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Autore: ScleratissimaGiu    30/04/2013    7 recensioni
Sedici ragazzi vanno a giocare a nascondino in un castello: all'interno, un killer li sta aspettando per ucciderli e postare le foto dei loro cadaveri su Instagram. Riusciranno a smascherarlo?
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il bosco era freddo e umido, la chioma degli alberi troppo fitta perché filtrasse un po’ di luce.
Mi stavo ancora chiedendo perché Mattia avesse voluto organizzare la partita di nascondino proprio lì, quando Stefano ci aveva reso disponibile il suo garage… diciamocelo, un po’ di svago avrebbe fatto bene anche a lui.
Era un periodo che nessuno faceva più caso a Stefano, probabilmente per quel suo problema dei denti storti: era davvero un bellissimo ragazzo, ma quei denti allontanavano chiunque.
Gli eravamo rimasti solo noi, gli amici della montagna; e ci era grato per questo.
Mentre inciampavo continuamente tra le radici degli alberi che fuoriuscivano dal terreno e mi lamentavo sottovoce di quella scomoda situazione, sentii proprio la voce di Mattia che mi chiamava.
- Martina!
Mi voltai nella direzione da cui provenivano le sue grida, e lo vidi arrivare correndo.
- Che c’è? - gli chiesi, scocciata.
Se avesse urlato un po’ più forte, in Russia gli avrebbero chiesto di abbassare la voce, che stavano cercando di dormire.
- Guarda che non dobbiamo nasconderci nello stesso punto, - dissi, allontanandomi.
- Vieni! - m’incitò lui, tirandomi la manica della felpa verde.
Strattonai il mio stesso braccio verso di me, e i miei capelli biondi ondeggiarono schiaffeggiandolo.
Lui si ritrasse, ma tornò subito a infastidirmi.
- Vieni! - mi ripeté.
Sospirai, calmandomi.
- Va bene, - mi arresi, seguendolo.
Attraversammo l’intero bosco, cadendo più volte nel fango e ripulendoci alla meglio, perché mi disse che eravamo gli ultimi due e gli altri ci stavano aspettando.
Quando finalmente arrivammo al limitare degli alberi, trovammo gli altri quattordici ragazzi ad aspettarci, e tra loro c’era anche Marcus.
Non ricordo il suo cognome, ma ricordo bene la sua bellezza travolgente.
Cioè, era una bellezza nella norma, capelli neri e occhi neri, ma per me era il ragazzo più bello del mondo.
- Finalmente, Mattia! - disse qualcuno.
- Sì, ci siamo, ci siamo. Andiamo, allora? - rispose Mattia, facendosi strada tra i ragazzi.
- Certo! - avevano risposto in coro, e ci avviammo.
Non avevo la più pallida idea di dove fossimo diretti, ma poco m’importava.
Camminai vicino ad Alessia e Jessica tutto il tempo, osservando di soppiatto Marcus, che era a qualche passo da me.
- Sapete dove stiamo andando? - chiese Alessia, distogliendomi per un attimo dal mio esercizio preferito.
- No, - replicai - Mattia mi ha trascinato fuori da lì come se lo stessero inseguendo degli assassini!
- L’hanno deciso all’ultimo momento, di andarci - spiegò Jessica - perché stavano aspettando Stefano. 
- Andare dove? - domandò ancora Alessia.
- Al castello - disse l’altra, indicando l’imponente costruzione che stavamo raggiungendo.
 
 
 
