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Autore: _Mad_Girl_    20/11/2007    10 recensioni
Una storia che racconta di una ragazza brillante, studentessa modello e fidanzatina perfetta che ha solo un particolare: è bisex. Una sconvolgente e affascinante giovane professoressa entra in scena come docente di recupero...sarà la solita storia dell'adolescente innamorata? Ditemelo voi! ^^
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DEBITO FORMATIVo

-Buongiorno professoressa, in segreteria didattica hanno bisogno di Malucchi e Calamai-.

La professoressa di italiano, scocciata per l’interruzione durante la spiegazione di Ariosto, acconsentì a farci uscire.

Io e Silvia avevamo fatto forca il giorno prima e ci venne lo spaventoso dubbio che fosse qualcosa a proposito dell’assenza.

-Malucchi e Calamai della seconda A liceo classico-

-Devo darvi il calendario dei corsi di recupero di greco dato che ieri eravate assenti- esordisce porgendoci due fogli -dovete riportare il foglio firmato entro venerdì, perché il corso inizia lunedì-

-Perfetto, senta io dovrei ritirare anche il programma per dare l’esame del First, il corso d’inglese- Dico all’impiegata.

-Ah, si, il professor Rocchi mi ha detto che vuoi darlo per iniziare il corso avanzato, ma devi parlare con la preside perché fino ad ora non ci sono state ammissioni: il professore ti ha detto che è un livello molto alto?-

-Si, ne ho già parlato con lui ed è d’accordo con me che sono in grado di accedervi-

-Benissimo, allora ti do il programma. Viola Calamai, giusto?-

-Esatto-

-Ecco a te: ti comunichiamo nei prossimi giorni la data dell’esame-

-Perfetto, arrivederci-

Esco sbuffando dalla segreteria.

-Ma a loro cosa importa se tu vuoi fare il corso nel livello più alto?- Chiede indignata Silvia.

-Di solito lo fanno quelli di terza liceo, quindi ti avvisano prima di pagare i trenta euro per l’esame che potresti non passare-

-Come se tu morissi di fame- Commenta.

-Sempre ad elogiare i miei soldi tu, eh?-

Scoppiamo a ridere prima di entrare in classe.

 

 

Quattro anni nel rinomato Liceo Classico di Firenze nella massacrante sezione A. Una media impeccabile infiocchettata da una lunga serie di otto e nove, sei: il mio voto più basso per i primi tre anni.

E poi il tracollo.

Improvvisamente in prima liceo il greco era diventato arabo per me: il risultato di una lunga serie di quattro e mezzo era stato il debito a fine anno.

Non ero mai stata una secchiona.

Non portavo gli occhiali e non ero gobba per colpa delle troppe ore di studio. Non ero una ragazzina complessata che riversava nello studio maniacale le sue fisime adolescenziali. E non ero neppure un’appassionata di studi umanistici, anzi: odiavo la storia romana e la mentalità astratta dei greci; non studiavo dieci ore al giorno e non ero in balia della solitudine. Ero una studentessa modello, nonostante il sabato sera andassi fuori con le amiche e passassi la domenica a dormire e in giro per il centro; avevo ottimi voti pur essendo una bella ragazza che si godeva la vita al massimo. Circondata di amiche e con una stola di ragazzi ai miei piedi, a diciassette anni compiuti da poco mi ero resa conto di non essere perfetta: già, perché il mio esagerato narcisismo mi aveva sempre costretta a vedermi priva di difetti e superiore ad ogni essere, pardon: moscerino, che mi circondasse. Invece dovetti ammettere di avere qualcosa di diverso dalle persone che conoscevo: ero bisex. Mi piacevano anche le ragazze, ma solo quelle belle. Mi incantavo a guardare una modella su una rivista o, magari, mi capitava di pensare a quanto sarebbe stato bello poter baciare la mia vicina di casa: una designer di interni che avrebbe potuto diventare star di Hollywood solo grazie alla sua bellezza. A dire il vero non mi stupii di questa mia scoperta: ero sempre stata innamorata della bellezza, sotto ogni forma: vantavo un’esigua lista di ex ragazzi, effettivamente non superavano la cinquina, ma erano uno spettacolo, a detta di tutta la fauna femminile di Firenze. I miei ex ragazzi erano un tributo alla vera bellezza e non era un caso che io li avessi amati: non giudicavo degno di particolare considerazione qualcosa che non ritenessi minimamente bello e loro erano splendidi. Perciò scoprire di apprezzare anche le ragazze, purche belle, non mi sconvolse minimamente: la bellezza è bellezza, se te ne innamori non importa che sia maschile o femminile. Nonostante questo non avevo mai cercato un contatto fisico con una ragazza, né avevo intenzione di sperimentare quel mio lato particolare; più tardi fui costretta ad ammettere che era colpa del fatto che non avevo ancora trovato qualcuna che stimolasse il mio interesse.

