Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Kourin    01/05/2013    2 recensioni
“È nell'oscurità più profonda che la luce trova la forza per risplendere,” ricordò Seiji. “Possibile che io stia riacquistando le forze grazie all'oscurità di Anubis?”
Sorta di prequel di Tōryanse ambientato dopo l'episodio 26 della serie televisiva.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cale, Sage Date
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Il cuore delle tenebre




Qualcosa o qualcuno lo aveva gettato in acqua. Aveva sentito lo schiaffo del liquido sulla pelle nuda, poi la pressione dello stesso che tentava di entrargli nella gola. L'istinto di sopravvivenza consentì al suo corpo di attingere ad energie che nemmeno i sacerdoti yōja erano riusciti ad estirpare. La spina dorsale si inarcò, le ginocchia si tesero, il busto emerse. Seiji tossì violentemente e subito dopo, ancora barcollante, si guardò intorno. Era immerso fino allo sterno in una pozza giallastra circondata da una schiera di rocce scure acuminate. Sopra di lui, disposti a formare un sinistro e silenzioso girotondo, aleggiavano alcuni Spiriti Infernali. Le loro braccia, scheletriche ed evanescenti, si confondevano con strane e contorte radici che pendevano dal soffitto.
Seiji provò a trascinarsi verso il bordo della pozza, ma la viscosità del liquido che la riempiva sembrava fare di tutto per trattenerlo. Quando ebbe raggiunto uno spuntone di roccia, la sua cassa toracica riprese a tossire nel tentativo di espellere il liquido malsano che gli era entrato in corpo. Seiji si sforzò di respirare regolarmente. “Devo capire dove mi trovo.” I sotterranei del castello di Arago erano un luogo sconosciuto. La possibilità di individuare la direzione della salvezza era minima, ma era obbligato a tentare. Benché si concentrasse, tuttavia, alle sue orecchie non giungeva altro che il rombo dell'acqua che scorreva in lontananza. Doveva esserci un'intera rete di canali, forse scavati su più livelli. Ogni tanto una goccia caduta dal soffitto gli colpiva la fronte e scendeva lungo il viso. Non era né calda né fredda, sembrava avere il solo scopo di corrodere il suo spirito. “Non posso rimanere qui dentro.” Le braccia si aggrapparono alla roccia viscida e tagliente, ma le gambe venivano trattenute come se si trovassero immerse nelle sabbie mobili.
Gli Spiriti Infernali non parevano minimamente turbati da quei patetici movimenti. Al loro sguardo il prigioniero doveva apparire come un gattino caduto in una pozzanghera, in balia della pioggia battente. Tuttavia Seiji non poteva permettersi di morire: era un Samurai Trooper. I suoi compagni avevano bisogno di lui per sconfiggere Arago. “Tōma, Shū, Shin, Ryō... Perdonatemi se mi sono lasciato catturare.”
In risposta ottenne il rumore di passi accompagnati dall'inconfondibile clangore di un'armatura. “Gli yōja vengono a riprendermi? Per torturarmi? Per uccidermi?” Udì il cigolio dei cardini di un cancello. Braccia d'ombra lo tirarono fuori dall'acqua, prestandogli la forza che non era riuscito a trovare nel corpo stremato. Per reazione l'animo provò un sentimento che doveva assomigliare alla gratitudine ma, quando tentò di capire a chi dovesse essere rivolto, Seiji si scoprì così debole da non riuscire nemmeno a muovere le palpebre.


Il Generale Demone dell'Oscurità scacciò gli Spiriti Infernali. Da quando aveva preso con sé Kōrin, questi avevano continuato a fluttuargli intorno come insetti molesti. Non riusciva proprio a provare rispetto per quelle creature, seppure il suo signore si fosse affidato a loro per portare a termine il suo piano di conquista del mondo degli esseri umani. La sensazione di fastidio era dovuta alla loro appartenenza alla classe dei sacerdoti, categoria che secondo Anubis nulla poteva comprendere dell'onore di una guerra.
Appena il pesante cancello che delimitava i suoi alloggi si fu richiuso alla sue spalle, Anubis depose Kōrin a terra. Subito i cani circondarono il ragazzino, che era privo dell'undergear e versava in uno stato di semi-incoscienza. Le braccia e le gambe recavano impressi i solchi delle corde che lo avevano tenuto fermo mentre l'armatura gli veniva strappata e riportavano dei tagli che doveva essersi procurato nel tentativo di uscire dalla pozza in cui era stato imprigionato. Le occhiaie e le labbra di colorito bluastro contrastavano con il pallore del volto. Il suo ostinato rifiuto doveva aveva causato uno strappo nell'energia vitale: in quelle condizioni sarebbe bastato un niente perché morisse. “Maledetto Badamon. Non ho fatto tutta quella fatica perché il ragazzino andasse perduto.”
“Andate via. Non è roba per voi,” disse ai cani che stavano annusando con curiosità. Gli animali ubbidirono e si fecero da parte. Anubis estrasse la spada e la puntò sulla fronte di Kōrin, che si mosse in preda ad uno spasmo.
“Stai fermo,” ordinò. “Altrimenti per te non posso fare davvero nulla.”