- Bene, - disse Mattia, una volta che fummo tutti all’interno - direi che possiamo tranquillamente continuare a giocare, no?
Un “sì” d’approvazione si levò dal nostro gruppo.
- Beh Marcus, tocca a te contare - lo informò Mattia, e lui gli rispose con un caldo sorriso che mi sciolse.
Quando Marcus si appoggiò alla parete, corremmo tutti a nasconderci.
Il castello era davvero immenso, e dopo solo due corridoi mi ero già persa, quando Mattia riapparve di nuovo.
Malgrado fosse una strategia sbagliata, decidemmo di nasconderci insieme.
Trovammo una stanzetta adibita a ripostiglio delle scope che era praticamente perfetta, e ci schiacciamo sul fondo della parete, rendendoci praticamente invisibili.
Dopo dieci minuti passati seduta su un secchio, però, iniziavo ad annoiarmi; così controllai se il mio cellulare aveva campo.
- Guarda! - esclamai, mentre Mattia mi zittiva - guarda, - ripetei, a voce più bassa.
Il mio cellulare prendeva anche lì dentro: era un miracolo.
Decisi di controllare il mio profilo Instagram, così entrai e… 
La foto del cadavere di Stefano s’impossessò dello schermo del telefono, lasciando che i suoi occhi privi di vita mi fissassero.
- Mattia, - biascicai, dandogli in mano l’apparecchio.
- Cosa? - sussurrò, guardandomi male.
Osservò la foto per qualche secondo, in evidente confusione.
- Dio… - mormorò alla fine.
Ci alzammo e uscimmo dallo stanzino, chiamando gli altri a gran voce.
Dopo pochi secondi accorsero tutti, e mostrammo la foto anche a loro.
- Quindi Stefano è morto? - domandò Alessia, pallida.
- Fermi, fermi - disse Marcus, cercando di ristabilire l’ordine - posso rivedere? - mi chiese, allungando la mano per prendere il telefono.
Io, imbarazzatissima, glielo porsi, e lui l’analizzò attentamente.
- L’ha fatta qui dentro, - affermò deciso - vedete le pareti? Mi sembra di averle viste prima… ma non sono sicuro. 
- L’unica cosa che possiamo fare adesso è rimanere uniti, - continuò Mattia - dunque stasera, quando andremo a dormire, sprangheremo porte e finestre: è l’unico modo che abbiamo per essere al sicuro.
- E se l’assassino fosse ancora qui? - replicò Jessica, storcendosi le mani.
- Se stiamo uniti non ci farà nulla, - tagliò corto Mattia - ma adesso è meglio se ognuno di noi va con due o tre compagni in una stanza e ci rimane fino a domani mattina. Ritrovo qui alle nove, d’accordo?
Io, Alessia e Jessica ci stringemmo per trovare un minimo di conforto e cercammo una camera, dunque ci rinchiudemmo mettendo davanti alla porta una cassettiera.
- Ho paura… - sussurrò Jessica, ritta in mezzo alla stanza.
- Tranquilla, - le disse Alessia, chiudendo le tende delle finestre - non è qui dentro.
- Ho paura lo stesso… 
- Tanto non ci farà niente, - la rassicurai - siamo in troppi.
- E Stefano, allora?
- Lui era da solo, e anche un po’ stupido. Fidati, non ci farà niente.
 
Inutile dire che nessuno dormì, quella notte.
Fuori c’era anche un tempaccio, così ogni rumore che sentivamo era un sussulto.
Ogni due minuti rientravo in Instagram, per vedere se… beh, per controllare, e ogni volta che non vedevo nuove fotografie tiravo un sospiro di sollievo.
Fui più contenta anche quando, verso le sei, fuori iniziò ad albeggiare, e un po’ di luce filtrò dalle tende rosse illuminando, seppur minimamente, la stanza, rendendola meno tetra.
Alessia si alzò a sedere sul letto, e scorsi sul suo volto occhiaie vertiginose, mentre Jessica si era addormentata da poco e ronfava della grossa.
- Hai dormito? - sussurrai ad Alessia, mettendomi a sedere sul suo letto.
- No, - mi rispose - e tu?
Scossi la testa, sbadigliando.
La mia compagna di stanza allungò la mano sul comodino e prese il suo telefono, rimasto acceso tutta la notte, e controllò anche lei Instagram.
Quando vidi le sue spalle abbassarsi, capii che non era morto nessuno… ancora.
Ci guardammo, ponendo in silenzio la stessa domanda: quanto sarebbe durata quella situazione?
 
