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Autore: Martolinsss    03/05/2013    18 recensioni
"E sai qual è la cosa più assurda? Che quando tu te ne sei andato, dall’alto non cadeva nemmeno una goccia, le foglie erano immobili e l’asfalto era asciutto e liscio. Nessun temporale a segnalare la tua partenza. Nessun tuono a dirci che ci stavi lasciando. No, te ne sei andato via in punta di piedi, senza far rumore."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti! Eccomi con la seconda e ultima one shot su Harry e Louis, poi probabilmente inizierò una fan fiction!!
L’ispirazione mi è venuta leggendo una poesia in classe che  mi è piaciuta così tanto che non ho potuto fare a meno di correre a scriverci sopra una storia.
La poesia in questione è di Eugenio Montale e si intitola “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”ed è stata scritta dopo la morte della moglie. I due hanno passato la vita insieme e si sono sempre sostenuti a vicenda, scendendo milioni di scale, cioè affrontato tutte le piccole  difficoltà quotidiane di cui la vita è formata. Montale vedeva con gli occhi di sua moglie, perché lei aveva capito che la realtà non è quella che appare e sapeva di conseguenza guidare suo marito, che continuamente si appoggiava a lei, e insieme continuavano a scendere, a darsi forza, ad amarsi. Ora che non c’è più, Montale avverte la sua mancanza in ogni cosa, si sente come un albatro che non riesce più a volare, a salvarsi dalle trappole della vita. E allora fa l’unica cosa di cui si ritiene davvero capace: le scrive una poesia. Per ricordarla, per fare in modo che la loro storia non venga dimenticata. Per rendere il loro amore eterno.
So che è una storia un po’ diversa dal solito, ma spero abbiate in ogni caso la pazienza di leggerla e di lasciarmi un vostro parere.
Volevo anche ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito “A tutti quelli che non ci credevano”, mi riempite il cuore di gioia! Buona lettura!


Image and video hosting by TinyPic Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
 
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

 

Sono le nove del mattino di una limpidissima domenica di Marzo. Se non fosse per i mucchietti di neve ai bordi delle strade e i finestrini delle auto ancora ghiacciati, sembrerebbe quasi estate. Un raggio di sole, probabilmente il più luminoso, quello meno timido, si fa largo attraverso il cielo azzurro e riesce a passare attraverso la fitta tenda color blu oceano posta davanti alla finestra, quasi come a voler squarciare il silenzio e l’oscurità della mia stanza.
Disturbato da questa luce improvvisa apro gli occhi, ancora assonnato da una notte senza sonno, e sbuffo vedendo il tipo di giornata che si profila all’orizzonte. Una volta mi piaceva quando c’era il sole alla domenica, perché significava prendere la macchina, guidare per due ore e poi trascorrere un’intera giornata a fare surf, con te che mi osservavi orgoglioso da sotto l’ombrellone. Io mi abbronzavo, tuffandomi tra le onde, mentre tu diventavi sempre più bianco, a causa della crema solare che ti mettevi per non scottarti. Ricordo infatti che la tua pelle era così delicata, bastava un niente per bruciarti, eccome se me lo ricordo.

 Oggi invece, o meglio da quando tu non ci sei più, il sole non lo sopporto, anzi mi fa proprio schifo, perché quando piove posso dare al maltempo la colpa del mio cattivo umore. Quando invece non c’è neanche una nuvola, nessuno mi crede se dico che non mi sento bene perché oggi il cielo, per i miei gusti, è troppo azzurro.
E sai qual è la cosa più assurda? Che quando tu te ne sei andato, dall’alto non cadeva nemmeno una goccia, le foglie erano immobili, non c’era nemmeno un alito di vento e l’asfalto era asciutto e liscio. Nessun temporale a segnalare la tua partenza. Nessun tuono a dirci che ci stavi lasciando. No, te ne sei andato via in punta di piedi, senza far rumore. La pioggia è arrivata dopo, ed erano le mie lacrime.
Lacrime che hanno invaso, allagato,  inondato tutto quello che avevamo costruito insieme negli ultimi sette anni. Con quelle lacrime ho riempito questa stanza e per un po’ ci sono stato a mollo, come se farlo rendesse la tua partenza un po’ meno definitiva, come se continuassi a sperare che da un momento all’altro saresti apparso con un giubbotto di salvataggio per me sotto il braccio.
Poi però i giorni passavano, di te nessuna traccia, l’acqua era sempre più fredda e io ho dovuto farmi largo e trascinarmi fuori da solo. Avevo i polpacci indolenziti, le braccia intorpidite, ma mi è toccato asciugare tutto, per salvare il salvabile, quello che l’acqua non si era ancora mangiata. Ma l’acqua è una stronza, si sa, perché quando passa macchia tutto, ingiallisce le pagine dei libri, le rende gonfie. Come le lacrime, quando ti cadono sulla maglietta. Si asciugano, con il tempo, ma il loro sapore salato non lo levi più.

