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Autore: ScleratissimaGiu    05/05/2013    4 recensioni
Hank La Gatta, amato giornalaio di New York, muore improvvisamente: San Pietro, alle porte del Paradiso, tenuto conto di quanto Hank sia stato buono in vita, gli da la possibilità di esprimere un desiderio.
L'unica cosa che l'uomo vuole, però, è di andare all'Inferno.
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“ Buongiorno” “Buongiorno” “Come andiamo, Hank?” “Bene, e lei?” “Bene, bene” “Il solito, signor Magnus?” “Sì, certo, grazie, arrivederci” “Arrivederci”.
La vita di Hank La Gatta, detto anche Hank il Giornalaio, è scandita da questi dialoghi quotidianamente.
Hank sta a Long Island da una vita, e da una vita fa il giornalaio.
Era il mestiere di suo padre, e quindi anche il suo.
La gente lo conosce, gli vuol bene, perché sa che Hank non vuol male a nessuno, anzi.
Hank è proprio un brav’ uomo, si adopera sempre per gli altri, fa sempre sconti su ogni rivista, quotidiano, libro che la gente compra: averne di giornalai così.
Hank vende anche articoli di cancelleria, così i bambini possono fermarsi da lui se hanno bisogno penne, matite e quant’altro: Hank li accontenta ed è sempre gentile con loro.
Il suo piccolo posticino è all’angolo della scuola, dove s’imboccano le strade per i grandi uffici: comodo per tutti.
Hank non ha famiglia: niente genitori, niente moglie, niente nipoti.
Solo come un cane, direbbe il signor Magnus, quello che poco fa ha acquistato il Times, ricordate?
Ecco, il signor Magnus è un cliente abituale di Hank; prende sempre il Times, perché è un imprenditore e ci tiene a fare la sua bella figura in ufficio: quindi arriva sempre con una copia del quotidiano sottobraccio e una tazza di caffè Starbucks nella mano destra, perché con la sinistra apre le porte dell’ufficio e chiama i pulsanti dell’ascensore.
Anche i colleghi del signor Magnus vanno da Hank a comprare i giornali, ma loro non comprano mica il Times, solo il signor Magnus lo compra, perché è un uomo snob.
Insomma, Hank va tutti i giorni al lavoro, da bravo, apre bottega alle sette di mattina e la chiude alle sette di sera.
Abita in un piccolo appartamento dell’Atalanta Building, costruito negli anni quaranta dopo la guerra, dove abitava suo padre.
Hank non beve, non fuma, non si droga: da solo in quel buco, che fa?
No, non va a prostitute, perché suo padre gli ha insegnato che non è bello agli occhi altrui.
Quando suo padre gli parlava di qualcosa, Hank teneva sempre le orecchie bene aperte per non farsi scappare nemmeno un dettaglio, perché per lui suo padre era come Dio.
Suo padre gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, a giocare a biliardo, a carte, a vendere i giornali, a parlare con i clienti.
Suo padre gli aveva insegnato a vivere.
Quando era morto, Hank aveva avvertito un enorme vuoto dentro di sé, una voragine senza colore, senza emozioni.
Aveva affisso un cartello sulla porta della bottega: “Chiuso per lutto. Riapertura incerta”.
Tutti si erano preoccupati, gli erano stati vicini, e Hank aveva recuperato e riaperto l’attività.
Nonostante questo, a Hank mancava qualcosa, non era felice.
Vendere i giornali era l’unica cosa che gli riuscisse bene, e questo era allo stesso tempo un orgoglio e uno sconforto.
Era bravo, ma solo in quello.
Hank non era vecchio, ma nemmeno giovane: una volta andava in giro con i suoi amici a dare fastidio alla gente, però adesso aveva perso smalto.
Hank era buono, bravo e generoso, ma esserlo non gli piaceva, non più ormai.
Hank morì in seguito ad un lungo periodo di depressione durante la crisi economica dell’anno del Signore 2020, e gli fecero un funerale da signore.
