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Autore: The queen of darkness    04/05/2013    3 recensioni
Ok, lo so che non dovrei con altre storie in corso, ma non ho proprio resistito. Naturalmente non ho nessun diritto di manipolare le vite di questi stupendi musicisti e so che sarà uno strazio, quindi ci tengo a sottolineare che tali eventi non sono mai accaduti sul serio, ma sono solo frutto della mia mente perversa e malata. Detto questo, spero vi divertiate
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’albergo sembrava sproporziato rispetto agli esseri umani alti meno di due metri e mezzo, sempre che ne esistessero.
La stessa hall, che aveva il compito di accogliere ospiti nel proprio ventre lucidato a specchio, era un’enorme stanza dorata con confortevoli divani color avorio disposti nelle leggere curvature del muro, mentre al centro si trovava una scala principesca che conduceva alle stanze più che lussuose. Nonostante fosse uno spazio tipicamente artificiale, la presenza semi-celata di alcune piante molto probabilmente esotiche non faceva che renderlo ancora più fuoriposto; era un mondo costoso, luminoso, solare e pulito, tutto l’esatto contrario di quel quarantenne alto e vestito di scuro.
Non avrebbe saputo dire cos’era successo con esattezza. Semplicemente, qualcosa era accaduto, ed era stato assolutamente devastante, tanto che il suo piccolo appartamento da scapolo tornò in vendita, il posto di professore di arte divenne vacante e i laureandi si trovarono del tutto spiazzati dall’assenza del loro mentore.
E Jessy.
E Jessy.
Lei era stata un punto focale in quella storia, perché le bestie che venivano quotidianamente spacciate per giornalisti si erano private di nottate intere di sonno per andare a caccia di lei, per annusare il suo odore. Non l’avevano trovata, ovviamente; anche se era stato difficile farle accettare, era riuscito a spedirla in un viaggio rilassante attingendo al suo vecchio conto bancario. Quella spesa, sotratta al totale, era assolutamente una bazzecola, e l’unica immagine che avesse di lei da più di un anno era quella di una ragazza in lacrime, accompagnata dal sapore morbido e salato delle sue labbra contro le proprie e un cappotto scuro, in una giornata di pioggia.
Dopo mesi e mesi di fatica, di ambientazione, di auto-convincimento e di disintossicazione puramente casalinga, tutto ciò che gli rimaneva dell’amore della sua vita era quello, un singolo fotogramma stampato nella sua mente. Lo custodiva gelosamente: era solo per lei che si teneva lontano dalle sostanze che un tempo gli erano familiari e da groupies che volevano festeggiare il suo ritorno in scena.
In una gigantesca specchiera a muro, intravide la sua immagine. Sembrava uno spettro; i capelli vagamente pettinati all’indietro ricadevano comunque sulla fronte, dandogli un’aria torva, mentre lo sguardo privo di sopracciglia pareva vagamente angosciato. Non era più abituato a vedersi truccato, anche se aveva addosso solo un sobrio rigo di matita, ma rivedere comunque la sua cera cadaverica gli diede un minimo di sollievo. Sistemò meglio il giubotto in pelle, facendo tintinnare abbastanza fastidiosamente le borchie sulle spalle.
Aveva lasciato la sua vita di professore con lo stesso silenzio con cui vi era entrato. Non era stato affatto difficile racimolare le proprie cose e sparire, lasciando una casa pulita e in perfetto stato, un posto di lavoro libero e un abbonamento valido per nove mesi della metropolitana, che teneva ancora in una tasca della sua valigia. Dubitava che l’avrebbe usato di nuovo, e forse si sarebbe sentito meglio buttandolo via, ma era come mantenere un contatto con quello che era diventato parte del suo passato.
