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Autore: Laylath    04/05/2013    4 recensioni
Plic… plic… plic…
Le gocce di liquido che cadevano nella flebo del sottotenente Havoc avevano un ritmo lento: una ogni due secondi.
Plic, plic, plic, plic…
La flebo del colonnello Mustang aveva una cadenza veloce. Ogni tanto le gocce perdevano il ritmo e qualcuna cadeva troppo ravvicinata.
"In questi letti ci sono le persone a cui teniamo, e che noi non siamo stati capaci di proteggere..."
Piccola one shot che mi è uscita di getto ieri notte. Spero che vi piaccia ^^
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Heymas Breda, Riza Hawkeye
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Plic… plic… plic…
Le gocce di liquido che cadevano nella flebo del sottotenente Havoc avevano un ritmo lento: una ogni due secondi.
Il giovane biondo giaceva immobile in quel letto di ospedale, con il lenzuolo fino al torace, le braccia distese lungo i fianchi. Il volto era estremamente pallido per via della grande quantità di sangue che aveva perso: l’espressione era innaturalmente tesa e dolorante, come se i sedativi non fossero riusciti a calmare del tutto la sofferenza che aveva provato per quella tremenda ferita alla schiena che l’aveva quasi ucciso.
Il sottotenete Breda, seduto a cavalcioni su una sedia, al lato sinistro del letto, ripensò alle parole dei medici.
Salvato per miracolo, qualche minuto ancora e sarebbe morto dissanguato.
Jean Havoc morto… tra tutte le idiozie che aveva sentito questa era di certo la più grossa.
E’ risaputo che l’erba cattiva non muore mai e se c’era un’erbaccia questa era il sottotenente Havoc. Malato di sigarette, donne, alcolici, bagordi: un perfetto vizioso.
Ma quel vizioso era il suo miglior amico sin dai tempi dell’Accademia.
Erano una coppia strana, loro due: quando si erano conosciuti sembrava che non ci fosse nulla che potessero spartire. Con la sua lentezza negli studi, la sua passione per la bella vita, una persona come Havoc gli sarebbe dovuta riuscire assolutamente fastidiosa. Eppure tra loro si era subito creata una sincera amicizia: quel biondo scalmanato era onesto, franco, sincero.
Era diventato naturale coprirsi le spalle l’uno con l’altro, capirsi con un solo sguardo, sollevarsi a vicenda nei momenti difficili.
E questo era un momento difficile.
Non era concepibile vedere il suo amico così immobile in un letto d’ospedale, fragile come un gattino.
Quello scemo avrebbe dovuto aprire gli occhi, lamentarsi del fatto che la sua ultima, vantata, conquista era un homunculus che l’aveva quasi fatto fuori… ma almeno aveva il seno grande.
E lui come sempre l’avrebbe sfottuto, facendolo arrabbiare, reagire: e nell’arco di una serata il sottotenente avrebbe dimenticato questa ennesima delusione e sarebbe tornato quello di sempre.
Stupida flebo di medicinali: quello che serviva realmente a Jean Havoc era una sigaretta, una bottiglia di liquore ed il suo migliore amico con cui sfogarsi.
 
Plic, plic, plic, plic…
La flebo del colonnello Mustang aveva una cadenza veloce. Ogni tanto le gocce perdevano il ritmo e qualcuna cadeva troppo ravvicinata.
Mentre il braccio sinistro giaceva lungo il fianco, quello destro era piegato sopra lo stomaco: la mano era fasciata, laddove il cerchio alchemico era stato inciso col sangue; era chiusa a pugno, come un bambino nel sonno, quasi a proteggersi da un pericolo che non c’era più.
Il viso era tranquillo e rilassato, privo della tensione e della determinazione che l’aveva segnato fino a qualche ora prima: i sedativi avevano finalmente levato qualsiasi traccia di dolore per quella folle cauterizzazione fatta col fuoco.
Il tenente Riza Hawkeye stava immobile al lato destro del letto, vegliando il suo superiore.
Si sentiva sollevata, per saperlo salvo, ma allo stesso tempo incredibilmente sciocca e inutile: aveva permesso al nemico di far breccia su di lei, rendendola impotente. Aveva commesso un errore banalissimo per un soldato esperto quale si supponeva che fosse: aveva reagito alla provocazione. Se non fosse intervenuto il colonnello… oh forse lei e Alphonse Elric sarebbero morti in ogni caso, ma magari avrebbe potuto…
Ma che importava? Il colonnello l’aveva salvata per la seconda volta quel giorno… e adesso giaceva in quel letto di ospedale.
Oggettivamente non si sentiva una buona guardia del corpo: i ruoli si erano completamente invertiti e la cosa non andava bene.
Una parte razionale di lei si diceva che contro quelle creature le sue pistole potevano fare ben poco, ma un’altra si ribellava all’idea di essere inutile in quel frangente.
Forse iniziava a capire come si sentiva il colonnello quando la pioggia gli impediva di usare i suoi guanti.
Ma mentre per lui bastava che finisse di piovere, a Riza Hawkeye la situazione stava davvero sfuggendo di mano e la cosa la faceva sentire veramente sconvolta.
Eppure quando il suo superiore avrebbe aperto gli occhi, si sarebbe dovuta sforzare di essere efficiente e pratica come al solito.
Ma quanto era difficile…
 
