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Autore: bluecoffee    30/04/2013    0 recensioni
Si compie diciotto anni solamente una volta nella vita ed Harry aveva deciso che quel giorno non lo avrebbe passato a Parigi, insieme alla sua fidanzata, ma avrebbe preso l'aereo e sarebbe andato a trovare a Londra suo padre, poi avrebbe preso il treno e sarebbe andato ad Holmes Chapel per trovare la madre.
[...]
Guardava chiunque negli occhi nella speranza di ritrovarsi, ora, davanti gli occhi che più gli erano mancati.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                                                    "La vita è come un enorme palcoscenico:
                                                                                                                                                                             c'è la parte di Laura, di Marco, di Elisa... ma a volte
                                                                                                                                                                     c'è qualcuno che non contento va dal regista e gli dice:
                                                                                                                                                                                   'basta, la mia parte è troppo difficile, me ne vado!!'
                                                                                                                                       e allora rinuncia allo spettacolo e va via per sempre dal palcoscenico..."
                                                                                                                                                                                                           [Fiamma Gaglio





 

03 febbraio 1995
 

L'aria dell'ospedale aveva un odore strano, sapeva di ammoniaca e detersivo.
La donna con i capelli rossi camminava a passo troppo veloce tra i corridoi che sembravano infiniti. 
Il rumore delle sue scarpe dal tacco vertiginoso risuonava, rimbalzando da una parete grigia e spenta all'altra. Tutte le persone si giravano a guardarla e non vedevano altro che una donna con un sorriso in volto ed un tailler pesca indosso ed appena dietro di lei una bambina.

La bambina faceva una fatica inimmaginabile per starle dietro ed arrancava faticosamente, inciampando spesse volte nei suoi sandaletti estivi e blu scuro, dai quali fuori usciva un calzettino bianco con del pizzo alle caviglie sottili. Sembrava avere tre anni o giù di lì, eppure era già una bellissima bambina: i già lunghi capelli ramati erano in contrasto con la sciarpa di lana troppo lunga verde acqua che indossava infilata dentro i jeans che lasciavano intravedere un ginocchio sbucciato, gli occhi grandi, vispi e di un intenso color azzurro spento, come misto a del grigio. Il viso, solitamente paffuto nelle bambine della sua stessa età, sembrava un po' troppo magro, esattamente come il corpo, privo di quell'addome solitamente gonfio di tutti i bambini dagli uno ai sei anni.
Il rumore dei tacchi della donna cessò quando alla fine di un corridoio costernato da fiocchi rosa o azzurri, trovò un uomo vestito con indosso uno smoking grigio e la cravatta slacciata, che reggeva tra le braccia un piccolo fagotto inghiottito da una copertina pesante ed azzurra.
«Donna!» la salutò l'uomo, con la voce abbastanza stanca e due occhiaie abbstanza profonde e visibili dovute sicuramente al neonato che ora teneva tra le braccia.
La donna con i capelli rossi ancora raccolti in un chignon severo ed ordinato, si era avvicinata all'uomo, seguita dal passo incerto della bambina, che timida si nascondeva dagli occhi azzurri dell'uomo su lei come meglio poteva.
«Syd! Allora? Questo famigerato parto, come è andato?» domandò con voce gentile Donna mentre prendeva tra le braccia il piccolino. Si girò a guardare quella che doveva sicuramente sua figlia e si chinò in ginocchio, permettendo così di vedere dentro l'involucro di cotone pesante anche alla bambina, che era rimasta in disparte fino a quel momento, ma che poi si fiondò vicino alla madre e sbirciò il visino paffuto e pallido del bambino.
L'uomo, che era rimasto ad osservare la scena dall'alto, sorrideva felice e poi prese tra le braccia la piccolina, permettendo anche a Donna di alzarsi in piedi nuovamente. «Come siamo cresciute in tre settimane, Gioia.» sorrise alla bambina facendole il solletico sulla pancia e provocandole una risatina acuta e gioiosa.
«Anne?»
Syd indicò con il mento la porta destra di fronte alla quale si trovavano e Donna annuì entrando con ancora il piccolo, nato da due giorni, tra le braccia. 
«Come si sta a Londra?» domandò Syd a Gioia, che aveva preso a giocare con la sua cravatta slacciata. Lei alzò lo sguardo, facendo scontrare i loro occhi chiari e scosse la testa «è bruttissimo. A scuola ci fanno mettere la gonna blu e la maglietta bianca e ci fanno disegnare tutto il tempo.» si lamentò riprendendo a giocare spiensierata con la cravatta nera dell'uomo.
Syd la posò in piedi sopra una sedia e le levò la sciarpa che l'aveva fatta diventare rossa in viso, il capello dello stesso colore della sciarpa ed il giacchetto viola che gli avevano regalato lui ed Anne tre settimane prima, il giorno del suo compleanno, quando aveva compiuto quattro anni. 
«Papà?» domandò poi, mentre le sistemava la maglietta disegnata dentro il pantalone pesante e color cielo.
Gioia scrollò le spalle. «Non so dov'è. Sono settanta giorni che non torna a casa.» ed alzò lo sguardò sugli occhi azzurri di Syd.
L'uomo la prese in braccio e con un nodo in gola grande quasi quanto un macigno, ma soprattutto pesante quanto questo, e la abbracciò stretta a lui, prendendola alla sprovvista. La bambina sgranò gli occhi e si staccò velocemente dall'abbraccio, iniziando a guardare Syd con la sua solita espressione tra il curioso e l'indifferente. Aveva preso la stessa espressione del padre.
 