Fin dalla prima volta che aveva messo piede nella sua squallida casa da uomo qualunque aveva capito che non era una situazione destinata a durare. Aveva guardato tutto con occhi scettici ma, assorbito dalla routine, aveva presto dimenticato che i suoi timori avevano radici in un’avventura durata quasi vent’anni come controversa rockstar. Così, quando si era ritrovato circondato da giornalisti curiosi che volevano accaparrarsi lo scoop su Marilyn Manson, la voglia di sbattersi una mano sulla fronte e dire “ah, già, me ne ero totalmente dimenticato!” fu enorme.
Gli era dispiaciuto abbandonare tutto, di punto in bianco, ma d’altra parte non era la prima volta. Si sentiva come un galeotto evaso di prigione, ripescato e rimesso in cella; stessa identica fine, solo che lui aveva maggiore libertà di movimento e l’avrebbe sfruttata quanto poteva.
Rimettersi a cantare e a lavorare ai dischi assunse un sapore diverso, che credeva di aver perduto per sempre. La musica lo aveva riaccolto dopo averlo vomitato fuori, con lo stesso abbraccio di una madre verso il figlio redento, tornato dopo un inconcludente pellegrinaggio.
Concerti, futuri tour, fan, album, appuntamenti, alberghi lussuosi, offerte sessuali, autografi…tutto identico a prima, come se il mondo si fosse congelato proprio in attesa del suo ritorno. Quello sciacallo che si ritrovava come agente (“Agente?” si chiedeva spesso, “Marilyn Manson si arrangia, altro che agente”) premeva per fargli scrivere un libro sulla sua esperienza, e lui stava al gioco, magari facendogli leggere qualche bozza inconcludente di tanto in tanto o fingendo di voler stipulare un contratto con una casa editrice, ritirandosi poi all’ultimo istante. Il suo scopo era farlo impazzire, in modo che desse le dimissioni e se ne andasse; non gli piaceva che Twiggy gli avesse affibbiato un baby-sitter per controllare che facesse il bravo bambino.
Comunque, la vita era andata avanti. Dopo un po’ di tempo, il suo essere sotto ai riflettori divenne nuovamente monotono come lo ricordava, ma partecipava volentieri a qualche intervista perché, anche se rimaneva sul vago, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. In fondo, lui era pur sempre Marilyn Manson, un artista, non facile da capire o da domare; l’audience saliva, lui non diceva nulla e la gente sembrava soddisfatta. Era un modo come un altro per lucrare su qualcosa che non fosse musica, visto che gli dava molto fastidio l’idea che l’avessero assunto come cantante solo per vendere.
Tra una cosa e l’altra, un anno o poco più era volato. All’attivo aveva quattro concerti, una partecipazione ad una serata di gala, due premiazioni, sedici comparse in programmi televisivi e sette interviste autorizzate da pubblicare su riviste internazionali, per un totale di qualche milione di dollari per punto sulla lista. All’inizio non sapeva che farsene di tutti quei soldi, visto che aveva imparato a vivere del necessario, però con la scusa della ricchezza moltiplicata,Twiggy si era trovato con un amico molto generoso. E un narghilè pieno della roba migliore che c’era in circolazione.
Infatti, guardando le vecchie spese in bagordi, si era accorto di aver scialacquato gran parte del suo cashè in divertimenti discutibili, causando un’ipotetica rovina alla propria carriera se avesse continuato su quella strada.
Nonostante tutto poteva dirsi soddisfatto. La botta di adrenalina derivata dall’essere di nuovo nel suo mondo, nel suo habitat naturale, lo aveva quasi ringiovanito; aveva cercato di non perdere le buone abitudini, anche se aveva dovuto tagliare passeggiate e simili, e gli pareva di essere rinato. Il tarlo chiamato Jessy aveva eroso gran parte del suo cervello ma, prima di vederla partire, le aveva strappato una promessa. “Quando le acque si saranno calmate, ci rivedremo”. E lei aveva annuito, sparendo.
