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Autore: Dira_    05/05/2013    9 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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You only need the light when it's burning low
Only miss the sun when it starts to snow
Only know you love her when you let her go
(Let her go, Passenger)
 
 
Londra, Ministero della Magia.
Ufficio Auror, Ora di cena.

 
Doveva trattarsi di un incubo.
Quello oppure la situazione che gli si era presentata davanti, a pochi minuti dal finire quell’ennesima giornata lavorativa, era reale e lui si trovava a dover gestire una crisi in piena regola.
Lanciò un’occhiata a Ron, l’amico di sempre, che sostava grave di fronte alla sua scrivania. Accanto aveva James che esibiva una ferita al sopracciglio curata malamente e l’aria tesa di chi avrebbe preferito trovarsi a faccia a faccia con un Troll di montagna che dover affrontare le conseguenze di un attacco con almeno una trentina di testimoni, tutti al San Mungo ad attendere di sapere se erano stati contagiati dalla stessa malattia dell’uomo che aveva attentato alla loro vita.
“Cosa sapete dirmi di questo…” Merlino, non ricordava neppure il nome del mago ammalato.
“Price. Henry Price.” Borbottò suo figlio tamburellando le dita sulle gambe, guardandosi attorno con l’evidente speranza che un meteorite si schiantasse su di loro.
Poteva capirlo.
“Non molto.” Aggiunse. “Bobby ha interrogato i testimoni ed è venuto fuori che si è iscritto all’Accademia qualche mese fa. Non viene da nessuna scuola di Duello locale, ma è entrato comunque nella rosa dei favoriti per il Torneo Inter-Ministeriale che si terrà a Settembre.”
“Però!” Osservò Ron. “Non succede spesso ai Signor Nessuno.”
“No, infatti… Però Dionis mi ha detto che capitano, alle volte, i talenti naturali e che quel tipo gli aveva detto che si era allenato in privato per anni. Ah, ha frequentato Hogwarts più di dieci anni fa. Niente di eccezionale però, non è stato né Prefetto né Caposcuola, nessuna menzione d’onore. Grifondoro.”
“Non l’hai incrociato?”  

James scosse la testa. “Si è diplomato prima che entrassi. Chi lo conosce dice che è un tipo che sta sulle sue, non è sposato, né ha figli.”
“Qualche collegamento con Howe? Con Liam?”
Le spalle di James sprofondarono impercettibilmente, ma l’espressione smarrita era tutta lì per gli occhi allenati di un padre. “Nessuno … per ora.” Ripeté. “Malfoy e Bobby stanno aspettando i permessi per perquisire casa sua. Ma, almeno per ora, sembra non abbia avuto nessun contatto con il sergente e l’americano.”
Harry si strofinò la fronte ignorando la compressione alle tempie che minacciava un’emicrania di tutto rispetto. “Le persone che erano all’Accademia … Si sa qualcosa dei risultati delle analisi?”

“È un sacco di gente, papà.” Sospirò. “Ho sentito Albus via Specchio Magico … Hanno dato massima priorità ma ci vuole tempo.” Prima che potesse chiedere, aggiunse la risposta. “Non si sa quanto.”
“Sören?” Avrebbe dovuto chiamare Nora ed informarla della situazione, perché non solo il caso aveva avuto una svolta drammaticamente repentina, ma quella svolta coinvolgeva in prima persona il suo agente.
Altra cosa da aggiungere a quest’agenda da incubo.
Si sporse dalla porta e cercò lo sguardo della sua segretaria. “Grace, programma una chiamata via Camino per l’America tra cinque minuti.”
“Subito Signore.”
“È con gli altri.” Gli rispose James quando richiuse la porta. “Prince, dico. Sta bene per ora … insomma, così mi ha detto Al. Papà…” Esitò. “Credi che … Credi che possa essere stato contagiato?”

“Non lo so.” Ammise sentendosi impotente di fronte all’atteggiamento smarrito del suo ragazzo; Ron gli aveva detto come avesse organizzato i soccorsi e fatto del suo meglio per contenere la situazione, ma ora, nell’intimità dell’ufficio era chiaro fosse frastornato e spaventato. Gli mise una mano sulla spalla e tentò il suo miglior sorriso. “Avete fatto un ottimo lavoro, laggiù. Liam sarebbe fiero di voi.”
James ricambiò il sorriso e si scostò quando sentì bussare la porta. Quando venne aperta senza chiedere il consueto permesso, inarcò le sopracciglia. “Mamma?” Domandò confuso all’apparire della suddetta.
“Ginny.” Salutò con un cenno la moglie. “Vieni, stavo aspettando te. Com’è la situazione al San Mungo?”
Sua moglie, che amava anche per la sua mancanza di peli sulla lingua, scosse la testa. “Pessima. C’è un asserragliamento di giornalisti all’accettazione e sono sicura che quello Snaso di Hawkins è riuscito a oltrepassare la barriera di infermiere per ficcare il naso un po’ ovunque.”

“Stampa? Stiamo parlando della stampa?” Ron sgranò gli occhi, impallidendo data la portata dell’informazione. “Vuol dire che il Profeta sa già tutto?”
“Tutti i quotidiani magici del paese, da quelli a tiratura di cento copie a quelli di diecimila, lo sanno Ron.” Replicò la sorella con un sospiro impaziente. “Trentacinque persone, tra staff dell’Accademia e Duellanti sono sia testimoni oculari che probabili vittime. Queste persone hanno dovuto chiamare i propri cari per spiegare la situazione … Non c’era modo per mettere a tacere la cosa come nel caso di Liam.”
“C’eravamo solo noi auror quand’è successo, Lils e Al … e i pazienti dell’ala Thickley.” Convenne James facendosi scuro in volto. “Ma adesso…”

Harry si staccò dalla scrivania ed inspirò. Se c’era qualcosa da evitare, era il panico di massa che sarebbe conseguito a qualsiasi intervista, articolo o servizio fosse venuto fuori da quella giornata. “Adesso faremo una conferenza stampa.” Proferì con una calma che era ben lontano dal provare; ma non era quello il punto. Non lo era mai stato da che aveva undici anni. “Ron, contatta la Direttrice Jones. Ginny, voglio che contatti tutti i direttori dei quotidiani e che tu predisponga la cosa. Credi di poterlo fare? Non gli daremo in pasto dei civili spaventati.”
“Gli daremo in pasto te quindi?” Mugugnò l’amico, che aveva sempre avuto la straordinaria capacità di capire le sue reali intenzioni.

Sorrise appena, stringendo la mano della moglie, che supportiva come sempre si era limitata ad un silenzioso cenno di assenso. “Beh, se non altro sono un piatto che conoscono bene.”
 
****
 
San Mungo. Reparto Malattia Infettive.
 
Sören non aveva la minima idea di come confortare quello che era diventato il suo primo amico su suolo britannico dopo Lilian; Dionis marciava come un soldato di fronte alla barriera, con le spalle ridotte ad una fune serrata di muscoli; poteva vederlo anche senza toccarlo.
“Roxanne starà bene.” Esordì, sentendosi piuttosto temerario dato che il resto degli astanti aveva preferito allontanarsi intuendo l’aria di tempesta.
È un padre, ed è la nascita del suo primo figlio … e non può assistervi. Immagino sia frustrante.
L’altro diede appena cenno di averlo ascoltato. “Dovrei essere accanto a lei. Sono il suo compagno.” Serrò i pugni come se volesse aggredire fisicamente la barriera che li separava dal resto del reparto. “Invece sono qui, trattenuto come una cavia da laboratorio!”
“È per la sicurezza stessa di tua moglie e di tuo figlio.” 

Lo so!” Gli venne rivolta un’occhiata di rabbia bruciante, ma sapeva che non era indirizzata a lui, quanto piuttosto alla situazione, quindi non arretrò. Lily non l’aveva mai abbandonato nel momento del bisogno, neppure a Durmstrang, e così avrebbe fatto lui con Dionis.
Questa è l’amicizia, credo.
“Dovrei essere con lei.” Ripeté passandosi una mano trai capelli e serrando la presa sulle ciocche corte. “So che c’è la sua famiglia … ma ha bisogno di me.” E c’era una sicurezza così adamantina in quel tono che a dispetto della situazione lo invidiò.
Dev’essere bello esser desiderati a tal punto…
“Capisco la tua frustra…”
“No che non capisci! Come potresti?!” Sbottò voltandosi per fronteggiarlo e Sören fu certo che l’avrebbe fatto se non avesse trovato le parole giuste.

“Hai ragione, non lo capisco.” Replicò quieto. “Ma questo non mi impedisce di dirti che non c’è nulla che possiamo fare finché non arriveranno i risultati dei test. Arrabbiarti non la aiuterà in alcun modo.”
Il discorso con sua sorpresa fece immediato effetto, dato che la rabbia dell’altro parve sciogliersi come neve al sole. “Hai … hai ragione.” Mormorò con imbarazzo. “Mi sto comportando come un idiota. Non volevo prendermela con te. Io …” Esitò. “Ho usato parole meschine. Perdonami.”
Cosa… Ah.
Scosse la testa, facendogli cenno di sedersi su una delle poltrone che erano state fatte Apparire per rendere più confortevole quel soggiorno forzato, e gli versò un bicchier d’acqua.

“Hai solo detto la verità.” Osservò sedendoglisi accanto. “Dubito che diventerò mai un padre di famiglia.”
Dionis vuotò il bicchier d’acqua in due brevi, ma grati, sorsi. “Perché?” Chiese sorpreso.
“Il mio lavoro. È rischioso, il tasso di mortalità o di ferite invalidanti è alto. Con queste premesse non è facile stringere legami duraturi … Una strega non vorrebbe mai firmare un contratto per trovarsi vedova.”
“Dovrebbe valere per ogni agente di Polizia Magica, no?” Replicò aggrottando le sopracciglia. “Ma non siete tutti scapoli, anzi.”

