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Autore: KiarettaScrittrice92    04/05/2013    4 recensioni
No! Non parliamo del tradizionale Detective Conan. Questo è un racconto fantasy!
Shinichi è un povero ragazzo, abbandonato dai genitori, che sono andati a visitare le altre terre, che per guadagnarsi da mangiare deve lavorare in delle miniere e viene sfruttato. Ma la sua vena ribelle e combattiva lo porterà verso un viaggio che gli cambierà la vita!
Troveremo tutti i personaggi di Detective Conan, in un fantasy indimenticabile.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
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CAPITOLO 1

Benvenuti all'Inferno

 

Il ragazzo aprì gli occhi. Erano due sfavillanti occhi azzurri, che sembrava potessero rappresentare l’intero oceano. Quell’oceano che il ragazzo non era mai riuscito a vedere.
Si alzò di malavoglia dal letto. Anche quella mattina sarebbe dovuto andare a lavorare. Come d’altronde ogni mattina.
Odiava il suo lavoro. Odiava il piccolo paese in cui viveva. Odiava la gente che vi abitava. Non poteva più sopportare quella vita. Sarebbe volentieri scappato via da lì.  Ma con quali soldi? Non avrebbe potuto permettersi un viaggio del genere neanche se avesse lavorato per un altro anno intero.
Chissà cosa c’era oltre quel maledetto muro di cinta che circondava il paese. Probabilmente non l’avrebbe scoperto mai. 
Ogni tanto al tramonto, quando finiva il suo turno e non doveva rimanere fino a tardi a lavoro, si arrampicava sul piccolo tetto della sua casa diroccata e guardava verso l’orizzonte. La casa era così bassa che riusciva a vedere solo le vette delle montagne che sovrastavano il muro di cinta.
Il ragazzo indossò le brache lerce e la casacca, arrotolando le maniche. Dopodiché uscì di casa e si diresse al pozzo per darsi una lavata. Si sciacquò il viso con l’acqua fresca e subito si sentì meglio.
Arrivò a lavoro in perfetto orario, come al solito. La guardiola era già lì a dividere i gruppi di quel giorno e quando lo chiamò, lui si avvicinò con passo lento.
«Oggi con Shinichi ci saranno Trevor e il nuovo arrivato.» disse con tono autoritario la guardiola, spingendo quest’ultimo verso il ragazzo.
Il giovane lo guardò con arroganza. Probabilmente aveva la sua età. I suoi vestiti erano ancora lindi e, sul suo viso pulito dalla pelle scura, si notava perfettamente una nota amareggiata.
Dopo poco li raggiunse anche un uomo nerboruto sulla cinquantina. La barba grigia corta e incolta e i capelli crespi. Gli occhi dell’uomo erano spenti, come quelli della maggior parte delle persone lì dentro.
La guardiola diede loro sacche e picconi e li spedì nella loro postazione. Prima di partire il ragazzo si rivolse al nuovo arrivato.
«Da dove vieni?» chiese con tono freddo.
«Dalla capitale...» rispose lui nervoso.
«E come ti chiami?» chiese ancora il ragazzo iniziando a camminare.
«Heiji» rispose lui.
«Benvenuto all’inferno Heiji!»

 