Seiji sentì la punta di una lama affilata sfiorargli il viso e il torace. Da lì un'ombra gli entrò nel corpo e si propagò lungo la sua linfa. “Che cosa mi sta succedendo? Sto forse per morire?” Invocò i suoi compagni in quello che poteva essere un ultimo, disperato tentativo. “Tōma, Shin, Shū, Ryō...”
Seiji non morì, ma si alzò in preda a violenti conati di vomito. Braccia umane gli premettero la bocca dello stomaco per aiutarlo ad espellere il liquido venefico. Quando finalmente l'aria tornò a circolargli nei polmoni, realizzò che c'era qualcosa di strano: davanti a lui sembrava essere calato un sipario nero e denso come inchiostro di china. “Mi trovo forse al buio?” Richiuse e riaprì le palpebre più volte, senza risultato. “Sono diventato cieco?” Preso dal panico, Seiji cercò di alzarsi, ma ricadde miseramente nello stesso liquido che aveva vomitato. Allora si rese conto che chi lo aveva portato fin lì lo stava osservando. Poteva udire il respiro calmo di chi è abituato ad attendere e, consapevole di essere in vantaggio, non compie alcuna mossa. Seiji tentò di studiarlo a sua volta, ma le sue percezioni erano stremate quanto il fisico. Conscio di non poter fare null'altro, tese la mano in avanti. Le sue dita incontrarono la stoffa grezza di uno yukata e una guancia ruvida al tocco, solcata da una profonda cicatrice. Si bloccò come se avesse compiuto un gesto inopportuno; a quel punto una mano gli strinse con forza il polso per trascinarlo di peso lungo quello che pareva un lastricato di pietra. Poi, sbattuto letteralmente su un pavimento in legno, Seiji si sentì strappare di dosso i brandelli di vestiti zuppi che ancora indossava.
Le parole gli uscirono deboli come un gemito.“Che cosa... vuoi da me...”
In risposta si sentì gettare addosso dell'acqua fredda, poi venne preso di forza ed immerso in una vasca ricolma d'acqua piacevolmente calda, diversa da quella che scorreva nei sotterranei. Era leggera, aveva un odore minerale. In pochi secondi Seiji si sentì purificare, come se quell'elemento sciogliesse minuscoli tentacoli gelatinosi rimasti avvinghiati al suo corpo. Dopo un po' l'essere umano che si stava prendendo cura di lui lo tirò fuori, lo asciugò velocemente e lo aiutò a vestirsi di uno yukata.
Era umiliante sentirsi maneggiare così, come una bambola. Pur di fare qualcosa per opporsi a quella situazione, Seiji si alzò in piedi da solo e iniziò a muovere alcuni passi in una direzione dettata dal caso. “Tōma, Shū, Shin, Ryō...”
Fu allora che l'essere umano si decise a parlare. “Sei patetico. Lascia perdere e risparmia le forze.” La voce maschile dal tono cupo pareva familiare. “Se solo potessi vedere!” Seiji sbatté le palpebre più volte per avere conferma che la sua cecità non fosse parte di un sogno.
“Il gioco è finito. Fai ancora finta di non riconoscermi?” Una lunga, sinistra, risata fece precipitare Seiji nell'orrore. “Anubis,” rantolò prima di ricadere tra le braccia del perfido generale.