Palesemente colto in flagrante, Sören sentì che si stavano avventurando in un territorio troppo personale. L’amico però aveva chiaramente bisogno di distrarsi, ed era certo che ogni sua confessione sarebbe stata vista come tale e dunque custodita. “Non sono un tipo da … famiglia.” Cominciò, perché certe cose andavano spiegate. “Non ne ho mai avuta una, non veramente, dato che i miei genitori sono morti quando ero bambino. Mio zio, come puoi immaginare, non era propriamente una figura paterna.” Apprezzò il lieve cenno d’assenso dell’altro. Non voleva esser compatito.
È come sono andate le cose.
“Non penso che sarei in grado di gestirne una. Non saprei da dove iniziare.” Concluse il braccio, teatro degli esperimenti della Thule. Strinse la presa e sentì il calore irradiarsi quieto ma sempre presente. “Sarei un pessimo padre e un pessimo marito.”
“Questo non puoi saperlo!” Ribatté Dionis senza dismettere quell’aria sorpresa; gli faceva piacere, ma dimostrava anche la sua ingenuità. Nessuna persona che lo conoscesse a fondo gli avrebbe mai affidato la sicurezza affettiva di altre persone. “Non puoi saperlo senza…”

“Chi mai mi vorrebbe?”
Gli uscì prima che potesse frenare la lingua e avrebbe voluto Maledirsi; non voleva certo farsi compatire per qualcosa che aveva accettato come  una certezza, senza rattristarsi, molto tempo prima.
“No, ti sottovaluti.” Fu la replica seria corredata da una pacca sulla spalla: il rumeno era una persona che amava il contatto, con tocchi sulle spalle o strette di mano, ma la sua fisicità non era mai invasiva. Gli aveva sempre ricordato un po’ quella di Lilian. “Conosco persone che non dovrebbero neppure avvicinarsi ad un impegno simile, eppure lo fanno e le conseguenze sono pessime. Ma tu, amico mio, renderesti una donna felice ne sono certo!”
Sorrise, accettando il discorso come un attestato di amicizia parziale, perché quello era. “Ti ringrazio.”

“Non ringraziarmi, dico la verità!” Sbuffò. “E comunque una candidata già ci sarebbe.”
… Cosa?

La sua espressione fu abbastanza esaustiva da far ridere l’altro. “Sappiamo entrambi di chi stiamo parlando, no?”
“Veramente no.” Disse troppo in fretta, dandosi del perfetto cretino. Di certo Dionis non intendeva…
“Non facciamo finta che il Troll non sia nella stanza, Ren.” Sentire quel nomignolo da labbra che non erano quelle della sua piccola amica inglese lo stranì a tal punto che non riuscì a mettere due parole in fila per negare.  
Dannazione.
Quello era un ottimo momento perché le analisi arrivassero. Sören aspettò speranzoso prima di realizzare che certe svolte di trama accadevano solo nei film che Milo si ostinava a fargli vedere ogni venerdì sera.
“Credo tu abbia frainteso la natura dei rapporti tra me e Lily…” Iniziò animato dalle più nobili intenzioni di diniego.
“Oh no, non credo!” Replicò il rumeno con sguardo divertito: aveva il rigore di un soldato, ma era pur sempre un ragazzo di vent’anni ed era naturale fosse stuzzicato da quegli argomenti.

Non come te, che sei un soldato fino all’ultima, dannata, imbranata fibra del tuo essere.
Tu ne sei agghiacciato, eh?
“Ascolta…” Tentò.
“Ho visto come la guardi, non è amicizia quella che provi.” Ghignò. “Lei ti piace.”

Avrebbe dovuto esser contento di averlo finalmente distratto.  
… Se non fossi io l’argomento di conversazione.
“Certo che mi piace. Provo gratitudine, rispetto, fiducia…” Cercò di mantenere il tono più distaccato che poté. Una volta ne era perfettamente in grado.
Già, una volta. Poi sei diventato una persona vera, caro il mio Ren. Con pro e contro.
“… e le devo la vita.” Tentò un’ultima volta, dato che l’altro non sembrava minimamente intenzionato a mangiarsi la foglia. “Senza di lei non sarei mai stato in grado di scrollarmi di dosso il giogo di mio zio. Non avrei mai potuto essere l’uomo che sono adesso.”
Dionis annuì, roteando la poca acqua rimasta nel bicchiere. “Sì, ma tutto questo non esclude altri sentimenti, no?” 
No. Anzi.
Negare era inutile, e dopo quella giornata allucinante tutto ciò che voleva era poter abbandonare un po’ della tensione che gli si era accumulata sulle spalle. Se non poteva avere i risultati, allora …
“No, non li esclude.”
Fu liberatorio. Così tanto che dovette inghiottire alla svelta il groppo che gli era salito alla gola.
Aveva davvero bisogno di quei risultati.
Si alzò, passandosi una mano trai capelli, chinando la testa per osservare le profondità del pavimento. “Come hai fatto a capirlo?”
“Non è difficile.” Vedendo la sua espressione, Dionis si affrettò a spiegare. “Voglio dire, si capisce che le vuoi bene, ma … Forse è una cosa mia, forse sia io che te siamo stati abituati sin da bambini a leggere oltre le parole della gente che ci circonda per non essere sopraffatti, ma …” Gli si avvicinò. “È che quando sei con lei hai tutta un’altra espressione. Ti si legge negli occhi, sei felice… come lo sono io quando sto con la mia Roxanne.” Scrollò le spalle. “Mi sbaglio?”
“No.”  

Dionis sorrise. “E comunque credo che il sentimento sia reciproco.”
No.” Questa era una cosa che il suo interlocutore doveva capire. “Lily vuole essere mia amica. Tutto qui. Ed è mio preciso dovere rispettare questo suo desiderio.”
“Ma come fai a…”
“È una Legimante Naturale.” Lo fermò. “È brava … lo era quando i suoi poteri erano ancora grezzi e li usava senza averne cognizione e lo è adesso che è perfettamente in grado di captare e tradurre le emozioni altrui, tuttavia non ha mai capito ciò che provo per lei. Pensi che sia perché non ci riesce, o perché non vuole?”

Sapeva di avere ragione; conosceva abbastanza della Legimanzia per rendersi conto che, se solo avesse voluto, Lily sarebbe riuscita a penetrare le sue difese come un coltello nel burro.
Perché per lei provo qualcosa e l’Occlumanzia è una magia che si indebolisce con l’emotività.
“Non vi siete rivisti da molto, dal vivo intendo. Magari ha bisogno di tempo.” Ipotizzò il rumeno strappandolo dai suoi pensieri. “Magari se fossi più chiaro…”
“Ha un ragazzo che ama e la sua tranquillità. Non ho alcun diritto di turbarla con i miei sentimenti.” E per quanto lo riguarda il discorso era chiuso.
Vide poi – ringraziando Merlino - una figura avvicinarsi, brumosa a causa della magia liquida che li separava. Neanche l’avessero chiamata, era Lilian. Dionis, notandola, scattò in direzione della barriera. “Lily!” La chiamò. “Roxanne…”
“Sta bene, sta bene.” Fu lesta a rassicurarlo la ragazza. “Ha fatto saltare i timpani a tutte le Levatrici.” Aggiunse con un sorriso, adesso ben visibile per via delle vicinanza. Teneva qualcosa tra le braccia, avvolto in una coperta rosa e a Sören bastò vedere il sorriso enorme che si dipinse sul volto dell’amico per realizzare cosa, o meglio chi, nascondesse.

“È…” Mormorò il ragazzo levando la mano per avvicinarla quanto più possibile alla barriera senza toccarla.
“ … una bambina, caro il mio papà.” Gli fece eco Lily con un sorriso gemello. “Roxie non ha voluto sentir ragioni … Ha detto che dovevi vederla, subito.” Il sorriso sfumò in un ghignetto mentre alzava la copertina per lasciar intravedere un visetto rosso e minuto. “Ha protestato tanto che gli altri mi hanno scongiurato di levarmi dai piedi.”
Sören vedendo come l’amico avesse gli occhi lucidi fece un passo indietro,  lasciandogli un momento. Si sentiva un intruso in una scena tanto intima.
Quindi è così che nasce una famiglia.
Non poté fare a meno di osservare Lily però, che pareva del tutto a suo agio nel ruolo di ambasciatrice; teneva la neonata come se non avesse fatto altro per tutta la vita. 
Ha delle cuginette … Si sarà abituata con loro.
I loro sguardi si incrociarono – naturale, se fissava una LeNa con quella persistenza – e gli venne rivolta un’espressione confusa. “Non ho la più pallida idea di quel che sta dicendo.” Sillabò muta in direzione del giovane padre che sembrava aver perso la capacità di parlare inglese in favore di un fiume di parole nella sua lingua madre.
Sbuffò divertito. “Si sta presentando.” Riassunse.
Lily annuì. “E tu, invece … come stai?” Gli chiese cullando la bambina che si agitava, forse infastidita dalla quantità di magia che percepiva vicino a sé.
Ha già le percezioni di una strega … è straordinario.
Per un momento la deriva dei suoi pensieri notò la naturalezza con cui Lily teneva stretta al petto la neonata, in una rappresentazione involontaria della madre che sarebbe diventata un giorno.
Pensa se quella bambina fosse sua … fosse vostra.
Serrò le labbra, abbassando lo sguardo sentendo un maglio artigliargli le viscere.
Sei un cretino.
“Sto bene.” Mentì con disinvoltura. “Aspetto. Sai se ci sono novità?”
“Albie è andato a controllare … Credo abbia il terrore che la nostra dolce cugina si alzi dal letto e lo strangoli con la cintura della vestaglia.” Ridacchiò. “È stata un incubo per tutta la durata del travaglio e mi ha quasi fratturato le dita della mano destra. Fortuna è durato poco, noi Weasley siamo gente spiccia.”
“Avrei dovuto esserci.” Mormorò Dionis con tono dolente. “Se solo…”
“Beh, mica vi fermerete alla prima, no?” Lo prese in giro, per poi addolcire l’espressione. “E Roxie lo sa, non preoccuparti. Rimarrai comunque il suo cavaliere dall’armatura lucente.”

Il ragazzo parve sollevato da quell’affermazione a quanto pare solo in apparenza scherzosa. “Grazie. Per averla portata qui … e per tutto.”
“Se mi lasciate decidere il nome siamo pari.” Replicò scrollando le spalle. “E che non vi venga in mente di chiamarla come me … non voglio concorrenza, ci sono già troppe Lily a questo mondo!”
Ma nessuna come te.
Lo pensò e poi l’amica, con suo sommo orrore, voltò la testa di scatto nella sua direzione.