La banda era arrivata tutta in pompa magna, mentre la sua bara era stata posta sull’altare della chiesa con sopra una grande ghirlanda di fiori, una sua foto sorridente e un cartello con scritto “ Per sempre nei nostri cuori”.
La gente era tutta vestita di nero, tutti che erano andati a comprarsi un bel vestito elegante perché c’era il funerale di Hank; Hank chi? Hank il Giornalaio.
Ah già. Ma com’è morto, il povero Hank? Eh, la crisi, la crisi… Ma veramente? Eh sì, caro mio… E come si fa coi giornali adesso? Non si sa, forse viene uno nuovo. E chi è? Non si sa, forse un ragazzo giovane… No, no… come Hank non c’è nessuno. Proprio vero, amico mio, come lui non c’è nessuno.
E Hank che, dalle vetrine dei negozi, vede tutti i suoi vecchi clienti che parlano di lui mentre si provano giacche, pantaloni e vestiti lunghi.
La gente gli passa attraverso, non lo vede, non può vederlo.
Lui è un fantasma, finché non finisce il suo funerale e viene spedito o su o giù, almeno così gli è stato detto.
Allora si pulisce un po’ il vestito e va in chiesa, guarda la sua bara e la foto, pensa che la gente gli vuol bene perché gli ha messo lì una bella corona di fiori colorati.
Arriva il parroco col breviario in mano, guarda Gesù sulla croce e gli fa un segno, come per dire “proprio lui dovevi prendere?!”, e poi esce dalla chiesa.
I funerali sono domani, pensa Hank, e si avvia su una panca per dirsi una preghiera.
La notte passa, ma Hank in terra non dorme, non può dormire… non è che un’ anima vagante che aspetta una collocazione, a che gli serve?
Arriva il parroco, s’inginocchia, prega un po’, chiama i chierichetti.
Preparate tutto bene, mi raccomando!  Sì, monsignore.
Arrivano le prime persone, ma… saranno loro?
Ma sì, il signor Magnus e famiglia fanno il loro ingresso nella chiesa, fanno il segno della croce, si siedono e pregano.
Il signor Magnus piange, la sua signora tiene stretti i due figlioli, caspita come sono cresciuti!
Poi arriva sempre più gente, le panche non bastano più, si ricorre alle sedie ma nemmeno quelle bastano.
Hank è molto contento di vedere che la gente ci tiene a salutarlo, è molto contento di sapere che la sua vita ha reso felice tante altre vite.
I chierichetti suonano le campane, il prete entra, la cerimonia inizia.
Che vada in pace, povero Hank.  Proprio un brav’ uomo.  Nessuno è come lui.  No, nessuno… Su, su, non piangere…
Tutti che vociano dalle panche, qualcuno piange, altri consolano.
Poi il prete piagnucola anche lui, perché da Hank comprava ‘Famiglia Cristiana’ e gli parlava un po’ di Dio, che faceva sempre bene.
Hank però non li sente più, perché il prete senza accorgersene ha finito la messa.
Hank è finito su, ci sono tante nuvole, un grande cancello bianco, un vecchietto con la barba lunga e bianca.
‘ O mio dio, Gandalf esiste!’ pensa Hank, mentre gli si avvicina.
Il vecchietto legge delle carte, annuisce, sorride compiaciuto, si sistema gli occhiali perché con l’età non riesce a vedere molto bene.
Poi guarda Hank ed esclama: “ Carissimo Hank, finalmente!”
Hank sobbalza, perché quell’uomo grida e poi l’ha fatto all’ improvviso.
“ Salve” riesce comunque a balbettare.
“ Eccoti qui, non ci speravo più! Sei in ritardo, figliolo. Bene, comunque benvenuto in Paradiso. Io, caro il mio giornalaio di Long Island, sono San Pietro”.
