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Autore: Jooles    03/05/2013    7 recensioni
«Interrompiamo i programmi per dare una notizia importante e, purtroppo, drammatica. Il boeing 747 di ritorno da Suna…»
«…siamo qui sul luogo della tragedia, i detriti si sono sparsi per chilometri…»
«…sono le sette e quaranta di sera quando l’aereo decollato dall’aeroporto di Suna si schianta al limitare del centro di Konoha…»
«…nessun sopravvissuto tra i passeggeri, lo strazio dei familiari…»
«…si è parlato di guasto al motore, nessun superstite tra i centoventisei passeggeri…»

È il giorno ventisei maggio dell'anno 1993.
"Quello è il giorno in cui muoio."
[1^ classificata al contest "242" indetto da Audrey_24th sul forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Mi chiamo Itachi Uchiha e questo è il giorno ventisei maggio dell’anno 1993.
Circa un minuto fa, gli altoparlanti dell’abitacolo in cui mi trovo si sono accesi e attraverso dei minuscoli e apparentemente innocui forellini neri è scaturita una voce spaventata. Spaventata, confusa e rassegnata. Incredibile come un apparecchio elettronico a prima vista innocente come quello possa divenire lo spietato giudice del destino delle centoventisei persone a bordo dell’aereo.
«Signori… e signore. Qui è il capitano che vi parla.»
L’apparecchio può sicuramente nascondere il volto del pilota, ma non di certo velare l’angoscia dovuta alla rassegnazione al fatto che stia per lasciare questa vita.
«I motori sono andati…»
Il tono di voce basso dell’uomo stona con lo stridio assordante dell’allarme attivato dall’emergenza.
«… stringete a voi le persone che amate…»
L’uomo seduto vicino a me ha preso alla lettera il consiglio; credo sia il figlio quello che ha appena abbracciato. Hanno gli stessi occhi, entrambi di un verde molto scuro.
«… pensate a quelle che vi amano ed esprimete un ultimo desiderio…»
Anche io e Sasuke abbiamo gli stessi occhi. In realtà, non c’è un Uchiha nella nostra famiglia che non abbia gli stessi occhi. Però ecco, quelli di Sasuke sono diversi. O almeno, per me lo sono.
«…mi dispiace.»
L’assistente di volo che mi ha accolto non appena ho messo piede nell’aereo continua ad urlare «Mancano cinque minuti! Mancano cinque minuti all’impatto!» Qualcuno dovrebbe dirle di smettere; i bambini ormai piangono disperati tra le braccia dei loro genitori, che sono ancora più angosciati dei piccoli. Di certo sentirsi scandire quel macabro conto alla rovescia non aiuta.
Mancano solamente cinque minuti e questa solida trappola di ferro nella quale mi ritrovo rinchiuso si ridurrà ad una disgiunta poltiglia di detriti.
Riprendendo le parole del capitano, direi che mi dispiace.
Mi dispiace, fratellino.
Sasuke. A cinque minuti dalla mia fine è a lui che penso, forse perché è proprio la persona verso cui la mia mente si dirige non appena mi si chiede “Esprimi un desiderio”.
Ora, esprimi un desiderio Itachi.
Ricordo di come ad ogni mio compleanno, prima di spegnere le candeline, mi veniva chiesto di desiderare qualcosa, solo per me.
Ci pensavo per tutta la giornata, fino al momento della festa in cui mamma portava la torta dalla cucina, e tutti gli invitati innalzavano un coro, intonando dapprima il monotono “Buon compleanno”; poi, l’intraprendente del gruppo avrebbe ordinato “Esprimi un desiderio prima di spegnere le candeline!”
E ogni volta stavo per esprimere il desiderio a cui avevo pensato tutto il giorno, quella fantasia riservata a me soltanto.
Ma d’un tratto alzavo gli occhi e scorgevo la testolina di Sasuke di fronte a me, anche se spesso nascosta dietro qualche spilungone, che sorrideva entusiasta e batteva le mani, unendosi al coro dei festeggianti. Lo vedevo felice, gli occhi un pochino lucidi per la gioia, anche se lui non lo avrebbe mai ammesso, e volevo che quell’emozione perdurasse in eterno nel tempo.
Così mettevo da parte i miei futili desideri e chiedevo sempre un’unica cosa da quando era nato lui; che le persone a me care vivessero per sempre felici.
 
Nella retina del sedile di fronte al mio scorgo una rivista, la cui copertina presenta la foto di un mare limpido con altrettanto chiaro cielo: sono indubbiamente caratteristiche di Kobe, città di quello che tutti chiamano il “Paese delle Onde”. Mi sembra venga nominato così per l’alto tasso di turisti surfisti che vi si spingono da tutti gli angoli del pianeta.
Ironia della sorte, avrei dovuto portare Sasuke lì non appena tornato dal mio viaggio di lavoro; l’ennesima promessa mancata, come le altre che ho sempre rimandato, giurando che la prossima volta avrei mantenuto la parola data.
Però mi dispiace fratellino, non ci sarà una prossima volta.
 
Mi chiamo Itachi Uchiha e sono giovane: ho venticinque anni nel giorno ventisei maggio dell’anno 1993, e per chi crede nell’Aldilà direi che manterrò per sempre questa età.
Perché oggi è il giorno in cui muoio.
 