Mi ha sentito!
Il che era impossibile; tuttavia era una LeNa, dare per scontato che non potesse decifrare i suoi pensieri come decifrava le sue emozioni era … incauto.
Non è che adesso sa leggere anche quelli?
La domanda rimase insoluta, dato che Albus Severus arrivò accompagnato dal Capo Guaritore del reparto, tale Seamus Finnigan.
“Buone notizie.” Il mago più anziano non ci girò attorno e rivolse un sorriso agli astanti, facendo risuonare la voce con un Sonorus. “Potete tornare a casa, gli esami sono risultati negativi.”
Le espressioni di sollievo e le chiamate via Specchio Magico ai propri cari si sprecarono mentre la barriera igienico - magica veniva fatta scomparire con un paio di colpi di bacchetta. Dionis quasi si gettò su Lily e l’altra fu lesta, con una risata, ad affidargli la figlia.
“Siamo arrivate proprio al momento giusto!” Esclamò facendogli l’occhiolino.
“Già.” Mosse un passo in direzione dell’altra, ma la strada gli fu sbarrata da Albus.
Cosa…
“Dobbiamo parlarti.” Esordì il ragazzo.
Perché?” Si intromise Lily con un tono che spinse il fratello a fare un istintivo passo indietro. La collera della sua piccola amica era leggendaria. “Gli esami non sono risultati negativi?”
“È così.” Rispose il Capo Guaritore. “Tuttavia abbiamo riscontrato delle anomalie in alcune misurazioni… e speravamo, signor Prince, che potesse aiutarci a capirle.”
È il mio braccio. E la mia magia.

“Va bene.” Annuì prendendo la giacca che aveva lasciato stesa su un lettino ed infilandosela. Diede una pacca sulla spalla a Dionis che, per quanto stringesse la figlia tra le braccia con un’espressione di pura felicità era riuscito a tornare sulla terra per lanciargli un’occhiata preoccupata.
“Ren.” Lily si mordeva le labbra ed odiava vederle quell’espressione addosso; le si addicevano i sorrisi luminosi e i lazzi innocui, non labbra tirate e sguardo cupo. “Vuoi che venga con te?”
“No. Ti ringrazio, ma non credo sia necessario.” La giusta distanza era doverosa. Dionis adesso condivideva il suo segreto ma non cambiava nulla.

Lei non deve sapere. Ti sei quasi tradito prima … ha visto come si è voltata? Non devi tradirti.
Era troppo stanco e troppo deconcentrato per usare l’Occlumanzia e senza di essa non avrebbe potuto rivolgerlesi con la giusta serenità d’animo.
La giusta distanza.
“Ti chiamo.” Fece un cenno e seguì i due Guaritori, ignorando lo sguardo deluso che sentì sulla schiena.
La maledetta, giusta distanza.
 
****
 
Ministero della Magia.
Ora di cena.

 
La conferenza stampa era stata organizzata in fretta e furia in una delle salette del Ministero, una di quelle in cui si poteva arrivare solo se guidati da un funzionario esperto. Harry stesso aveva dovuto memorizzare più di un paio volte la piantina per arrivare sano e salvo. Andò a stringere la mano alla Direttrice del Dipartimento Hestia Jones, soprannominata da molti M, per via della somiglianza notevole con il capo dei servizi segreti dei film di James Bond.
“Direttore.”
“Potter.” Lo salutò con un cenno energico della testa, poi il viso sfumò in un’espressione tra il divertito e il rassegnato. “C’è da chiedersi perché mi stupisco ancora quando succede qualche disastro con portata mediatica e ti vedo apparire.” Fece poi un cenno di saluto a Ron, al suo fianco. “I giornalisti sono già arrivati. Siete gli ospiti d’onore.”
“E quindi ci facciamo attendere.” Sorrise stringendosi le spalle minimamente turbato; se la sua fama gli era mai servita a qualcosa, era stato come trattare con quella particolare categoria lavorativa.

Ironico che abbia finito per sposarmene una. Anche se una cronista sportiva forse è un, fortunatissimo, caso a parte.
Notò poi  la figura slanciata e chiusa in un completo di sartoria di Michel Zabini, e ne rimase sorpreso. Il ragazzo, vedendolo, si avvicinò per stringergli la mano. “Capo-Auror Potter, buonasera.” Lo salutò deferente. “Sono qui per rappresentare il Ministero Americano come funzionario di riferimento assegnato all’agente Prince.” Soggiunse forse captando la sua confusione.
“Ah, ma certo.” Ricordò stringendogli la mano di rimando. “Notizie da Sören?”

“È ancora al San Mungo.” Rispose senza particolari emozioni dipinte in volto; ma del resto, da che lo conosceva come amico di Al, lo aveva sempre visto indossare una maschera di indifferenza.
Albie dice che in contesti privati non è così … ma bisogna ammetterlo. Certi Serpeverde sembrano fatti con lo stampo.
La sua presenza gli ricordò però la breve ma intensa chiamata avuta con Nora.
 
“Mi fido del tuo giudizio Harry. Purtroppo al momento Sören non può rappresentarci, manderanno il funzionario assegnatogli dalla Cooperazione Internazionale …” E il tono di voce era carico di apprensione, sebbene non l’avesse lasciata trapelare con domande o richieste. Erano in servizio, i sentimenti personali dovevano essere accantonati. “Date le nuove informazioni sulla modalità del contagio, ci metteremo subito all’opera. Se non altro, qualcosa di buono è uscito da questo disastro … Potremo fare ricerche più precise.”
 
Addizionato a quello, l’amica gli aveva spedito la biografia di Samuel Howe messa assieme dalle mani capaci dei giovani agenti della SAGITTA. Al momento riposava sulla sua scrivania, ma non appena James, Bobby e Scorpius fossero tornati dalla perquisizione dell’appartamento di Price gliel’avrebbe affidata.
Dobbiamo arrivare, se non ad una soluzione, almeno a qualche risposta, altrimenti la stampa non ci lascerà vivere…
Entrò dentro la saletta e fu immediatamente aggredito da una selva di flash. Distolse lo sguardo e si diresse con tutta la naturalezza che poté impostare verso il tavolo delle autorità, già rifornito di acqua e cartelline contenenti i comunicati stampa dell’intera faccenda.
L’ufficio stampa del Ministero ha fatto i salti mortali. Chissà quanta gente non ha cenato stasera…
Si sedette e approntò il suo miglior sorriso da prima pagina, mentre accanto a lui prendevano posto la Direttrice e Ron.
“Buonasera.” Esordì la strega dopo essersi lanciata un Sonorus. “Il Dipartimento desidera ringraziarvi per essere riusciti ad essere qui, dato il poco preavviso…”
Harry si scambiò un’occhiata con Ron, ed entrambi nascosero una smorfia sarcastica, forse più adatta ai due studenti ribelli che erano stati che a due uomini adulti, ma non per questo fu meno soddisfacente.

Come se non avessimo organizzato tutto questo teatrino proprio per evitare che rimanessero a casa a scrivere spropositi…
Mentre la strega predisponeva una serie di frasi generiche per spiegare la situazione che si era venuta a creare, usando termini quali “indagini approfondite”, “piste promettenti”, “dispiegamento di forze e di mezzi” e “sicurezza dei nostri cittadini”, la mente di Harry si concentrò sulla preoccupazione di sapere i suoi ragazzi di nuovo in mezzo a pericoli tangibili.
James li investiga, Albus si è fatto assegnare alle persone malate, e Lils …
Non riusciva a capire perché sua figlia si fosse infilata in quella faccenda, dato che a rigor di logica né per il lavoro che faceva, né per sua espressa volontà avrebbe dovuto esser coinvolta.
È per via di Prince?
Non era sicuro di volersi rispondere.
“Una domanda per il Capo Auror Potter!” Doveva immaginare che Richie Hawkins, la punta di diamante della sezione Cronaca del Profeta, nonché allievo della famigerata Skeeter, avrebbe approfittato della sua presenza per sputare domande come Schiantesimi. “… il primo caso è stato riscontrato in un turista americano, ospite dei Tre Manici, Samuel Howe. Dobbiamo quindi supporre che la malattia venga dall’America?”
Piccolo, viscido ratto…
Avrebbe dovuto immaginarsi che la cosa sarebbe trapelata, specie alla luce del fatto che al Paiolo vi erano stati testimoni, per quanto avvertiti di non parlare con nessuno.
Ma si sa, Tom di fronte a consumazioni ripetute al suo bancone diventa una bocca larga …
Pensò rapido ad una risposta; l’ultima cosa di cui avevano bisogno è che l’opinione pubblica pensasse ad una malattia ‘americana’.
Se si comincia a pensare che sono gli americani ad averci fatto ammalare …
Non voleva neanche immaginare le conseguenze, sia a livello ministeriale, sia a livello del mago della strada.
Ci manca solo una caccia a stelle e strisce.
“Non abbiamo certezze del fatto che il defunto Signor Howe avesse contratto la malattia in America.” Iniziò. “Ogni turista in entrata e in uscita dal nostro Ministero viene controllato e dunque…”
“Quindi i controlli non sono stati così accurati?” Incalzò l’uomo mentre attorno a lui Penne Prendi Appunti scrivevano furiose.

