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Autore: Lol_96    05/05/2013    3 recensioni
In un mondo dove ogni uomo è destinato ad ucciderne un' altro, come si può sopravvivere? E se qualcuno si ribellasse al vincolo di sangue imposto dalla società?
Sono io quel ragazzo. Sono io quello che rinuncia a tutto per combattere una società macchiata dal sangue dell'omicidio.
Io, un diciassettenne con la voglia di cambiare, un animo anticonformista pronto a combattere in quello in cui crede fino alla morte. E sarà cosi.
Finché qualcuno non metterà un punto a tutto questo odio io ci sarò, combatterò per i miei ideali.
Un ragazzo fuori posto il cui riflesso non piace a se stesso, figurarsi agli altri.
Un ragazzo un po' confuso da tutto quello che sta succedendo, che sta cercando il proprio posto.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Scrivo fin da quando ne ho memoria. E' l'unico modo per poter evadere da tutti i problemi che ho. Ho solo bisogno di essere ascoltato, magari anche giudicato se vi va. Lasciate pure un commento, per aiutarmi a crescere e per sapere come va nel complesso. E' la prima volta che pubblico un racconto originale, siate clementi :D
Grazie in anticipo a tutti.
-Matt

I
 
Forse io sono così. Forse sono una di quelle persone che non ha un posto nel mondo, o per lo meno vaga tutta la vita per trovarlo senza risultato … Sono una di quelle persone che si chiude in se stessa, che la notte si affaccia alla finestra e osserva il cielo immaginando come sarebbe se tutto fosse diverso. Sono una di quelle persone che se ha un libro ha in mano il mondo, il potere di cambiare la propria vita per quelle due ore di lettura al giorno. Una di quelle persone che se trova un libro vero, uno di quello che ha il tipico odore di carta vecchia  con qualche macchia d’inchiostro residua è felice. I libri sono ormai tutto il mio mondo, i miei amici.
 
Trovo fantastico il fatto che mi portino in un altro mondo, che mi facciano sentire a casa, a Hogwarts. Trovo terrificante che i pagliacci possano abitare nelle fogne, ma trovo anche magico un leone che parla con due figli d’Adamo e due figlie d’Eva. Trovo che tutto questo sia un po’ pericoloso, perché può succedere che ti allontani dalla realtà per finire nell’immaginario. Ma la mia realtà è il mio immaginario, non posso farci niente. 
 
Mi chiudo in me stesso, ascolto la pioggia ticchettare sul vetro chiedendomi se e quando arriverà la mia ora. Quando finalmente tutta questa sofferenza finirà. Chiudo gli occhi e tutto diventa nero come la pece, come quando sei in camera e spegni la luce. Quel tipo di nero che ti provoca il brivido di terrore che ti scende lungo la spina dorsale. Chiudo gli occhi e ascolto … Ascolto ciò che è e ciò che sarà. Quello che deve venire mi spaventa, ma mi spaventa ancora di più il presente. 
 
Due occhi color dell’oceano solcano il cielo cercando un indizio, un segnale. Scrutano ogni fessura fra le case, ogni spazio fra le foglie degli alberi. Chiedono aiuto silenziosamente. E questo silenzio mi terrorizza. Questi due zaffiri sono l’unica finestra sul mondo che ho, qualcosa per cui vengo veramente apprezzato. Ma mi conosco sul serio? So,per esempio, che odio le persone false? Sono consapevole del fatto che io stesso sono una persona falsa? Si,lo sono. Ma non per mia volontà… Le persone mi costringono ad esserlo,e questo mi trafigge come una spada ogni giorno. Se il mondo fosse più aperto, più libero, anche io lo sarei con lui. Ma non è così.
 
Un giorno mi chiesero chi io fossi. Ora come ora, non saprei ancora rispondere ma quello che dissi fu un semplice “Io sono io”. Non mi conosco abbastanza, ma forse questa cosa me ne renderà consapevole.
 
Una cosa la so. Sono un errore della società, sono quello che aggiusterà le cose. Sarò quello che non morirà invano, non morirà per far vivere qualcun altro. Spezzerò questa catena di sangue, perché la società non può decidere per me. Io non sono la società e lei non è me.
 