Allo stesso modo tu sei ancora qui, Harry. E non c’è giornata di sole o acquazzone che tenga, perché quello che sei non può essere scritto e tantomeno cancellato. Ne abbiamo passate troppe insieme per guardarti sbiadire così, senza che io cerchi di aggrapparmi a ciò che di te mi è rimasto con tutte le mie forze.
Minù è saltata sul letto e mi si è avvicinata, con un’aria più speranzosa del solito. Ricordo quanto anche io avessi voluto un gatto quando tu avevi avuto l’idea di prenderne uno e di quanto mi era piaciuta il giorno che siamo andati a sceglierla al negozio. Ora invece sono settimane che non riesco a lasciare che mi si avvicini. Se guardo il suo pelo lucido, non vedo che te quando ci passavi le dita attraverso per accarezzarla. Se la sento miagolare, risuona nella mia mente il rumore delle tue ciabatte che strisciavano sul pavimento quando ti alzavi presto la domenica mattina per darle da mangiare, affinché  non mi svegliasse.  Sono così ingiusto con lei, lo so, ma mi fa arrabbiare, perché dei due sei sempre stato tu il suo preferito e ogni giorno ora mi guarda con quei suoi due occhioni verdi, proprio come i tuoi, pieni di speranza di vederti rientrare dalla porta da un momento all’altro, con un giocattolo nuovo fiammante per lei.
Non ha capito che ti hanno portato via, che ti hanno strappato da queste mura, che non ti pulirai più le scarpe sul tappetino davanti all’ingresso. Non ha capito che non le farai più le coccole dietro alle orecchie, o sotto il mento, e che non potrà fare più la finta offesa quando torni a casa dopo qualche giorno di assenza o che non ti potrà più aspettare. Io l’ho capito invece, ma non per questo fa meno male.

Il punto è che avevamo appena iniziato la nostra nuova vita insieme, Harry. Una vita in superficie, fatta di boccate di ossigeno a pieni polmoni. Si dice che il dolore più grande lo provi per ciò che non hai mai avuto, per le parole non dette, ma io dico che quanto hai tra le tue braccia la persona perfetta e poi te la portano via, beh questo fa ancora più male. Fa più male di tutto.
Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti? Ero così colpito, affascinato e sconvolto da te che quella notte sono rimasto sveglio a fissare il soffitto color panna della mia stanza in albergo tutto il tempo, incapace di accettare che una persona così meravigliosa esistesse.
E i primi giorni dopo che avevamo detto la verità? Dopo che tu mi hai convinto e dato la forza per accettare quello che eravamo? Te lo ricordi Harry? Ti piaceva andare in giro per la strada abbracciati e fermarti ogni tanto ad osservare come le nostre due ombre venivano proiettate sul marciapiede. Sembravano un corpo solo, un’anima sola, ma in fondo era proprio quello che eravamo.

È durata solo poco più di due anni, poi qualcun altro ha deciso, ha stabilito per noi che avevamo già avuto abbastanza felicità per una vita intera. C’è così tanta altra gente che soffre, perché noi avremmo dovuto stare tanto meglio degli altri? Qualcuno che ha pensato di avere il diritto di cancellarti non solo dalla mia di vita, ma da quella di tutti, perché quella persona, se non potevi essere suo, non voleva che tu fossi di nessun’altro.
Strano come io ti abbia sempre saputo proteggere, fin dall’inizio, da tutte quelle parole spinose e appuntite negli articoli di giornale, nelle interviste, o dagli insulti gratuiti della gente, ma io non abbia potuto fare nulla contro un proiettile.
Mi dispiace, Harry, mi dispiace di non averti potuto difendere, mi dispiace di aver lasciato che ti portassero via così. Se solo fossi venuto con te quella sera, se solo tu non fossi uscito quando ormai il sole era già calato.
Se solo la vita ci avesse concesso un po’ più di tempo.Solo sette anni ci hanno permesso di vivere insieme, come un viaggio di non ritorno, una condanna a morte da scontare. Secondo dopo secondo, attimo dopo attimo. Insieme, fino alla fine. Sette anni. Non così poco, in effetti, ma niente rispetto a quanti ne avremmo potuti vivere.