“Il protocollo è stato seguito.”
“Beh, non pare …”
Ora gli spacco la faccia.
C’erano momenti in cui capiva il fiotto d’adrenalina che spesso oscurava il giudizio di suo figlio James: l’aveva ereditato da lui.
Incredibilmente fu il giovane Zabini a venirgli in aiuto. “I controlli alle frontiere vengono presi sul serio da entrambi i nostri gloriosi Ministeri.” Osservò con un sorriso accattivante e un tono misurato che lo facevano sembrare più maturo della sua età. Al gli aveva detto fosse in gamba, e fu sollevato dal constatarlo di persona. Se non altro, Malfoy non gli aveva messo trai piedi un figlio di papà incapace. “Naturalmente di fronte a quella che sembra essere una nuova malattia tali controlli possono diminuire la loro efficacia.” Soggiunse. “Il Dipartimento di Medimagia americano tuttavia è stato allertato e Oltreoceano sono state prese le dovute misure. C’è piena collaborazione e fiducia da entrambe le parti, come è sempre stato.”
La Direttrice a quel punto trovò opportuno intervenire e da come gli venne lanciata un’occhiata ammonitrice che gli intimava di non azzardarsi ad aprire bocca per vanificare l’intervento del giovane funzionario, lui non aveva più voce in capitolo. “Ci troviamo di fronte ad una malattia nuova, i normali protocolli di sicurezza saranno intensificati, sia in entrata che in uscita.” Spiegò. “Ci teniamo però a specificare che il mezzo di trasmissione non avviene per via aerea, ma tramite lo scambio di flussi magici. Non vi è alcun rischio concreto, a meno che non si ingaggi uno scontro diretto con la persona ammalata.”
Le domande e risposte continuarono, ma Harry si guardò bene dall’intervenire; come gli aveva ricordato lo sguardo di M, la sua presenza lì era esclusivamente a beneficio dei riflettori.
Non era un problema essere il riferimento verso cui la stampa avrebbe indirizzato teorie e eventuali invettive. Se avessero perso tempo con lui, avrebbero lasciato liberi di lavorare James, Scorpius, Bobby e Sören.
Sempre che il ragazzo non sia stato contagiato …
Avrebbe distrutto il morale della squadra, dopo il contagio di Liam.
C’era una certa amara ironia nel constatare che il tedesco, che aveva collaborato gomito a gomito con il redivivo John Doe, adesso rischiava di esserne vittima.
Ironico eppure già visto.
Passare dalla parte giusta dopo aver commesso errori pareva, per chi aveva sangue Prince, una caratteristica di famiglia.
 
****
 
Scozia, Hogsmeade.
Casa di Ted Lupin e James Potter.
 
Ted sobbalzò quando il camino diede un lampo improvviso seminando una buona quantità di cenere sul pavimento; dato che cercava di ammazzare il tempo leggendo un libro nell’attesa che James tornasse a casa tutto intero era un miracolo avesse scampato l’infarto.
“Ehi bellezza!” Sul momento non riconobbe la voce prima di realizzare che era quella del funzionario dell’Ufficio Relazioni con i Mannari. “Troppo tardi?”

Sì, poteva essere solo la bislacca ragazza che rispondeva al nome di Flynn Lin. “Flynn, buonasera.” Sorrise sporgendosi dal divano per guardarla apparire tra le fiamme. “Non mi aspettavo una chiamata via Camino … di solito non lo usiamo.”
“Si vede, il collegamento fa schifo.” Replicò quella senza troppi giri di parole. “Comunque, ripeto. Troppo tardi?”

“Sto aspettando che James torni dal lavoro, quindi no, ero sveglio.” Realizzò il motivo della chiamata e si raddrizzò, posando il libro che stava leggendo accanto alla tazza di the ormai vuota; era la sua ricetta per avere la meglio sulle lunghe attese. “Ci sono novità su Lunastorta?”
Merlino, non mi abituerò mai a chiamarlo così.
“In un certo senso.” Replicò sibillina. “Ti avevo parlato, no, di Moscardo?”
“Il vice dell’attuale Capobranco?” Ricordò. “Sei riuscita a spiegargli la situazione?”
“Sì, ed ha accettato di incontrarti … ma ad una condizione.”
Non mi piacciono le condizioni.
Tuttavia non era nella posizione di contrattare. “Sono tutto orecchi.”
“Ha detto che parlerà con te solo se accetterai di farlo alla Riserva.”

Ted aggrottò le sopracciglia perplesso. “Non c’è problema.” Non aveva certo paura di mettervi quando per mestiere aveva dovuto avere a che fare con Creature pericolose, se non più, comunque alla pari con i Mannari. “Pensi che sia un problema?” Si corresse.
La ragazza si morse un labbro, e nonostante la pessima resa delle fiamme, riuscì a sembrargli incerta. “Il fatto è che al momento Moscardo è a caccia con i giovani, e tornerà domani mattina … Vuole che passi stanotte alla Riserva.”

“Ah.” La richiesta era strana, non c’era dubbio. “E perché?”
“Lo sa Morgana!” Sbuffò scuotendo la testa. “Te l’ho detto no, che è una specie di guru spirituale e palle varie … Ha queste alzate di ingegno, alle volte. Mi ha bombardato di domande su di te, è parso interessato.” Si grattò il naso speculativa. “La mia opinione? Credo voglia vedere se riesci a sopportare una notte con il branco. Se vali la pena.”
“Ho capito.” In realtà per niente, ma supponeva non fosse quello il punto. I Mannari che vivevano nel branco del Galles avevano, a dispetto di quel che si pensava, un rigido codice di comportamento: forse quella era una sorta di prova. “Dammi una mezz’ora per prepararmi e poi…”
“… e poi vieni da me, ti ci porto io.” Finì per lui. “Ho una Passaporta nella capanna di Moscardo, la incanto e sei là. Siamo intesi?”
Lo erano. Flynn gli diede’indirizzo di casa sua, perché vi arrivasse via camino e si salutarono. Ted salì così al piano di sopra, preparando uno zaino con le cose necessarie per una notte all’addiaccio; fu rapido dato che gli era già capitato di dormire fuori nelle occasionali esplorazioni dei dintorni che lui e James facevano quando il tempo volubile delle Highlands decideva di essere clemente.

Jamie…
Doveva chiamarlo e spiegargli la situazione prima che tornasse a casa e la trovasse vuota.
Dopo la giornata che ha avuto un biglietto e qualcosa in caldo da mangiare non sono un benvenuto adeguato.
Prese lo Specchio Magico e scrisse il nome del ragazzo, sperando che avesse la possibilità di rispondergli. Odiava davvero lasciare biglietti.
 
Inghilterra, Londra.
 
James sentì la tasca interna della giacca scaldarsi mentre parcheggiava l’auto di servizio, data in dotazione agli agenti che dovevano spostarsi in aree densamente popolate da Babbani senza dare nell’occhio.
È un peccato che non ce le diano più spesso. Sono fighe!
“Il tuo bel chiodo da ragazzo cattivo si sta illuminando, Potty, chiamata in arrivo!” Gli fece notare Scorpius sedutogli accanto, tutto preso a girare le manopole della radio come se fosse in gita ad Hogsmeade.
Lo prenderei a calci se non avessi bisogno di sentirlo ciarlare dopo la merda che ci è toccato ingoiare oggi.
Se blatera è ancora tutto okay.
Estrasse lo Specchio Comunicante e vide il nome del compagno galleggiare sul vetro. Lo sfiorò con la punta della bacchetta. “Ehi, Teddy. Sai che sono in servizio, vero?”
“Sì, scusami.” Il tono di voce non era dei migliori, registrò. Suonava agitato, per quanto potesse esserlo una persona che considerava il the l’unico stimolante di cui avesse bisogno per alzarsi la mattina. “Come stai?”
“Meravigliosamente di merda, grazie. La giornata lavorativa più lunga di sempre.”
“Hai un momento?”

“Per te sempre.” Scrollò le spalle, mentre gli altri due auror scendevano dalla macchina. “Che succede?”
Dimmi che è tutto okay o prendo a testate il volante, cazzo.
“Nulla … È solo che stasera non sarò a casa.”
Eh?
“Eh?” Ripeté a voce alta sbattendo la portiera, prima di rendersi conto che doveva esserci un motivo ben preciso se l’abitudinario Ted Lupin decideva di allontanarsi dal focolare a notte fonda. “È successo qualcosa? Tua nonna, i miei?” Snocciolò preoccupato.
“No, no … Ti ricordi la faccenda del Mannaro? Sono stato invitato alla Riserva dal vice-capo branco. Vuole parlarmi, e vuole che lo faccia alle sue condizioni. Lo vedrò domani mattina.”
“E stasera devi dormire lì?” Quella storia non gli piaceva, ma lontano miglia poteva far poco per convincere l’altro a dargli retta.
Tra l’altro, quando vuole è una gran testa di Bolide e su questa storia si è impuntato di brutto.
Ted sorrise oltre lo schermo, forse intuendo i suoi rivolgimenti interiori. “Non c’è da preoccuparsi … il funzionario dell’ufficio intercederà per me, e comunque non è certo la prima volta che ho a che fare con dei Mannari.”
“Una cosa è andare ad una conferenza e stringere le mani a gente come tuo padre, una cosa è avere a che fare con un branco libero.” Gli fece notare, facendo cenno a Scorpius e Bobby di andare avanti. La villetta a due piani dove abitava Price era simbolo perfetto del quartiere in cui si trovavano, Brixton¹, dato che accanto aveva un sexy shop e un pub dall’aria sinistra. Fortuna voleva avessero deciso di non indossare le uniformi per il sopralluogo, dato che vennero squadrati da un gruppetto di ragazzi afroamericani che ciondolavano fuori dal pub, da cui usciva musica reggae a volume sostenuto.  
“Lo so, Jamie, ma voglio chiudere questa storia una volta per tutte.” Soggiunse l’altro. “Ho bisogno di risposte…”

“Sul fatto che quel tizio si chiamava Lunastorta?”
“Anche, e poi…” Non finì e James ricordò la foresta, i Centauri e il dannato sangue sulla mani dell’altro.
Okay. Fanculo, non fare quella faccia. Okay.
“Va bene.” Sbuffò. “Solo … Vigilanza costante, ah?”  
Ted ridacchiò. “Contaci.” Guardò oltre le sue spalle, inarcando le sopracciglia. “Sento della musica … dove siete?”
“Nel buco del culo di Brixton.” Scrollò le spalle raggiungendo Malfoy che con un solo colpo sapiente di bacchetta aprì il portoncino del palazzo, facendo poi elegante cenno di precederlo. “E Malfuretto è uno scassinatore.”
“Potty mi insulta, non ho nessun passato nella malavita! È solo che quando devo forzare la porta dell’appartamento della mia rosellina perché il Signor Weasley mi ha chiuso fuori…”
“Okay, non sto ascoltando coglione.” Lo fermò, tirandolo dentro l’ingresso buio e dal forte odore di spezie. “Stiamo per fare un’ispezione.”
“Ti lascio allora.” Non poteva vedere il viso dell’altro a causa del buio, ma poteva sentirne la voce ed era un po’ imbarazzante esserne così rassicurato. “State attenti.”
“Al massimo dovremo preoccuparci di essere morsi da qualche topo.” Gli fece eco. “Sta’ attento tu piuttosto e chiamami se succede qualcosa. Ho una macchina favolosa che macina miglia.”
“Certo.” Ci fu una breve pausa. “Ti amo James.”
Ringraziò in ginocchio – metaforicamente perché ci teneva ai suoi jeans – la scarsa illuminazione delle scale perché era certo di avere stampato in faccia  il sorriso più imbecille della storia. Non si sarebbe mai abituato al fatto che il suo cacasotto preferito avesse smesso di esserlo, almeno dal punto di vista emotivo.