Le porte scorrevoli si spalancarono l'una dopo l'altra mentre Anubis attraversava la penombra della sua abitazione. Giunto nella stanza da letto, sistemò Kōrin sul futon e si soffermò a studiarne lo stato di salute. Sebbene l'aspetto fosse sofferente, i lineamenti del volto erano distesi e il torace si alzava si abbassava in modo regolare, segno che il cocciuto ragazzino si era arreso al sonno indotto dalle tenebre. L'Oscurità non doveva piacergli molto, anzi, per essere precisi doveva odiarla, ma ad Anubis ciò non dispiaceva: era proprio l'odio degli esseri umani, creature mortali caratterizzate dalla volubilità dei sentimenti, a rendere i Generali Demoni potenti ed eterni.
Un tempo anche Anubis era stato un essere umano. Non conservava memoria di quella condizione, perché la scelta di servire il Male aveva avuto come conseguenza diretta la morte del cuore. Il suo accento lasciava intendere che veniva dalle terre di Ōu, il suo fisico era quello di un uomo di circa vent'anni addestrato all'uso della spada, le cicatrici che gli segnavano la pelle raccontavano che era sopravvissuto a molte battaglie. Tutti dettagli inutili: per un guerriero devoto al Male il cuore e i ricordi in esso racchiusi avrebbero costituito un fardello superfluo e pericoloso. Anubis non avrebbe fatto richiesta di riaverli indietro per nessuna ragione al mondo.
“Forse un giorno sarà così anche per lui.”
Non era esagerato affermare che Kōrin fosse l'oggetto più bello che Anubis avesse visto da quando aveva varcato i cancelli nel mondo degli yōja. Era agile come un cervo, aveva una carnagione chiara che ricordava la luna e occhi ampi che gli conferivano uno sguardo irreale e tagliente, al punto che in combattimento diventava difficile distinguerlo dall'arma che impugnava: come se il suo stesso spirito fosse una lama fulgida ed incorruttibile.
A forza di osservare Kōrin combattere, Anubis aveva finito per desiderarlo. Non voleva spezzarlo, ma divenirne il custode. Sentiva di essere destinato a quel compito e, se era vero che toccava alla spada scegliere il suo possessore, avrebbe atteso pazientemente che il fato si compisse impedendo ad ogni costo che Kōrin venisse danneggiato.
Pazienza se questo modo di agire avrebbe portato Anubis ad essere deriso sia da Naaza che da Rajura, che già non avevano mancato di fargli notare quanto inopportuna fosse la sua ossessione per il samurai. Anche il suo signore, a cui non sfuggiva nulla, doveva averla notata: eppure, perlomeno in principio, l'aveva assecondata. “Perché invece ora ha deciso di affidare Kōrin a Badamon anziché a me?”
Era la prima volta che Anubis metteva in discussione una decisione di Arago, suo signore da più di quattrocento anni.
Solo poco prima si era presentato al suo cospetto, richiamato dalla fiamma azzurra che ardeva davanti al trono. Da quando il palazzo era tornato ai suoi antichi fasti, Arago aveva iniziato a mostrarsi nella sua forma materiale, vestito dell'armatura nera completa e armata di sei spade. La sua presenza non era meno temibile di quando aveva ordinato l'invasione di Shinjuku in forma di spirito.
“Hai fatto un buon lavoro. Sarai adeguatamente ricompensato,” aveva detto, e Anubis si era sentito nel contempo fiero e sollevato. Negli ultimi tempi infatti aveva deluso più di una volta il suo signore. La forza dei Samurai Troopers lo aveva colto impreparato, ma così era stato anche per i Generali suoi pari e per Arago stesso, che era stato costretto a subire una clamorosa sconfitta ad opera dell'armatura bianca. Ma ora che l'arma segreta dei Samurai Troopers non era più tale, l'impero degli yōja aveva potuto pianificare nuove strategie. L'esercito si era già riorganizzato e il potere dei rancori mai estinti aveva permesso di forgiare nuove armi: Anubis era certo che Arago avrebbe condotto i suoi generali ad una vittoria che avrebbe conferito loro fama eterna.
Certo di essere tornato nelle sue grazie, si era permesso di chiedere quali fossero i piani per Kōrin, poiché era indubbio che la sua forza malvagia avrebbe potuto rendere grandi servigi al Male. La risposta di Arago era stata: “Non lo escludo, ma al momento qualsiasi decisione è prematura.”
Anubis aveva ringraziato ma, una volta inchinatosi per prendere congedo, era stato trattenuto dallo stesso Imperatore. Davanti al trono, senza degnare il Generale dell'Oscurità d'uno sguardo, era apparso il sacerdote supremo degli yōja. Badamon aveva allargato le maniche delle vesti, liberando l'armatura della Luce in esse imprigionata. Racchiusa nel sottile bozzolo filamentoso delle forze malvagie della terra, emetteva dei raggi limpidi che si riflettevano persino nelle decorazioni della sala. Dapprima l'Imperatore si era coperto il volto, irritato, ma poi era scoppiato in una lunga risata e aveva esclamato: “Questi ragazzini sono proprio fastidiosi!”
Badamon aveva spiegato come l'armatura fosse ancora troppo contaminata dalla Giustizia. Aveva quindi chiesto il permesso di trattenerla per sottoporla ad ulteriori prove, finalizzate a comprendere se fosse possibile utilizzarla a prescindere dal samurai che la indossava. Stupito di questa strategia, Anubis era intervenuto. “Mio signore, non sarebbe più vantaggioso corrompere il ragazzino? In lui permane il dubbio ed è abile nell'arte della spada. Pensavo mi aveste mandato all'Akiyoshi per questo.”
Arago lo aveva congedato senza fornirgli una risposta e Anubis aveva lasciato il palazzo principale profondamente contrariato. La disapprovazione non era rivolta ad Arago, ma a Badamon e ai suoi modi di ragionare così lontani dal codice che stabiliva la condotta di un guerriero.
“Sarai dei nostri, Kōrin,” sussurrò allo scomodo prigioniero che, data la delicatezza della situazione, aveva deciso di sorvegliare di persona.