 
 



 




 

- Per cinque minuti la fine -

 
 
 
Ormai mi devo rassegnare al fatto che la hostess scandirà con voce stridula ogni secondo che ci rimane; a niente sono servite le urla di protesta di qualcuno.
Non posso che trovare buffo il fatto che due persone legate come noi, fratellino, possano trascorrere nello stesso istante nel tempo due vite, due episodi talmente dissimili: io sto morendo, da qualche parte nel mondo, e mi sento così impotente. Tu invece starai respirando, camminando, studiando, perché domani sarai ancora a Konoha e tutto quello che fai in questo momento il giorno dopo ti servirà. Vivi per uno scopo; se respiri oggi sarai vivo domani, se studi oggi il giorno dopo prenderai il massimo all’esame.
E sono felice che sia andata così. Se proprio doveva succedere una tale disgrazia a uno dei due, avrei pagato le Moire affinché prendessero me.

 
I.                   L’amore sconfinato – Sasuke

«Basta così?»
Sasuke annuì, afferrando la busta del suo ultimo acquisto.
«Sono ventiquattro ryo, signorino Sasuke», la gentile signora dietro il bancone stracciò lo scontrino appena srotolato dalla macchinetta porgendolo al compratore, mentre con l’altra mano accettava i soldi del giovane.
«Arrivederci» salutò Sasuke, guardando per un ultima volta il sorriso della proprietaria del negozio prima di riversarsi tra le affollate strade di Konoha.
«Ciao Sasuke!» Sakura sventolò la mano in aria per farsi individuare al di là della strada. Teneva in mano un voluminoso mazzo di fiori; la porta del negozio dei genitori di Ino si era appena chiusa dietro di lei.
Sasuke rispose con un cenno del capo, continuando poi a concentrarsi sul sentiero di fronte a lui.
Mentre camminava sbirciò ancora il contenuto di quella busta, scorgendone il contenuto. Aveva completamente dimenticato l’imminente viaggio per Kobe e Itachi di certo non avrebbe trascorso la vacanza a cercare un costume da bagno.
«Ti porto al mare fratellino, in fondo ci siamo stati solo una volta da piccoli»e Sasuke si era ritrovato a dover acquistare tutto l’occorrente per la vacanza. Data la mole di impegni dovuti allo studio, Mikoto si era offerta di fare lei stessa gli acquisti, ma Sasuke aveva da subito rifiutato, già annusando il rischio di ritrovarsi ad andare in giro con un costume da bagno multicolore e multi-imbarazzo. La scelta era dunque ricaduta su un pantaloncino da mare che gli arrivava a metà coscia, ovviamente di un colore sobrio e indolore come il nero. Itachi lo avrebbe sicuramente rimproverato che andavano in vacanza al mare, non ad un funerale a cui faceva molto caldo, ma Sasuke avrebbe molto probabilmente sbuffato, noncurante del fatto che sarebbe stato costretto in seguito dal nii-san a indossare un costume del nii-san stesso.
Poi ricordò che quella sera Itachi sarebbe tornato dal suo viaggio di lavoro.
Gli ormoni scontrosi dell’adolescenza non avrebbero mai concesso a Sasuke di rivelarlo, ma non vedeva l’ora che il fratellone tornasse a casa.
Nella sua mente gli correva incontro dopo averlo visto sbucare dall’uscita del terminal con la sua ventiquattrore e il mini trolley; nella realtà avrebbe biascicato un “Bentornato, nii-san”, lasciandosi scompigliare i capelli da una delle sue grandi mani e assaporando un “Mi sei mancato, otouto”.
 
Tornato a casa si tolse come prima cosa i sandali, abbandonandoli all’ingresso prima di dirigersi verso la sua cameretta. Poggiò la busta sul letto, godendo del fatto di essere finalmente a casa. Già, perché Sasuke odiava trascinarsi in giro come una donnina a spendere soldi. Aprì l’armadio, mettendo tutto sottosopra per cercare la sua felpa preferita, quella da battaglia insomma; quella che quando la indossava voleva dire “televisione- latte caldo- poltrire tutto il dì”. Ma nell’armadio vi era tutto, tranne la sua felpa.
«Mà! La mia felpa grigia, dov’è?»
Mikoto rispose subito.
«Nel tuo armadio tesoro, l’ho lavata ieri.»
Sasuke sbuffò; per sua madre dire “Nel tuo armadio” valeva dire “O nel tuo armadio o in quello di Itachi, non ricordo bene”.
Aprì la porta della stanza del fratello, quando lui non c’era rimaneva sempre chiusa, e raggiunse l’enorme armadio a parete. Rovistò in tutte le ante, aprì i cassetti. Sotto ogni maglioncino o felpa che alzava sperava di trovare la sua. Setacciò fino a toccare il fondo dell’unico grande cassettone, scorgendo un mucchietto di fogli. Afferrò quelle che ad una seconda analisi gli sembrarono delle buste, raggiungendo l’interruttore per far luce.
Quello che Sasuke teneva in mano era un mucchio di lettere dalle bustine di diversi colori, gialle, celesti, poche del sobrio bianco, tutte indirizzate al fratello. Le liberò dall’elastico con il quale erano tenute insieme, aprendone una a caso.
 