“Anch’io.” Sorrise prima di salutarlo e chiudere la comunicazione. Ovviamente trovò Scorpius ad aspettarlo in cima alle scale con un ghigno saputo.
“Fatti i cazzi tuoi.” Offrì diplomaticamente, sperando che il calore sul suo volto fosse imputabile al cambio di temperatura con l’esterno. Là dentro si bolliva.
“Siete così carini quando vi scambiate tenerezze.” Sogghignò il biondo rimediandosi un doveroso pugno. “Vi vedo già vecchietti a raccogliere conchiglie a forma di cuore sulla spiaggia di Tinworth…”
“Tu hai problemi al cervello.” Brontolò ignorando l’immagine inquietantemente suggestiva mentre Bobby si occupava di lanciare incantesimi Silenzianti al pianerottolo, onde evitare guai con i vicini Babbani.
“Vi immagino anche io così.” Replicò il ragazzo di colore senza battere ciglio. “O in una foto da rivista, con un cane e un paio di ragazzini.”
“Quanto siete stronzi.” Sbuffò incrociando le braccia al petto. “Chi diavolo dovrebbe partorire poi?”

“Punto dieci Galeoni su di te, mio Potty. Tanto ti è già venuta la panzetta alcolica.”
“Ma vaffanculo, non è vero!” Ridere non era male quando le contingenze erano tutto fuorché allegre. Ringraziò comunque Merlino che il crucco non fosse presente.
Siamo più rilassati quando non c’è.
… o forse solo io e gli altri si adeguano di conseguenza?
Mentre Scorpius si occupava della serratura guardò fuori dalla finestra, dove i lampioni lanciavano ombre sulla strada lavata dall’ennesima pioggia estiva. Era incredibile pensare che un tipo che aveva quasi fatto saltare in aria un’Accademia di Duello, e dato filo da torcere a ben quattro agenti altamente addestrati, vivesse in un quartiere così poco magico. “Questo Price deve essere Nato Babbano.” Osservò distratto.
“Sì, ma sa mettere barriere anti-ladro come se lo facesse dalla nascita…” Borbottò Scorpius chino sulla serratura e già in maniche di maglietta. “Per Salazar, si muore di caldo!”
“I Babbani hanno condizionatori solo nei loro appartamenti … Non usa il buon vicinato, pare.” Replicò Bobby appoggiandosi al muro antistante e nascondendo uno sbadiglio dentro una mano. “Ma che ore sono?”
Scorpius, con la bacchetta in pugno e con una forcina per capelli trai denti, grugnì un lamento. “Dieci minuti a Mostruosamente Tardi?”
Con un rumore secco di rottura, le barriere magiche finalmente furono spezzate e quest’ultimo, con un’esclamazione di trionfo passò a forzare la serratura. Fu un attimo: un’ombra nera balzò fuori dalla porta aperta e lo placcò in pieno petto.
Scorpius!” Gridò bacchetta alla mano, mentre Bobby lo imitava imprecando.
“Fermi!” Esclamò l’aggredito, cercando di districarsi dalla massa a quattro zampe che gli era piombata addosso. “Fermi, è solo…” Una risata li congelò sul posto. “… è solo un cane!”
Il suddetto, beatamente scodinzolante, si stava adoprando per lavargli la faccia a suon di leccate e abbaiò entusiasta quando notò la loro presenza.
Ma porc…
“Beh, se non altro non è un’Acromantula…” Mormorò Bobby con un sorriso nervoso. “Accidenti, gente, abbiamo i nervi tesi, eh?”
“Puoi dirlo.” Sospirò grattando la testa del grosso Golden Retriever che lo guardò con canina adorazione. “Non mangerà da stamattina, troviamogli qualcosa da mettere sotto i denti prima che decida che Malfuretto è gustoso.”
“Ci penso io!” Esclamò questo, in piena simbiosi con quello che evidentemente riconosceva come suo simile. “Ciao bello, mi dici dov’è la tua ciotola? Chi è un bel cagnone?”

James alzò gli occhi al cielo, mentre Bobby ridacchiava e lo precedeva all’interno dell’appartamento. Inarcò poi le sopracciglia quando riuscì a dare un’occhiata sommaria al soggiorno, la prima stanza che si incontrava dopo l’ingresso.
“Un bel po’ monotematico l’amico …” Considerò Bobby fischiando impressionato.
L’intero ambiente era tappezzato da poster raffiguranti Duellanti, Duelli, momenti salienti dei suddetti e premiazioni. Vi erano bandiere delle principali scuole dell’Europa Continentale e teche contenenti foto e pezzi di uniforme.
“A questo tipo piace proprio tanto menare la bacchetta!” Osservò Malfoy uscendo dalla cucina dove doveva aver lasciato il cane a giudicare dal rumore di mascelle ruminanti. “E dovete vedere la tabella di allenamenti pazzesca che tiene attaccata al frigofero.”
“Frigorifero, scemo.” Lo corresse dirigendosi verso una serie di foto che raffiguravano Price assieme agli altri allievi dell’Accademia; riconobbe Dionis in seconda fila e anche qualche auror. “Sono tutte foto recenti.” Notò scorrendole con lo sguardo. 
“Stessa cosa per quelle in camera! Non sembra si vada più in là di un anno…” Gridò Bobby dalla suddetta, prima di uscirne. “L’unica cosa che sembra essere datata è la sua sciarpa di Grifondoro.”
James aggrottò le sopracciglia. “Assurdo. Questo tipo ha cominciato a vivere meno di un anno fa?”
“Forse si è trasferito da un altro posto e ha buttato la roba vecchia.” Ipotizzò l’altro facendo spallucce. “C’è gente che lo fa.”
“Sì, ma le foto dei genitori? Amici? Non è roba che inscatoli o butti!”
“Questo posto è un culto alla prestanza fisica.” Osservò Scorpius sedendosi sulla poltrona e agitandosi un po’ per trovare la posizione giusta. “E al presente.” Aggiunse meditabondo. “Credo proprio che abbia sempre vissuto qui … Almeno, sia prima che dopo.”
“Prima e dopo cosa?”

“Questa è una poltrona su cui si è seduto per un sacco di tempo una persona robusta. Più grassa che robusta.” Si dimenò ancora un po’. “Sento ancora la forma, e credetemi, non è quella del tipo che abbiamo affrontato oggi.”
Bobby lo guardò stranito, perché in effetti certe uscite di Scorpius a volte potevano esser viste come il volo di un fantasia troppo fervida. “Potrebbe essere un parente … un fratello?”

L’altro scosse la testa, intrecciando le mani dietro la nuca e reclinandosi sul sedile. “Ho visto il contenuto del frigo. Un sacco di roba dietetica, proteica … il genere di cose che comprano i Babbani quando non vogliono ingrassare. E poi la tabella di marcia, e la bilancia sotto il lavello? Fate due più due.”
“Quindi era forma, e con questo? Dobbiamo cercare indizi che sia venuto a contatto con Howe o il Sergente, non quanti chili ha perso in un anno!” Gli fece notare per riportarlo sul pezzo. L’espressione di Scorpius però era troppo consapevole per essere stata una sparata fatta tanto per dimostrare le sue doti investigative.
Si strinse infatti le spalle. “Era solo per rispondere alla tua domanda … sul perché non ci sia niente che faccia pensare ad una vita passata. Price ha voluto disfarsene assieme ai chili di troppo. Ha senso, no?”
In effetti.
Bobby passò davanti ai vari poster, dove Duellanti famosi si mettevano in posa o lanciavano incantesimi a beneficio dei fotografi. “Per poter iscriversi all’Accademia serve un certificato di sana costituzione dal San Mungo. Devi essere allenato…”
“Non è solo questione di peso, ma anche di capacità magica!” Obbiettò. “Se sei una mezza sega con gli incantesimi puoi anche diventare tutto muscoli, ma se non aumenti…”
Scorpius squadernò un sorriso tutto denti, trionfante. “… la tua capacità magica, dici? Scusa, mi ricordi qual è il sintomo principale?”

“Merda.” Sussurrò mentre accanto a lui Bobby giungeva alla stessa, silenziosa conclusione data l’espressione con cui si voltò. “Prince aveva detto che la malattia poteva essere un effetto collaterale successo durante un incantesimo Oscuro andato storto!”
“Ma come ha fatto Price a lanciarselo e a lanciarlo anche su Howe?” Bobby scosse la testa. 
“Possono aver lavorato assieme!” James guardò Scorpius mentre questo si aggirava per la stanza, preso da un pensiero da come prendeva libri dall’esigua libreria o sfogliava una nutrita pila de Il Maschio Mago – rivista che Lily aveva ribattezzato brillantemente Manifesto della iper-Compensazione Maschile.
Ritornò al punto della faccenda. “Malfuretto, Howe secondo le nostre indagini non è mai uscito dalla sua stanza al Paiolo. Come diavolo avrebbero fatto ad incontrarsi?”
“Partite dal presupposto che si siano incontrati di recente. E se non fosse così?”
“Ma se si sono ammalati nelle ultime due settimane!”
Scorpius inarcò un sopracciglio come solo suo padre avrebbe saputo fare. “Scusa, ma tuo fratello non ha detto che il virus è capace di mutare? Che la roba che ha il Sergente non è la stessa che ha Price? Quindi i tempi di contagio di Howe e Price potrebbero non essere quelli che pensiamo.”
Bobby schioccò le dita. “Ehi, questo spiegherebbe perché Howe era a Londra! Si è ammalato, quindi ha cercato di tornare dove è stato contagiato la prima volta. Abbiamo supposto che viaggiasse spesso da Londra all’America per lavoro, ma se non fosse stato per lavoro?”
Oh, merda.
Era stufo di pensare quella parola. “Che diavolo stai cercando?” Gli chiese affiancandoglisi e dando un colpetto al giornale. “Quella roba è spazzatura!”
“Price è un patito dei Duelli, ma non è come fare un po’ di palestra, ci vuole concentrazione, sforzo e una certa predisposizione naturale. Cerco quello che ha cercato lui.” Cominciò sfogliando le pagine febbrile.
Bobby prese una delle riviste, sfogliandola confuso. “Cosa stiamo cercando?”
La rivelazione arrivò come un Avada a ciel sereno. “Sia Howe che Price non hanno pasticciato con la Magia Oscura come pensavamo … Hanno rintracciato chi lo facesse per loro.”
Scorpius lo graziò di un enorme sorriso soddisfatto e squadernò di fronte a loro una pagina segnata da una grossa piegatura, fatta evidentemente per non perdere il segno. Vi era cerchiato un trafiletto corredato da un profluvio di lettere colorate ed immagini di maghi dall’aria prestate. “Quello che stiamo cercando, signori. La versione magica di allungati il pene!”
 