Seiji dormì a lungo. Ogni tanto faceva dei sogni ma, quando tentava di attribuirvi un senso, tutto veniva ricoperto da una coltre pesante che lo costringeva a rientrare nella fase profonda del sonno. Qui i pensieri, privi dell'orientamento, si dissolvevano in una nebbia oscura che proteggeva dal dolore e dall'ansia.
Dopo un lasso di tempo che non avrebbe saputo quantificare, venne risvegliato da furiosi latrati. Quando i suoi occhi si ritrovarono spalancati sull'oscurità, gli tornò alla mente tutto ciò che era accaduto in seguito al feroce scontro con Anubis avvenuto sull'altipiano di Akiyoshi.
Il potere malvagio di Kōrin aveva richiamato i cancelli del mondo degli yōja. Seiji aveva tentato di distruggere l'armatura, ma era stato catturato dall'Imperatore del Male e preso in consegna dagli spiriti maligni. Il sacerdote che li comandava gli aveva strappato dall'anima la sfera che permetteva di richiamare l'undergear e l'armatura. Rinchiuso nei sotterranei del castello, Seiji era stato prelevato dallo stesso Anubis, che aveva utilizzato su di lui i poteri di Kokurōken. La spada dell'armatura dell'Oscurità aveva colmato lo strappo, ma aveva nel contempo accecato i suoi occhi.
“È nell'oscurità più buia che la luce trova la forza per risplendere,” ricordò Seiji. “Possibile che io stia ritrovando le forze nell'oscurità di Anubis?”
L'insieme di eventi non aveva molto senso, eppure solo un'analisi razionale dei fatti poteva aiutare Seiji a mantenere il controllo della situazione. Doveva fare di tutto per rimanere in vita finché i suoi compagni non fossero accorsi in suo aiuto. Sperare di fuggire da solo dal castello di Arago era un'ipotesi troppo ottimistica. Si tastò le braccia e le gambe, constatando che le ferite erano guarite. La logica portava a pensare che Anubis le avesse curate per ordine di Arago, l'istinto insisteva nel dire che qualcosa non tornava. “Comunque stiano le cose, finché non avrò riacquistato la vista mi limiterò a prendere tempo e cercare una via di fuga.”


Intorno a lui sembrava non esserci nessuno. Seiji strisciò carponi sul tatami finché le mani non vennero in contatto con uno shōji. Ne percorse la superficie con i polpastrelli allo scopo di individuare l'apertura. Il legno scorse silenziosamente nelle guide. Da quel punto si potevano udire delle voci: Anubis stava discutendo con qualcuno. Seiji attraversò furtivamente altre tre stanze, prestando attenzione a non urtare il mobilio e cercando nel contempo di memorizzare il percorso. Degli spifferi gelidi sembravano aiutarlo a stabilire la direzione. Erano freddi anche gli oggetti che toccava, come se fosse inverno. Quella dimora in stile tradizionale non sembrava essere abitata da alcuna presenza oltre al Generale dell'Oscurità. Quando fu abbastanza vicino da poter udire la conversazione, Seiji si rannicchiò dietro ad una grossa giara.
“Sei impazzito?” diceva una voce familiare.
“Affatto,” rispondeva Anubis.
“Non è nostro compito impicciarci negli affari dei preti. Vuoi fare infuriare il nostro signore? Dopo che abbiamo ricevuto le sue lodi per aver catturato i ragazzini poi, è da sciocchi!”
“Non sto disobbedendo. Sto tenendo in vita un prezioso guerriero del Male.”
“Così prezioso da rischiare la gloria?”
“Quella che a te non può spettare, se hai paura per una cosa del genere. Mi sorprendi, Naaza.”
“Anche tu, non è da te agire in modo così incauto. Rajura sarà di ritorno tra poco. Per quel momento vedi di riportare Kōrin al suo posto. Io andrò a controllare Suiko, non vorrei mai che i preti lo uccidessero. È un onore che spetta a me, piuttosto.”
“Hanno preso anche Shin,” realizzò Seiji con orrore mentre la risata dei due generali riecheggiava nelle sue orecchie. “Devo trovarlo.”
Ripercorse le stanze a ritroso, tuttavia, pur essendo certo di aver seguito la direzione corretta, al posto dello shōji trovò un solido muro. “Com'è possibile che io abbia compiuto un errore così madornale?” Cercò ancora una volta di non lasciarsi prendere dal panico, ma il rumore di passi che si avvicinavano minacciosamente non era d'aiuto.