Se fosse stato per lui, la ragazza sarebbe tranquillamente diventata la sua fidanzata ufficiale. In fondo non poteva succederle nulla, dal momento che era bravo a manipolare la sua vita sentimentale agli occhi delle telecamere e ad evitare sgradevoli paragoni con la sua ex-moglie, ma era stata lei stessa a tirarsi indietro. Non le piaceva la luce dei riflettori puntata addosso e, se doveva essere onesta, l’idea di essere soltanto “una delle tante” non l’allettava affatto. Così era rimasta nell’anonimato, ma ogni giorno che passava lo distruggeva, seppur indirettamente.
Lo rodeva nel profondo l’incertezza di dove fosse, con chi fosse, se lo stesse guardando, se si fosse rifatta una vita, se avesse continuato a lavorare lì e cose del genere, e la consapevolezza di non poter fare nulla in ogni caso lo paralizzava. Prendersi delle pause per smaltire il senso di colpa non erano una cosa tanto impossibile da fare, visto che tutti lo interpretavano come un post-sbornia, ma ultimamente sembrava che non servisse a nulla lo stesso. Gli pareva di essere comunque rimasto sul filo del rasoio, e i piedi avevano cominciato a sanguinare da un pezzo.
Poi, dal nulla, la telefonata. Da un semplice biglietto datogli dal cameriere (che in un primo momento aveva creduto omosessuale) aveva subito capito che si trattava di Lei. Era corso alla cabina telefonica che aveva indicato, piantando il resto dei commensali nel mezzo della cena, e aveva potuto parlarle, seppur per pochi momenti.
Ciao, Brian, aveva detto, provocatoria,fra un po’ sarà il nostro anniversario, te lo ricordi? Mi piacerebbe un bel caffè per festeggiare la ricorrenza, che ne dici?
Giovane. Sensuale. Misteriosa. Ecco come la ricordava e desiderava, senza rimanere deluso.
Ovviamente non aveva rivelato il giorno, ma lui non l’avrebbe mai dimenticato per nulla al mondo. In fondo, si trattava di una delle date più importanti della sua vita e, forse per una sorta di masochistico romanticismo, avrebbe potuto recitare a memoria tutte le date di anniversari, fidanzamenti e rotture delle sue storie passate anche saltellando su una gamba sola.
Guardò lo splendido orologio da parete per l’ennesima volta, soffermandosi sui decori vagamente barocchi che ne definivano il contorno; lì dentro era tutto così maledettamente giallo e sfavillante, per Dio, sembrava di stare in un gigantesco ed elegante uovo di pasqua. Distrattamente si rese conto che con la sua ex-seconda classe era stato quello l’ultimo argomento trattato: aveva dovuto portare delle fotocopie illustrative perché il testo non diceva abbastanza in merito, spendendo tutti gli spiccioli che aveva in tasca e rinunciando persino al caffè. Per come stavano attualmente le cose, si sarebbe tenuto le monete in tasca e al diavolo gli approfondimenti.
Si era sistemato e pettinato per ore; in fondo, dopo un anno l’avrebbe rivista, finalmente. Sarebbe stato un evento epico, da segnare sul calendario, ma per il nervosismo non riusciva a fare un bel nulla; si sentiva bloccato nelle retrovie del posto, un fantasma scuro che si teneva lontano dal bar elegante che gli stava di fronte, messo a disposizione dall’hotel per un cocktail con stile. Trovava semplicemente ripugnante spendere quasi dieci dollari per un espresso, però per Jessy avrebbe questo e altro: era un’occasione più che speciale.
Ad un tratto, i suoi occhi truccati si spostarono di figura in figura, fino a trovare il loro obbiettivo. Lì dentro c’era così tanta gente ricca che voleva definirsi stravagante che nessuno faceva caso a lui, nella maniera più assoluta. Era solo un uomo vestito di nero con un viso pallidissimo, nulla di cui preoccuparsi.
