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Autore: La Mutaforma    02/05/2013    0 recensioni
A volte tornava. Come tornano tutti gli incubi.
La immaginava lì, nascosta tra le ombre, con la sua bambola tra le braccia, i suoi pennelli in grembo. La sua vita, i suoi occhi dipinti.
Ma dopotutto, forse motivo non c’era di odiarla, né Mary avrebbe voluto essere compatita.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ib, Mary
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Che rossi che sono gli occhi tuoi, Ib”
Lei non disse parola.
“Vorrei intingerci dentro un pennello”
Ib trattenne il fiato, mordendosi le labbra. “E poi?”
“E poi disegnerei un grande cuore sulla parete. Rossosangue. Ti piace questo colore, Ib?”
Senza un apparente motivo logico, piantò il suo piccolo coltello nella bianca testa di un manichino. Uno spruzzo rosso di tempera schizzò disordinato sulle pareti e le mani della bambina.
Mary rise.
 
A volte tornava. Come tornano tutti gli incubi.
A volte lo raccontava a Garry, quando si incontravano furtivamente al cafè vicino la scuola.
Più spesso la immaginava lì, nascosta tra le ombre, con la sua bambola tra le braccia, i suoi pennelli in grembo. La sua vita, i suoi occhi dipinti.
La sua risata così allegra da sembrare nevrotica echeggiava tra le pareti di quella stanza, e non la lasciava dormire.
Ma dopotutto, forse motivo non c’era di odiarla, né Mary avrebbe voluto essere compatita.
 
Tra il cuscino e i lunghi capelli, le parve di vederla. In piedi, vicino al suo letto.
“Perché mi odi così tanto, Ib? Quanto bruciano i tuoi occhi quando mi guardi così”
La immaginò con il viso cinereo e i vestiti bruciati e sporchi di colore.
“Non ho fatto nulla di male!”
Lo ripeté fino ad urlarlo, quella voce che sembrava piangere, vocali sparse come petali di fiore strappati.
Forse lo ripeteva perché anche quella convinzione spesso vacillava.
Era un suono ripetuto, un gemito disarmonico, come i pazzi che si dondolano sulle sedie.
Ib si nascose sotto le lenzuola, piangendo.
Quando riemerse, di Mary non ne restava nemmeno il ricordo.
 
“….volevo solo che tu mi amassi”
Ib sospirò, colpevole.
“Non sono un giocattolo, e con me non si può giocare come si gioca con le bambole”
Ib non ci giocava con le bambole, e dipingeva sulle pareti fiori con le mani.
Mischiando i colori, così un giorno Mary sarebbe tornata a riordinarli.
La bambina fatta di solitudine, la principessa di un regno di bambole che non esiste da nessuna parte.
 
Ib pensava che fosse stata piccola e illogica, come uno scarabocchio fatto in un momento di distrazione.
E forse un po’ non era riuscita ad esserle amica.
“Quanto sei stata sola, Mary? Quanto lo sei stata quando ho avuto paura di te?”
Mi perdonerai mai?
I disegni non rispondono mai. In ogni caso forse non avrebbe avuto bisogno di perdonarla.
Mary aveva sempre qualche bambola a cui tirare i capelli.
 
 
 
 
Ogni tanto qualcosa dovrò pur dirla, no?
Oggi è il compleanno di una persona speciale, o almeno credo che lo sia.
Sicuramente lo è stata. Spero che lo resti per tutto il tempo possibile.
Ecco, non voglio fare discorsi mielosi per augurarti buon compleanno, che è praticamente quello che dovrei fare.
A volte ci sono situazioni in cui sembra impossibile comunicare, e io non sono un giocattolo, sono nevrotica e strappo i petali dei fiori, e provo delle sensazioni che, pur irragionevoli, sono sensazioni.
Io posso accettare la tua immaturità, tu tollera la mia nevrosi e basta.
Quindi buon compleanno bambina mia, oggi diventi una signorina, e non nessuno potrà più trattarti da piccola. Guadagnati il rispetto che meriti per i tuoi quindici anni.
Magari un giorno torneremo a parlare la stessa lingua.
 
 
  
 
   
 
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