Quante ne abbiamo passate, Harry. Quante cose abbiamo affrontato.
Quante scale abbiamo sceso, insieme, con te che mi tenevi il braccio e mi sorreggevi quando perdevo l’equilibrio.
È stato un viaggio faticoso, ma mai mi sono sentito così energico come quando c’eri tu al mio fianco. È stato un viaggio lungo, e il mio continua ancora, e ti giuro che non mi sono mai sentito più stanco e solo di così. Perché non intravedo stazioni all’orizzonte? Perché non mi posso fermare? Perché sono obbligato a stare seduto su questo vagone, con il finestrino chiuso? Non ci sarà, prima o poi, non dico una sosta vera e propria, ma almeno un’uscita di emergenza?
Manca l’aria qui dentro, non respiro più. Tu eri il mio ossigeno e io ora mi sento soffocare. Annaspo, ma i polmoni mi bruciano, è come se, senza di te, anche loro non volessero più andare avanti. Ogni tanto ci provo ancora sai a scenderle quelle maledette scale, sperando che mi portino via, ma ogni volta è il vuoto ad ogni gradino, come se l’asfalto vacillasse al mio passaggio, o forse sono solo le mie ginocchia che non tengono più, troppo deboli per andare avanti da sole senza la tua presa sicura.

Ho sempre saputo di avere bisogno di te in ogni istante, che tu eri l’essenziale per me, il nettare che addolciva le mie giornate e mi convinceva a mettere giù i piedi dal letto alla mattina, sul pavimento freddo, ma non pensavo che senza di te tutto sarebbe stato così spento, così amaro. Ora mi accorgo di quanto facevi, senza che io ne fossi consapevole.
Eri tu, quando dovevamo partire, che ti ricordavi di prendere i biglietti, di mettere nella borsa l’adattatore per la corrente elettrica o che controllavi che non ci fossero liquidi o cose appuntite nel mio zaino. Se fosse stato per me, ci avrebbero fermati un sacco di volte all’aeroporto. Eri tu che guardavi la cartina della metro quando non volevamo prendere un taxi per passare inosservati.
Eri tu che prenotavi i ristoranti, assicurandoti che facessero i miei piatti preferiti. Eri tu quello che quando andavamo a fare la spesa si ricordava se i biscotti erano finiti o di comprare una scatola di gelato in più perché il giorno dopo sarebbero venuti a trovarci i ragazzi.
Non ci sentiamo più come prima sai? Hanno smesso di telefonarmi, stanchi delle mie risposte a monosillabi.
Aggiungilo alle cose che sono marcite, per colpa mia, da quando non ci sei più tu a tenermi d’occhio.

Eri l’unico che riusciva a darmi coraggio quando mi sentivo oppresso e l’unico che riusciva a trattenermi quando avrei voluto fare a pezzi i muri che ci tenevano separati. Sapevi guidarmi, mi illuminavi la strada con la tua lanterna e non lasciavi mai che io mi perdessi.
Eri paziente, mi aiutavi a scavalcare burroni e rami pieni di spine di cui io non mi ero nemmeno accorto, perché tu sapevi bene che la realtà non era quella che vedevamo e non sai quante ferite e ginocchia sbucciate mi hai evitato.
Il tuo braccio c’era sempre a sostenermi, come uno scudo. Non avevi solo due occhi, Harry, e lo sai perché? Perché vedevi con il cuore e quando è l’amore che ti guida, non esiste faro più luminoso.
All’inizio ero un po’ titubante a lasciarmi guidare così. Dicevo a me stesso che io ero il più grande, che avrei dovuto essere quello più forte e coraggioso, che io avrei dovuto prendermi cura di te, ma alla fine non è andata così ed è stato bello imparare a lasciarsi cullare da te, a mettere tutta la mia vita al sicuro tra le braccia di un’altra persona.

