era scontrata con loro e aveva subito l'odio di uomini che avrebbero potuto ucciderla, se non fosse stata una Greyjoy. E nemmeno quello, a volte, era bastato come deterrente a chi aveva osato alzare la mano su di lei. Ora, a distanza di anni, dominava l’intera flotta, una distesa di uomini che al suo passo marziale si inginocchiavano e chinavano il capo baciando la sabbia. Un giorno avrebbe governato sulle Isole di Ferro, ma nulla più. Theon era stato più fortunato: al sicuro tra le mura degli Stark, era cresciuto come un figlioccio reale. Nessuno l'aveva obbligato a cambiare i propri abiti, né ad essere ciò che non era. Nessuno l'aveva trasformato nel figlio perfetto, nel connubio tra quei figli tanto amati e perduti troppo in fretta. Asha non era altro che il riflesso di qualcuno che non c'era più, così differente dagli altri da essere l'unica immagine sopportabile alla vista. Aveva imparato ad amare suo padre in modo differente, con l'affetto freddo e rispettoso di un figlio maschio, non con l'emotività di una femmina riconoscente. Asha si era ritagliata a forza un posto nel mondo. Se avesse fallito, non sarebbe stata altro che l'altro peso della famiglia. Era avvezza a sentire suo padre sputare su Theon parole crudeli e senza fondamento, sull'onta del tradimento del proprio sangue. Per paradosso, Asha desiderava invece essere la figlia prediletta, quella che con tanta fatica Balon Greyjoy aveva plasmato dal mare e dalla sabbia, come un’ostrica che alacremente aveva lavorato alla creazione di una perla grezza. O forse era proprio il desiderio di suo padre nell’inseguire un passato che non gli avrebbe restituito i suoi figli né tanto meno sua moglie, a farle desiderare una perfezione fasulla. Aveva chinato il capo dinnanzi a suo padre per alzarlo contro la vita, la giovane Asha.
L'odore del mare, la salsedine che le si infiltrava tra i capelli rendendoli appiccicosi e collosi, il vento a schiaffeggiarle il viso e il sole a ustionarlo d'estate l’avevano benedetta offrendole una nuova tempra. Una nuova corazza. Poi c'erano le tempeste, a colpirla con violenza durante le  virate notturne, quando le grida si perdevano tra i flutti del mare, portati lontano dal vento, a farla sentire viva. Al rientro dalle spedizioni in mare lasciava che la spuma le sfiorasse i piedi nudi sulla spiaggia, ne adorava il gelo tra le dita e la vista degli scogli battuti dalle onde, ringraziando di nuovo gli déi per avercela fatta. Tornava a casa e si lasciava cullare dalla dolcezza di un bagno caldo, dagli unguenti che le curavano le ferite e il corpo, e tra i capelli il profumo della brezza marina, talmente radicato da fare parte del suo essere femmina.
Poteva avere uomini e donne se l'avesse desiderato, ma non le interessava l’amore.
Osservò la propria immagine riflessa nello specchio della camera, il viso bruciato dal sole, inseguendo vecchi ricordi sopiti.
“Andrai ad accoglierlo?”
La voce di suo padre era ruvida, grattava come pomice contro la pelle.
“Lo porterò qui.”
Mio fratello è tornato.
Sapeva di essere diventata ciò che Theon non sarebbe mai stato, strappando al suo amato fratello il ruolo che gli spettava di diritto. Balon aveva scelto per entrambi e lei aveva deciso di seguirlo. Se non poteva essere ciò che aveva sempre desiderato sarebbe diventata una donna rispettata non per il marito che aveva accanto, ma per ciò che era, da sola in mezzo alla tempesta. Suo padre aveva smesso di concederle carezze anni prima, quando si era tagliata i capelli così corti da sembrare rasata a zero, sotto la luce del sole. Così dannatamente simile a Theon, Maron e Rodrik quando erano ragazzini. Tutti uguali, i Greyjoy. Eppure, in un gesto dettato dalla paura di un vecchio, dalla resa di un uomo che vedeva la propria figlia andare incontro ad un’incognita che avrebbe potuto strapparla per sempre al suo potere, si lasciò sfuggire una mano alzata in un gesto d’affetto che Asha non colse. Passò oltre, senza indugiare sul re. Un tempo avrebbe desiderato il conforto di una carezza ogni sera per alleviare la solitudine e il senso di abbandono.
Ora conosceva il prezzo di ogni carezza mancata: non ricevuta, non offerta. Ti rendeva duro come corteccia morta, sterile come un scoglio che, battuto dalle onde, non è buono ad altro che a dar cibo e riparo ai molluschi.
Ora l’aveva imparato anche suo padre, il peso di quelle carezze mancate.
Asha Greyjoy era libera, finalmente.
Se avesse desiderato, avrebbe potuto prendere le Isole e tenerle per sé. Ma non aveva bisogno di una terra, come gli uomini, per rimarcare la sua forza. Sorrise, uscendo dalla stanza diretta alle scuderie.
Le sarebbe piaciuto che i bardi, un giorno, la ricordassero a quel modo.
Asha Greyjoy: colei che nella tempesta si perse, e si ritrovò mille volte.

 



Note dell'autrice.
Storia scritta per il contest indetto sul forum di EFP "Game of Thrones: personaggi secondari".
   
 
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