Anubis non si sorprese di trovare Kōrin strisciare in una stanza diversa da quella in cui l'aveva lasciato. Era evidente che non aveva mai avuto a che fare con i palazzi degli yōja e gli oggetti che li popolavano, così profondamente segnati dal rancore verso gli esseri umani (specialmente quelli convinti di essere nel giusto).
“Torna a letto.” Disse. “Non sei un verme, sei un ragazzino. E i ragazzini non dovrebbero ascoltare i fatti degli altri. Se vuoi sapere qualcosa, chiedimelo.”
Kōrin assunse una più posizione composta e replicò: “Pensi che io creda al fatto che tu mi dirai la verità?”
“In questo mondo, così come nel tuo, non tutto è inganno. Non disprezzare la Città dei Desideri, altrimenti essa non ti ripagherà.”
“Dove mi trovo?”
“Sei nel mio alloggio, a Nord del castello.”
“Da quanto tempo sono qui?”
“Questa domanda non ha senso. Qui il tempo non scorre nel modo che tu immagini.” Anubis fece una pausa, tentando di leggere le emozioni che attraversavano volto di Kōrin. Era chiaro che stava tentando di pensare. “Non dirmi che... aspetti che i Samurai Troopers ti vengano a salvare?” chiese. Poi iniziò a ridere, pensando all'incoscienza di quei ragazzini inesperti che sfidavano il potere millenario e consolidato di Arago. Anubis non era così ingenuo da sottovalutarli, ma sapeva che senza il potere dell'armatura bianca non avevano modo di far breccia nell'esercito degli yōja.
Kōrin taceva, i denti stretti per la rabbia, la fronte corrugata, gli occhi chiusi. Anubis lo afferrò per un braccio e lo trascinò nella stanza da cui era fuggito. Pensò all'opportunità di legarlo, ma poi lasciò perdere. “Resta qui,” si limitò a dire.
Poco dopo tornò con dell'acqua fresca. “Ti ho portato da bere.”
Kōrin era seduto in posizione meditativa e non dava il minimo accenno di voler dar retta a chi lo stava ospitando.
“Io non sono Generale Demone del Veleno, né ci tengo ad avere debiti con Naaza. Non siamo amichetti come voi ragazzini. Quindi ti consiglio di bere quest'acqua. Se rifiuti potresti morire. Ti ricordo che sei ancora privo dei poteri della tua armatura.”
Kōrin inarcò un sopracciglio. Approfittando di quell'esitazione, Anubis si avvicinò. Con una mano gli tenne ferma la nuca, con l'altra gli accostò la ciotola alle labbra.
“Avanti ragazzino, vuoi che facciamo a bocca? Per me non c'è problema.”
In risposta Kōrin afferrò con le mani il contenitore e bevve. Anubis lo rilasciò e si sedette a gambe incrociate, osservandolo mentre deglutiva avidamente. Quando ebbe finito appoggiò la ciotola a terra e rimase in silenzio.
Presto Kōrin avrebbe riacquistato i poteri dell'armatura. Anubis, che in teoria avrebbe già dovuto riportarlo indietro, aveva invece deciso di attendere il rientro di Rajura dal Monte Daisetsu. “Apri gli occhi,” disse. “So che la vista ti sta tornando.”
“Anche se fosse?”
“Non mi piace essere preso in giro.”
Kōrin aprì gli occhi. Le pupille erano dilatate e lo sguardo non era perfettamente a fuoco, tuttavia le iridi viola si stavano schiarendo. Affermò: “Tra un po' vedrò un essere umano asservito al Male. Ci tieni tanto che io veda una simile indecenza?”
“Insolente. Il Male ti farà mettere a fuoco anche le idee.”
“Non accadrà.”
“Continui a negare l'evidenza. Quando ti ho visto per la prima volta tra i Samurai Troopers, mi sono subito chiesto che cosa ci facessi tra loro.”
Kōrin parve sorpreso. “Che intendi dire?”
“Tutto è diverso in te, a partire dall'aspetto. Non dirmi che nessuno ti hai mai fatto notare che sembri un demone.”
“Le gente della mia epoca non bada a queste cose. Il mondo è cambiato,” ribatté freddamente il ragazzino.
“Gli uomini della tua epoca non sanno più distinguere il Bene dal Male. È proprio l'incapacità di vedere le cose fondamentali che li porterà a diventare sudditi di Arago.” Anubis fece passare le dita tra le ciocche dorate che coprivano il volto di Kōrin, rivelando la grandezza inconsueta dei suoi occhi. “Gli esseri umani dovrebbero sempre avere paura di chi è diverso da loro: sarebbe saggio, per sopravvivere.”
Kōrin bloccò la mano di Anubis afferrandola per il polso. “I miei compagni non hanno paura” affermò, sicuro come la sua stretta, mentre i capelli gli ricadevano di nuovo sulla fronte.
Anubis sogghignò. Il ragazzino non voleva proprio arrendersi. Gli avvicinò le labbra all'orecchio e sussurrò: “Perfino tu sei spaventato da te stesso, l'ho visto chiaramente nel bosco dell'Akiyoshi. È stata la paura a farti commettere l'errore che ti ha reso prigioniero.”
Kōrin gli strinse con più forza il polso, poi lo allontanò. Il generale demone si lasciò allora ricadere all'indietro, appoggiando le braccia sul tatami. “La tua armatura è diversa dalle loro,” disse. “È più simile a quella di noi generali. Sono quasi certo che perfino il tuo cuore assomigli ai quelli che furono i nostri. Ti sei mai chiesto perché l'armatura bianca non ti abbia scelto? Eppure tra i Samurai Trooper sembreresti il più forte, Badamon ti ha quasi ucciso per violare la tua volontà. Senza parlare della tua tecnica, che è davvero di ottimo livello.”
“Ti sbagli, mia forza non è superiore a quella dei miei compagni.”
“Ti consiglio di non contraddirmi troppo, nelle condizioni in cui ti trovi non è saggio,” intimò Anubis. Poi continuò: “Arago riconosce le capacità di un guerriero e lo ricompensa adeguatamente. Vieni dalla sua parte. Chiederò personalmente che mi venga affidata la tua istruzione.”
“Arago è il Male, come posso asservirmi a lui? Preferisco morire!” Esclamò il ragazzino, alzando la voce. Aveva parlato d'impeto. Diede l'impressione di essersene pentito, perché subito dopo chiuse gli occhi e chinò il capo, mordendosi le labbra.
Anubis mantenne invece la calma. “Stupido,” disse piano. “Non capisci che cosa significa essere ricompensati per il proprio valore. Stare in quel branco di ragazzini non ti aiuterà ad esprimere le tue potenzialità. Vi fate chiamare 'samurai', ma non sapete vivere da guerrieri.”


