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Autore: Hayley Black    05/05/2013    4 recensioni
Agron porta dell'acqua a Nasir. Pensa di sapere che Spartacus si sia accorto che in realtà è solo una scusa per vedere le sue labbra distendersi in un sorriso che scopre i denti bianchi da cane selvatico pronto a mordere ancora.
"“Sei il fottuto siriano più testardo che io abbia mai incontrato, omuncolo,” l’apostrofa, sarcastico. “E di siriani fottuti ne ho incontrati.”
“Se li hai fottuti tu, poveri loro!” esclama Nasir di rimando, stendendosi sulla brandina con un teatralissimo sbadiglio. “Ora, se non ti dispiace, vorrei riposare. Le mie membra sono stanche,” aggiunge, prima che Agron possa replicare.
Fottuto siriano. Con le forze che hai potresti metterti a ballare la danza della pioggia.
“Ma!” dice ancora, alzando un dito per dare enfasi alle proprie parole, “se al mio risveglio mi portassi dell’altra acqua mi faresti un gran bel piacere.”"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agron, Nasir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Acqua



"Come stai?”
“Guarisco in fretta, come hai detto tu."



I sotterranei del tempio sono pregni d’afa e umidità.
Agron percorre lentamente il corridoio dalle pareti di roccia, sollevando sbuffi di polvere a ogni passo. I muscoli guizzano sotto la pelle sudata, sono tesi, attenti, vigili, così come i suoi occhi che scattano e osservano da tutte le parti. E’ in ansia. Stringe tra le mani una brocca d’acqua, che a causa della sua agitazione è rimasta mezza vuota e ormai è quasi inutile; si è lasciato dietro una scia di gocce che sembrano ciottoli levigati sulla sabbia.
Svolta a destra. L’arco di roccia che si apre davanti a lui mostra una stanza arida, un rettangolo immerso nella penombra rischiarata appena dalle lampade sul pavimento: c’è solo una brandina improvvisata, occupata da un corpo immobile nascosto da una coperta strappata in più punti.
Agron riesce a sentire il suo respiro. Riesce a vedere il suo addome, coperto da quel rozzo ritaglio di stoffa, alzarsi e abbassarsi a lentezza esasperante; si avvicina, poggia la brocca d’acqua sul pavimento, e la stanza si riempie del tonfo sordo dell’argilla sulla polvere.
Il corpo sulla brandina si muove, un movimento leggero, così Agron riesce finalmente a vedere il suo viso; il viso di Nasir è pallido ed emaciato, gli occhi sono contornati da scuri aloni viola che sembrano scavati nella pelle. La sua fronte è imperlata da piccole gocce di sudore che risplendono alla luce flebile delle lampade.
Silenzio. Il respiro di Nasir, lento e pesante come quello di un moribondo, gli fa pensare quasi a un fischio sommesso; vorrebbe sorridere al pensiero, ma non lo fa.
E’ stato il primo a sapere che Nasir è stato ferito durante la fuga dalle miniere; i superstiti di Spartacus sono arrivati al tempio decimati e stremati, con un ragazzo sulle spalle che sembrava più morto che vivo. Quando ha visto il suo corpo gracile coperto del suo stesso sangue si è sentito sprofondare il cuore nelle viscere. Un capitombolo, una caduta in picchiata senza fine, come se il mondo fosse terminato in quello stesso istante – e un po’ è stato così.  E un po’ si è affezionato a quel cagnetto selvatico che non riesce a stare al proprio posto. Un cagnetto che mostra i denti, dentini da cucciolo, non ancora abbastanza forte da mordere davvero.
Si accorge che Nasir lo sta osservando, e sostiene il suo sguardo.
“Ti ho portato dell’acqua,” dice, e afferra la brocca ai suoi piedi. Improvvisamente nota di non aver portato dei bicchieri, e si gratta la nuca con aria assorta. “Ma temo che dovrai tracannarla come si fa con il vino.”
Nasir sorride. Ha un bel sorriso, con quei dentini da cucciolo che brillano nella penombra, bianchi come le nuvole d’estate. La pelle pallida si tende sulle guance scavate, durante quel sorriso, e una ciocca di capelli neri gli ricade sulla spalla mentre cerca di mettersi a sedere.
“No,” gli ordina Agron, e fa un passo avanti per fargli capire di rimettersi giù. “Non devi sforzarti.”
Nasir lo ignora e si mette a sedere, cercando invano di dissimulare una smorfia di dolore; è a riposo da soltanto un giorno ed è così caparbio e stupido da dimenarsi in quel modo. Gli strappa la brocca d’acqua dalle mani e beve come se la sua gola non l’assaporasse da mesi e mesi, tanto che qualche goccia solitaria gli cola lungo il mento e gocciola sulla coperta che ormai lo lascia quasi completamente scoperto. Le bende che gli fasciano l’addome sono macchiate di sangue nel punto in cui la spada del soldato romano l’ha ferito.
Quando smette di bere, Nasir si asciuga le labbra con il palmo della mano e lo osserva con i suoi occhi grandi che fremono di un’antica ribellione che Agron ha visto soltanto in uomini che non avevano nient’altro da perdere.
“Grazie,” dice, e scopre i denti in un sorriso scarno. Si guarda la ferita sul fianco sinistro e la sfiora con dita tremanti. “E’ un miracolo che io sia vivo, non trovi?”
“Guarisci in fretta.”
Agron prende la brocca d’acqua e si congeda, promettendo di tornare al più presto. Nasir si ristende sulla brandina, le coperte cadono sul pavimento e il leggero spostamento d’aria spegne alcune delle candele lì vicino.
I passi del germano si perdono nel suono del suo respiro.
 

