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Autore: Kioto    04/05/2013    3 recensioni
Emily deve affrontare una continua battaglia personale, cercando ogni giorno di vivere con le continue paranoie e preoccupazioni che affliggono la sua vita. Vorrebbe dare a suo figlio Kenny molto più di quello che ha, ma puntualmente tutti i suoi buoni propositi vanno in fumo. Kenny non ha un padre e lei vorrebbe tanto che non fosse così. Dovrà fidarsi di sé stessa e stare a sentire le necessità di suo figlio, prima di trovare l'uomo che sarà capace di fargli da padre.
Dall'altro lato, Tom è uno scapolo che gira di città in città alla disperata ricerca di un lavoro stabile e di una vita che gli piaccia, ma senza risultati. Finché sarà proprio quella vita a dargli le risposte che cercava.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Georg Listing, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Richard non si comportò male.
Si sedette davanti a Kenny, che aveva smesso di disegnare e lo guardava alquanto interrogativo e perplesso, con la fronte aggrottata.
Il bambino si voltò verso Emily e le prese la mano, visto che lei stava in piedi al suo fianco, la stessa identica espressione del figlio, soltanto un po’ più impaurita.
– Lui chi è, mamma?
Emily si abbassò verso di lui.
Diede una rapida occhiata all’uomo seduto in casa sua, al tavolo della sua cucina, prima di guardare il figlio negli occhi.
No, Kenny non aveva assolutamente preso niente da suo padre. Certo, la sua carnagione risultava leggermente più scura, ma oltre quello, gli occhi di Kenny erano puri, limpidi, sinceri.
Quasi le si fermò il cuore, quando non trovò altre parole da dire.
– Ricordi quando ti ho detto che tuo papà era andato via?
Kenny annuì con la testa.
– Beh… adesso è tornato. – tagliò corto. – Ed è proprio davanti a te.
Kenny si voltò lentamente verso Richard, con gli occhi spalancati e l’espressione alquanto sorpresa.
Poi si girò molto rapidamente verso la mamma.
– Io pensavo che Tom era mio papà.
L’esile voce di Kenny costrinse Emily a reggersi alla sedia e al tavolo, sentendosi sopraffatta dalle parole del bambino.
Santo cielo. Tom il padre di Kenny? Era davvero questo ciò che suo figlio voleva?
Diamine, perché Kenny non gliel’aveva detto prima? Perché non gli era venuto in mente di chiamare Tom “papà”, o qualcosa del genere?
Emily cercò di ricomporsi, non poteva certo addossare le colpe a suo figlio.
– Tom? Chi è Tom? – la voce fredda di Richard la riportò bruscamente alla situazione.
– Il suo pediatra. – rispose lei, risollevandosi e voltandosi verso il padre di suo figlio. – Kenny stravede per lui.
Richard non replicò, e si concentrò sul bambino.
– Pecché sei qui? – domandò questo.
Lui gli sorrise.
– Perché tua madre ha bisogno di me.
– Lei non ha bisogno di te. Ci sono io. – e detto ciò, Kenny si aggrappò alla gamba della madre, come a rivendicare la sua proprietà su di lei.
Emily gli accarezzò i capelli.
– Va tutto bene, Kenny. Richard è venuto qui per conoscerti, non fare il dispettoso.
Kenny continuò a guardare l’uomo seduto davanti a sé, poi sollevò il viso verso Emily.
– Io non vollio lui come papà.
Emily gli lanciò un’occhiata torva, come ad imporgli di stare zitto, ma gli occhi di suo figlio quasi la imploravano.
– Kenny, comportati bene.
Il bambino si voltò di nuovo verso l’uomo, ma invece che degnargli le sue attenzioni, si rimise a disegnare con ferocia.
Allora Richard si alzò, ed Emily lo seguì con lo sguardo.
– Mi sembra sia arrivato il momento di andare via.
– Richard, io…
– Ciao, Kenny. – Richard nemmeno l’ascoltò e si concentrò sul bambino. Inizialmente, questo non lo degnò di uno sguardo, ma quando Emily gli diede una leggera spintarella per farlo parlare, lui smise di disegnare e sollevò gli occhi.
– Ciao. – mormorò, con voce bassa.
Richard gli sorrise e si diresse verso la porta d’ingresso, seguito da Emily.
– Gli hai detto tu che questo dottore era suo padre? – la voce di Richard era più grave del solito, adesso che Kenny non era nei paraggi.
Emily lo guardò come pietrificata.
– Cosa? No. – rispose. – Kenny stravede per lui perché Tom è sempre stato gentile, e gli ha regalato delle macchinine colorate.
– Beh, dovresti dirgli che il suo vero padre sono io, non un pediatra che regala macchinine.
Emily lo guardò torva, quasi come se avesse voluto incenerirlo.
– Non puoi pretendere un trattamento a cinque stelle, se scappi dalla sua vita e ti ripresenti dopo cinque anni, Richard. È pur sempre un bambino.
– E tu sei sua madre.
Emily sbottò in uno sbuffo.
– Da che pulpito vien la predica!
– Senti, – Richard si leccò le labbra, voltandosi completamente verso di lei. – io sono qui per dare una mano sia a te che al bambino. Ma non posso farlo, se sia tu che lui rimanete così ostili e distaccati.
– E cosa vuoi che faccia? Che lo obblighi a saltarti al collo e a baciarti la guancia urlando “papà”?!
Richard alzò gli occhi al cielo.
– Non lo farò. Kenny è grande abbastanza da saper decidere per conto suo. Dovrai essere tu a fare i primi passi con lui, a guadagnarti la sua fiducia.