Abbiamo sceso milioni di scale insieme e nonostante oggi sia rimasto solo io a percorrere questa strada, sono orgoglioso di dire che è stato un viaggio solamente nostro. Io e te ce la siamo sempre cavata da soli, Harry. Ci siamo presi le responsabilità delle nostre azioni e poi abbiamo ricominciato a costruire una vita insieme, mattone dopo mattone, scegliendo il colore delle piastrelle del bagno e quello delle tazze per la colazione. A proposito, mi devi scusare se ora ogni mattina uso quella verde, la tua, ma vedi la mia è ancora avvolta nel cellophane, infondo alla credenza e, da solo, non ho il coraggio di tirarla fuori.

È stato un viaggio solo nostro anche perché di noi, al mondo, non abbiamo mai fatto vedere niente di quello che eravamo davvero. Anzi, ricordo di come ridevamo quando la gente ci immaginava come una coppia di perfetti innamorati  in luna di miele, sempre con le mani intrecciate, sempre a guardarsi negli occhi, persi nell’amore che provavamo l’uno per l’altro.
Eravamo anche quello, a volte, ma non solo.
Chissà che cosa avrebbero detto se ci avessero visti quando discutevamo per chi doveva alzarsi a svuotare la lavastoviglie o per chi doveva scegliere il film da noleggiare. Quanto ti arrabbiavi quando lasciavo i vestiti sparsi per la camera o quando non chiudevo il tubetto del dentifricio. Spesso me ne dimenticavo davvero, ma a volte ammetto che lo facevo soltanto per vederti sgranare gli occhi, e osservare la furia sciogliersi e trasformarsi nella gioia più sincera del mondo quando poi ti chiedevo scusa.
Tu, dal canto tuo, non è che fossi tanto più clemente di me. Quante volte ti mangiavi l’ultimo pezzo di pizza che avevo messo da parte senza dirmi niente o mi nascondevi le stringhe delle scarpe. Io giravo e rigiravo per la stanza, cercandole, guardando dappertutto, e tu ridevi, tenendole nascoste nella tasca della felpa.
Per non parlare poi di tutti i litigi per la mia gelosia. Non te ne faccio una colpa ovviamente, perché eri, sei, troppo bello da resistere per chiunque. Nonostante odiassi tutta l’attenzione che ricevevi da qualunque persona ti trovassi davanti, ero anche felice di sapere che poi, una volta a casa, saresti stato solo per me, che non ti avrei dovuto condividere con nessuno e che tu gli altri, in fondo, neanche li vedevi.

Il sole ormai è alto nel cielo, Harry, sono ore che sto qui a ripensare alla nostra vita insieme.
Minù si è addormentata sotto il mormorio della penna che gracchia e scorre veloce sulla carta. La tenda si è arresa e ora non prova neanche più a trattenere la luce. Forse dovrei fare anche io come lei, accettare che non tornerai  mai e andare oltre.

Ma quando una persona è diventata il tuo luogo, tu dove pensi di potertene andare? Non puoi fuggire, non c’è nessuna uscita d’emergenza su questo treno, ora l’ho capito.

Forse la soluzione sta proprio nel non fermarsi, nel continuare a correre e nel continuare a scenderle quelle scale, anche se ora gli scalini sono più ripidi e scivolosi.

Forse tutto quello che devo fare, l’unica cosa che posso fare, è non chiudermi nel mio dolore e uscire fuori.
Combattere, farti onore, di modo che il tuo ricordo non sbiadisca, Harry.
Continuare a scrivere, parlare di te alla gente.
Mostrare una tua foto per strada e raccontare a chiunque abbia voglia di stare a sentirmi della tua gentilezza, del tuo avere sempre un sorriso per tutti, della tua umiltà.

Devo farlo, così che tu e la persona meravigliosa che sei non veniate sciacquate via dalla pioggia di mezza estate.
Te lo devo, amore.

Tu però stammi accanto, perché se tu mi aiuti, se tu continui a reggermi il braccio, nessun gradino potrà fermarmi e, chissà, se siamo fortunati, prima o poi una di queste scale mi porterà dritto dritto, di nuovo, da te.

   
 
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