****
 
Inghilterra, Londra.
Residenza cittadina degli Zabini. Notte.

 
Dal punto di vista di Dirk Zabini la venuta del fratello maggiore era un evento assimilabile solo alle festività. Era raro che Miki – troppo difficile da pronunciare altrimenti – si facesse vedere fuori dalle feste comandate, e se succedeva spariva subito dentro l’ufficio del comune genitore per poi prendere il camino una volta finito il colloquio.
Raro, occasionale, inusuale.
Erano parole difficili, ma che nella testa ricciuta di Dirk, cinque anni e due denti in meno, erano sempre state naturalmente associate al fratellastro. Parole affascinanti.
Così, quando sentì dei rumori provenire dalle stanze assegnate all’altro, saltò fuori dal letto e ignorando i richiami accorati di Tinkie, la sua Elfa domestica, corse a controllare.
E se è un ladro?!
Era suo dovere scacciarlo: era l’assoluto padrone di casa quella sera, dato che i genitori erano a teatro e sarebbero tornati molto tardi tesoro, non devi aspettarci alzato.
Salendo le scale che portavano allo studio e alla stanza da letto di Michel gli passò però il coraggio e quando arrivò all’ingresso dello studio non ne aveva più una goccia.
“Padroncino, torni a letto, Tinkie le porterà un po’ di latte caldo, sì?” Lo blandì l’Elfa.
“No!” Proclamò con fierezza, e fu più per un punto di principio che reale voglia che spinse la maniglia ed entrò nella stanza. “Miki?” Chiamò.
“Dirk?” Era la voce di suo fratello e poté dunque tirare un sospiro di sollievo: era vicino alla libreria, vestito come se dovesse andare a far compagnia ai genitori da un momento all’altro. Era chiaramente il vestito bello che usava per andare al Ministero.
Lavoro?
“Sei stato al lavoro?” Sua madre diceva che ci voleva sempre una buona domanda per iniziare una conversazione o si rischiava di passare per maleducati – massima onta concepibile per persone del loro lignaggio.
Quando Michel lo guardava però aveva sempre l’impressione di non azzeccarla mai, quella domanda; non che lo trattasse male come diceva la mamma alle sue amiche quando pensava che non stesse ascoltando. A Dirk pareva che l’altro non sapesse bene come comportarsi in sua presenza, come succedeva a lui quando capitava che gli regalassero un gioco di cui non conosceva le istruzioni.
Gli piaceva, Miki.
“Perché non sei a letto? È tardi.” Aveva un grosso libro di pelle tra le mani, ma lo chiuse con uno scatto secco quando vide che lo stava occhieggiando. “Tinkie, non era a letto?” Chiese rivolgendosi alla sua Elfa che emise un lamento impercettibile tappandosi gli occhi con le mani.
C’ero a letto, ma poi ho sentito i rumori … E ho pensato che era un ladro!” Rispose in vece della creaturina, sapendo bene che era un po’ colpa sua se sarebbe stata punita al ritorno dei suoi. Poteva cercare di evitarlo però. “Invece eri tu!”
“Evidentemente.” Convenne con un sospiro. “Torna a letto, se i tuoi genitori ti trovano alzato…”
“Ma loro tornano molto tardi!” Considerò sentendosi molto furbo perché tra le coperte non ci voleva tornare e doveva dunque giocare d’astuzia. Aveva scoperto che se cercava di parlare come i grandi Miki era più propenso a starlo ad ascoltare. “Ed io adesso non ho sonno! Che fai?”

“Dirk…” Non voleva farlo arrabbiare, ma c’era ancora un buon margine di manovra dato che diversamente dagli altri occupanti della casa, Michel era più tollerante verso i suoi capricci. Non quanto Tinkie, ma poteva comunque essere corrotto con qualche lacrima ben spremuta. “Dirk.” Tentò ancora ma un suo scenico singhiozzo lo fece sbuffare. “Smettila, ormai sei troppo grande per fare i capricci.”
Questo lo dici tu.
Completò la sua opera sbattendogli contro le gambe, per abbracciarne una. “Mi fai restare un pochino?” Doveva stare bene attento a non sgualcirgli i vestiti, perché era una cosa che faceva arrabbiare tutti – i suoi genitori soprattutto. “Poco!”


Michel roteò gli occhi al cielo, stringendo trai denti un’imprecazione perché primo non era elegante, secondo era di fronte ad un bambino di cinque anni che aveva orecchie capaci di captare la minima esclamazione e spiattellarla di fronte al consesso meno adatto nel momento meno opportuno.
Ci manca solo mi accusino di insegnargli volgarità.
“Cinque minuti e siediti vicino al fuoco, fa freddo.” Lo istruì dandogli un colpetto sulla testa ricciuta per spingerlo verso la poltrona. L’altro non parve minimamente aver sentito il comando perché strinse la stoffa dei suoi poveri pantaloni tra le dita e gli rivolse un sorriso a cui mancava un dente.
“Hai perso un dente.” Attestò a disagio, tanto per dire qualcosa: non sapeva mai che dire ad una creaturina incomprensibile come quella, che faceva le domande più strane e assumeva gli atteggiamenti più spiazzanti.
Ovvero un normalissimo bambino?
“Sì, la settimana scorsa! Vuoi vedere il buco?” Tirò su la gengiva, afferrandogli poi di nuovo i pantaloni con le dita sporche di saliva. “Hai visto?”
Inspirò. “Ho visto.” Confermò rinunciando al proposito di posarlo su una poltrona e lì dimenticarlo. Lanciò un’occhiata alla lacrimosa Tinkie. “Puoi andare, ti chiamo quando abbiamo finito.” Quando l’Elfa sparì con uno schiocco fu perplesso dal constatare che l’altro sembrava essersi illuminato. “Cosa c’è?”
Abbiamo.” Attestò sottolineando la parola. “Facciamo qualcosa insieme? Giochiamo?”
“No.” Si affrettò a dire, ma di fronte all’espressione delusa che ne conseguì, si rassegnò a condividere il motivo della sua venuta. “Devo cercare un album di fotografie … Dovrebbe essere qui, dove sono stati catalogati gli altri.” Indicò la sezione della libreria che era stata deputata ai suoi ricordi infantili: relegati dietro una teca di vetro nel punto meno accessibile c’erano una ventina di album che sua nonna aveva personalmente composto per lui. Era anni che non li sfogliava.
A che pro?
“Ti aiuto!” Cinguettò dirigendosi verso la teca e abbassandosi per passare le dita tra le costole con una certa grazia – aveva pur sempre sangue Zabini. “Com’è fatto?”
“L’album che cerco? Sono tutti uguali, dovrebbe esserci scritto…” Gli sovvenne un pensiero. “Sei in grado di leggere i numeri?”

Gli venne rivolta un’occhiata oltraggiata, buffa perché una perfetta, piccola copia di quella che approntava lui a quell’età quando Scorpius o Loki gli proponevano un gioco sgradito. “Tinkie mi ha insegnato!” 
“Allora prendimi il numero nove.” Dato che il dieci già lo aveva in mano e l’aveva sfogliato senza trovare niente che facesse pensare che lui e il Magonò si fossero incontrati. Aveva ritrovato foto di lui, Scorpius e Loki immortalati nei giochi più spericolati e foto con la bellissima Amara Zabini che gli avevano stretto il cuore in una morsa che aveva subito ignorato; foto naturali, ben diverse da quelle che ornavano lo studio di suo padre e il suo ufficio, dove tutto ovviamente doveva rasentare la perfezione Purosangue.
Aveva quindi sperato di vedervi la zazzera bionda di un ragazzino di circa la sua età per collocare finalmente quello che era diventato, a conti fatti, una sorta di ossessione.
Niente.
Dirk lo riscosse porgendogli l’album. “Ecco Miki!” Proclamò con l’aria di aver compiuto un’impresa. Sul serio, i bambini erano incomprensibili. “Che cerchiamo?”
“Una persona.” 
Se il tedesco fosse appartenuto alla sua cerchia sociale avrebbe potuto giustificare quell’attrazione scomoda. Un terreno una volta comune avrebbe potuto rendere tollerabili le reazioni inconsulte del proprio corpo come della testa.
E spiegherebbe inoltre perché mi è sempre sembrato familiare.
Quando si sedette sulla poltrona per poterlo sfogliare agevolmente Dirk fu lesto ad arrampicarsi sul bracciolo. Ad una sua occhiata sorpresa si esibì in un’espressione noncurante. “Lo guardiamo assieme! Chi cerchi?”
“ … Un bambino. Biondo, un po’ più grande di te.” Si rassegnò a vederlo invadergli lo spazio personale per aggrapparglisi alla giacca nell’intento di avere un migliore accesso visivo.
Sarebbe più semplice se fossero foto Babbane. Lì gli immortalati non rischiano di scomparire e non si nascondono.
“Allora se lo vedo te lo dico!” Annuì compito.
Ennesima carrellata di foto dunque…
Sfogliò pagine e pagine, cercando di notare tutte le facce infantili, purtroppo non molte; gli unici bambini con cui aveva avuto a che fare direttamente erano stati  quelli che erano tutt’ora i suoi più cari amici e quelli che invece aveva solo incrociato erano persone che adesso evitava con piacere.
Buona famiglia non significa necessariamente persona decente.
“Miki!” La voce di Dirk rischiò di fargli saltare un timpano. “Miki guarda, l’ho trovato!”
Era pronto a negare, dato che probabilmente l’altro aveva di nuovo indicato quel platinato di Scorpius, ma sgranò gli occhi quando vide che il fratellino gli indicava tutta un’altra persona; un bambino biondo che sorrideva impertinente all’obbiettivo, capelli color del grano e occhi castani.
Gli somiglia. Sembra lui.
Il ragazzino si muoveva all’interno di un salotto dall’aria ricercata, in uno stile che ricordava il Roccocò Babbano. Ricordava dov’era stata scattata: era il salotto di un conte francese che sua nonna aveva frequentato durante l’ultima estate che avevano passato assieme, quella dei suoi dieci anni. 
“Sì, sembra di sì.” Rispose sfiorando con la punta delle dita la fotografia, che sollecitata parve animarsi di colpo; i vari maghi e streghe in mantelli sgargianti presero vita, parlando, e ridendo mentre prendeva posto su sedie distribuite in varie file attorno ad uno spazio vuoto occupato da un pianoforte e un leggio.
Un concerto. Un concerto da camera, certo. Nonna amava portarmici, e quel tipo ne organizzava continuamente per farci piacere.
Come se un Bolide l’avesse colpito in testa realizzò chi era il ragazzino, primo a muoversi nella fotografia rimasta inerte per anni.
Il violinista.
Era Emil Von Houten Meinster, il piccolo prodigio che gli aveva rubato un bacio. Non aveva scordato il nome, e guardandolo entrare in scena e posare il violino sulla spalla ricordò anche i suoi occhi da gatto – castano chiaro – e l’espressione irriverente – con qualche anno in più sul viso sarebbe diventata un ghigno eccellente.
“Miki, che c’è?” La voce di Dirk suonava sorpresa e poteva ben immaginare perché: doveva sembrare un idiota colpito da un fulmine.
Milo il Magonò e Emil il violinista erano la stessa persona. 
 
