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Autore: SanaToadstool    05/05/2013    3 recensioni
Derek Hale era stato lontano per troppo tempo da Beacon Hills, ma scelse comunque di ritornarci per un motivo. Non avrebbe mai immaginato che quello stesso motivo sarebbe diventato anche la ragione più valida per imparare a vivere, e per ritornare ad amare.
[Dal 4° capitolo:]
Certo, Derek non avrebbe indugiato nel fargli visita a lavoro, ma, come giusto che sia, ha sempre nutrito rispetto per il suo lavoro, che comporta importanti responsabilità e poche distrazioni. Ma iniziava a sentire la tensione scorrergli nelle vene, l’ansia e la sofferenza sotto forma di pensieri ingarbugliati e frastornanti sovraffollavano la sua mente, e per ultimo, ma non meno importante, una sensazione di impazienza divorava la capacità di distrarsi dal motivo della sua complessiva agitazione: l’assenza di chiarimenti, di parole o di litigi, di confessioni e di verità; l’assenza di mezzi e momenti per poter fare tutto questo; l’assenza di Stiles. Questo flusso di scoperte che avveniva in lui non si fermava, approfondiva sempre più una faccenda che era già troppo chiara, e non serviva strapazzarsi i capelli con le mani, accovacciato a terra con i gomiti poggiati sulle ginocchia, perché non sarebbe cambiata: a Derek mancava Stiles.
[STEREK]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#Invito

Era l’alba, un lupo si aggirava nella foresta. Correva veloce e instancabile nello stesso sentiero che la notte precedente percorse, al fine di raggiungere quel posto particolare che mescolava ancora dolore e piacere, che figurava l’unico rifugio plausibile in un mondo di inganni.  Adesso che c’era più luce poté riconoscere meglio i colori di quei nastri attorno alla sua tenuta, giallo e nero, che, secondo le menti geniali del dipartimento federale, sarebbero dei veri e propri limiti di accesso al posto confiscato. Onestamente, non era molto difficile scavalcarli, scivolarci sotto (i bambini non ne avrebbero avuto bisogno) oppure tagliarli coi suoi artigli.
«Hei ragazzo, che diamine fai? Non hai letto il cartello?» strepitò un individuo in divisa da lontano, non appena scese dalla sua auto. Gesticolava, indicava il cartello; mosse qualche passo verso il licantropo.  «Questa è casa mia!» rispose Derek, sbigottito, allargando le braccia. A Beacon Hills ogni volta che ebbe a che fare con la polizia ottenne solo sconforti, brutte notizie e torti, infatti, avvicinandosi all’agente, notò che questi era proprio colui che, tanto tempo fa, lo aveva arrestato per accusa d’omicidio della sua stessa sorella, insieme allo sceriffo Stilinski. Si chiese come potesse essere ancora vivo. Fu un buco nell’acqua.
«Quindi lo sceriffo le ha parlato della casa?» alluse all’incarico di cui Stiles aveva deciso di occuparsi. Gli diede una pacca sulla spalla, con fare compassionevole. Derek era confuso: non sapeva se avesse perso l’abitudine, oppure se le persone che soggiornavano nella contea fossero lievemente uscite fuori di testa. Altro che dispiaceri.

«Quindi ora sei lo sceriffo.»
«Già. E’ un lavoro che ripaga, in tutti i sensi. Mi passi il sale?»
Davvero non c’era niente di meglio che passare il sabato sera con una vecchia conoscenza? Stiles aveva preso una decisione, si era dato da fare, inspiegabilmente, per rendere quel momento perfetto, accomodante  e piacevole per l’ospite e per sembrare il più disinvolto possibile. Aveva sempre nutrito un certo timore nei suoi confronti: quando era più piccolo e ne combinava una delle sue veniva sempre sbriciolato verbalmente da lui... Poi ribatteva e si avviavano così i loro soliti battibecchi campati in aria. Aveva improvvisato in poche ore una cenetta coi fiocchi, gongolandosi delle sue eccellenti capacità culinarie; aveva organizzato tutto – prendendosi persino qualche ora libera dal lavoro – in modo che l’altro si sentisse a suo agio, nonostante fosse stato via da Beacon Hills per molto tempo e ci avesse “litigato” durante la stessa giornata, quando lo rivide dopo tutti quegli anni. A questo proposito, inizialmente, aveva pianificato un incontro pacifico, organizzato dopo una telefonata altresì tranquilla, in un luogo meno probabile della centrale di polizia. Eppure quel giorno, proprio quando aveva bisogno di trovarlo, spuntò da solo dal nulla, come se il karma avesse agito di conseguenza. Ma in ogni caso, ciò non avrebbe giustificato l’impegno devoto impiegato per accoglierlo a braccia aperte. Non se ne accorgeva nemmeno di quanta dedizione ci stesse mettendo per qualcuno con cui non è mai uscito a bere qualcosa e che probabilmente non sapesse nemmeno che il suo vero nome non è Stiles.