“Non pensare idiozie, tenente” disse all’improvviso la voce di Breda, spezzando il rumore delle gocce delle flebo. Il sottotenente aveva usato un tono di voce pacato, eppure il suono si era propagato per tutta la stanza.
“Cosa?” chiese perplessa la donna, alzando lo sguardo sul robusto soldato. Non si erano scambiati che poche parole da quando erano entrati in quella stanze e ciascuno era andato a vegliare il proprio malato: si era quasi dimenticata della sua presenza.
“Lo vedo chiaramente che ti stai distruggendo dai sensi di colpa. – continuò l’uomo – Non ti servirà a nulla”
Il tenente abbassò lo sguardo sul suo superiore addormentato e si chiese come fosse possibile non provare dei sensi di colpa.
“Breda, tu non puoi capire…” iniziò
“Capisco fin troppo bene, invece. – sbottò lui, senza cambiare posizione nella sedia – In questi letti ci sono le persone a cui teniamo, e che noi non siamo stati capaci di proteggere: credi che il mio senso di colpa aiuterà Havoc a guarire? Credi che il tuo sentirti impotente sarà d’aiuto al colonnello?”
Riza girò di scatto la faccia, come se fosse stata schiaffeggiata. Le parole di Breda, nella loro bruciante verità, facevano davvero male.
“Sono dei mostri – mormorò – solo l’alchimia può qualcosa contro di loro. Noi…”
“Noi siamo i sottoposti dell’alchimista di fuoco – terminò la frase Breda – gli siamo fedeli e lo seguiremo ovunque. Le tue pistole, come quelle di Havoc, non servono a nulla contro quelle creature… ma, porca miseria, signora, non mi starai dicendo che credi di essere solo una brava tiratrice?”
La donna fissò con sorpresa il sottotenente. Spesso si dimenticava di quanto Breda potesse essere saggio, sebbene brusco.
“A lui frega ben poco se le tue pistole non feriscono quelle cose. A lui importa che stiamo dalla sua parte, approvando le sue idee, fornendogli sostegno.”
“E che tipo di sostegno gli offrirai, sottotenente Breda?” chiese Riza in tono di sfida.
Il robusto soldato si irrigidì per un secondo e poi sogghignò.
“Da parte mia cercherò di far rimettere in sesto questo idiota biondo. Mi prenderò cura di lui e degli altri finchè il colonnello sarà ricoverato. E poi ho già iniziato a dargli sostegno: sto impedendo che il suo sottoposto più fidato si lasci andare in un circolo vizioso di sensi di colpa che non lo porteranno da nessuna parte”
Riza non potè fare a meno di sorridere a quelle parole e una singola lacrima le colò sulla guancia
“Perdonami. – sospirò tremante – E’ stata una giornata davvero dura…”
“Vuoi un consiglio, tenente? – continuò Breda, accantonando quelle scuse con un gesto rapido della mano  – Al piano terra dell’ospedale c’è un bar: è aperto anche adesso. Vai e chiedi una cioccolata calda, anzi due… portale qui che penso io a correggerle con qualche goccia di liquore. Quando questi due si sveglieranno dobbiamo essere ben carburati.”
“Mi sembra una buona idea, sottotenente. Tanto queste flebo dureranno ancora per un bel po’”
Si sorrisero entrambi e le gocce che cadevano nelle flebo tornarono ad essere l’unico rumore presente nella stanza.
  
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