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Autore: Sam Lackheart    02/05/2013    0 recensioni
Erano in effetti dai tempi di James I che non si vedevano, circa quattrocento anni - certo, per loro, condannati e destinati ad una vita eterna, i secoli scorrevano via come gocce di pioggia, ma quattrocento anni iniziavano a pesare.
Sarebbe comunque stata una bugia dire che non era emozionato, alla sola idea di rivederlo.
Più difficile era cercare di spiegarsi il perchè.
[nata come una UKXScotland, non so bene cosa ne è venuto fuori. Non quello che mi ero prefissata, comunque]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Scozia
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Erano in effetti dai tempi di James I che non si vedevano, circa quattrocento anni - certo, per loro, condannati e destinati ad una vita eterna, i secoli scorrevano via come gocce di pioggia, ma quattrocento anni iniziavano a pesare.
Sarebbe comunque stata una bugia dire che non era emozionato, alla sola idea di rivederlo. 
Più difficile era cercare di spiegarsi il perchè. 
L' ultima volta che si erano visti ... Quanto erano cambiati, loro malgrado! A quei tempi gloriosi risalivano la sua Royal Navy, le vittorie contro la Spagna, il suo solido impero coloniale ... Reprimette con stizza quei ricordi di fastidiosi fasti antichi, concentrandosi sul presente sul grigiore di quella giornata pallida inglese, sulla tediosità estrema in cui veniva proiettata la sua quotidianità, in confronto ai fasti di un tempo. 
Si sentì quasi innervosito dal poco splendore che risiedeva nella causa del loro appuntamento. Una questione spigolosa, fastidiosa e tremendamente ripetitiva, infarcita nel tempo da tanti sfarzi di presunta legittimità, ma riassumibile con poche, crudeli e banali parole: Ian voleva la sua indipendenza.
Tralasciando i suoi pessimi trascorsi - nessuno aveva mai ben capito dove finisse, ogni 4 Luglio, per poi tornare un paio di giorni dopo - Arthur sapeva che non sarebbe stata la decisione più adatta per nessuno dei due, ma conosceva altrettanto bene la cocciutaggine del rosso, seconda forse solo alla sua, e il suo dannato orgoglio che lo aveva spinto ad isolarsi come un eremita, nonostante ... beh, diamine, nonostante a lui piacesse la sua presenza, forse fastidiosa a volte, ma mai esagerata, condita con quella graziosa punta di discrezione tipicamente british di cui non poteva non sentirsi fiero. 
Suo malgrado sobbalzò, quando lo vide entrare, così sicuro di sè da fargli venire quasi la nausea mentre si sedeva delicatamente sulla poltrona, elegantemente avvolto dalla sua divisa militare blu notte.
"Good morning" disse semplicemente Ian, scrutando con le palpebre socchiuse il biondo mentre prendeva una sigaretta dal taschino e, senza troppe cerimonie, l' accendeva.
"Quelle sigarette ti faranno venire un tumore, ma in effetti è più probabile che sia tu a farlo venire a loro" perchè, perchè veniva fuori sempre quel lato di sè, quando al contrario voleva apparire, per una sola volta, diverso dal solito, assurdamente migliore? 
"Ha parlato quello con il fegato in rivolta" rispose schietto il rosso, soffiandogli il fumo davanti alla faccia.
"Sei intrattabile"
"Per questo sono qui. Non voglio più essere trattato da te" spiegò l' altro, accavallando le gambe.
"Come se tu fossi capace di gestire una qualsivoglia situazione ... A proposito, come va la lotta con le streghe?"
Ian sembrò perdere per un attimo la sua spavalderia: la fissa di James per la stregoneria lo imbarazzava abbastanza da farlo tacere per un pò.
"Non sono affari tuoi" sentenziò infine, cercando di eliminare l' unico argomento che lo prendeva seriamente in contropiede.
Arthur non capì la sua reticenza: era probabilmente l' unica cosa che gli interessasse veramente, e l' aveva sempre considerata un motivo di unione tra di loro. Shakespeare aveva addirittura dedicato "Macbeth" a quell' ingrato, che adesso si rifiutava anche di parlarne! Fatti suoi, pensò stizzito, non avrebbe mai saputo come trattare con le fate - cosa che sapeva perfettamente, lui!