Hank guarda il vecchietto esagitato, sbatte le palpebre, guarda il cancello, ritorna a guardare il vecchietto.
“ San Pietro?”
“ In carne e ossa. Bene caro, ora che sei stato così buono in vita tua, hai diritto ad un desiderio speciale prima di entrare”.
Hank non capisce, non vuole capire, sperava di finire all’ Inferno ed invece eccolo lì, a parlare con quel pazzo di San Pietro.
“ Ho un desiderio?” chiede al vecchio papa.
“ Esattamente figliolo. Uno solo. Qualunque cosa”.
Hank pensa, riflette, valuta.
Potrebbe chiedere tante cose, ma lui ne vuole solo una.
“ Mandami all’Inferno”
San Pietro non crede alle sue orecchie; “ Come all’Inferno?” continuava a ripetere, ma lui era irremovibile: voleva proprio andar giù.
“ Bene, preparati” disse il vecchietto, rassegnato, e Hank fu catapultato giù.
 Lui e San Pietro arrivarono direttamente davanti ad una grande porta in mogano, vicino a un banco per le accettazioni dove c’ era un uomo con una lunga coda.
“ Salve, Pietro” sibilò, mostrando una lunga lingua biforcuta. “ Qual buon vento?”
“ Beh, ti sembrerà strano, ma quest’ uomo non ne vuol sapere di stare in Paradiso, vuol stare qui con voi”.
Il demonietto guardò stupito prima il vecchio e poi Hank, poi si mise a ridere a crepapelle.
Insomma, alla fine della fiera San Pietro si vide costretto a passare gli incartamenti di Hank nelle mani del receptionist e lasciare in pace (espressione perfetta) il nostro giornalaio di Long Island.
L’uomo con la coda lesse con molta attenzione le carte, poi si trovò costretto, suo malgrado, a far entrare un uomo senza peccati all’Inferno.
“ Dove andremo a finire…” balbettava a mezza voce, mentre Hank guardava le fiamme uscire dai fiumi di lava, gente che aveva la faccia ricoperta di sangue che chiacchierava amabilmente con tutti, tutti che avevano lunghe code da mostrare, code di diavolo.
La guida si fermò davanti ad una grotta di pietra, e informò Hank che quella sarebbe stata la sua “stanza”, poi gli disse di fare amicizia con i vicini e se ne andò.
Hank esplorò la sua nuova dimora privo di interesse, ma allo stesso tempo felice di trovarsi lì.
A un certo punto, il suo vicino di destra lo venne a trovare.
“ Salve, vicino!”
Hank pensava che fosse uno scherzo; di certo, se gli fosse successo in vita, non ci avrebbe mai creduto.
Charles Manson in persona stava entrando nella sua piccola grotta, ancora giovane, ancora con il suo antico sorriso ben stampato sulle labbra.
“ Come andiamo, eh? Io sono Charlie, sono qui destra!” gli disse sempre sorridendo, assestandogli una sonora pacca sulla spalla che fece rabbrividire il povero Hank.
“ S-salve, signor Manson…” balbettò alla fine, più per paura che per non sembrare maleducato.
“ Chiamalo solo Charlie, altrimenti si offende” disse una voce fuori campo, che Hank non riusciva a identificare.
Dall’entrata della grotta fece la sua comparsa Earl Nelson, il famoso Killer Gorilla, con una sigaretta in bocca.
Charlie gli sorrise, e l’ altro tirò una boccata, passò la sigaretta nella mano sinistra e stese la destra verso Hank.
“ Earl Nelson, piacere” disse con voce profonda, quasi cavernosa.
Hank gliela strinse subito, senza pensarci.
“ Dunque, tu chi sei, amico?” chiese Manson, prendendo di mano la sigaretta a Nelson e tirando a sua volta una boccata.
“ Mi chiamo Hank, Hank La Gatta, vengo da Long Island” rispose Hank, accennando un sorriso malizioso.