 
 
 
25 novembre 2012
 
Diciassette anni.
Erano passati esattamente diciassette anni.
Gioia si asciugò una lacrima e si alzò nuovamente in piedi, scrollandosi la ghiaia dalle ginocchia e sorrise pensando a tutti i rimproveri che suo padre avrebbe potuto farle in quel momento, nonostante i suoi ventuno anni, quasi ventidue.
Era un disastro.
L'ultimo anno d'università era iniziato benissimo, i crediti li aveva tutti ed i voti sembravano già abbastanza alti. Il suo diploma sarebbe arrivato di lì a poco, qualche mese e poi si sarebbe potuto dimenticare dei libri di scuola e concentrare sul suo futuro: una vacanza di meritato riposo di ben quattro mesi a Sidney e se tutto andava bene sarebbe rimasta lì per sempre. Almeno questo al padre glielo doveva: realizzare il sogno di una vita di un dentista che non aveva mai avuto l'occasione di trasferirsi a sud dell'equatore, in un posto caldo e così diverso da Londra.
La loro Londra di due mesi e la loro Inghilterra vecchia d'anni.
Gioia abbassò lo sguardo sulle sue comunissime All Star blu scure, completamente rovinate e da gettare e comprese quanto fosse incapace di fare la donna. Si stava per diplomare in giornalismo ed aveva quasi ventudue anni, eppure il suo aspetto non mostrava altro che una semplice ragazza che sembrava avere ancora diciotto anni che era appena uscita dalla scuola.
No. Lei quella fase l'aveva superata.
Esattamente come aveva superato tutto il resto: aveva superato tutto. Tutto, perfino la morte di suo padre, allora perché non riusciva a superare anche l'essersene andato del suo amico d'infanzia? Perché ancora sperava nella sua promessa scritta di Venezia?
 
 
 