– Stai ben sicura che lo farò.
– E’ una minaccia? – Emily era shockata dall’arroganza di quell’uomo. Come aveva fatto a cadere nelle sue grinfie?
Richard non rispose, e aprì la porta d’ingresso.
– Ci vediamo, Ems. – disse, uscendo.


– Non dovrai preoccuparti dei palloncini, né della torta, a quello ci penseremo io e Tom.
– Tu e Tom?
Emily fissò Georg seduto di fronte a lei, nel tavolo della sua cucina.
L’amico era andato da lei con una serie di idee per l’imminente compleanno di Kenny.
– Sì, esatto. Io e Tom. Fidati di me, sarà qualcosa di meraviglioso. Possiamo usare il tuo giardino?
– Per fare cosa?
– Tom pensava ad una specie di grigliata.
– Santo cielo Georg, è un compleanno, non l’incoronazione della regina d’Inghilterra. – Emily si passò una mano tra i capelli, esausta.
– Appunto. È per questo che ti sto chiedendo soltanto il permesso per fare la festa qui. Tu dovrai solo preoccuparti degli invitati.
– E quali sarebbero questi invitati?
– I tuoi genitori, per esempio. La tua famiglia. E i compagnetti di Kenny.
Emily sospirò molto rumorosamente, poi alzò le mani e annuì.
– Va bene, affare fatto. Hai vinto tu.
Georg le sorrise trionfante.
– Non te ne pentirai, vedrai.
– L’importante è che non chiamate nessun clown, perché Kenny ne è terrorizzato.
– Lo terrò a mente.
L’amico si appuntò qualcosa sul taccuino che portava sempre con sé, e Emily si alzò per mettere del thè nelle tazze per entrambi.
– Adesso mi vuoi dire cos’hai?
La voce di Georg le arrivò alle orecchie, e il suo cuore prese a battere.
– In che senso?
– Ems, ti conosco da una vita, e conosco quello sguardo. – l’ammonì. – E’ successo qualcosa?
Fortunatamente Kenny era andato con Tom e Scotty a fare una passeggiata, altrimenti non ci avrebbe messo molto a spifferare la visitina di Richard.
Emily scrollò le spalle, tornando a sedersi al tavolo.
– Sono soltanto stanca e preoccupata, tutto qui.
– Ne vuoi parlare? – Georg sorseggiò il thè caldo.
– No. Sono stanca perfino di parlarne Non risolverò niente così. Lascerò passare il compleanno di Kenny e poi vedrò cosa fare. Potrei anche tornare a casa dai miei.
– E lasciare Tom qui? Sei pazza? Kenny ti ammazzerebbe solo all’idea di non poter più avere la speranza di veder saltare Scotty dentro il tuo cortile.
– Non mi faciliti le cose, Georg. – lo rimproverò lei.
Lui fece spallucce.
– Ti sto soltanto dicendo la verità.
Emily bevve un altro sorso di thè, poi sentì il campanello suonare e, successivamente, un cane abbaiare.
Andò rapidamente ad aprire, e Kenny e Scotty entrarono rapidi come delle saette, sfrecciando dritti verso il cortile, mentre Kenny rideva.
Scotty lasciò impronte sul pavimento e Tom alzò le braccia al cielo, l’espressione mortificata.
– Mi dispiace da morire Em, giuro che pulisco io.
Lei gli sorrise.
– Non fa niente. Vieni, entra.
Tom entrò con due passi e, sovrastandola, le poggiò una mano sulla vita e le stampò un casto bacio sulle labbra, per poi restare a guardarla con un mezzo sorriso.
– Ehilà!
Georg dal soggiorno agitò una mano in saluto, e Tom solo allora notò la sua presenza.
– Oh, ciao Georg! Scusa, non ti avevo visto… – disse, andandogli incontro.
– Oh non preoccuparti, voi fate pure come se io non ci fossi.
Emily lo fulminò con lo sguardo, dalle spalle del dottore.
Tom e Georg si salutarono.
– Che combinavate? – chiese il primo, vedendo che Georg aveva il suo taccuino in mano.
– Ho appena convinto la nostra signora addolorata a lasciarci piena scelta per la festa di Kenny.
Emily lo guardò storto per l’appellativo di “nostra signora addolorata”, ma lui continuò a rivolgersi a Tom.
– Mi ha esplicitamente richiesto di non ingaggiare alcun clown, perché Kenny ne ha paura.
Tom annuì con la testa.
– Perfetto.
Si voltò verso Emily e le sorrise.
– Non te ne pentirai. – le fece l’occhiolino.
Lei sperò che lui avesse ragione, ma sorrise, contagiata dal suo sorriso.
Kenny corse dentro casa con un guantone in mano e una pallina da baseball nell’altra.
– Tom! – lo chiamò. – Giochiamo?
Lui gli sorrise, prendendogli la pallina dalla mano.
Si voltò verso Emily, domandando: « Possiamo? »
Lei annuì con la testa, guardando lui e suo figlio sparire verso il cortile.
– Non c’è niente che dovresti dirmi? – la stuzzicò Georg.
Lei lo zittì con un’occhiata.
Vederli andare via insieme, passare così tanto tempo insieme, e vedere come Kenny fosse felice con Tom, le portò alla mente le parole del bambino.
Lui voleva che Tom fosse suo padre. Aveva sempre voluto Tom.
Era stato Kenny a sceglierlo, non Emily. Kenny aveva scelto il suo padre ideale.
E inconsapevolmente, Emily si ritrovò ad ammettere a sé stessa, che perfino lei avrebbe preferito che Tom fosse stato il padre di suo figlio.
   
 
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