Me ne accorsi il primo giorno in cui cominciarono i corsi di recupero.

-Ciao ragazzi, io sono Ginevra Ghelardi e sarò la vostra insegnante durante il recupero di greco, al posto del professor Stasi-

Rimasi in silenzio.

A fissarla.

Bella.

No, era meravigliosa.

Aveva i capelli raccolti in uno chignon da cui cadevano ciocche scure di capelli lisci e due occhi color miele di un taglio incantevole.

Il trucco leggero le imporporava le gote e un rossetto tenue evidenziava le labbra piene e tanto perfette da sembrare disegnate. Come una ciliegina sulla torta, aveva un naso piccolo e rettilineo e un incarnato eburneo che la rendeva di una bellezza quasi eterea.

Ci disse di avere ventotto anni e di essere stata studentessa nel nostro liceo, si era laureata a Roma in glottologia antica ed insegnava greco e latino alla sezione B; aveva scritto e pubblicato un saggio sulla lingua greca e sapeva leggere e tradurre il sanscrito. Durante la lezione si dimostrò preparatissima, ma molto simpatica e alla mano: le due ore di greco di quel lunedì pomeriggio volarono come se fossero passati solo trenta secondi.

-Quella Ghelardi è una strafiga!-

-Davvero…se potessi inizierei a farmela ora e smetterei tra un anno-

-Ha un culo da favola: non so che farei per poterglielo toccare!-

-Ragazzi! Possibile che dobbiate essere sempre così volgari?-

-Dai, Viola: non dirmi che non la trovi bella? Una narcisista vanesia come te non può non ammettere che quella è uno schianto!-

-Al contrario: secondo me è bellissima, stavo solo dicendo che ad una donna certi commenti farebbero cadere le braccia, quindi datevi una regolata-

Sorrisi in quel modo sexy che faceva gongolare i miei compagni di classe ed entrai nella Mercedes nera.

-Ciao amore. Sei stanca?-

Mi voltai sorridente verso il mio ragazzo e gli schioccai un bacio sulle labbra.

-Abbastanza, ma andiamo a casa, ho voglia di stare un po’ con te-

-Agli ordini, padrona- Rispose ironico.

Indossò gli occhiali da sole e si immise nel traffico cittadino alla volta di casa mia.

Ero fidanzata da quattro mesi: io conoscevo i suoi genitori e lui conosceva i miei, avevamo cenato spesso in famiglia ed io ero rimasta un paio di volte a dormire a casa sua, insomma: era una storia seria.

Gli raccontai tutto del recupero, anche di quanto fosse bella la professoressa, ma omisi il mio batticuore di quando si era presentata.

Lui non sapeva.

Lui non sapeva niente dei miei gusti sessuali ed ero certa che neppure lo sospettasse. Passammo la serata a guardare un film e a coccolarci, ma io ero distratta; non ero concentrata su me stessa, come spesso mi accusava bonariamente di fare, ero completamente assorta in altri pensieri e altri mondi, ma lui lasciò correre, credendo che fosse colpa del troppo studio.

Niente affatto.

Io ero immersa a pensare a lei.