Il poliziotto, la stessa mattina, lo aveva accompagnato alla centrale in auto, cosicché potesse accordarsi per il destino scontato della casa con il suo superiore. Si limitò a esporre la situazione in generale, e poi, dato che gli fu richiesto, anche ciò che era successo negli ultimi anni in città.
Entrati nell’edificio, l’agente gli fece strada fino all’ufficio dello sceriffo. La porta era aperta tutta, all’interno si notava un’immane confusione: fogli sul pavimento; cassettiere sottosopra; stracci sulla scrivania o appesi agli spigoli dei quadri novecenteschi fissati alle pareti; la sedia era rovesciata a terra... Derek vi entrò, poiché l’altro lo lasciò procedere da solo, ma non c’era nessuna traccia di carne umana e distintivo in tutto quel disordine. L’ufficio era enorme, da un lato scorse un’ulteriore porta, anche essa spalancata. Non dico che anche attraverso quella si notasse scompiglio, ma Derek trasecolò vedendo che l’ufficio dello sceriffo fosse così caotico. Improvvisamente uscì da quella porta un uomo, con un pantalone scuro e una magliadi un fondo a maniche lunghe del medesimo colore, che, frettoloso, si prodigava maldestramente nel cercare qualcosa nei cassetti della scrivania. Poi alzò il volto, ritornò in posizione retta e Derek piombò verso di lui. Sbraitò, battendo le mani sulla scrivania: «Mi spieghi che diavolo stai combinando?».
«...Capiti giusto a tiro! Qualunque cosa ti abbiano detto non è vera: io non ho autorizzato nessuna demolizione, infatti la casa è ancora in piedi... Cioè, per quello che ne resta. In ogni caso fa’ conto che quei nastri siano delle decorazioni, sai, come quelli a pois; immagina che siano a pois, invece che a strisce» spiegò Stiles, perdendosi nelle sue solite chiacchiere, tutto d’un fiato, e riprendendosi subito dalla sorpresa per aver visto proprio lui, Derek Hale, dopo tanti anni, a pochi centimetri dal suo viso, con un insolito sguardo confuso.
«Io mi riferivo al casino che c’è in questa camera, Stiles»
«Oh. Come ti vanno le cose?».
Trascorsero tutta la mattinata a discutere veementemente sulla questione della casa, e così, nel trambusto delle loro grida, trasportati dagli sfoghi interiori e dal pensiero di non aver litigato, o parlato, negli ultimi anni, alternavano il discorso iniziale a molti altri. Aveva del grottesco il modo in cui riuscissero a contraddirsi utilizzando come espedienti altri argomenti tanto diversi e banali, per poi riconnettersi al problema principale. Da una parte, in realtà, era quasi piacevole per entambi, mentre dall'altra avrebbero preferito parlare di cose più pacifiche. Stiles, sicuramente, sarebbe partito in quarta se non ci fosse stata la complicazione della casa, invece Derek aveva ancora qualche problema nell'esprimere serenamente e senza uno sguardo accigliato ciò che gli avrebbe davvero fatto piacere.
«Ma se volevi che questo non dovesse nemmeno accadere, allora, perché te ne sei andato?» obiettò Stiles, sventolando le mani per aria, dopo un’ennesima accusa «E’ una cosa palese: vai via: abbandoni casa tua: abbandoni tutto».
«In logica prenderesti A+, genio. Invece di fare domande, perché non vedi di risolvere?» replicò, come al solito, arrogantemente.
«E’ quello che sto facendo.»
«Perfetto» disse, voltandosi e uscendo dall’ufficio. Prima che potesse andar via, però, la voce di Stiles lo chiamò, facendo affidamento sull’udito sovrasviluppato del licantropo: «Hei, hei. Dove stai andando?».
Ritornò sulla soglia della porta, «a casa mia» sentenziò.
«Non puoi andare a casa tua! E’ comunque pericolosa, non è stata mai ristrutturata. Poi è tutta bruciata, ci saranno tanti animali, carichi di malattie, tanta polvere - pessima per chi soffre d'allergia - e un cattivo odore...»
«Non so se te ne sei accorto ma ci ho già vissuto, non mi è mai crollato nulla addosso e-»
«Non puoi! E’ passato più tempo ora» s’interruppe, sapendo che queste frasi così non avrebbero attaccato. Si decise, poi, a fare una richiesta, fatale: «Ascolta, che ne dici di venire a cena da me?».
E così fu.