“Non posso permettermi di perdere il controllo!” si rimproverò Seiji mentre cercava di ritrovare la freddezza. Per ragionare, gli era disperatamente necessaria.
Anubis gli aveva chiesto di passare dalla parte di Arago, ma non era questo il punto che lo scandalizzava. Altre parole del generale avevano rivelato una falla clamorosa nella conoscenza dell'armatura: era su questa che si doveva concentrare. “Anubis non sa nulla sulle vere potenzialità dell'armatura. Perché non ha un cuore, oppure lo possiede ma non lo usa.”
D'istinto spalancò gli occhi e si sorprese di non essere più circondato dagli spettri sfocati di una stanza in penombra. Una luce dorata disegnava nitidamente contorni delle cose e gli svelava l'aspetto umano di Anubis. Abituato a vederlo vestito dell'armatura, Seiji stentava a credere che quel giovane dalla carnagione scura, vestito di uno yukata corto e semplice, fosse il tanto temuto Generale Demone dell'Oscurità. Aveva un non so che di selvatico, nei capelli folti e arruffati e nello sguardo penetrante. Più che l'eleganza di una residenza nobiliare gli si addiceva il buio di una fitta foresta di montagna.
Anubis doveva aver avvertito il cambiamento in Seiji perché aveva assunto una posizione di guardia ed era pronto ad attaccare, come un lupo. Nella mano destra stringeva una sfera rossa che riluceva priva dell'ideogramma della virtù. “Avanti, Kōrin, dimostra che sei un demone tanto quanto me,” incitò.
Se Seiji fosse riuscito a richiamare l'undergear, avrebbe potuto sperare di affrontare il suo carceriere. Senza staccare gli occhi da quelli di Anubis, lasciò che la Luce fluisse nel suo spirito e che la sfera si materializzasse tra le sue dita. “Ora!” Decise, ma nello stesso momento lo raggiunse una voce lontana, come una goccia d'acqua che cade interrompendo un lungo silenzio. “Seiji, dove sei? Seiji!” La riconobbe subito: “Shin!” L''ideogramma di Rei, Cortesia, apparve sulla sua fronte. Anubis ne approfittò. In pochi, fulminei movimenti richiamò l'undergear e immobilizzò Seiji, portandogli le braccia dietro la schiena. “Hai perso la tua occasione,” disse. Ma la sua presa si indebolì subito: sembrava quasi che le mani stessero tremando. Seiji si voltò e si accorse con stupore che anche sulla fronte di Anubis stavano apparendo dei segni. Si divincolò e richiamò l'undergear, ma poi non riuscì a fuggire, ipnotizzato da quello che sembrava un rintocco. Era un suono soffocato che non apparteneva a nessuna delle armature dei suoi compagni. “Possibile che provenga da Anubis?”
I segni sulla fronte del generale si facevano più nitidi. “Kō? Pietà filiale?”


Anubis urlò per la rabbia, ma dalle sue labbra uscì solo un suono soffocato. Le mani tentavano inutilmente di raggiungere la fronte in preda al bruciore. Era come se qualcuno gli stesse imprimendo un marchio dall'interno, al ritmo di rintocchi che giungevano da chissà dove. Sentiva dolore ovunque, non poteva muoversi, a malapena riusciva a ragionare ed a rendersi conto che davanti a lui c'era Kōrin. “Possibile che sia lui la causa di tutto ciò? Che razza di poteri hanno questi ragazzini?” Kōrin, che sarebbe potuto fuggire o avrebbe potuto dargli il colpo di grazia, si chinò e disse qualcosa. Anubis non udì le parole, né prestò attenzione all'espressione sbalordita del samurai, perché fu catturato dal bagliore della sua figura.