****
 
San Mungo.
 
“Vuoi un bicchier d’acqua, un caffè?”
Vorrei poter tornare alla locanda e dormire.

Sören lo pensò con robusta frustrazione, ma scosse la testa alla richiesta; del resto non era colpa di Albus Severus se era ancora bloccato al San Mungo dopo quella giornata da incubo.
Voglio solo poter tornare alla locanda e morire, grazie.
Lanciò uno sguardo ai due Guaritori presenti nell’ufficio oltre al fratello di Lily; il primo era Finnigan, il Capo Reparto di Malattie Magiche, il secondo, anziano e dall’aria infastidita, invece gli era invece nuovo. Gli venne presentato come Tiberius Smethwyck, Capo Reparto di Lesioni da Incantesimo.
Un altro?
“Di quale chiarimento avete bisogno?” Decise di andar subito dritto al punto. Era evidente che qualcosa nei suoi esami aveva attirato l’attenzione.
E di ben due luminari. Non è un buon segno.
Fu il Guaritore Finnigan a parlare, con uno di quei sorrisi rassicuranti che doveva aver imparato non appena diplomatosi. Ne aveva visti molti, durante la sua degenza post-Nurmengard.
Non gli piacevano.
“Albus ci ha detto del nucleo di bacchetta che hai nel braccio. Puoi spiegarci come funziona?”
Sören batté le palpebre confuso; l’avevano trattenuto per una lezioncina sulla sua particolarità?

A domanda diretta doveva però rispondere. “Ho un nucleo di bacchetta, compatibile con la mia aura magica, collegato all’arteria radiale e brachiale. Questo mi permette di non usare una bacchetta … esterna, per così dire. La potenza dei miei incantesimi è maggiore inoltre, ma è più difficile controllarli. Per questo il Centro di Sperimentazione Magica di Boston ha studiato il mio caso …” Alzò la manica della camicia per mostrare il bracciale runico che non si toglieva neppure quando andava a dormire. Soprattutto quando andava a dormire. “ … Sono stati loro a darmi il congegno di contenimento che indosso. Tuttavia, se volete spiegazioni più tecniche, è a loro che dovete chiedere.”
“Stai dicendo che hai addosso qualcosa di cui non conosci il funzionamento, ragazzo?” Il tono del Capo Guaritore di Lesioni non gli piacque. Era aspro e sputava giudizi affrettati che non aveva né pazienza né voglia di ascoltare.
Al diavolo.
“Ne ho una conoscenza strumentale. A lei serve sapere come sta in aria una scopa per cavalcarla?” Ritorse e non fu una sua impressione, Albus Severus voltò la testa di scatto e represse una risatina.
Persino l’altro Guaritore trattenne una smorfia divertita, tornando subito serio quando incrociò lo sguardo oltraggiato del collega prima di rivolgerglisi. “Scusaci Sören, immagino che tu stia chiedendo il perché di queste domande…” Si alzò in piedi, abbandonando la poltrona dietro la scrivania per sedersi sulla stessa in un gesto di distensione che non lo distese affatto. “ … Ti parlerò chiaramente.”
“La ringrazio per la franchezza.” Stavolta non tentò neanche di frenare il sarcasmo che gli solleticava invitante la gola.

Non sono un ragazzino traumatizzato. Non trattatemi come tale.
L’uomo sospirò, alzando le mani in segno di resa. “Hai ragione, ci stiamo girando attorno e tu vuoi solo levarti dai piedi … Il fatto è questo.” Incrociò le braccia al petto e sospirò. “Per come si sviluppa la malattia, per il metodo di contagio e per l’esposizione a cui sei stato sottoposto scontrandoti sia con il sergente Flannery che con Henry Price, dovresti esserti ammalato.”
“Ma non è così.” Gli fece eco sentendo un brivido spiacevole ghiacciargli la nuca. “Avete detto che le mie analisi…”
“Sono negative.” Confermò il Guaritore. “Il fatto è che non ci spieghiamo perché lo siano. Sei stato esposto per ben due volte, eppure i tuoi livelli di magia sono nella norma.”
“Fin troppo perfetti.” Soggiunse il decano di Lesioni. “Quel tuo bracciale deve funzionare davvero a meraviglia.”
Sören passò le dita sul metallo brunito, gelido al tatto grazie alla magia con cui era stato incantato. “Così pare.” Confermò.  

Visto che la bacchetta che ho nel braccio è come una miccia vicino ad una scatola di Fuochi Magici.
“Quello che ci chiediamo è se sia stato il tuo bracciale a proteggerti, il nucleo di bacchetta che hai dentro di te…” Si inserì il Guaritore Finnigan. “ … o altro. Perché, fino a prova contraria, tu sei l’unico mago fin’ora immune.”
Capì di colpo dove voleva andare a parare quella conversazione. “Pensate che possa aiutarvi a sviluppare una cura?”
“È ancora troppo presto per sperare in questa direzione, ma…” Finnigan si passò una mano trai capelli, accennando un lieve sorriso. “Il tuo non-contagio è la prima notizia buona da settimane.” 
Sören ricambiò il sorriso perché sì, era davvero una buona notizia. Una notizia che lo faceva respirare di nuovo. “In questo caso mi metto a completa disposizione del San Mungo.”
“Per stasera ti lasciamo tornare a casa…” Scosse la testa l’uomo dandogli una pacca sulla spalla. “Fatti una doccia, una dormita e ci vediamo quando sarai fresco e riposato. Quando lo saremo tutti.”
“Domani mattina.” Aggiunse il Guaritore Smethwyck. “Avremo bisogno di un campione del nucleo della bacchetta e di studiare quel bracciale.”
“In questo non credo di potervi aiutare…” Quando vide la confusione e il vago sospetto nel volto di praticamente tutti e tre i Guaritori, si apprestò a spiegare. “Non sono di mia proprietà, ma del Ministero Americano, dunque non è a me che dovete chiedere l’autorizzazione.”
“Il nucleo di bacchetta nel tuo braccio non è di tua proprietà?” Ripeté Albus Severus incredulo.

“Era una delle condizioni della mia libertà.” Spiegò sentendo il disagio strisciargli addosso come una brutta febbre. Se c’era una cosa che odiava era spiegare la sua posizione nel Mondo Magico. “Ogni oggetto magico presente sul mio corpo, o che utilizzo, è di proprietà del Ministero della Magia americano. Io ne ho solo il possesso.”
“Anche della bacchetta?”
“Esatto.”
Ero stato condannato al carcere duro a vita. Se sono fuori, è ovvio che lo sia a patto di avere delle limitazioni.
Pensava che mi avessero graziato?
Il livore di James Potter d’un tratto acquistava tutt’altra prospettiva.  
“Chiederemo al tuo Ministero.” Tagliò corto il Guaritore di Malattie Infettive. “Grazie per la pazienza … ti lasciamo tornare a casa.” Fece un cenno a Potter. “Albus, accompagnalo.”
Fu lesto ad alzarsi. “Vi ringrazio, ma conosco l’uscita.”
L’altro scosse la testa. “Lo faccio con piacere.”  

Non gli restò che seguirlo; Albus ad ogni buon conto non ci mise più di qualche passo fuori dall’ufficio per voltarsi a guardarlo. “Credo di doverti delle scuse.” Esordì.
“Prego?” Era troppo stanco per ricordarsi come e quando il fratello di Lily l’avesse offeso.

“Pensavo … beh.” Arrossì mordicchiandosi un labbro; i Potter quando erano in imbarazzo assumevano tutti la stessa espressione di confuso disagio, quasi gli sembrasse assurdo aver sbagliato. “Pensavamo … pensavo che ti avessero trattato come una specie di testimone privilegiato.”
“In un certo senso è così.” Ammise seguendolo verso gli ascensori. A quell’ora di notte l’intero edificio appariva deserto e silenzioso. “Ho avuto accesso ai capitali della mia famiglia … dei Prince, non dei Von Hohenheim.” Chiarì. “Ho una casa ed uno stipendio, ma la mia posizione giuridica è quella di un minorenne.”
L’altro lo guardò stralunato. “Mi stai dicendo che hai la Traccia?”  

“Ovviamente. I miei spostamenti devono essere individuabili.”
Dopo quel breve scambio di battute scese il silenzio finché l’ascensore non si fermò al piano terra. A quel punto Albus si voltò di nuovo verso di lui. “Sono contento che tu non sia stato contagiato.” Disse, e poi gli porse la mano. “Buonanotte Sören.”
Cercando di non fargli notare la sua sorpresa, gliela strinse. “Anche a te, Albus.”