L’intera mattinata la trascorse comunque in casa sua e anche girovagando per la contea. Si tormentò per esser tornato senza la sua auto (che non era più la vecchia e scintillante Camaro nera) perché sapeva che sarebbe stata la volta giusta per non andarsene mai più. Alle sette, poi, andò a casa di Stiles, come avevano fissato. Gli duoleva ammetterlo ma conosceva ancora la strada per arrivare a casa sua, anche se molte cose erano cambiate.
«Stiles, quel tizio» iniziò Derek, mentre masticava un altro pezzo della bistecca «che oggi mi ha portato da te... Io credo di conoscerlo».
Stiles sorrise. Il suo sorriso non aveva una tendenza univoca, era enigmatico nella sua fugacità, forte nei suoi significati, coinvolgente nel suo apparire; la sua carica comunicativa era ampia e profonda, sebbene gli angoli delle sue labbra fossero inarcati il minimo necessario per essere scorto e i suoi occhi fossero rivolti verso il basso, leggiadramente socchiusi. La frase e l’uomo a cui si riferiva erano pozzi di ricordi dissimili, di percezioni vivide ma contrapposte, che intricavano la natura spassosa, dal retrogusto malinconico, della sua espressione. Trovò così piacevole la riflessione di Derek sul sicuro approccio avvenuto con l’agente, giacché reminiscenza di un periodo specifico. Quel preciso momento lieto per Derek non fu. Per Stiles, che non aveva alcun tipo di esperienza sul come badare ai lupi mannari, era un periodo inconsueto, nuovo e faticoso, indi pericoloso per la sua incolumità. Tuttavia era anche semplice, poteva respirare un’aria diversa, ancora profumata. E, per la precisione, il momento in cui Derek fu condotto nell’auto e s’intrufolò per parlargli fu una risvolta, sotto ogni punto di vista.
Fu dura, però, scavare fra i ricordi più recenti, intuendo il fine del suo discorso. Il punto era che quell’uomo era ancora lì e Stiles aveva preso il vizio di guardarlo con degli occhi diversi, bisognosi di un affetto terminato troppo presto, negatogli da due colpi di pistola. Aveva meditato a lungo anche su questo, realizzò quanto fosse logorante circondarsi di memorie fatte di occhi limpidi, di pelle adulta e di uniforme.
«E’ quello che mi ha arrestato quando avete cercato di incastrarmi, tu e quell’idiota di Scott» enfatizzò Derek con un’insolita ironia, lasciandosi sfuggire anche lui un mezzo sorriso.
Stiles e Derek erano e sono diversi, per cui avevano due parametri differenti di protendersi al presente e al futuro. Ma lo stesso di rispecchiarsi nel passato, di ricordarlo e di sorridergli in quello stesso modo amaro, oppure in altri modi indegni di essere chiamati ‘sorriso’.
«Non è troppo vecchio per rimanere ancora in carica?»
«Ho scelto io di farlo continuare, lui ha accettato volentieri» confidò Stiles «Era una persona fidata di mio padre, col tempo l’ho conosciuto anche io ed è un brav’uomo».
Non era una discussione come questa lo scopo dell'attenzione riposta in quell'incontro, ma Stiles era bravo, era perspicace, aveva scoperto qualcosa di nuovo.
«Mi dispiace, per tuo padre.»
«Sei diventato troppo gentile e simpatico, sourwolf.»
Stiles e Derek erano due persone sole coi propri ricordi.





Ecco qui il capitolo dell'incontro! Ve lo aspettavate in modo diverso? Io dico di sì... :'D Lo prospettavo in modo diverso anche io, ma poi ho deciso di renderlo meno "impossibile" e più "probabile". Perché? Non lo so, l'ho scritto e basta. Oh, volevo anche utilizzare la parola "sourwolf" e, meccanicamente, mi ha procurato una nuova ispirazione, in quanto è il soprannome che Stiles gli diede molto tempo prima e che ha pronunciato di nuovo per rievocare il passato.
Come sempre, se trovate qualche errore che io non ho notato (.___.) fatemelo presente! E fatemi sapere che ne pensate, magari anche esponendomi come avreste immaginato il loro incontro. Ringrazio tutta la gentaglia che si aggiunge ancora alla lettura di questa cosetta qui e a presto!

   
 
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