Questo verde brillante mi acceca. Mi proteggo gli occhi con un braccio mentre corro a piedi nudi lungo i campi insieme a Fūbuki. Neanche a lui piace il sole, ma non possiamo farci niente. La breve estate del Nord è appena iniziata e dobbiamo essere grati alla divinità della montagna che sta per darci un raccolto che sfamerà tutti. Non posso permettere che venga distrutto.
Urlo ai contadini che lavorano: “Stanno arrivando i briganti, correte tutti dentro!”
Al mio passaggio gli insetti smettono di frinire, perché qui ogni essere vivente sa che cos'è una battaglia. Senza rallentare attraverso il villaggio e salgo verso la fortificazione. Le guardie mi fanno passare senza chiedermi nulla perché conoscono bene sia me che il lupo bianco che è al mio fianco.
Mi fermo a prendere fiato nello spiazzo, un gruppo di uomini mi viene incontro. Tra questi c'è mio padre. Ansimando li avverto: “Sono in quindici. Hanno dei cavalli e anche dei fucili.”
Il mio fratello maggiore chiede: “Ti hanno visto?”
Faccio segno di no.“Nessuno può vedermi a meno che io non lo voglia,” affermo.
Mio padre esclama:“Bravo Kujūrō, potrei quasi perdonarti per aver saltato la lezione di scrittura. Ma che cosa ci troverai mai a sparire nei boschi? Tua madre dice che ormai ha per figlio un lupo!” Poi dal suo volto scompare il sorriso e inizia ad impartire gli ordini per la difesa dei campi e del villaggio. Lui porta raramente la spada, ma quando la impugna diventa un guerriero che non ha eguali. “Se ci credono una preda facile si sbagliano di grosso. Lo sai qual è la differenza tra noi e quei briganti?” Mi chiede.
Che noi siamo guerrieri,” rispondo con sicurezza.
Mio padre appoggia la mano sulla mia fronte, mi accarezza i capelli e dice: “Vedi di non dimenticarlo.”

Quel contatto lenì il dolore, lasciando come traccia un lieve tepore. Anubis strinse i pugni, li riaprì, poi si fissò i palmi delle mani. Erano rossi come la luce calma che proveniva dalla sua stessa fronte.

Si sta tingendo di rosso anche il cielo. In groppa ad un cavallo stremato corro tra campi divorati dalle fiamme. Scanso uomini con il ventre squarciato che chiedono aiuto, e i loro cavalli feriti a morte che tentano di rialzarsi. Sto accorrendo verso le urla che provengono dal villaggio, mi fermo quando vedo uomini armati di spade e lance che circondano dei contadini inermi. Quei soldati servono il mio stesso signore, ma ora il loro scopo è raccogliere le teste della povera gente come se fossero quelle dei nemici, per riscuotere la ricompensa. Scendo da cavallo e chiedo: “Con quale coraggio vi definite guerrieri?”
Tu sei il figlio più giovane di Sasaki, giusto? Ti consiglio di farti gli affari tuoi, ragazzino. Non abbiamo paura dei cani selvatici,” dice il più anziano. Gli altri scoppiano a ridere.
Questa è la terra che devo difendere, insieme a chi la abita,” replico stringendo l'impugnatura della spada lunga che porto sulla schiena.
In risposta quegli uomini ridono ancora, e mi circondano. Uno chiede: “Ragazzino, quell'arma è più grande di te, sicuro di saperla usare?” Lui muore con la gola attraversata dalla lama. Il secondo e il terzo vengono tagliati in due all'altezza dell'addome. La testa del quarto, il più anziano, rotola tra le gambe dei contadini che fuggono terrorizzati. Ai loro occhi sono diventato più temibile di coloro che li volevano uccidere.
Mi presento nell'accampamento ancora grondante del sangue dei miei compagni. L'ho potuto scrollare dalla lama della spada, ma non da me stesso.
Il mio signore chiede: “Nessuna testa da portarmi? Non esigi ricompense? Eppure si dice che tu abbia combattuto bene.” Io resto in silenzio e lui continua: “A quanto pare ho perso molti soldati. Dovrò cercare altri uomini tra i contadini.”
Rispondo: “Quella gente non ha la forza per sostenere una battaglia, né è preparata a farlo,” ma lui ordina: “Prendili con te e combatti.”
Affermo: “Li condurrò alla morte,” ma lui replica: “Non importa, non voglio che si dica che non ho combattuto fino all'ultimo contro i Date. La tua famiglia mi ha giurato fedeltà o sbaglio?”
Sì, mio signore,” annuisco con la mano appoggiata sul cuore.