 
01 febbraio 2013
 
Diciotto anni.
Si compie diciotto anni solamente una volta nella vita ed Harry aveva deciso che quel giorno non lo avrebbe passato a Parigi, insieme alla sua fidanzata, ma avrebbe preso l'aereo e sarebbe andato a trovare a Londra suo padre, poi avrebbe preso il treno e sarebbe tornato ad Holmes Chapel per trovare la madre. Avrebbe tanto voluto rivedere anche Gemma, ma purtroppo lei era partita due settimane fa insieme alle sue amiche, diretta a Berlino per due mesi di studio in Germania.
L'aereoporto era gremito di persone e lui sorrideva a chiunque gli passava di fianco: sconosciuti, adulti, bambini, uomini, donne, ragazzine, anziani, agenti di volo, hostess. Chiunque.
Guardava chiunque negli occhi nella speranza di ritrovarsi, ora, davanti gli occhi che più gli erano mancati.
Gioia.
Di nome e di fatto.
Ogni volta che pensava a lei gli tornava il sorriso, eppure spariva poco dopo, ricordando non solo i loro sorrisi condivisi, ma anche la mattina in cui non la trovò a casa sua, ma da un suo amico, che a quanto pareva era diventato anche il suo ragazzo nel frattempo. 
E così era fuggito.
L'aveva lasciata da sola, a Londra. Però le aveva lasciato un biglietto con su scritto che a diciannove anni si sarebbe riincontrati per le vie di Venezia e si sarebbero riabbracciati e lui le avrebbe dichiarato il suo amore una volta per tutte.
Ancora ci credeva. Ma non aveva resistito: non ne poteva più. Doveva a tutti i costi ritrovarla e dirle ciò che aveva dentro da troppo tempo, anche se Londra non era Venezia, anche se non aveva diciannove anni ma diciotto appena compiuti, anche se non sapeva se lei ancora c'era, anche se c'era Juliette che lo aspettava a Parigi, dentro il loro appartamento comprato due mesi prima con vista sulla Torre Eiffel.
Ma lei sembrava essere sparita, insieme al suo profumo di lampone, insieme al suo sorriso furbo, insieme alla croce fatta con ago e china sulla spalla, insieme alla sua voglia a forma di ali all'interno della coscia sinistra, insieme alle sue All Star alte e sempre troppo consumate.
 
 
                                                                                                                                              "Or else we'll play, play, play all the same old games.
                                                                                                                                                     and we wait, wait, wait for the end to change
                                                                                                                                            and we take, take, take it for granted
                                                                                                                                                                            that wull be the same
                                                                                                                                                         but we're making all the same mistakes."
                                                                                                                                                                   [Same mistakes - One Direction



 
 
14 marzo 2014
 
Sidney.
Era passato un anno da quando era andata a vivere a Sidney, nel sogno di suo padre. Era bellissima come città, il suo lavoro come giornalista principale di un giornale importante non era male e non si poteva neanche lamentare del bellissimo attico nel quale alloggiava.
A Gioia non mancava niente, semplicemente si sentiva persa e senza equilibrio.
Stava per cadere e sapeva che non appena si sarebbe distratta sarebbe caduta e si sarebbe rotta qualcosa, sì, perché sotto non c'era nessuno pronto a prenderla. E lei si sentiva più sola che mai.
Si sentiva sola e perduta. Dimenticata. Esattamente come la foto di lei ed Harry che giaceva sul fondo di uno scatolone tenuto ancora in garage, ricoperto di polvere, che conteneva i suoi peluche di pezza di quando era ancora piccola.
Aveva ventitre anni e non era più una ragazzina: ora le sue All Star blu scuro consumate giacevano in un angolo dell'immensa camera da letto ed era parecchio tempo che non le metteva più ai piedi. Forse troppo.
Ora ai suoi piedi c'erano scarpe con il tacco, a coprirle il corpo - esile come sempre - c'erano tailler scuri, gonne strette e camiciette semi trasparenti o tubini mono colore. La voglia con le ali era ancora lì, esattamente come il piccolissimo tatuaggio era ancora disegnata sulla spalla. L'inchiostro si era schiarito, ma c'era ancora.
E c'era ancora la voglia di capire se era vero che in fondo Harry l'avrebbe aspettata a Venezia, se magari era lì da un po' e non ci sarebbe mai andato. Se l'avrebbe riconosciuta e se le avrebbe detto «Ti amo».
Prese il suo trolley e ci infilò dentro qualche vestito a caso preso dal suo armadio: sarebbe andata a Venezia e lo avrebbe aspettato. Senza sapere se lo avrebbe veramente incontrato o visto o riconosciuto. Lo avrebbe semplicemente aspettato.
Chiamò il suo ufficio e quando le rispose la sua segretaria fece un mezzo sospiro di sollievo, prendendo poi a parlare velocemente e con il fiatone nonostante non avesse fatto altro che digitare un numero. «Tara, cancella tutti i miei appuntamenti. Tutti. Avverti il capo che per un po' non ci sarò.» non attese neanche la risposta della povera biondina, che terrorizzata stava dall'altro capo del telefono.
Trovò un biglietto su internet, pagandolo forse troppo, ma non le interessava. Venezia era più vicina e con lei - forse - anche lo era anche il suo abbraccio.
L'aereo ci avrebbe messo un po' per arrivare in Italia. 
Avrebbe atteso qualsiasi tempo: stava andando a riprendere ciò che non aveva mai avuto.
 