Buon complAnno ni san
Ti voio bene

 
Sasuke non riconobbe da subito la sua infantile scrittura. Eppure ricordava benissimo quel biglietto: aveva voluto scrivere da solo, senza l’aiuto dei genitori, e per i suoi cinque anni appena compiuti pensò che se la fosse cavata fin troppo bene.
Le altre letterine recitavano tutte i suoi auguri, la grammatica e la grafia che miglioravano con l’avanzare delle date dei compleanni. L’ultima era di quell’estate.
 
Tanti auguri Itachi
 
Non aveva aggiunto alcun “Ti voglio bene”, non era mica un sentimentale come il nii-san, che conservava tutte le sue lettere. Sasuke lo amava silenziosamente ma intensamente e Itachi lo sapeva.
Ripose le lettere nel fondo del cassetto chiudendo poi l’armadio. Tornò in camera sua senza felpa e pensò che fosse altamente probabile che Itachi l’avesse portata con sé.
«Sta sera gliene dico quattro» si disse.
Già, sta sera.
Quel so-tutto-io gli era davvero mancato nella settimana di sua assenza, così l’arrabbiatura per la felpa passò per un attimo in secondo piano.
 

~¤~

 
 
Malgrado la mia situazione riesco a sorridere.
Forse perché mi rendo conto di quanto sia fortunato il mio fratellino; è uno scorbutico di prima categoria, eppure è circondato da persone che lo amano. Mamma, papà, Naruto, i sensei, Sakura con i suoi capelli rosa.
Chissà perché proprio ora sto pensando ai capelli di Sakura. Mi infondono dolcezza.
È una ragazza sveglia e so per certo quanto ami mio fratello.
«Kami, mancano soli tre minuti! TRE MINUTI, CAZZO!»
Una signora seduta alla fila parallela alla mia, dopo aver udito l’ennesimo isterismo dell’hostess, ha detto qualcosa tipo - «Eichiro, io ti amo!» - per poi sprofondare il volto nelle mani e tra i singhiozzi borbottare «Perché non te l’ho detto prima? Perché?»
Credo che non avrei mai sopportato di morire senza rivelare i miei sentimenti a coloro che amo.

 
II.                Non è vero che cambiare amore è tradire – Sakura

«Dimmi un po’, Sakura: sarebbero per un certo moretto questi fiori?» Ino ammiccò sapiente.
Sakura abbassò lo sguardo, fingendo di trovare i suoi sandali materia interessante.
«Ino, te l’ho detto che le cose con Sasuke sono camb- »
«Io non intendevo Sasuke!»
Sakura guardò la sua amica quasi sconcertata; il modo in cui Ino Yamanaka riusciva a comprendere i suoi sbalzi sentimentali prima che lo facesse lei stessa le rimaneva ancora ignoto.
Sakura poggiò con poca delicatezza i fiori sul bancone, provocando le lamentele di Ino - «Ehi! Si sgualciscono!» - per poi accasciarsi, quasi letteralmente, affranta sullo sgabello di legno davanti alla cassa.
Ino lasciò da parte la sua indignazione di fronte all’essersi vista rovinare il suo capolavoro, girando intorno al bancone per avvicinarsi all’amica. Non disse niente per cinque minuti buoni, più che altro si trattenne con enorme sforzo nel non dire alcunché, fin quando non fu proprio Sakura inaspettatamente a rompere quella quiete.
«Sono proprio un’idiota» sussurrò. Ino le portò un braccio dietro le spalle.
«Sei solo stanca, Saku -»
«No, Ino. Sono davvero una stupida. Ti ricordi quando da piccole litigavamo per Sasuke?»
Certo che lo ricordava; era stato così fino a poco tempo fa. Un giorno Sakura le aveva detto: “Dovrai accettare il fatto che mi piace Sasuke, e anche che ti voglio come amica! Non perderò nessuno dei due, questa è una sfida, Ino.”
Ino ricordava benissimo la serietà nel tono di quelle parole, l’avevano quasi spaventata. Avrebbe accettato la sua rivalità insieme alla sua amicizia.
Ino si portò una mano alla fronte, emettendo uno sbuffo esasperato.
«Dio, Sakura… e va bene, non so per quale motivo te lo stia dicendo, sarà che mi stai facendo pena. Poi non dire che non sono una buona amica!», Sakura la guardò confusa, nonostante non fosse in vena di scherzare riuscì a mascherare bene l’eccitazione di fronte a una rara rivelazione dei segreti di Ino Yamanaka.
«Il fatto è Sakura… che io e te non siamo più rivali da ehm… beh, da un bel po’, ecco.» Ino arricciò le labbra, tormentandosi una ciocca di capelli tra indice e pollice.
Sakura sembrava più spaesata che mai.
«E chi…?»
«Oh, andiamo Sakura, qui non si tratta di me! Il fatto è che non devi tormentarti per quello che provi. Ascolta, tu e Sasuke non siete mai stati insieme, perché dovresti sentirti in colpa se ora ami suo fratello?»
Fu come essere punta improvvisamente da uno spillo, il sangue sembrò fluire e defluire dalla testa in una manciata di secondi, provocandole un lieve giramento; una vampata di caldo la colpì improvvisamente per poi svanire. Lo spirito di osservazione di Ino era terrificante.
«Mi sento come se lo avessi tradito…» Sakura si sentiva confusa.
Ino non nascose la sua irritazione e Sakura fu sicura di aver udito un “Che palle…”.
«Devo cercare di essere più dura della tua testa Sakura, perciò ascolta bene…», Sakura fu quasi certa di aver scorto il riflesso di fiamme zampillare negli occhi dell’amica.
«Non puoi averlo tradito se non siete mai stati insieme.»
Altro brivido, ormai credeva di essere diventata un puntaspilli.
Giusto. Se Sasuke non si sentiva in colpa per come l’aveva trattata in tutti quegli anni, allora non doveva temere di provare quegli stessi sentimenti per qualcun altro.
D’un tratto si chiese quando, precisamente, avesse iniziato a guardare Itachi con occhi diversi. Sicuramente da quando aveva smesso di guardare Sasuke con gli occhi di sempre; non era più la bambina che si nascondeva dietro le gambe della mamma quando Sasuke la sfotteva di fronte agli altri bambini e non era più la ragazzina che piangeva guardando le foto del suo amore.
In quegli anni si accorgeva solamente di come Sasuke si allontanasse sempre più, non facendo caso invece a quanto Itachi le fosse, a modo suo, più vicino.
 