“ Bene, bene… che facevi di bello a New York, caro il mio Hank La Gatta?”
“ Vendevo i giornali”.
Manson smise di fumare, e Nelson fissò Hank senza sbattere gli occhi per un minuto buono.
“ … e basta?” chiese quest’ultimo.
“ Niente omicidi, furti, suicidi, stupri… ?” chiese Manson stranito.
“ No, niente…” rispose timidamente Hank, vergognandosi un po’.
“ Nemmeno spaccio?” riprovò, quasi piangendo.
“ Uno non ha bisogno di aver compiuto un’ azione per venire qui, Charlie. Basta anche solo che l’ abbia pensata intensamente per molto tempo”.
Questa volta non era stato Earl a parlare, non era stato Hank e nemmeno Charlie (sennò la cosa non avrebbe avuto senso).
Un signore stava facendo il suo ingresso nell’antro; era molto alto, con dita molto lunghe e un mantello nero che non permetteva la visione dei suoi piedi, ma dal rumore che producevano i suoi passi Hank indovinò che fossero zoccoli.
Di capra, precisamente.
Dalla testa vedeva spuntare ciuffi arruffati di capelli e due piccole corna, ma al buio non si vedevano bene.
“ Lo so, papà” rispose Manson, rivolgendosi al nuovo arrivato.
“ C’è poca luce, qui” si lamentò questo, che batté le mani e accese un piccolo falò in una rientranza delle “pareti”.
Anche lui aveva la faccia coperta di sangue, però non aveva piedi, bensì zampe di capra.
“ Bene, Hank, così tu sei il nuovo arrivato”. Aveva una voce suadente, persuasiva.
Hank gli porse la mano con rispetto, abbassando gli occhi.
Satana la accettò e gliela strinse calorosamente, poi rivolse lo sguardo nuovamente a Manson.
Durante il contatto, Hank aveva avvertito tutta la potenza del Diavolo, e non voleva più lasciare quella mano che di umano non aveva niente.
“ Ho visto che hai già conosciuto i tuoi vicini” e cinse Charles per una spalla.
Hank annuì, ancora memore della splendida sensazione che l’aveva pervaso.
“ Però noi vogliamo sapere perché è qui, papà” disse Manson.
“ Come sei curioso” rispose Satana, che intanto aveva spostato di nuovo lo sguardo su Hank.
“ Vedi,” continuò “ Hank è cresciuto con suo padre perché sua madre, essendo stata una squillo, è morta presto di AIDS. Hank non gliel’ha mai perdonato, ed ha sempre fatto pensieri malvagi e perversi sia su sua madre sia sulle colleghe. Dico bene o dico giusto, Hank?”
Il giornalaio era sbalordito: Satana sapeva tutto.
Ehi, dopotutto era Satana!
Nelson iniziò a ridere, e Manson e suo “padre” lo seguirono a ruota.
“ Satana può leggere la mente di chi si trova nella stessa stanza insieme con lui” spiegò Nelson asciugandosi le lacrime.
“ Io lo sapevo, sapevo che un pizzichino di male ce l’ avevi anche tu!” ripeteva Manson liberandosi dalla stretta del padre e abbracciando Hank, che era ancora in parte sconvolto.
“ Bene, figliolo, basta così” l’ ammonì Satana “ lasciatelo riposare, è ancora abbastanza stanco. Bene, ci vediamo stasera alle sette e trenta per la cena”.
Detto questo, i tre personaggi uscirono dalla grotta, lasciando Hank solo e sconsolato a riflettere su quanto gli era accaduto.
Aveva conosciuto (e fatto anche amicizia!) con due dei più spietati killer di tutti i tempi e con Satana.
Non male, come prima mezz’oretta all’Inferno.
Ebbe il tempo di esplorare il suo piccolo antro, prima della cena: in realtà non era piccolo, e conteneva un armadio bello spazioso, un posticino per il focolare (dove lo aveva acceso Satana in persona), un letto grande e un bagno (potrebbe sembrare strano, eppure i sistemi di vita di Inferno e Paradiso erano gli stessi di quelli di oggi).