Mi ero impressa la sua immagine nella mente e la guardavo e riguardavo, contemplando la sua bellezza. Immaginavo che le mani grandi di Riccardo, che mi stavano massaggiando le spalle, fossero quelle sottili e curate di Ginevra. Per la prima volta, da quando avevo capito di essere attratta dalle ragazze, provai il desiderio bruciante di baciare…toccare…accarezzare…stringere quel corpo divinamente bello. Quando salutai Riccardo alle dieci, rimasi per quasi un’ora sdraiata sul mio letto ad occhi chiusi ad immaginarla, ad immaginare noi due insieme; sapevo di essere folle e di dover smettere di pensare a lei.

Mi ero invaghita di una professoressa.

E la volevo.

Pretendevo di averla e desideravo conquistarla: mi sarebbe bastata una volta, una sola, ma volevo baciarla e accarezzare il suo corpo almeno una volta per dissetare il mio corpo da quel fuoco rovente.

 

 

Arrivai alle due del pomeriggio completamente senza voce.

Mi sentivo strana da qualche giorno, ma non vi avevo dato peso.

Soprattutto perché era di nuovo martedì.

E Martedì voleva dire solo una cosa: due ore di recupero pomeridiane.

Che nella mia lingua significava un pomeriggio con Ginevra.

Un altro: il secondo.

Quel giorno entrò in classe con il suo solito sorriso gentile e delle fotocopie in mano.

-Questa è la versione che farete oggi, quindi spargetevi per la classe, uno lontano dall’altro, perché voglio che lavoriate da soli- disse pacifica -arrivate dove riuscite, come se fosse una verifica in classe, d’accordo? Se avete qualcosa da chiedere, fatelo pure-.

Mi porse la fotocopia della versione con un sorriso e con quel suo modo delicato di fare ogni cosa.

In quella frazione di secondo le osservai le mani e risultarono perfette, come tutto ciò che la riguardava.

Durante la prima ora capitò un paio di volte che dovessi chiederle un chiarimento, così si accorse che ero afona e iniziò a prendermi simpaticamente in giro, facendo ridere anche i miei compagni.

A un quarto d’ora dalla fine della lezione, iniziai a sentirmi poco bene.

Sentivo la testa scoppiare e mi mancava il fiato.

Ma il dolore alla testa era niente, in confronto a quello che sentivo alla gola: era come se si fosse acceso un fuoco al centro delle corde vocali.

Iniziai a lacrimare per il male che sentivo e cercai di spiegarlo alla professoressa.

Ginevra era allarmata perché non riusciva bene a capire cosa mi facesse male e diceva che ero molto bianca, così mandò Silvia a chiamare il bidello.

Nel frattempo mi teneva la mano ed era così vicina che, se fossi stata bene, sarei riuscita a respirare il suo profumo.

-Non parlare…se senti male alla gola non sforzarti di parlare…Silvia è andata ad avvisare il bidello, così facciamo chiamare i tuoi genitori. Roberto vai a prenderle un bicchiere d’acqua, intanto-.

Il mio compagno di classe uscì subito dalla classe, mentre gli altri tre che facevano recupero con me mi stavano attorno, cercando di capire cosa avessi.

Io piangevo quasi inconsapevolmente, non riuscendo a fermare le lacrime che sgorgavano da solo per il dolore acuto alla gola.

Ginevra mi stringeva delicatamente la mano, guardandomi preoccupata.

-Piangi per il dolore, Viola? Fa un cenno con la testa-. Mi chiese.

Annuii con il capo e spalancai gli occhi: il movimento mi aveva provocato una fitta dolorosissima all’altezza della nuca.

-Che succede?-. Chiese preoccupata.

-Mi ha fatto male…il movimento…al collo…la gola…è in fiamme-. Dissi in un soffio, sempre tra le lacrime.

In quel momento tornò Silvia.

-Ho dato il numero di tua madre alla segreteria: l’hanno chiamata ed ha detto che arriva immediatamente, ma ha voluto che chiamassimo la guardia medica. Tra qualche minuto arriverà il dottore: tu riesci a muoverti?-.

-Non credo: ha annuito con il capo ed ha sentito un dolore fitto al collo, quindi è meglio se facciamo salire il dottore-. Rispose risoluta la professoressa.

-Ma ti fa così male, Vio?-. Mi domandò un mio compagno.