***

 
Il giorno dopo Agron torna da Nasir con una brocca d’acqua più piena della volta precedente. Si è incaricato di portargli l’acqua quasi ogni ora, mentre Spartacus e gli altri gladiatori studiano piani d’attacco e rinforzano il perimetro del tempio ai piedi del Vesuvio. Il Trace non ha fatto domande, e forse è stato meglio così.
Alla luce fioca delle candele, il volto di Nasir ha già ripreso colore; le ombre violacee sotto gli occhi si sono affievolite, le labbra non sono secche e aride come la sabbia dei deserti siriani, e Lucio gli ha confidato che la ferita si sta risanando a velocità disarmante. “Merito dei miei unguenti,” ha detto, con la solita aria burbera e scorbutica. E’ ancora diffidente nei loro riguardi, Agron lo sa, così come sa che Spartacus se n’è accorto e cercherà di fargli cambiare idea. Molto probabilmente ci riuscirà anche.
“Stavolta c’è qualche goccia in più,” annuncia a Nasir, seduto con la schiena curva sulla sua brandina. Gli porge la brocca d’acqua e lo guarda bere, assetato, il torace che si dilata e si restringe accompagnando il suo respiro grave.
“E’ calda,” commenta Nasir, restituendogli la brocca con una mano mentre con l’altra si asciuga la bocca.
“Accontentati, omuncolo,” ribatte Agron, studiandogli il viso stanco. “Come stai?” gli chiede.
E’ la prima volta che gli chiede come sta. L’ha fatto d’impulso, la domanda gli è sorta spontanea dalle labbra dopo essere stata bloccata in gola per tutto quel tempo; ha dato corpo alle sue preoccupazioni, alla preoccupazione che non potesse farcela, un bambino come lui che non riesce neanche a tenere in mano una spada senza che si ingobbisca come uno storpio. E’ un miracolo che sia ancora vivo – deve ringraziare gli dei o gli unguenti di Lucio?
“Guarisco in fretta, come hai detto tu,” risponde, con un sorriso che Agron non riesce a decifrargli. I denti bianchi scintillano alla luce delle candele, ricalcando la somiglianza con un cucciolo di cane chiuso in gabbia che non vede l’ora di uscire. Nasir è impaziente di guarire e tornare sul campo di battaglia, Agron lo sa, glielo legge negli occhi, quegli occhi grandi e scuri che sembrano nascondere chissà quanti segreti. Ha improvvisamente voglia di scoprirli tutti, improvvisamente voglia che si rivelino a lui uno dopo l’altro, con lentezza, così come lui sta entrando nella sua vita un passo alla volta.
“Sei il fottuto siriano più testardo che io abbia mai incontrato, omuncolo,” l’apostrofa, sarcastico. “E di siriani fottuti ne ho incontrati.”
“Se li hai fottuti tu, poveri loro!” esclama Nasir di rimando, stendendosi sulla brandina con un teatralissimo sbadiglio. “Ora, se non ti dispiace, vorrei riposare. Le mie membra sono stanche,” aggiunge, prima che Agron possa replicare.
Fottuto siriano. Con le forze che hai potresti metterti a ballare la danza della pioggia.
“Ma!” dice ancora, alzando un dito per dare enfasi alle proprie parole, “se al mio risveglio mi portassi dell’altra acqua mi faresti un gran bel piacere.”
“Mi stai chiedendo di tornare, testardo di un omuncolo?” Agron sorride, sapendo di aver toccato un tasto dolente.
Nasir, con l’altra metà del viso nell’ombra, inarca le sopracciglia e gli restituisce il sorriso. Sarcastico. Il sorriso di un fottuto siriano che sa di aver vinto un duello; ma sarà il primo e l’ultimo, Agron ne è certo.
Vorrebbe congedarsi rispondendogli a tono, come è solito fare, ma semplicemente va via accompagnato dal respiro di Nasir, che ora sembra essere tornato regolare.
Avrebbe mandato qualcun altro, a portargli dell’altra acqua. E gli avrebbe insegnato che contro di lui non può vincere.


Il deserto del Nevada, pt 2.
Ah, rieccomi nel fandom di Spartacus. Avevo incredibilmente voglia di scrivere qualcosina sul mio OTP, una delle coppie più belle che io abbia mai incontrato in libri, film, manga, anime, telefilm e così vvvvvia. Non sono adorabili? Troppppisssssimissimissimo. Li amo.
Insomma, Nasir è un cucciolo di cane selvatico che non sa mai quando e come mordersi la lingua, e ciò lo rende tenerissimo. E' perfetto per Agron, che finalmente ha una persona che può rispondergli a tono. 
Dato che devo andare a passare l'aspirapolvere prima che torni mamma, e ho le ore contate, non posso dilungarmi sulla bellezza del Nagron. Ho tante storie in mente per loro due e spero di riuscire a pubblicare qualcos'altro prima della fine della scuola.
BYYY THEEE WAAAAY, la storia è ambientata su per giù verso la fine del quarto episodio, Empty Hands, dopo che Nasir - ovviamente - è stato ferito durante la fuga dalle miniere. Ma penso che l'abbiate capito. La frase in corsivo, ripresa anche nel corso della shot, è di Erri de Luca, grande uomo. Mi ha ispirato subito, appena l'ho letta, questa storia. Era già tutto nella mia mente, dovevo solo scrivere. Beh, che posso dirvi, spero che vi sia piaciuta. Non ha pretese, non vuole mandare un messaggio di solidarietà e di pace al mondo intero, non ha messaggi subliminali. Tranne per la frase nella parte finale della storia, quella in cui Agron parla dei segreti negli occhi di Nasir, che è un rimando alla mia 'bury all your secrets in my skin". Che birichina che sono. 
Mia mamma è tornata, quindi sono fottuta.
Alla prossima!
   
 
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