Alle sette e venticinque Charles Manson e Earl Nelson passarono a prendere Hank e lo portarono a cena; loro avevano i posti considerati ‘privilegiati’, dato che sedevano vicino a Satana, all’ inizio della tavolata.
Il tavolo dei pasti era un’ unica tavolata enorme, dove tutti i ‘membri’ dell’ Inferno sedevano tutti insieme per consumare colazione, pranzo, cena e spuntini.
Prima che arrivassero le portate, Satana estrasse da sotto la tavola un lunga frusta che fece schioccare nell’ aria, senza però colpire nessuno.
Una volta che tutti fecero silenzio, si alzò nella sua mole imponente e disse:
“ Bene, amici. Oggi abbiamo un nuovo membro eccezionale. Vi invito a dare il benvenuto a Hank La Gatta, che ha rinunciato a quegli snob del Paradiso per stare qui con noi!”.
Hank venne accolto da uno scroscio di applausi, grida d’ approvazione e qualche risata che lo fecero rabbrividire.
Dopo i convenevoli, Satana diede inizio al banchetto e fece portare i primi piatti.
Hank mangiò tanto e di gusto, chiacchierando piacevolmente con i suoi nuovi amici.
Alla fine del pasto, il Diavolo si alzò e, allargando le braccia, congedò i suoi sudditi: “ Buona serata, amici carissimi. Buona notte!”.
Tutti si alzarono, e il giornalaio e Nelson decisero di giocarsi una partita a poker mentre Manson passava la serata col “suo genitore”.
Le cose procedettero in questo modo per molti mesi, finché l’ amicizia tra Hank, Nelson e Manson non fu del tutto instaurata e approfondita.
Una sera, mentre Charlie era da suo padre, Hank decise di intraprendere un discorso con Earl che maturava circa dal suo primo giorno di permanenza.
“ Senti Earl, ma tu che ne pensi di…” disse, indicando fuori della grotta.
Earl capì al volo, e decise di esprimersi dicendo la verità.
“ Mah, è strano e lo sai. Non mi sento di dire che per lui mi butterei nel fuoco, anche se non posso più morire, però comunque di un tipo così non mi fiderei”.
“ Perché lo chiama ‘papà’?”
“ Non lo sa nessuno. Si sa che, quando Charlie è arrivato qui, lui era fuori dalla porta ad aspettarlo, e quando l’ ha visto ha allargato le braccia e gli ha detto ‘vieni, figlio mio’. Ma non si sa perché. Penso che sia per il fatto che Charlie ha sempre detto di essere sia la sua sia la reincarnazione di Gesù.”
“ Cavolo…”
“ Puoi dirlo. Pensa che, se litigano, Charlie si va a prendere una o due squillo e fa casino tutta la notte”
Hank sogghignò: aveva imparato a conoscere Charlie, e sapeva che ogni tanto, la notte, gli piaceva divertirsi.
Però non sopportava il fatto che suo padre avesse così tanto potere nelle sue mani, così tante persone che lo rispettassero e facessero tutto quello che lui avesse ordinato.
Questo non gli andava proprio giù.
“ Sai, certe volte non sopporto se fa venire direttamente papà a controllarci, e non sopporto che lui debba sempre dirmi come devo o non devo comportarmi…”
“ In che senso?”
“ Nel senso che l’ altra sera diciamo che mi stavo divertendo un po’ con un’ amica, ed è arrivato il Grande Capo a dirmi di smetterla. Ma qui non eravamo forse all’ Inferno? Mah.”
Hank non sapeva cosa rispondere.
Per la verità, Hank aveva un piano, ma sapeva che non bastava quel singolo episodio per far passare dalla sua parte Earl.
Il tempo passava, e scorreva lento e inesorabile; non per niente, siamo sempre all’ Inferno, signori miei.