Un corpo presente di una mente assente, totalmente aggiungerei. Alzo gli occhi e lo specchio mi riflette, io sono lì ma non vorrei esserci. Vorrei essere diverso, anche se so che lo sono già. Alzo la felpa con la mano sinistra e con la destra massaggio la pancia. Di profilo sembro ancora più grasso, e l'unico pensiero che mi solca la mente è un che schifo. Mi ritrovo con una lacrima che mi scava la guancia ed in un raptus di follia, prendo una lametta da barba e incido la carne. Il rosso vivido del sangue,cola scendendo sull'ombelico giù fino ai jeans. Ora che la mia pancia è divisa da una linea di cremisi acceso sorrido, sconcertato. Quasi non ho il tempo di chiedermi come la mia mente possa pensare di poter fare una cosa simile che sono già per terra. Occhi vitrei spalancati al nulla inquadrano la mia immagine nello specchio, ricordandomi che non sopporto la vista del sangue. E da qui il buio.
 
Mi risveglio ore dopo,la testa che gira. L’odore acre del sangue mi intasa le narici, faccio fatica ad aprire gli occhi. Ancora 5 minuti mamma.
Mi passo una mano tra i capelli, ma non passa fluida come sempre.
Impigliata in questa selva blu,forzo e mi ritrovo in mano una ciocca di capelli. Si, ho fatto la pazzia di tingermi i capelli, non per il fatto di essere l’anticonformista di turno, ma perché io sono così. Io sono diverso.
Cerco di alzarmi ma la pancia mi fa male. Ora ricordo tutto. Ricordo come ho preso in mano la lametta,come quasi inconsciamente ho tagliato la mia stessa carne. Ricordo di come me ne sono subito pentito.
 
Ormai il sangue si è seccato, mi tiro in piedi a fatica e mi scruto nello specchio. Cos’ ho fatto?...
 
Questo sono io. 

——————————

Mi sveglio la notte, nel silenzio di tomba della mia camera. Scendo dal letto procedendo tastoni, apro la finestra e l’aria mi scompiglia i capelli. 
Siamo a marzo, ma l'unico pensiero che striscia nella mente è che fa caldo, terribilmente caldo. La brezza mi porta sollievo. Alzo gli occhi al cielo e mi rendo conto che il nero più totale ci avvolge,tutti.
Mi domando come sia possibile che neanche una stella brilli lassù. Si sono spente tutte? Ricordo come da piccoli, io e i miei fratelli, la sera correvamo sul prato dietro casa di mia nonna cercando di scappare da mio cugino e una volta finito tutto, ci sdraiavamo sull’ erba e scrutavamo la volta celeste. Cercavamo di unire immaginariamente tutti i puntini gialli formando una sorta di disegno che il più delle volta era senza senso. 
 
Mio cugino è morto, i miei fratelli anche.
 
Siamo nati con un nome inciso al polso, come un tatuaggio. Un marchio diabolico che ti costringe a far sgorgare sangue per vivere. La società si è evoluta in maniera talmente veloce che ora, nelle condizioni in cui siamo, i ricchi vivono e i poveri si uccidono tra di loro per avere un po’ più di aria da respirare. Perché manca anche quella. 
Se ti stessi chiedendo come sia possibile non avere più dell’aria da respirare, ti rispondo con una domanda.

Se prendi una bottiglia vuota,e la riempi di sabbia cosa ne rimane dell’aria che c'era all’interno?
 
Ecco,noi siamo tanti piccoli granelli di sabbia, l’uno schiacciato all’altro. Ogni tanto ti capita un pezzo di conchiglia,un sassolino… Quelli sono i ricconi,quelli che occupano aria senza usarla.
E noi ci ritroviamo a dormire con un coltello in mano, con le orecchie dritte pronte a percepire ogni suono ambiguo della notte. E devo ammettere che dopo diciotto anni di sonno, di suoni strani, terrificanti oserei dire, ne ho sentiti fin troppi. 

Ogni sera,torno su quel maledetto prato, quello che mi riporta alla mente ricordi  che vorrei cancellare. Mi siedo sotto il salice piangente e aspetto. Aspetto un segnale, una voce nella mia testa che mi dica di ritornare a casa, che mi dica che lì non ho più niente da fare se non piangere. E io non voglio più piangere. La lacrima è il simbolo dei nostri problemi, di quello che abbiamo dentro che vuole uscire. Una lacrima può contenere più di quello che si creda, ed io ormai ho buttato fuori tutto quello che avevo dentro.
 
Sono vuoto.
 
Ma vuoto al giorno d’oggi è bene, perché se non hai niente per cui lottare non hai niente da perdere. Puoi rischiare.
Ed è quello che voglio fare, rischiare intendo.
Mi alzo, passo una mano sul tronco del salice e sussurro due o tre parole per  ricordare chi prima mi era vicino ed ora non c’ è più.
Volto le spalle al simbolo dei miei ricordi e me ne vado. Là,sotto quell’albero, ho lasciato una parte di me che crescerà rigogliosa sotto lo sguardo protettore di chi mi veglia da lassù.
Vi voglio bene. 


 
 
  
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