Attraverso i miei ray ban clubmaster ammiro quella che sarà, da ora, la mia futura casa.
Sette piani, il quinto è il mio (fortunatamente!).
Da li a poco dovrebbe arrivare anche il camion del trasloco, con tutta la mia roba: incredibile pensare che in un camion si possa rinchiudere tutta una vita. 20 anni sigillati in tante scatole di cartone da quattro soldi, di varia grandezza e con su scritto “FRAGILE”.
“Incredibile” dico, più a me stessa che a qualcuno, visto che nessuno è li al mio fianco.
Ho intrapreso questo viaggio da sola, senza la comprensione di nessuno, senza l’aiuto di nessuno perciò…niente.
Decido che è arrivato il momento.
Mi incammino per attraversare i pochi metri che mi separano dalla porta d’ingresso; una porta che segna l’inizio della mia nuova vita.
Saluto con un “Ehy” un po’ troppo allegro colui che ho già rinominato “Bob il brontolone”; non ho ancora capito se è il proprietario di questa bettola o uno scansafatiche qualunque, ad ogni modo questo ricambia il saluto con un brontolio che ha più l’aria di un “vai a quel paese”, e con il tocco di un elefante imbufalito mi consegna le chiavi del mio appartamento, il numero 025.
Ciò significa che dieci rampe di scale mi stanno aspettando, ma tra me e le scale non c’è mai stato del feeling, perciò prendo quello che sembra l’antenato dell’ascensore e premo il tasto 5.
Si accende una lucina rossa e inizio a salire.
Tra me e me conto i piani che ancora mancano, 3, 2, 1…Blick!
Le porte si aprono cigolanti e una freccia ormai sbiadita, attaccata sul muro, segna la direzione da prendere: destra.
Percorro un lungo corridoio. 021, 022, 023, 024, 025: il mio appartamento è l’ultimo del piano.
Mi blocco impietrita di fronte al numero 025 e lo guardo.
Lui guarda me.
Faccio un profondo respiro e inserisco la chiave, faccio scattare la serratura e giro il pomello: quello che trovo davanti a me, quando la porta finalmente è spalancata è una stanza vuota, piena di muffa e polvere. Ma al centro della stanza stessa c’è un mazzo di fiori gialli e un bigliettino.
Lentamente mi avvicino al mazzo di rose gialle che riempie la stanza di un odore dolce, che insieme alla muffa e alla polvere produce un mix assurdo.
Il biglietto dice “Per Sophie“, Sophie sono io (Salve!).
Immediatamente escludo che sia da parte di Bob: ho già capito che non gli sto simpatica, anzi, credo che nessuno in realtà gli sta davvero simpatico.
Decido di aprirlo e ammazzare la curiosità che sta nascendo improvvisamente dentro di me.
Dentro, tre sole righe:
“Ti avevo promesso che t’avrei seguita anche in capo al mondo, ricordi?
Cosa dici, me lo merito un abbraccio?!
Avremmo tutto il tempo per parlare. Ora, girati…”
E quando mi giro scoppia il putiferio che nessuno, la sottoscritta in primis, avrebbe mai immaginato.
Nicolas è li, proprio fuori dalla porta spalancata del mio lurido nuovo appartamento che puzza di rose e muffa, con le braccia aperte e un sorriso a trentadue denti.