Hank aspettava, fiducioso e trepidante, dormiva con un occhio aperto come dicevano i Metallica in quella vecchia canzone, Enter Sandman.
Però non succedeva niente; Satana continuava ad essere strano, Earl si scaldava un po’ di più mentre raccontava le sue piccole bisticciate col padrone di casa, Charlie ci andava sempre meno.
Ma non bastava, anche perché Charlie non si sarebbe mai rivoltato, non contro suo padre, non contro di lui.
Una mattina un messaggero venne a svegliare Hank di buon’ ora, perché fuori dalla Porta c’era qualcuno che chiedeva di lui.
Hank si era presentato all’ improvviso appuntamento un po’ assonnato, e non capì subito chi fosse il suo misterioso interlocutore.
Portava un mantello lungo e nero, con un cappuccio troppo grande per la sua testa, che lo avvolgeva completamente.
Parlava lentamente, sussurrando, quasi impercettibilmente perfino per sé stesso.
-        Salve, Hank –sibilò debolmente- Che piacere fare la tua conoscenza, finalmente.
-        Chi sei?
Hank, stando all’ Inferno, una cosa l’ aveva imparata: stai sempre sul chi vive, perché non sai mai con chi ti stai rapportando.
Ma questo, ovviamente, il suo misterioso interlocutore lo sapeva.
-        Non importa. Si parla molto di te, in giro. Sai, le voci corrono…
-        Cosa vuoi?
-        Hank,- sussurrò ancor più piano l’ uomo, chinandosi leggermente- tu sei un brav’ uomo. Tu non dovevi stare qui. Cioè, ci dovevi stare, però sei dalla nostra parte, anche se non ne sei consapevole.
-        Come?- Hank non capiva. Non solo perché quel curioso personaggio parlava troppo piano, ma anche perché i suoi discorsi erano privi di senso.
-        Hank, noi sappiamo che vuoi essere l’ unico.
Il giornalaio di Long Island rimase in silenzio, anche se il suo cuore, rimasto fermo per molto tempo da quando era arrivato, palpitava senza sosta.
- Coraggio, Hank. Lo sai anche tu che da solo con Earl non ce la puoi fare.
Hank sudava, mentre strani brividi lo scuotevano di tanto in tanto.
L’ eccitazione stava crescendo in lui, la voglia di competizione, di vittoria, di provare.
-        A cosa vuoi arrivare?- chiese, sempre un po’ titubante.
-        Noi possiamo aiutarti, Hank. Abbiamo eserciti potenti, pronti a vendere l’ anima, scusa l’ espressione, pur di vedere quell’ abominio morto.
-        E io?
-        Tu guidi la guerra, Hank. Tu comandi, scegli chi vive e chi muore. Tu prendi la gloria.
Hank sentì il brivido d’ eccitazione continuare a pervaderlo e espandersi, il fuoco della voglia di gloria divampava senza speranza di essere sopito in alcun modo.
-        Come?- chiese alla fine, cercando di modulare la voce.
-        Un unico attacco, potente, enorme. Domani notte. Porta dalla tua parte chi puoi. Domani mattina presto, davanti alla Porta, non ci faremo problemi a sfondarla. Alle sei in punto.
-        Bene. A domani.
Hank attese che il suo nuovo amico se ne andasse, perché, benché stesse organizzando una rivolta con lui, non si fidava di nessuno, spesso e volentieri nemmeno di Earl e Charles.
Colpì sei volte la Porta, e gli fu chiesto di pronunciare la parola d’ ordine.
“Lucifer regnat, Lucifer comandat” disse distrattamente Hank, senza pensare troppo a quel che diceva: “Lucifero regna, Lucifero comanda”.
Con le mani in tasca, un’ aria indifferente e gli occhi vispi che si guardavano attorno, Hank La Gatta giunse alla grotta del suo grande amico, nonché sostenitore, Earl Nelson.