 
 
Al rientro delle nove non mancava nessuno, il che era un buon segno.
- Qualcuno ha sentito cose strane, stanotte? - domandò Mattia.
Tutti convenimmo che, temporale escluso, non c’era stato nessun altro rumore clamoroso.
- Adesso è meglio… - continuò Mattia.
- Giacomo! Avete visto Giacomo? Era qui un secondo fa!
Iniziammo a guardarci intorno, preoccupati.
Giacomo non c’era più.
Urlammo il suo nome per un sacco di tempo, ognuno che apriva Instagram ogni quattro secondi per vedere se c’era anche il suo cadavere…
Alla fine, dopo venti minuti, apparve anche la sua foto.
Anche Giacomo era morto.
La stessa routine di omicidi si ripeté altre undici volte, per undici giorni, undici assassinii diversi.
Erano morti per primi Stefano e Giacomo, poi Giulia, Maria, Alessia, Jennifer, Edoardo, Matteo, Jessica,  Rachele, Luca, Simona e Federico.
Eravamo rimasti solo io, Marcus e Mattia, sempre più spaventati.
Erano le otto di sera del decimo giorno, ma su Instagram era ancora tutto tranquillo.
Io ero rimasta nella mia stanza, seduta sul letto senza osar fiatare, una mano costantemente appoggiata sul cellulare.
Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta; la voce di Mattia, che chiedeva a gran voce di aprirgli, mi persuase ad obbedirgli.
- Non trovo più Marcus! - esclamò, entrando nella camera.
- Come sarebbe?! - strillai.
- È uscito mezz’ora fa per venire qui; l’ho chiamato tre volte, ma non mi ha risposto.
Afferrai il mio cellulare dimenticato sul comodino e entrai velocemente in Instagram.
Il mio cuore aveva accelerato di almeno quaranta battiti, e la mia testa aveva iniziato a girare.
Non potevo perderlo.
Quando ebbe finito di caricarsi, l’immagine del suo cadavere fu come una spada che mi trapassava il petto.
- Marcus! - urlai, attirando l’attenzione degli altri.
Mattia mi prese il cellulare tra le mani, poi mi abbracciò.
- Non piangere, orsetto - mi ripeteva a bassa voce nell’orecchio, ma lo sentivo lontano.
Non riuscivo neppure a parlare, tanto che fortificai la presa su Mattia e lo strinsi più forte.
Dopo un po’, lui iniziò a ritrarsi e lo imitai, scusandomi.
- So da chi possiamo andare, - affermò, con gli occhi che gli brillavano.
- Da chi? - domandai, passandomi il palmo della mano sul viso.
- Dai genitori di Marcus. Andiamo.
 
 
Non ricordo come arrivammo dalla madre e dal padre di Marcus, ma ricordo che loro stavano quasi per risolvere il caso.
Non sembravano granché addolorati per la perdita, ma non lo notai subito: se potevano farci uscire da quell’incubo, tanto meglio.
La coppia aveva una mappa del castello con delle croci disegnate.
- Sono i punti dove sono stati ritrovati i cadaveri, - ci spiegò l’uomo.
- Siamo giunti ad una conclusione importante, - annunciò sua moglie.
- Quale? - chiese Mattia.
- Sette ragazzi sono stati presi a palate e poi sepolti, come dimostra il fatto che poi i cadaveri sono spariti. 
- E gli altri sette? - domandai.
I due signori si guardarono, poi il loro sguardo tornò a posarsi su di noi.
- Venite, - disse l’uomo.
Andammo nel seminterrato del castello, un luogo freddo, umido e buio come il bosco in cui avevamo iniziato a giocare a nascondino.
Al centro della stanza c’era una strana macchina, che emanava un’odore vagamente dolce e piacevole.
- Cos’è? - chiesi, indicandola.
- È la macchina che ha ucciso gli altri sette ragazzi, - affermò il padre di Marcus, avvicinandosi.
- E come ha fatto? 
- C’è dentro la polvere che si usa per fare la lavatrice, avete presente? - c’informò lui - gliel’ha spruzzata in bocca, e il risultato è stato inevitabile.
Dal fondo della stanza caddero alcuni oggetti da lavoro.
- Beh, signori - disse la madre di Marcus - sembra che il killer sia qui con noi.
Dall’oscurità, l’assassino che ci aveva terrorizzati emerse ghignando.
No, ma… non ci potevo credere! Era proprio…
- Martina! Svegliati, è tardi!
La voce di mia madre e i suoi strattoni mi svegliarono bruscamente.
- Sei sveglia? - mi chiese, chinandosi.
Annuii, sfregandomi gli occhi.
- Bene. Sbrigati, sennò perdi il pullman.
Mi alzai dal letto e mi trascinai in bagno: odiavo il lunedì.
  
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