«Lascialo stare Sakura, oggi il mio fratellino ha le mestruazioni» e quando Itachi interveniva in sua difesa dava la speranza a Sakura di poter riprovare, sempre, nonostante le batoste subìte.
«Vieni Sakura, ti accompagno a casa io»; era sempre Itachi a darle un passaggio da scuola quando la macchina di Sasuke era “troppo piena” per trovare uno spazio per la sua minuta figura.
«Ma no tranquillo, vado a piedi» e gli sorrideva, nonostante non ne avesse per niente voglia, perché non si poteva non sorridere di fronte alla gentilezza di Itachi, nemmeno se si era dell’umore più nero.
«E dai, è ridicolo che abitiamo a due case di distanza e ti lascio camminare con la fame che ti mangia lo stomaco. Cosa dovrei rispondere poi alle vecchiette che si lamentano della galanteria estinta di noi giovani uomini.»
In un modo o nell’altro, Itachi la convinceva sempre.
Non aveva voglia di andare ai compleanni di Sasuke per sentirsi ignorata da lui, eppure Itachi la trascinava, sostenendo che non sarebbe stata altrimenti una buona vicina.
Voleva scappare quando si era presentata a casa Uchiha per interessarsi delle condizioni di Sasuke, quella volta che era stato investito da una macchina, e lui aveva sbuffando vedendola entrare, «Ah, sei tu.»
Itachi allora le aveva offerto un caffè, un terribile tentativo di imitare l’espresso all’italiana.
«Non sono bravo in cucina.» Anche i geni hanno i loro punti deboli, aveva pensato Sakura.
 
«Hai ragione Ino», sussurrò l’amica, iniziando, seppur lentamente, a convincersi che quella situazione non fosse un peccato. Lasciò lo sgabello dietro di sé, afferrando il mazzo di fiori con un nuovo sorriso sulle labbra.
«Ovvio» ammiccò la fioraia.
Sakura si diresse verso l’uscita, afferrando la maniglia con la mano non impegnata dai fiori.
«Ah, comunque sono per i miei, oggi è il loro anniversario di matrimonio» annunciò, sventolando il mazzo profumato in alto sopra la sua testa.
«Fai gli auguri da parte mia!»
La porta dietro di sé si era quasi richiusa, ma fece comunque in tempo a sentire l’ultima confessione dell’amica da dentro il negozio.
«Comunque, è Shikamaru.»
Ma Sakura già lo sapeva. Si disse allora che se Ino aveva avuto il coraggio di andare avanti, lei non sarebbe stata da meno.
Vide Sasuke dall’altro lato della via e lo salutò. Quando fu sicura che lui ebbe svoltato l’angolo, prese a correre per i sentieri di Konoha, la strada di ritorno a casa non le era mai sembrata tanto lunga.
Spalancò la porta d’ingresso della villetta, non curandosi della violenza con la quale questa sbatté contro il muro.
«Saku, ma che -» ma la signora Haruno non poté finire la frase, investita dalla folata di vento di un fulmine che le passò davanti.
«Buon anniversario mà, devo uscire.»
La signora rimase in corridoio, il mazzo di fiori che le era stato malamente schiaffato in mano, guardando la figlia che scendeva le scale qualche secondo dopo con la borsa e le chiavi della macchina in mano.
«Vai a dare il benvenuto a Itachi all’aeroporto?»
Sakura sbuffò irritata, lasciandosi sfuggire un versetto di irritazione. Corse verso il vialetto dove era parcheggiata la macchina.
 
«Ma perché qui tutti sanno tutto prima di me?»
 