Earl stava leggendo (incredibile ma vero) un libro placidamente abbandonato sulla poltrona mezza rotta che era testimone di quanto quest’ uomo fosse particolare, quando la presenza improvvisa di Hank nel suo soggiorno lo fece trasalire.
-        Cos’è, bussare è già passato di moda?- disse il killer Gorilla, mentre si destava dalla poltrona rassettandosi un po’.
-        Ascoltami, Earl. Non ho tempo per i convenevoli, ok? Ho per le mani roba grossa.
-        Cioè?
Earl si era interessato alla conversazione di botto, rimettendo a posto il libro e invitando il vicino a sedersi.
Il giornalaio gli spiegò per filo e per segno quel che era accaduto all’entrata dell’Inferno, senza tralasciare alcun particolare.
Nelson non era convinto, per niente.
Continuava a fissare Hank, per capire se stesse scherzando o gli stesse chiedendo sul serio di allearsi a lui contro Satana.
-        Tu devi essere pazzo,- concluse- se pensi che riusciremo a vincere contro di Lui. Pazzo davvero.
-        Lo so che sono pazzo, Earl. Ma so anche che ce la possiamo fare. Credi forse che, quando tutti vedranno che le nostre forze sono superiori, gli daranno una mano? No, diamine, no! Passeranno dalla nostra parte, amico. Tutti quanti.
-        Non può morire, come non possiamo né io, né tu. Siamo all’ Inferno, l’ hai dimenticato? Siamo già morti, Hank, non possiamo morire ancora.
-        Forse. Io so che c’è una specie di Limbo, un posto dove le anime dei ‘non morti’ o comunque quelli che non possono accedere a nessuno dei due Regni rimane per sempre. È lì che andrà, presumo, insieme a tutti quelli che non ce la faranno.
Earl non ne era sicuro, perché lui, di quel ‘Limbo’, non ne aveva mai sentito parlare.
Se fossero state tutte balle, se Satana li avesse scoperti e trucidati per poi mangiarli?
Da una parte, l’ Inferno era una bella fetta da prendere, che faceva gola anche al più schizzinoso dei critici culinari.
Dunque? Che cosa scegli, Nelson? Morte certa o rischio di gloria?
-        Alle sei, hai detto?
-        In punto, caro Earl.
-        Vado a radunare un po’ di amici, allora- disse lui, dirigendosi verso la porta- una bella rissa piace a tutti.
Hank sorrise e avvertì un senso di pace interiore che non aveva mai provato dalla morte di suo padre.
Era una sensazione fantastica, che difficilmente avrebbe disprezzato, come ultimamente faceva con tutte le altre.
Avrebbe voluto che suo padre fosse vicino a lui, che lo vedesse, lui, il futuro padrone dell’ Inferno.
Probabilmente non sarebbe stato molto contento di vederlo proprio dove stava sua madre, però… sua madre!
Sua madre era all’ Inferno, ci stava marcendo da tanti anni, e chissà in quanti si erano fatti un giro di giostra con lei.
Pff, che gliene importava a lui se finiva nel Limbo insieme a Lucifero? Niente. Proprio un bel niente.
Doveva andare a dormire, perché la mattina successiva sarebbe stata una mattina di furore.
Hank dormì e dormì, così tanto che non sapeva nemmeno che giorno o che ore fossero quando si era svegliato.
Earl, anche lui, aveva dormito a lungo e bene, senza preoccuparsi del giorno o delle ore, e così tutti quelli che stavano per rivoltarsi contro Satana.
Charlie giudicava questo comportamento strano, molto strano, ma non poteva mica sospettare una simile congiura.
Alle sei meno dieci della mattina dopo, Hank uscì dalla sua grotta dirigendosi verso la Porta con fare disinvolto, felice come un bambino il giorno di Natale sotto ad un abete stracolmo di pacchetti.