Era da folli trattenersi in quel luogo, ma il desiderio di capire era tale da spingere Seiji ad ignorare i consigli della ragione. Era ancora inginocchiato davanti ad Anubis: lo sguardo di quest'ultimo era vigile, ma sembrava fissare qualcosa che stava altrove. Gli appoggiò una mano sulla spalla, scrollandolo appena. Le lacrime accumulate tra le palpebre scesero sul volto, trascinando con loro il velo che aveva adombrato gli occhi. Seiji li scoprì verdi, sorprendentemente limpidi. “È davvero il demone contro cui ho combattuto?” Sulla fronte era ancora impresso quel simbolo. Impossibile sbagliarsi, si trattava proprio di 'Pietà Filiale'.
Il silenzio che accompagnava quella rivelazione venne squarciato da un tuono assordante. Seiji si mise in guardia, ma non poté far nulla per evitare la violenta scarica del fulmine che si abbatté sulla stanza, paralizzandolo. Il pavimento sussultò, una voragine si aprì tra lui e Anubis. Avviluppato tra le maglie di una rete maligna che non poteva contrastare, lo vide scomparire all'interno di una sfera di energia percorsa da lampi, mentre urlava di dolore. Allora Seiji strinse i denti, preparandosi a subire lo stesso trattamento.


“Sei vivo, che sollievo!” La voce di Shin fu la prima cosa che avvertì dopo che la forza di Arago aveva smesso di attanagliargli le terminazioni nervose. “Ce la fai a muoverti?”
“Sì,” lo rassicurò Seiji. Quando si rialzò in piedi per osservare l'ambiente circostante si rese conto di trovarsi nuovamente nei sotterranei del castello. Sulla volta dell'antro due spiriti volteggiavano nelle loro vesti azzurrognole, dipingendo l'oscurità di funeree scie luminescenti.
“È stato Naaza a dirmi che c'eri anche tu, non so perché l'abbia fatto. Ti ho chiamato finché non ho udito la tua risposta. Sapessi che sollievo saperti vivo,” sospirò l'amico, visibilmente provato. Il volto era sofferente così come lo sguardo: anche lui doveva averne passate tante, eppure stava rivolgendo a Seiji un sorriso.
“È stato lo stesso per me. Evidentemente Arago ha deciso di tenerci in vita,” affermò grave Seiji, rammaricandosi di non essere in grado di rispondere a quell'atto di gentilezza.
“Già,” mormorò Shin, che poi aggiunse, quasi titubante: “Insieme alla voce della tua armatura ne ho sentita un'altra che non conoscevo. Sul momento mi era sembrato uno dei nostri. L'hai sentita anche tu?”
“Uno dei nostri...” Ripeté meccanicamente Seiji. Poi, accortosi che Shin lo stava scrutando con aria accigliata rispose: “Sì, è così.”
“È forse accaduto qualcosa?”
Seiji incrociò le braccia. Esordì: “In realtà...” Ma si interruppe, raggiunto da un presentimento. “Stanno arrivando.”
I sotterranei iniziarono a tremare. Dal soffitto si staccarono frammenti di roccia che caddero nelle pozze circostanti. L'acqua si addensò, divenendo simile a lava. Sulla superficie si formarono enormi bolle dall'aspetto gelatinoso che esplosero liberando uno sciame di spiriti. In mezzo a loro, sospeso in una sfera bluastra, giaceva un ragazzo privo di sensi.
“Shū!” Gridò Shin, inorridito. Seiji dovette afferrarlo per impedirgli di lanciarsi nel mezzo del maleficio. “Ricordi? Arago ci ha lasciati vivi entrambi, sarà così anche per lui,” disse all'amico stringendogli il braccio. Shin lo guardò sconvolto, ma annuì. Spostò lo sguardo triste lontano e invocò: “Ryō, Tōma, non lasciatevi catturare.”
Mentre osservava gli yōja che adagiavano Shū sulle rocce, in Seiji si fece strada la dura verità. “Anubis potrà fare del male anche a Tōma e Ryō. Perché non l'ho ucciso quando ne avevo la possibilità?” La fronte, dove prima era apparso il segno della Cortesia, gli doleva leggermente. La toccò. “Sono stato uno stupido.”
“Tōma, Ryō... Ora è tutto nelle vostre mani,” disse mentre gli Spiriti Infernali avvicinavano alle labbra livide i loro flauti.




Note

Fūbuki (Tempesta di neve) è il nome dello 'spirito guida' di Seiji, così come previsto nel progetto iniziale della serie. Ogni samurai aveva il suo animaletto, e così come Ryō aveva una tigre, a Seiji spettava un lupo bianco [fonte: Samurai Troopers Memorials Gekan]
Ōu è il vecchio nome dell'attuale Tōhoku.
Nel Giappone delle guerre era effettivamente uso elargire una ricompensa sulla base delle teste mozzate ai nemici. Non era raro che soldati senza scrupoli prendessero teste a caso per aumentare gli introiti. Comunque ricostruire ciò che succedeva nel Nord del Tōhoku nel periodo Muromachi mi è davvero difficile e le scene potrebbero essere storicamente inesatte. Si accettano correzioni!

Ringrazio:
Ryanna per il betaggio e le chiacchierate
Releuse e Tanit per avermi incoraggiato a proseguire su questo universo
Gli altri quattro gatti che leggono, perché sapere di condividere con qualcuno la passione per i Samurai Troopers è bellissimo ^___^

Kourin
  
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