~¤~

 
 
Ci hanno obbligato ad indossare degli inutili giubbotti di salvataggio, come se possano evitare di farci sfracellare le membra una volta avvenuto l’impatto con il suolo.
Veniamo sballottati qua e là, oggetti che volano e che rischiano seriamente di farti morire prima ancora di cadere; ad esempio, un carrello del cibo è stato sbalzato violentemente, colpendo l’hostess. Mi dispiace davvero per lei, però in un certo senso la invidio; la sua tortura è finita prima di tutti gli altri.
In questa situazione è un po’ difficile avere la cognizione del tempo; mi sembra che la scadenza dei cinque minuti sia dovuta avvenire da un pezzo, eppure sono ancora qui a pensare e ad aggrapparmi al sedile.
Il signore che alla partenza era seduto vicino a me, e che ora si aggrappa allo sportello aperto del porta bagli per non finire sballottato, cerca disperatamente il figlio con le sue urla. Chissà dov’è la madre. Se è abbastanza fortunato, non ce l’ha; almeno la povera donna non soffrirà la morte del bambino. Perché è contro natura che i genitori vedano morire i propri figli.
Io purtroppo non avrò il potere di evitare questo dolore ai miei.
 

III.             Fieri - Fugaku e Mikoto

Era tornato tardi come al suo solito e nonostante le premure di Mikoto di ricoprire le pietanze con dei piatti per mantenerle calde, queste erano diventate ormai immangiabili. Fugaku scoprì il suo pranzo, trovando il riso troppo incollato e le verdure miste ormai troppo fredde. Non aveva voglia di mettersi a scaldare tutto o di lasciarlo lì per cercare qualcos’altro, perciò si mise a mangiare il suo pranzo così come lo aveva trovato. Sperò inoltre che Mikoto non fosse in casa, almeno avrebbe potuto inventarsi di essere tornato non poi tanto tardi.
Ma poiché in certe situazioni le proprie richieste non vengono mai accolte, la sua dolce moglie apparve dal salotto, fermandosi poi sulla soglia della cucina con il volto imbronciato, per quanto le riuscisse, cercando di accentuare il cipiglio posando seccamente le mani sui fianchi.
«Molto buono, tesoro» si difese Fugaku, alzando una bacchetta con cui aveva infilzato le verdure.
«Fugaku» sospirò esasperata.
Fugaku si strofinò stancamente gli occhi tra pollice e indice, facendo cadere le bacchette sul piatto.
«Lo so, lo so, te lo avevo promesso.»
Mikoto si intenerì; d’altronde non era una promessa che veniva rotta per una sua mancata volontà.
«Potresti almeno non portare la pistola a tavola?» chiese, e Fugaku si alzò per andare a posare l’arma sul bancone della cucina. Poi si avvicinò alla moglie e quest’ultima parlò.
«Si tratta di una pausa pranzo di mezz’ora, vieni a casa, mangi, poi torni a lavoro. Sasuke ha visto che non c’eri e si è rinchiuso in camera sua a studiare invece di mangiare. Poi è corso di nuovo all’università.»
Fugaku contrasse le sopracciglia, non capendo.
Mikoto chiuse gli occhi, portandosi una mano alla tempia, ma suo malgrado sorridendo.
«Voi uomini Uchiha siete tutti uguali. Siete così intelligenti per le cose più impensabili, ma quando si tratta dei sentimenti siete un disastro.»
Fugaku fece qualche passo indietro, poggiandosi con le mani al tavolo.
«Lo sai cosa vede tuo figlio?»
Fugaku aveva sempre pensato che sua moglie fosse una donna fin troppo dolce, persino coi suoi figli; era proprio per questo motivo che lui cercava di fare il suo contrario, temprandoli nel carattere.
«Che mangi insieme a noi solamente quando c’è Itachi. È mancato da casa per più di un mese, e tu non hai mai, una sola volta, pranzato insieme a noi, Fugaku.»
L’uomo sospirò.
«Sasuke è grande per queste cose» disse. Ma serviva più che altro a convincere se stesso.
Il fatto che non lo pensasse davvero venne confermato dallo sguardo torvo di Mikoto; se quella donna era sempre calma, quando si parlava dei suoi figli poteva uccidere con lo sguardo. Letteralmente.
«Gli ormoni di Sasuke sono scontrosi Fugaku, vuole comandare il mondo con il suo musone, ma non sarà mai troppo grande per queste cose.»
Il chiavistello girò e la porta venne sbattuta contro il muro. Quell’entrata platealmente spacca-muri apparteneva a un solo giovanotto.
«Tesoro, sei tornato tardi oggi» Mikoto accolse sorridente il figlio minore.
Sasuke si avvicinò al tavolo, gettando un’occhiata al cibo. Mikoto gli scompigliò affettuosamente i capelli e Sasuke mosse di scatto la testa infastidito.
«Mà!» la rimbeccò.
Fugaku, memore delle parole di poco prima della moglie, cercò di instaurare un dialogo.
«Come è andata all’università oggi?»
Sasuke sembrò spaesato da tale interessamento, per questo non gli venne immediata la risposta a quella semplice domanda. Forse, ecco, la semplicità non era di casa in casa Uchiha, e un’aspirante studente di psicologia come lui avrebbe sicuramente diagnosticato che quell’atteggiamento fosse del tutto normale: quando si è abituati a risolvere problemi trigonometrici, tornando alle addizioni ci si trova un attimo spaesati, ecco tutto.
«Bene.»
«Stai studiando per gli esami?»
«Sì.»
La riserva di domande era finita, l’acutezza di intelletto di Fugaku non si poteva di certo dire direttamente proporzionale alla sua loquacità.
Sasuke uscì dalla cucina annunciando che sarebbe andato a studiare e che non voleva essere disturbato.
«Chissà perché avrà scelto proprio psicologia» si chiese Fugaku.
Mikoto lo guardò torva.
«Non sto dicendo che non approvo, solo lo avrei visto bene a lavorare con me.»
«Sono così fiera dei miei bambini» sussurrò emozionata Mikoto.
«Ma vedi di non dirglielo, me li fai diventare due mammolette altrimenti.»
«Beh, a far sì che non accada ci pensi tu, vero?»
«Secondo te perché nessuno dei due è voluto entrare nella polizia con me? Itachi ha scelto quella cosa impossibile… astrofisica, là…»
«Forse perché volevano conquistarsi la tua approvazione per qualcosa che loro avrebbero messo su con le proprie forze, e non con una spinta da parte del paparino.»
Fugaku ci rifletté. Un moto di orgoglio nei confronti della sua famiglia gli smosse qualcosa nello stomaco: era una sensazione piacevole, che doveva provare più spesso.
Ma non l’avrebbe mai rivelata ad alta voce, soprattutto di fronte ai figli: mica dovevano diventare delle mammollette!
 