Non ero in grado di rispondere con un movimento, ma parlare forse era anche peggio, quindi rimasi in silenzio.

Ginevra ordinò ai miei compagni di andare, dato che era finita la lezione, ma permise a Silvia di rimanere.

Lei non se ne andò, anzi: quando arrivò il medico pretese di rimanere in aula, nonostante ci fosse anche mia madre.

Un perfetto esempio di insegnante responsabile: lo ricordo come se fosse ieri.

 

I tre giorni successivi furono un inferno.

La stanza dell’ospedale mi sembrava claustrofobica e così tetra che incupiva ulteriormente il mio umore già pessimo.

La prima diagnosi che diedero a mia madre, quasi provocandole un arresto cardiaco, fu di una massa tumorale maligna tra le corde vocali e le vertebre cervicali.

Grazie a Dio, prima di comunicarlo a me ebbero il buon gusto di fare degli accertamenti attraverso esami più approfonditi.

La diagnosi definitiva, e fortunatamente esatta, fu quella di una piccola ciste che si era formata e che premeva sulle corde vocali e che il dolore era provocato da quella.

Quando Riccardo venne a trovarmi mercoledì pomeriggio, evitai accuratamente di raccontargli della diagnosi errata per evitare che si preoccupasse.

Rimase con me quasi tre ore, fino a quando non mi portarono la cena (un intruglio disgustoso che spacciavano per minestrone di verdure), a parlarmi e coccolarmi e a raccomandarmi di riposare e stare tranquilla.

Nella settimana in cui rimasi ricoverata vennero a trovarmi un po’ di persone: i genitori di Riccardo arrivarono giovedì mattina insieme a mio padre, li ringraziai con le lacrime agli occhi quando mi diedero un succo d’ananas e un cornetto alla crema che avevano comprato nella pasticceria di fianco a casa loro; lo stesso pomeriggio si presentò Silvia con un paio di amiche e i giorni successivi vennero tutti i compagni di classe, la mia zietta adorata e persino la nonna Ombretta.

Rimasi di sasso, come pietrificata, quando il giorno dopo l’operazione alla gola, vidi apparire di fianco al letto Ginevra.

-Ciao, Viola-.

La sua voce allegra risuonò per quella stanza come il canto di un usignolo in inverno.

-Buongiorno professoressa-.

La mia, invece, era flebile come la fiamma di una candela.

-Siamo fuori dalla scuola: dammi del tu e chiamami Ginevra- disse sorridendo -mi sono permessa di farti visita, spero di non disturbare-.

-Non si preoccupi- mi morsi la lingua ad una sua occhiataccia -volevo dire che non ti devi preoccupare- mi corressi con un timido sorriso -anzi, mi fa piacere: siediti pure-.

-Volevo vedere come stavi, perchè mi sono preoccupata molto quando ti sei sentita male-.

-Lo immagino…ti chiedo scusa: riesco ad essere allarmante anche quando non vorrei-.

Commentai con aria ironicamente drammatica.

Ginevra scoppiò a ridere.

-Non è stata colpa tua. Ieri ho incrociato Silvia per i corridoi e le ho chiesto come stavi. Mi ha detto della ciste e del ricovero, così ho pensato di passare di persona: sei la prima alunna che mi fa prendere uno spavento, diciamo che non sapevo come comportarmi-. Ammise stendando un sorriso colpevole.

-Se non sono morta di dolore è merito tuo- confessai arrossendo -mi rendo conto di aver pianto come una fontana, ma non puoi immaginarti il male che ho provato-.

-L’importante è che ora tu stia bene: quando ti dimettono?-.

-La vecchia megera dice tra tre giorni, ma io non resisto ancora a mangiare i liofilizzati che mi rifilano!-.

Vederla ridere di nuovo fece sorridere anche me.

-Sembri una bambina che fa i capricci- commentò tra le risate -con quel viso imbronciato! Fai la donna adulta e non lamentarti-.

-Vorrei sapere cosa hai mangiato oggi a pranzo e poi ti metterei qui dentro per una settimana: scommetto che faresti peggio di me!-. Risposi ridendo.