"Beh, da come la metti niente dovrebbe essere più affar mio"
"Esattamente, vedo ci sei arrivato"
"Non ti accorgi della stupidità della tua richiesta? Cosa speri di fare da solo, se non sei bravo neanche a trattare con quattro streghe che ti infestano il castello?"
"Oh, ti prego, smettila di prendermi in giro, sei dannatamente fastidioso"
"Guarda che non ti sto prendendo in giro, almeno non su questo"
"Non può dire sul serio" pensò scocciato Ian, ricordando di quando, da piccoli, lui non facesse altro che raccontargli storie su foreste magiche, fate, folletti e troll. Possibile che stesse perlando sul serio? Possibile che credesse davvero a tutte quelle storie?
"Senti, piccoletto, siamo tutti e due abbastanza grandicelli, direi. Perchè non ne parliamo da uomini maturi?"
"Vorrei parlarne da uomo maturo, ma in questa stanza non vedo nessuno in grado di sostenere quel genere di conversazione"
"Allora è così? Farai il sarcastico fino a portarmi allo sfinimento?"
"Probabile"
"Meraviglioso, èerchè in effetti anch'io avevo un piano del genere. Ma sappiamo entrambi che vincerò io, quindi perchè non lasci perdere subito?"
"Diciamo che mi sono allenato. Potrei anche stupirti"
"Prima rispondi ad una domanda. Perchè?"
"Perchè so che non riusciresti a cavartela da solo, ecco perchè!" pensò esasperato Arthur: sapeva che dirglielo non sarebbe stata la scelta migliore, quindi decise di rimanere in silenzio.
"Ecco, vedi? Non c'è neanche un motivo preciso, semplicemente sei un bambino geloso che non vuole perdere niente! Non ti accorgi di essere ridicolo?"
"Io sarei ridicolo? E allora sentiamo, perchè vuoi questa dannata indipendenza? Ti tratto davvero così male? No, perchè  me proprio non sembra!"
"Non è questo"
"E allora cosa? Cosa, dannazione, spinge ogni essere umano e non a voler sistematicamente allontanarsi dal sottoscritto?"
"Forse è perchè non sai cucinare"
"Cerca di fare la persona seria"
"Devo davvero essere serio? Semplice, per quanto fittizia, forse addirittura ingannevole e doppiogiochista, tutti sono portati a desiderare la libertà. Lo sono i mortali - che se ne fanno, poi, non l' ho mai capito - perchè non dovremmo esserlo noi?"
"Come se io non ti lasciassi fare quello che vuoi"
"Forse sei iperprotettivo"
"Prego?!"
"Forse" parlò con calma, quella volta, per cercare di non peggiorare la situazione "Cerchi sempre di addossarti i mali di chiunque, e sentirsi protetti da ciò fa piacere, ed è molto conveniente, quando si è bambini. Ma una volta cresciuti ... è come se considerassi tutti troppo inferiori per fare quello che tu fai tutti i giorni, capisci?"
"Ma non riesci a capire, che è proprio così?" pensò penosamente Arthur, chiudendo gli occhi fingendo di essere irritato, arrabbiato o qualunque altra cosa, ma non in pena per lui. Era banale che alla fine avrebbe acconsentito: non si era mai arrabbiato veramente per queste cose, e conosceva bene il senso di libertà di cui ognuno aveva bisogno. Anche lui ci era passato, no?
Lo capiva, come capiva tutti e tutto, sempre. Ma non poteva, davvero non riusciva a lasciarlo andare, senza dirgli niente, senza neanche riuscire a  guardarlo in faccia. 
"E tu invece capisci che l' unica cosa che mi sembra stia succedendo è una fotocopia di cose che ho già passato, vero?"
"E' difficile, ma non pretendo di saperlo"
"Ma sai bene che non ti dirò di sì. Non posso dirti di sì"
"E tu sai che combatterò, comunque, no?"
"Allora, è già tutto deciso, di cosa stiamo parlando? Ho cose migliori da fare, io"
"Non lo metto in dubbio" rispose Ian, ma Arthur era già sparito, lasciando dietro di lui neanche la scia della sua presenza. 
"Ci vedremo alla fine di tutto questo" pensò Ian, portandosi una mano tra i capelli "Ma avremo il coraggio per ridere?"
 
 
 
*** note ***
Mamma mia che tristezza.
Meglio tacere, allora!
Sam.
  
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