 

~¤~
 

 
Ultimi secondi, ultime parole. Mi sento vecchio, sembra quasi che stia dettando un testamento; mi sento vecchio, e sarà perché sto per morire, mentre solitamente attribuisco quella prerogativa alle persone anziane.
Mi sono stati dati cinque minuti, di riflessione, di preghiera, di angoscia. Non ho pregato, non ho pensato a tutte le cose che avrei potuto fare e che dalla fine di questi cinque minuti mi saranno precluse. Non rimpiango di non essermi sposato, di non aver avuto figli. Non mi strapperò i capelli per non essere mai stato in Francia o per non aver vinto il premio nobel per una qualche scoperta astronomica.
Muoio felice, perché me ne vado con la consapevolezza di essere contento di quello che la vita mi ha dato. E prima che l’aereo tocchi il suolo innalzando una polvere di detriti e speranze mancate, esprimerò il mio ultimo desiderio.
In effetti io lascio un’eredità: regalo a coloro che amo l’augurio di vivere a pieno la mia stessa felicità.
Peccato che questa volta non ci siano le candeline a sigillare il mio volere.
 

~¤~

 
Gli abitanti della città di Konoha udirono come un tuono prolungato, potente e spaventoso. Coloro che si trovavano sotto un tetto si riversarono nelle strade, quelli che invece già vi erano alzarono i nasi verso il cielo. Ci fu anche chi si affacciò dal balcone e chi scese dalla propria macchina. Tutti abbandonarono le loro faccende per tenere gli occhi fissi là dove fluttuavano le nuvole.
 
Sasuke sbraitò innervosito, i vicini stavano attentando nuovamente alla sua infinitamente misera pazienza, continuando a fare i lavori in casa anche quando c’era l’ora di riposo pomeridiana. Sbatté violentemente la porta della stanza contro il muro, scendendo a passi pesanti le scale. Si riversò in strada, deciso a rivolgere parole poco amichevoli agli abitanti della casa di fianco, quando la sua attenzione venne dapprima catturata dalla gente che si trovava in mezzo alla strada. Avrebbe voluto urlare di spostarsi dalla via, che erano degli idioti e che avrebbero bloccato il traffico. Poi notò però che lo scorrere di macchine si era già arrestato e non per colpa dei pedoni che ostruivano il passaggio. Imitò il resto delle persone, alzando gli occhi al cielo, e così come i suoi occhi si riempirono dell’immagine catastrofica a cui stava per assistere, il cuore se ne straziò. Non si accorse nemmeno che Fugaku e Mikoto lo avevano raggiunto, stringendosi al suo fianco.
 
Sakura era scesa dalla macchina, lasciando incurantemente il motore acceso; il suo sgomento di unì a quello delle persone che la circondavano e osservò traumatizzata la scia di fuoco e fumo che aveva macchiato il cielo fino ad allora così sereno. La gente si tappò le orecchie quando l’aereo scomparve dietro gli alti edifici: anche coloro che non si trovavano a bordo, si prepararono all’impatto.
 
 

Breaking news.
«Interrompiamo i programmi per dare una notizia importante e, purtroppo, drammatica. Il boeing 747 di ritorno da Suna…»
«…siamo qui sul luogo della tragedia, i detriti si sono sparsi per chilometri…»
«…sono le sette e quaranta di sera quando l’aereo decollato dall’aeroporto di Suna si schianta al limitare del centro di Konoha…»
«…nessun sopravvissuto tra i passeggeri, lo strazio dei familiari…»
«…si è parlato di guasto al motore, nessun superstite tra i centoventisei passeggeri…»

 
IV.             Un degno erede –Naruto

Sono Naruto, Naruto Uzumaki. Oggi è il quattordici luglio del 1993. I quarantanove giorni[1] sono passati e l’anima di Itachi è partita, finalmente in pace dove deve trovarsi.
Non appena arrivato alla veglia ho visto tutti i parenti di Sasuke vicino alla tomba. Erano lì, che l’accerchiavano, ma non piangevano. Però nessuno degli altri presenti sapeva quanto lo avessero fatto nelle loro case, di nascosto, e mi è dispiaciuto. Io lo so, lo so per certo perché durante queste sette settimane sono andato spesso a trovare Sasuke. Era sempre il padre ad aprirmi la porta, perché lui piangeva di notte, quindi durante il giorno si presentava al pubblico; la madre invece era sempre “a fare la spesa” o a “trovare i parenti” quando venivo io. Un giorno però sono passato per sbaglio nel corridoio delle camere da letto per cercare Sasuke e ho sentito dei singhiozzi provenire da una delle porte chiuse.
Ho pregato tanto per la signora Uchiha.
 