“Non sono ancora così vecchio da essere chiamato Il Bianco.” Lo corresse con una smorfia. “Al. Chiami Al e basta, okay?”
Sören si accomiatò sentendosi un po’ meno stanco e amareggiato da quella giornata; lui e Albus – no, Al – non erano certo diventati amici, ma perlomeno sembrava che l’altro avesse cambiato opinione su di lui.
Un passo per volta.
Appena uscito dal perimetro dell’ospedale, mentre respirava l’aria fresca della sera, sentì la tasca della giacca trillare insistentemente di mille suoni argentini. Come sempre, ci mise più di qualche attimo per capire che quella sinfonia proveniva dal suo telefonino.
Scorse le icone colorate e trovò un messaggio. Da Lily.
‘Tutto okay? Sono preoccupata, fammi sapere!’
Sospirò. Avrebbe avuto bisogno di qualcosa da bere prima di poter rispondere.
Possibilmente, forte.
 
 
‘Sto bene, non c’è bisogno che ti preoccupi. Ti spiego quando ci vediamo. Buonanotte, Lily.’
E questo sarebbe un messaggio tranquillizzante?!
Lily represse l’impulso di scagliare il suo smartphone – perché lì chiamavano intelligenti, se erano ambasciatori di risposte stupide? – contro il muro della stanza da letto, e si trattenne solo perché Scott si stava infilando sotto le lenzuola di fianco a lei e non sarebbe stato carino colpirlo in piena fronte.
“Piccola, cos’è quel muso?” Aggrottò le sopracciglia preoccupato. “Brutte notizie?”
“No, pessimo il modo in cui mi vengono date.” Borbottò accoccolandosi contro l’altro, che ligio al dovere la circondò con le braccia e la attirò a sé. Quando le passò una mano lungo la schiena, in una carezza rilassante, si sforzò davvero di sciogliere i muscoli contratti.
Scott non meritava il suo malumore.

“Sören sta bene?”
“Okay, siamo sicuri che non sia tu il LeNa?” Mormorò contro la sua clavicola, trovandola interessantissima. “Sono inquietata.”
Scott ridacchiò. “Beh, non ci vuole un potere particolare per fare due più due … Ne abbiamo parlato per tutta la cena, e controllavi ossessivamente lo Specchio e il cellulare. Ha risposto?”

Lily si mordicchiò un labbro. “Scusa, ho monopolizzato gli argomenti stasera…”
Scott si strinse nelle spalle. “Un tuo amico è finito al San Mungo, è ovvio che fossi preoccupata. E poi, è meglio parlarne che tenersi tutto dentro. L’ha detto la Patil, giusto?”

Lily captò il sottotesto e la lieve frecciatina. Sorrise appena. “Giusto.”  
Ci stava davvero provando a farlo, e per quanto amasse quel serio ragazzone, aveva ancora delle difficoltà spaventose. Non a fidarsi…
… quanto piuttosto a lasciarmi andare.
Aveva il terrore che affidandogli le proprie fragilità avrebbe finito per rimetterci, in qualche modo.
E non un'altra volta. La prima ha fatto davvero un male cane.
Continuava, in un certo senso. Ancora adesso Sören era capace di premere i punti giusti e farli dolere.
Non come allora, ma comunque…

Non voleva che con Scott fosse lo stesso.
È solo essere prudenti, tutto qui.
“Il messaggio di risposta … è praticamente una comunicazione amministrativa.” Spiegò, passandogli il cellulare per farglielo leggere. “Penso mi stia mentendo.”
Scott scorse lo schermo con lo sguardo e poi, razionale come sempre, sospirò. “È solo un messaggio, Lils. Non tutti sono bravi a mettere i propri sentimenti dentro un paio di frasi scritte.”
Non Ren. Ren sa scrivere. Quando vuole scrive cose meravigliose. Mi ha scritto per dovere, non perché ne aveva voglia.

“ … non hai tutti i torti.” Disse invece.
Non è solo il messaggio comunque.
All’ospedale l’amico gli era sembrato distante, come se avesse tentato di mettere una barriera tra di loro – oltre quella già presente. Certo, ricordava che quando si sentiva messo all’angolo dalle contingenze la sua difesa migliore era prendere le distanze emotive …
È comprensibile. Ma non è quello. Non mi voleva lì, ne sono sicura.
Scott posò l’aggeggio malefico sul comodino, voltandosi verso di lei con un sorriso che non nascondeva una certa impazienza. “Vogliamo parlare d’altro adesso?”
Eh, mi sa di sì.
Qualcosa le diceva che era meglio non continuare a parlare di un altro ragazzo quando era a letto con il suo fidanzato.
Il mio senso di donna sta pizzicando…
“Assolutamente d’accordo, ragazzone.” Gli allacciò le braccia attorno al collo e lo tirò a sé per lambirgli le labbra con un bacio appena accennato, sottolineando come fosse un preludio a ben altro. “Vogliamo parlare di quanto tu sia un perfetto fidanzato comprensivo?”
 
 
Milo si accorse che Sören era tornato al Paiolo Magico quando percepì una nuvola nera investire l’ambiente altrimenti festoso, dato che si stava tenendo un’energica open session² di musica tradizionale in cui si era lasciato ben volentieri coinvolgere.
Come musicista si rimedia sempre da bere gratis.
Concluse il set e poi salutò gli altri musicisti, finendo con un sorso l’unica birra che al momento riusciva a tollerare senza che le sue robuste papille tedesche si ribellassero.
Questa Belhaven scozzese è la meno pisciosa.
Poi si diresse con la calma atta ad aggirare una belva ferita verso il proprio datore di lavoro, che seduto al bancone, si era fatto portare una bottiglia di Ogden Stravecchio e un bicchiere.
“Giornata da lascia pure la bottiglia?” Iniziò affiancandoglisi e appoggiando il violino sulla porzione meno lercia.
Sören sobbalzò, lanciandogli uno sguardo sorpreso. “Non stavi suonando?”
“Non se l’hai notato, ma non c’è musica al momento.” Replicò divertito, notando come l’altro avesse fatto scivolare il proprio cellulare nella tasca dei pantaloni come un ladro colto sul fatto. “Mandi messaggi a Zenzero?”
“Solo per dirgli che sto bene.” Borbottò vuotando il bicchiere con un allenato colpo di polso.
Milo si sporse sullo sgabello e tirò a sé la bottiglia, ignorando l’occhiataccia che gli venne lanciata. “La requisisco per il tuo bene.” Lo informò. “Sei un peso morto da riportare a letto e questo è il mio giorno libero.”

“Di nuovo, non lo è.”
“Di nuovo, devo essermene dimenticato.”
L’altro non ribattè contemplando un punto indefinito di fronte a sé. “Prima … non eri male.” Mormorò dopo un po’. “È la prima volta che suoni musica tradizionale?”

“Irlandese? No, te l’ho detto, ho suonato ovunque e per chiunque. È un po’ ripetitiva, ma di impatto.” Si strinse nelle spalle. “È divertente suonarla assieme e qui c’è una grossa tradizione in tal senso.” Lo guardò di sottecchi e poi chiese. “Stiamo parlando di questo per non parlare d’altro?”
“Forse.” Gli concesse sorprendentemente. Doveva essere davvero uno straccio se si lasciava andare a simili confessioni. “È troppo.” Se ne uscì fissandosi le mani come se vi potesse trovare una soluzione pratica. “Non ce la faccio, devo allontanarmi da Lilian.” Appena lo ebbe detto assunse la faccia tipica di chi si era appena accoltellato all’addome. “ … Non abbandonarla, solo…”
“Sì, lo so.” Lo fermò per poi ripassargli la bottiglia, perché adesso ne capiva la presenza. “E perché, di grazia? L’unica cosa buona della tua venuta qui, mi pare, era vederla…”

“Sono innamorato di lei.”
Grandi confessioni stasera!

“Gliel’hai detto?”
“Non essere ridicolo.”
Ci mancherebbe. Solo amori tragici e mai confessati per Sören Prince.

Gli riempì il bicchiere fino all’orlo e subito venne vuotato di nuovo come se fosse acqua. Sören si voltò poi nella sua direzione, con un’espressione che gli sarebbe valsa un abbraccio se fosse stato meno duro di cuore.
Sono un cuore di pietra, io.
“Suona qualcosa per me.”
Milo si alzò in piedi, annuendo. “Agli ordini.” Tornò alla musica, perché non c’era modo migliore per aiutare un cuore malandato a non sentirsi tale. Almeno fino alla fine della canzone.
 
 
I’m killing and I’m drinking my blue heart to black
But I swear, oh Lord, I’ll never sin again if you bring her back
 
 
 
 
****
 
 
 
Note:

Direi basta. XD
Capitolo enorme, ma dovevo finire la giornata. Spero non sia troppo pesante!

Per quanto riguarda la faccenda del violinista e di Michel, per chi non l’avesse chiara, si ricollega a questa shot, nella parte dedicata a Michel. ; )
Ci sono un po’ di canzoni che mi hanno aiutato nella stesura. La prima è questa perché anche se avevo deciso per i Bastille, l’ho sentita e bam! canzone capitolo.
Il brano della session è questa e quella per Sören è questa bella robetta allegra qua.
Qui per chi vuole vedere il piccolo Dirk. Penso proprio che nella storyline di Milo e Mike avrà una sua parte.
 
1. Brixton: è uno dei quartieri più conosciuti di Londra, nel bene e nel male. Situato nell'immediato sud, nel quartiere di Lambeth, è caratterizzato da un'alta migrazione di origine caraibica (soprattutto giamaicana) e africana. Negli anni ’80 è stato teatro di tensioni sociali e scontri con la polizia e tutt’ora, nonostante la progressiva gentrificazione, è considerato uno dei quartieri meno sicuri della capitale.
 
2. Session: sono degli incontri informali in cui delle persone suonano musica irlandese tradizionale. Normalmente in una session un musicista comincia un brano e chi lo conosce gli va dietro. Una buona regola è che non si dovrebbe suonare se non si conosce il brano; piuttosto si aspetta o si comincia un brano che si conosce. L’obiettivo di una session non è quello di divertire un pubblico passivo di ascoltatori, principalmente la musica è per i musicisti stessi. Qui per info.
  
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