Earl e i suoi amici, che erano davvero parecchi, si trovavano già alla Porta, e chiacchieravano a bassa voce su quel che stava per accadere.
Il tempo scorreva abbastanza lento per i gusti di Hank ed Earl, che speravano vivamente che Satana rimanesse a letto per un altro po’.
Ma avevano fatto male i loro conti; Satana sbucò dalla stradicciola sterrata furente, sbraitando a tutti coloro che erano davanti alla Porta e chiedendo spiegazioni.
Hank, intanto, senza farsi vedere era scivolato in fondo, appiccicato all’ entrata, e aspettava di sentire un leggero bussare dall’ altra parte, che non tardò molto ad arrivare.
Hank aprì la Porta con l’ aiuto di qualche compagno, e i complici entrarono scatenando l’ Apocalisse.
Avevano un sacco di armi, spade, fucili a doppia canna, petardi, fumogeni e quant’ altro bastasse per un attacco di sorpresa con i fiocchi.
La guerra (per definirla con parole molto deboli in confronto a quel che successe davvero) era cominciata alle sei in punto, e già alle sei e un quarto l’ Inferno aveva dimezzato il numero di inquilini.
Ma Satana, lui non era stato ancora preso.
Lui era l’ osso duro, quello che avrebbe fatto finire tutto.
L’ offensiva della banda di Hank La Gatta, detto Hank il Giornalaio, era stata potente, ma non aveva fatto prendere i pesci grossi.
C’ erano corpi sparsi dappertutto, teste mozzate, arti mutilati, grida d’ odio e di dolore eccheggiavano un po’ ovunque, ma del Diavolo nemmeno l’ ombra da inseguire.
Hank correva come un matto, di qua e di là, per trovarlo: non era da Charlie (che, come suo padre, era introvabile), non era nella sua casa, non era fra i corpi morti.
Hank poi, ricapitolando tutti i passaggi della sua offensiva, ritornò alla Porta dove vide padre e figlio cercare di svignarsela.
Prontamente, afferrò un paio di compagni che l’ avevano aiutato precedentemente e sbarrarono la strada alla famigliola.
-        Levati, Hank –disse il Diavolo, parandosi davanti al figlio- ti stai cacciando in un affare ben più grosso di te.
Hank osservò bene l’ essere demoniaco, poi cercò di scorgere Charles, che si teneva ben protetto dietro al suo genitore.
-        Per tutta la mia vita- disse il giornalaio di Long Island –sono stato messo da parte. Come credi che sia non avere nessun amico, nessuna famiglia, nessuno che sappia preoccuparsi per te? Tu sei Satana, hai tutto, ma non hai combattuto per averlo. Io invece sì.
Satana, però, non amava molto i discorsi strappalacrime, né le persone che assillavano le altre con i propri problemi senza che loro glieli avessero chiesti. Non era nella sua natura.
Abilmente, con un unico salto, squarciò la gola di Hank La Gatta, detto Hank il Giornalaio, che veniva da Long Island, New York, e che aveva avuto uno dei migliori funerali che la sua città avesse potuto offrirgli.
La morte di Hank aveva significato la fine della rivolta, che aveva causato molte perdite da entrambe le parti.
Nessun vincitore e nessuno sconfitto, ribadirono quelli dalla parte di Hank, mentre gli altri affermavano con certezza che Satana, non essendo morto, aveva vinto a tutti gli effetti.
Alla fin fine, Hank fu costretto a passare l’ eternità nel Limbo, in mezzo a tanta gente che era morta nella sua offensiva e che voleva a tutti i costi una vendetta.
Vedete, nel Limbo non si può morire di nuovo, ma puoi sempre fare molto male ai tuoi compagni, cosa che accadde a Hank dal primo secondo in cui era arrivato.
Per quanto riguarda l’Inferno, Satana riprese il comando punendo tutti coloro che avevano lottato contro di lui con persecuzione eterna dei diavoli suoi servi fedeli.
  
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