Però, la giovane ventenne con un elegante impermeabile scuro che si sedette ad un tavolo rotondo con la copia fresca fresca di stampa del Parisienne in lingua originale non passò assolutamente inosservata. Sotto all’orlo del soprabito, spuntavano le sue gambe perfette, dal ginocchio alla caviglia. Grazie alle calze trasparenti la flessuosità del suo corpo veniva accentuata, fatta risaltare anche da un paio di scarpe nere a tacco alto.
I capelli rossi erano stati sistemati in un’elegante e semplice acconciatura che portava raccolta sulla nuca; il viso candido era semi-nascosto da un paio di occhiali da sole grandi che le stavano magnificamente, come se fosse stata il manichino di base per testare il prodotto: non sarebbero stati bene su nessun altro, ne era sicuro.
Si rese conto di star trattenendo il respiro, ma non era capace di farle perpecipire la propria presenza (anche se era particolarmente lontano da dov’era l’entrata) neppure attraverso il fluire dell’aria nei suoi polmoni. Osservò con stupita meraviglia i gesti aggrazziati da cerbiatta che aveva usato per accomodarsi, in un angolo piuttosto isolato della sala con i sostegni in ferro battuto e il piano in vetro trasparente. Accavallò le gambe con una fluidità che minacciò di ucciderlo, sfilò gli occhiali dal viso e si mise a leggere, con espressione assorta.
Le dita sottili muovevano le pagine come se fossero fragili foglie autunnali. Era diventata, da bellissima ragazza, una splendida giovane donna, con un’eleganza senza pari e un modo pacato di affrontare le cose. Non appena la vide e comprese appieno la sua presenza si accorse di quanto gli fosse effettivamente mancata, di quanto avesse ricamato su quell’incontro anche quando non sapeva nemmeno se l’avrebbe rivista.
Assaporò la sua presenza senza perdersi neanche una mossa, un singolo gesto. Continuava a fissare le pagine, assorta, e si ripromise di uscire non appena avesse guardato l’orologio, per non farla annoiare. Ripensò quasi con nostalgia quando aveva completa libertà di movimento, che a nessuno sarebbe importato che fine faceva o dove andava, ma l’importante era che accadesse tutto nel silenzio.
Lei in quel momento gli faceva venire voglia di urlare, cantare in piedi sui tavoli, spogliarla e riassaporare la sua pelle fantastica davanti a tutti, sconvolgere e amare, come mai prima d’allora. Era decisamente la sensazione più strana che avesse mai provato in tutta la sua vita tormentata e, all’improvviso, l’idea che lei se ne sarebbe andata di nuovo lo uccise. Avrebbe fatto in modo che nessuno avrebbe potuto portargliela via perché, diamine, la amava. E ammetterlo era stato più facile del previsto.
I suoi occhi castani si posarono delicatamente sul quadrante alla parete e, come i propri, si soffermarono leggermente sugli arabeschi che correvano lungo il bordo. Prima che si re-immergesse nella lettura, Brian uscì dall’ombra, camminando a passo sicuro lungo il locale, tagliando lo spazio con la propria presenza.
Non ci fu nemmeno un borbottio ad accompagnare il suo passaggio, non un’esclamazione oppure una parola. Fu come una magia, quando si vede nei film o nelle favole i protagonisti che diventano prede dei più disparati sortilegi sensoriali; nell’esatto momento in cui Brian sorrise, Jessy alzò lo sguardo, rimanendo incatenata nel suo; sapeva che non sarebbe potuto fuggire, né avrebbe desiderato farlo.
Piano, le sue labbra rosee si schiusero come se fossero un fiore a primavera, che lo sciolse con la propria bellezza. Aspettò che fosse completamente vicino al suo tavolo per riappoggiare il suo tavolo, e quando arrivarono talmente vicini che si sarebbero potuti sfiorare lei decise di dire le parole che lui, per tutto il resto della sua esistenza, si sarebbe ripetuto nella mente, sentendo nascere in fondo al suo petto la più dolce e al tempo stesso sfrenata emozione che l’aveva fatto ringiovanire di quasi tutta una vita, accompagnata dal sorriso che non si sarebbe mai stancato di guardare:
-Sei tornato, finalmente.