 
 
 
29 agosto 2014
 
Venezia.
Il caldo torrido estivo italiano era afoso. Troppo. Le strade di Venezia erano abbastanza affollate ed il richiamo dei gabbiani era un suono quasi nuovo alle orecchie di Harry.
Aveva mantenuto la sua promessa, no?
Aveva diciannove anni ed era a Venezia.
Forse lei non ci sarebbe stata, ma la sua mente se la sarebbe creata. L'avrebbe incontrata nella cameriera del ristorante dove sarebbe andato a cenare quella sera, l'avrebbe incontrata nella bambina che rincorreva i piccioni sulla piazza, l'avrebbe incontrata nella fotografa turista che avrebbe incontrato molto presto.
Se lei non c'era se la sarebbe immaginata. Lei sarebbe comunque stata lì, vicino a lui, con i suoi grandi occhi chiari, i capelli lunghi e ramati, le lentiggini appena visibili, le gambe affusolate ed il seno piccolo. Ed ovviamente le sue All Star consumate.
Così l'avrebbe incontrata nuovamente in qualsiasi ragazza con le All Star blu e consumate.
Il suo cellulare prese a squillare e senza accorgersi rispose nonostante fosse una chiamata - indesiderata - da parte di Juliette.
«Dove sei, Harry?» tuonò la ragazza nel suo francese natale.
«Sono a Venezia.» rispose tranquillo il riccio, mentre si sistemava la polo azzurra a maniche corte che lasciava intravedere il muscolo teso ed i suoi tatuaggio.
Aveva appena visto un paio di All Star consumate, un paio di gambe affusolate e scoperte da un paio di short bianchi, una camicietta rosa pallido ed una cosa di cavallo ramata e liscia. 
Che fosse Gioia?
«E che ci fai a Venezia, amore mio?» Juliette cercava di mantenere la calma che non c'era ed Harry continuava a fissare il punto in cui aveva visto passare quella ragazza, così simile a Gioia.
«Sono qui per lei.» rispose semplicemente e richiuse la chiamata, iniziando a rincorrere la ragazza che aveva appena visto passargli davanti. Perché se quella era Gioia, per la seconda volta l'aveva avuta così vicino e se l'era lasciata scappare come sabbia fine tra le dita, come aria stretta ai pugni. E lei doveva essere lì.
C'era scritto nella lettera di Harry e lui sapeva che l'avrebbe letta. Sperava che fosse lì, a Venezia, esattamente come lui: senza sapere che fare, semplicemente affidati al caso e al destino.
Ma quando arrivò alla ragazza e la fece voltare, notò che lei non era Gioia. Non poteva essere lei. E con un semplice «scusa» la lasciò andare.
 
 
 
 
Si erano incontrati.
Si erano guardati negli occhi.
Non si erano riconosciuti.
 
Oppure giocheremo, giocheremo, giocheremo tutti agli stessi vecchi giochi
e aspetteremo, aspetteremo, aspetteremo la fine per cambiare
e noi le diamo, diamo, diamo per scontato
che sarà lo stesso
ma stiamo facendo tutti gli stessi errori.
 
Forse avevano sperato troppo.
Forse non avevano sperato abbastanza.
Fatto sta che quando i loro occhi si sono scontrati non hanno visto altro che uno sconosciuto.
 
La vita è come un enorme palcoscenico:
c'è la parte di Laura, di Marco, di Elisa... ma a volte
c'è qualcuno che non contento va dal regista e gli dice:
'basta, la mia parte è troppo difficile, me ne vado!!'
e allora rinuncia allo spettacolo e va via per sempre dal palcoscenico...
 
Ognuno aveva abbandonato il palcoscenico dell'altro.
Ognuno aveva accettato il fatto che non era ancora pronto per quella parte.
E forse mai lo sarebbe stato.
Forse a diciannove o ventitre anni erano pronti.
Ma questo rimane comunque un mistero.
Dopotutto una volta che si è usciti da un palco non si ritorna più
  
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