Erano ormai quattro ore che i tre picconavano la dura pietra. 
Il ragazzo stufo si sedette a terra appoggiandosi sul suo piccone e chiudendo i suoi occhi, che in quella galleria scura, illuminata solo dalle lampade a olio ogni due piedi, sembravano risplendere di una luce misteriosa.
A quel punto il nuovo arrivato, con sussurro, si rivolse all’uomo.
«Ma ci si può riposare?» chiese speranzoso asciugandosi il sudore dalla fronte con la mano.
«No ragazzo mio. Quello è un pazzo. Cerca sempre casini. Un consiglio che ti posso dare è di stargli alla larga il più possibile.»
Il ragazzo rivolse di nuovo i suoi occhi occhi verdi all’altro seduto tranquillo. Ad un tratto sentì dei passi.
Una guardia si stava avvicinando, così si rimise a picconare con foga. Pensò che il ragazzo di fianco a lui avrebbe fatto lo stesso appena sentiti rimbombare i passi nella galleria. Ma quello non si mosse, neanche si degnò di aprire gli occhi.
«Che succede qui? Perché siete solo in due? - chiese la guardia, poi si accorse del terzo, seduto tranquillamente per terra - Ehi tu, non sei pagato per poltrire!» dopodiché alzò la mano con la frusta e la fece schioccare verso il ragazzo seduto.
Il nuovo arrivato chiuse gli occhi, ma oltre a non sentire il tipico schiocco di quando la frusta lacerava la carne, non sentì neanche nessun urlo di dolore. Riaprì gli occhi e la scena lo stupì.
Il ragazzo aveva il braccio alzato sul volto, la mano teneva stretta l'estremità della frusta che si era attorcigliata un po' sul polso. Il ragazzo aveva ancora gli occhi chiusi e li aprì poco dopo di scatto. 
Non sapeva se era per via delle lanterne che gettavano strani riflessi, o perché era stato suggestionato dalla scena che si era creata, ma per un’attimo sullo sguardo pieno di odio del ragazzo notò una fiamma di sfida.
La guardia tirò forte la frusta, che sfregando sul polso del ragazzo glielo fece sanguinare, finché tutta la corda non fu ritirata. Dopodiché prese il ragazzo per la casacca e strattonandolo lo sollevò, rimettendolo in piedi.
«Per questa volta te la faccio passare…» la guardia non riuscì a finire la frase, perché il ragazzo con lo stesso sguardo di sfida gli sputò in faccia.
A quel punto la guardia lo prese per il colletto della casacca e lo attaccò al muro ruvido della galleria.
«Non osare mai più! O non ti ritroverai più le gambe.» lo minacciò la guardia.
Il nuovo continuava a picconare nervosamente, guardando con la coda dell’occhio la scena.
«E cosa cambia? Mi fareste lavorare come un mulo anche senza le gambe!» rispose a tono il ragazzo.
Lo schiaffo della guardia arrivò forte e il suono rimbombò per tutta la galleria. La guancia del ragazzo diventò subito rossa, ma lui non sembrava voler abbassare quello sguardo d’odio.
«Mi sa che sta sera ti farai un giro ai piani alti ragazzo.» concluse poi la guardia lasciandolo di nuovo andare, dopodiché si allontanò, per controllare un’altra zona.
«Cosa sono i piani alti?« chiese ancora una volta il nuovo con un sussurro, mentre tutti e tre ricominciavano a picconare.
«È dove risiede il proprietario della miniera. Ci mandano solo chi non fa il proprio dovere. Il proprietario infligge pesantissime punizioni a chi viene spedito lassù dalle guardie. Non ti consiglio di rimanere qui, dopo l’ora di chiusura, una volta mi è capitato di stare un po’ più del previsto. Ho ancora nella testa le urla di quei poveracci che venivano torturati.»
Il ragazzo dalla pelle scura, guardò preoccupato il coetaneo di fianco a lui che sembrava alquanto tranquillo.
«Non ti preoccupare per lui. - s’intromise l’uomo - Te l’ho detto, se le cerca sempre. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che finisce là. Inoltre lui non ha mai lanciato un urlo. Mai. Non lo so se lo fa per orgoglio o per stoltezza, ma fidati non l’ha mai fatto.»

 

Di nuovo davanti a quella porta in legno. Ormai la conosceva a memoria. Ogni singola venatura, ogni singola scheggia, ogni singola parte arrugginita del pomello in ottone.
Stava aspettando. Come al solito. Le mani erano legate dietro la schiena da una corda che gli stringeva i polsi, ferendoli.
La porta si aprì e il ragazzo venne spinto dentro dalla guardia. Lui si mise al centro della stanza, anche quella ormai molto conosciuta. Alquanto squallida e vecchia, con le pareti in legno, come il pavimento scricchiolante, tutte tappezzate di arazzi sbiaditi raffiguranti maestosi cavalieri che combattevano e stupende fanciulle che pregavano al chiaro di luna. 
Dietro a una scrivania in mogano il proprietario lo guardava di sottecchi, studiando ogni suo minimo movimento.
«Allora Shinichi. A quanto pare a te le frustate non bastano mai...» disse con tono tranquillo, come se stesse parlando a un cane che non capiva bene quello che diceva.
Il ragazzo non rispose. Rimase zitto. Immobile. I suoi occhi azzurri e freddi che guardavano il proprietario, senza trasmettere timore, odio o qualsiasi altra emozione.
«Legatelo alla colonna, - sospirò l’uomo - penso che venti possano bastare.» aggiunse, dopodiché si chinò di nuovo sui suoi fogli sparpagliati sulla scrivania.
Le due guardie lo legarono alla colonna. Anche quella la conosceva più che bene. La sua fidata amica. Quando sentiva troppo dolore stringeva forte la pietra per non urlare e non dare la soddisfazione di aver vinto a quei bastardi.
Una guardia si allontanò un po’ e tirò fuori la maledetta arma. 
Il ragazzo si preparò. La prima era sempre la peggiore. Partì lo schiocco e poco dopo il lancinante dolore alla schiena. La corda si ritirò e poco dopo tornò all’attacco, lacerando nuovamente casacca e carne.

 

Era appena tornato a casa. Barcollava. Appena entrato si sedette sul letto senza più forze. Non aveva neanche voglia di mangiare quel pezzo di pane che si poteva permettere al giorno. 
Si tolse la casacca. La stoffa si era attaccata alle ferite. Il dolore era insopportabile e dovette mordersi la lingua fino a farla sanguinare. Dopodiché si sdraiò esausto, mettendosi prono sul letto. 
Si addormentò quasi subito per la stanchezza, col maledetto pensiero che l’indomani sarebbe ricominciato di nuovo tutto da capo. 

  
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