-Probabilmente si: sono difficilissima in fatto di gusti alimentari- ammise -quindi quando torni a scuola?-.

-Questo è un problema, prof-.

-Perché?-.

-A quanto dice il medico perderò un mese di scuola, perché pare che la ciste possa riformarsi tra qualche giorno perché non è stata interamente asportata, quindi dovrò ripetere l’operazione fra tre settimane circa: nel frattempo non devo muovere troppo il collo e dovrò prendere costantemente medicinali, riassumendo il tutto rientrerò a scuola a metà novembre circa-.

-Già: è un bel problema. Un mese di assenza non è cosa da poco, effettivamente-.

-Senza contare che perdo completamente il corso di recupero e non potrò sostenere l’esame di recupero a dicembre-.

-A questo non avevo pensato-. Rispose pensierosa.

In quel momento mi squillò il cellulare: era Riccardo.

Mi scusai con lei e risposi; voleva avvisarmi che sarebbe passato nel tardo pomeriggio e quindi di non aspettarlo presto.

-Era il tuo fidanzato?-. Chiese maliziosa Ginevra.

-Ognuno ha il suo cruccio-. Risposi scherzosa.

-Senti- iniziò tornando seria -mentre eri al telefono ho pensato ad una soluzione-.

-Ti ascolto-.

-Io non potrei in nessuna circostanza fornirti lezioni private, in quanto sono una docente del liceo che frequenti, ma potrei andare contro le regole e darti ripetizioni durante il periodo di assenza a patto che nessuno lo sappia. Tu potresti mandare tua madre a parlare con la preside, facendole sapere che prendi lezioni da un insegnante privato a cui io fornisco il materiale che facciamo a recupero, in questo modo lei ti autorizza a sostenere l’esame di recupero a dicembre e tu sei preparata esattamente come i tuoi compagni che fanno il corso. Che ne pensi?-.

-Per me sarebbe fantastico, ma così non rischi di metterti nei guai?-.

-Se tu sei una persona matura e responsabile non corro alcun rischio-.

-Allora non devi preoccuparti: io sarò una tomba e mia madre anche-.

-Perfetto: siamo d’accordo. Io ora devo scappare che ho il consiglio d’istituto: dato che non credo avrò tempo di venire domani, ti lascio il mio numero di cellulare, così quando viene tua madre le dici di chiamarmi e parlo direttamente anche con lei-.

-Va bene: segnalo pure qui-. Risposi porgendole il mio diario.

Si avvicinò a me per scrivere con la sua calligrafia grande e tondeggiante il suo nome e sotto il numero di cellulare sul diario e in quel momento mi dimenticai tutto.

Aveva un profumo così buono…

Era fresco e pungente, tanto che penetrava i sensi e arrivava dritto alla testa, o al cuore.

-Ecco qui: mi raccomando ricordatelo- mi ammonì porgendomi la penna -e cerca di mangiare i liofilizzati che ti danno, altrimenti farò lezione ad uno scheletro-. Disse sorridendo.

Prima di uscire mi fece una carezza sulla testa.

Il suo solito tocco delicato…

Quella giovane donna mi stava entrando dentro.

Tutto ciò che la riguardava mi sembrava frutto di un’assoluta perfezione.

E quella visita assurda si riavvolse nella mia mente come se fosse stata una mia mera illusione.

Mi stropicciai il viso più volte e poi aprii il diario che tenevo ancora tra le mani.

Nella pagina del quattro ottobre spiccava in rosso il nome Ginevra e un numero di cellulare subito sotto.

Era tutto vero…

Ginevra.

Era.

Vera.

E anche la mia folle ossessione.

Era tutto vero!

Due paroline…

Dire che questa storia è scritta di getto è un eufemismo. Voglio finirla, anche se confesso che non ho idea di dove troverò il tempo. Non aspettatevi aggiornamenti a breve termine, perché purtroppo la mia vita da classicista con debito non me lo permette, ma se avrete pazienza sarete ripagati, lo prometto!!!

Se vi va, fatemi sapere che ve ne pare…^^

Baci!

Alla prossima…

 

 

 

 

  
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