Durante tutto il rito Sasuke è rimasto in prima fila; ha fatto in modo di dare le spalle a tutti, così poteva versare le sue lacrime silenzioso, senza temere che qualcuno si girasse e lo scoprisse.
Io sono rimasto nel fondo, non volevo disturbare. Però alla fine del rito, Sasuke si è girato velocemente e mi ha cercato con lo sguardo mentre tutti se ne andavano. Con la mano mi ha fatto cenno di aspettarlo, così abbiamo atteso che la folla scemasse, lui vicino alla bara del fratello, io dall’altra parte della sala, in silenzio.
Quando anche l’ultimo dei presenti era stato inghiottito dal buio della sera oltre il portone dell’enorme serra nel giardino di casa di Sasuke, mi sono avvicinato.
«È un posto bellissimo, Sasuke» gli avevo detto, alzando lo sguardo ad ammirare le stelle oltre la vetrata del soffitto.
Il signor Uchiha aveva fatto costruire nel giardino di casa sua questa enorme serra di vetro, come una gigantesca teca di cristallo. Doveva servire da luogo di pace per chiunque vi volesse andare. Qualche giorno fa la signora Uchiha aveva espressamente chiesto di far riposare suo figlio qui, in fondo era per la pace dei sensi che suo marito aveva fatto edificare questa costruzione.
Era interamente in vetro, con rifiniture in metallo. Non vi era pavimento, l’erba veniva finemente curata affinché sembrasse una compatta lastra verde. Era un luogo pieno di natura, e di vita, con decine e decine di piante diverse che crescevano per ogni lato della serra. Al centro, il suo giaciglio coperto da una sorta di gazebo in legno, riposava Itachi.
«Mia madre l’ha voluto chiamare “La Teca della Vita”, ora vuole anche affiggere una placca fuori.»
Doveva sembrare una cosa bella, ma Sasuke non pareva pensarla allo stesso modo. E così gli avevo domandato se quel nome gli piacesse.
«È un’idiozia, perché qui non c’è più vita» e me lo aveva sibilato a denti stretti, arrabbiato.
Dovevo dire qualcosa; in fondo io lo credevo un nome adatto e avevo già capito cosa volesse dire la madre di Sasuke. Lo avrebbe compreso anche lui, se solo non fosse stato accecato dal dolore.
«Sai, Sasuke, io credo che ti sbagli. Tua mamma ha avuto un motivo per chiamarla così, ne sono sicuro.»
Sasuke mi aveva guardato di traverso. Però volevo andare avanti.
«Io penso che Itachi avrebbe voluto vederti felice.»
«Cosa cavolo c’entra questo discorso?»
Dovevo continuare.
«Lui avrebbe voluto che tu, tua madre, tuo padre, viveste felici. Lui si è sempre preso cura di te, io mi ricordo che siete sempre stati molto legati. Sai perché faceva di tutto per te, secondo me?»
«Ero suo fratello» a Sasuke questa sembrava una cosa ovvia.
«Perché gli piaceva quando sorridevi, una volta me lo ha detto. Mi ha detto che da piccolo sorridevi sempre e che anche se adesso eri diventato un musone, lui sapeva che eri contento quando stavate insieme.»
A quel punto mi era sembrato di aver visto gli occhi di Sasuke diventare più ludici, come lo erano all’inizio della veglia, quando ancora tratteneva le lacrime per non essere visto dagli altri.
«Devi continuare a vivere felice, Sasuke, è questo che avrebbe voluto Itachi. Per questo si chiama “La Teca della Vita”, perché Itachi ti ha lasciato il desiderio di una vita felice. Devi vivere per lui.»
Non ricordo per quanto siamo rimasti lì dentro; l’unica memoria che ho del tempo che passava erano le stelle che sbiadivano sempre più, man mano che la luce della luna faceva posto a quella più luminosa del sole del primo mattino. Sasuke si era disteso sull’erba e lentamente si era addormentato. Nel sonno però ancora piangeva.
Ma da domani, e lo avevo promesso a me stesso in quel momento, Sasuke non avrebbe più pianto. Non ero di certo alto, con i capelli lunghi e scuri, gli occhi uguali al mio amico; insomma, non ero suo fratello. Eppure qualcosa potevo pur fare.
Silenziosamente, inconsapevolmente, avevo promesso di vegliare su Sasuke da quando ero diventato suo amico; e ora, a maggior ragione, avrei continuato a farlo.

In memoria di Itachi.
 