 
RINGRAZIAMENTI:
Buongiorno/ Buonasera/ Buonanotte a tutti. Mi piacerebbe davvero tanto che qualcuno leggesse questa aggiunta, prometto che dopo venti capitoli smetto di rompervi e mi ritirerò in un monastero.
Allora, prima che mi dimentichi ho pensato che una buona canzone per questa FF potrebbe essere “Mr. Superstar” (spero che non sia necessario specificarne l’autore). Se avete idee migliori sono assolutamente curiosa di saperle, quindi ditemele senza paura, mi piace un sacco ricevere nuove opinioni J
Ho sempre amato questa storia come un amico alcolizzato che si incontra al bar, chino sul proprio bicchiere di roba forte, barbuto e con un cappello di flanella beige calato sulla testa. Non so perché, se devo essere onesta; forse perché sono una maledetta “cinica con influenze sarcastiche e vagamente macabre”, però mi è sempre piaciuto impersonare “Hey, you!” con quest’ipotetico personaggio inventato. Il titolo è una non molto brillante citazione della canzone “The Beautiful People”. Lo so, lo so, avrei fatto una figura decisamente più bella se avessi pescato un titolo da, chessò, Mechanical Animals, ma non me la sentivo di farvi collegare il mio disco preferito con questa cosa che, sicuramente, non sarà mai all’altezza.
Comunque, sto divagando, come al solito. Mi atterrò al titolo che ho messo in questa postilla, non preoccupatevi.
Non comincerò a fare nomi, giusto per non doverne aggiungere in futuro, però ringrazio davvero moltissimo tutti coloro che si sono fermati a recensire questa piccola e modestissima storiella. Per me è stata un’emozione bellissima poter trovare i vostri commenti magari dopo una brutta giornata, soprattutto vedendo che erano tutti pieni di complimenti :D
Ovviamente, sappiate che amo alla follia tutti i lettori che mi hanno seguito fin qui, oppure che si sono fermati prima, che hanno saltato o riletto capitoli e altro ancora, perché se loro non ci fossero io non saprei chi torturare con le mie storie dalla mattina alla sera. Grazie mille, I Love You :*
Ringrazio anche EFP (perché no?) e la sua categoria che mi ha permesso di sfogare la mia bambominchiaggine e la mia voglia di protagonismo. È una buona palestra per un futuro all’insegna della letteratura, devo ammetterlo ;)
And the last but not the least, ringrazio Marilyn Manson per il semplice fatto che stringe i denti e non parte ad insegnare storia dell’arte. In quel caso non so cosa farei, forse diventarei una versione leggermente più schizzoide di Bridget xD Lo amo moltissimo, perché anche se non lo saprà mai mi ha aiutato in momenti assolutamenti brutti della mia giovane vita con un sostegno disinteressato, e so che ci sarà sempre. A novembre faranno tre anni di matrimonio (di cui lui è inconsapevole, LOL) e sono assolutamente orgogliosa di essere una sua fan.
In conclusione, (adesso me ne vado, prometto) vorrei incoraggiarvi a scrivere in questa categoria pressochè disabitata, perché è assolutamente un peccato che ci siano poche storie. Consolatevi col pensiero che, se l’ho fatto io, potete benissimo farlo anche voi con molto più successo di me. Mi impegnerò a lasciare una recensione, a meno che la natura cerchi di impedirmelo ;)
Quindi, il succo della storia è che voi siete il sole della mia vita di scrittrice, e Marilyn quello della mia esistenza reale. Volevo semplicemente ringraziare tantissimo tutti quanti per il vostro silenzioso o esplicito sostegno, per me è stato davvero importante.
Siete tutti delle persone speciali. Grazie davvero tanto.
Sperando che non sia un addio,
Arrivederci.
The Queen.
 
PS= Oggi è l’anniversario della storia, iniziata il 4/12/2012. Che romanticiscmo, vero?? :3 
  
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