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[1] Il quarantanovesimo giorno dopo la morte di qualcuno è significativo per i giapponesi perché credono che l’anima del defunto indugi ancora per quarantanove giorni nel corpo prima di lasciarlo. Infatti, l’anima appena dopo la morte parte per un viaggio che dura quarantanove giorni all’interno della terra dei morti dove viene giudicata e assegnata ad andare in uno dei sei regni della cosmologia buddhista. Si celebra questo giorno con una veglia funebre.






























Note

Questa fic partecipa al contest "242" indetto da Audrey_24th sul forum di EFP. 
Giuro che questa è l'ultima storia introspettiva che scriverò. Mi ha ucciso nel profondo parlare dei sentimenti di Itachi; già non è una passeggiata scrivere qualcosa di introspettivo in generale, ma Itachi è un pozzo di sensazioni intense. Nonostante questa storia mi abbia portato via metà delle mie forze vitali, mi è piaciuto scriverla. Ci lavoro da parecchio, se non sbaglio è da febbraio; in un certo senso mi ha fatto un effetto strano concluderla, è come se se ne fosse andata via una parte di me (nonostante io non sia pienamente soddisfatta del risultato; tutto sommato lo stimo decente, dai).
Di solito attendo i risultati dei contest per pubblicare una storia, ma questa non potevo farla aspettare ancora, anche perché è una liberazione poterla finalmente farla uscire allo scoperto e ho bisogno di un po' di felicità dato che mi sto cimentando in un paio di racconti particolarmente angst (dunque, temetemi!).
Fatemi sapere cosa ne pensate. *-*
Un saluto a tutti! :)
 




EDIT DEL 23/06
Sono usciti i risultati del contest, sto gongolando come un babbuino (i babbuini gongolano??). Ecco il commento della giudiciA:


Una bella storia sia nell’impostazione che, in larga parte, nello stile. Qualche ripetizione, qualche errore di battitura, qualcuno di grammatica, ma nel complesso si difende bene.
Riuscita l’idea di concentrare tutto sulla morte di Itachi e di intervallare i suoi pensieri a quelli di Sakura, Sasuke, Mikoto e Fugato e Naruto. Ogni paragrafo si concentra su uno dei personaggi e sui suoi sentimenti. Ho trovato la scelta originale e ben sviluppata. Centri i sentimenti e non sei prolissa e ridondante nel renderli.
La caratterizzazione, giudicando in relazione all’AU, è davvero buona. Riprendi le dinamiche parentali degli Uchiha, il rapporto di amore-odio fra Sakura e Ino e la volontà di Naruto di stare al fianco di Sasuke, nonché il travagliato rapporto di Sasuke stesso con il fratello.
Avendo letto un tuo precedente lavoro, posso affermare che in questa one-shot si notano dei miglioramenti in fluidità e correttezza grammaticale. Lo stile è più pulito, ma, allo stesso tempo, attento alla descrizione del momento e a cogliere i sentimenti dell’attimo. Tempi verbali
Resta comunque qualche sbavatura nella coniugazione dei tempi verbali.
In questa situazione è un po’ difficile avere la cognizione del tempo; mi sembra che la scadenza dei cinque minuti sia dovuta avvenire da un pezzo […] Non “sia dovuta”, ma “sarebbe dovuta”.
Realismo
C’è stato un momento, nella parte iniziale, in cui il realismo ti è sfuggito di mano.
«I motori sono andati…» […]
«… stringete a voi le persone che amate…» […]
«… pensate a quelle che vi amano ed esprimete un ultimo desiderio…» […]
/ «…mi dispiace.»
L’annuncio del pilota. Non sono mai stata in un aereo mentre cade con tanto di motori in avaria, lo ammetto, ma dubito che il pilota si permetterebbe di dire “I motori sono andati” e tutte le frasi che seguono. Non farebbero che instillare nei passeggeri un panico non voluto. Senza contare che cinque minuti di caduta libera sono troppi. C’è qualche problema di realismo per quanto riguarda la questione dei disastri aerei.
Trigonometria
Fra le frasi che mi hanno colpita positivamente c'è questa:
«Come è andata all’università oggi?» Sasuke sembrò spaesato da tale interessamento, per questo non gli venne immediata la risposta a quella semplice domanda. Forse, ecco, la semplicità non era di casa in casa Uchiha, e un’aspirante studente di psicologia come lui avrebbe sicuramente diagnosticato che quell’atteggiamento fosse del tutto normale: quando si è abituati a risolvere problemi trigonometrici, tornando alle addizioni ci si trova un attimo spaesati, ecco tutto.
Ho trovato originale e molto affine a Sasuke la metafora della trigonometria. Credo che colga bene il senso e strappi persino un sorriso.
Nel complesso, comunque, la storia scorre bene. Una bella lettura.




Mi viene da ridere se rileggo la prima parte. Cioè, fa davvero ridere! Ho solo ritenuto che anche l'equipaggio potesse lasciarsi andare al panico, tanto stanno per morire. Invece il commento della giudiciA mi ha fatto rinsavire. Sono un emerito disastro. E poi? Tutta la parte del funerale?? Un disastro. Me ne rendo conto solo rileggendo la storia dopo un po' di tempo. Ma ormai è andata e in ogni caso, risultato a parte, sono davvero felice di aver partecipato a questo contest, in particolar modo per la serietà e per i commenti così dettagliati che ci sono stati fatti.


  
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