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Autore: AngelOfSnow    06/05/2013    3 recensioni
Questa storia si è classificata 1° al contest "A Toxic Love - The Contest" indetto sul Forum di Efp
Il sole era alto in cielo, me lo ricordo perfettamente, gli uccelli non avevano ancora smesso di cinguettare e il vento carezzava gentilmente piante, animali e persone, rinfrescando volti e corpi dall’arsura estiva di Giugno, quindi... come ci sono finita qui un’altra volta?
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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 Questa storia si è classificata 1° al contest “A Toxic Love – The Contest” indetto sul Forum di EFP
( http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10557030&p=1 )  


Titolo: Insane.
Originale: Sezione Drammatico.
Tipologia:  One-Shot.
Lunghezza: 1039 ( titolo e specchietto esclusi )
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo.
Rating: Arancione.
Avvertimenti: Tematiche Delicate, Violenza, Contenuti Forti.

 
 

Insane.
 

 
 
Il sole era alto in cielo, me lo ricordo perfettamente, gli uccelli non avevano ancora smesso di cinguettare e il vento carezzava gentilmente piante, animali e persone, rinfrescando volti e corpi dall’arsura estiva di Giugno, quindi... come ci sono finita qui un’altra volta?
Non posso credere che un incubo possa annichilirti i sensi anche in pieno giorno e trascinarti con la forza dentro una macchina, bendarti, intimarti il silenzio per due ore e prendere a spogliarti senza il tuo permesso.
Non di giorno, almeno. Non posso credere che sia capitato anche di giorno; e le mie colleghe? Dove sono?
Ah... che importanza avrebbe con quest’uomo? L’ennesima volta. L’ennesimo posto. L’ennesimo brandello d’anima gettato al vento.
Sapevo che la calma sarebbe finita e come al solito non mi sbagliavo: la vittima non sarà mai tranquilla.
Non lo sono stata mai. Sento solo una profonda rassegnazione in fondo al petto mentre mi getti, come se non fossi un essere vivente, contro il letto.
Il tuo peso mi schiaccia i polmoni e la stanza si riempie di sospiri  non miei.
Io non ne ho mai avuti, nemmeno dalla prima volta.
Perderti nel mio corpo e grugnire, perso nelle tue fantasie, continuando ad utilizzare la tua forza bruta, sapendo che non potrò mai contrastarti, ti piace, vero?
La tua insana voglia quand’è nata nei miei confronti? Quale parte di questo corpo senz’anima ha fatto in modo di portarmi all’Inferno?
Sai che non ti cingerò mai i fianchi, che non ti carezzerò la schiena o gemerò in modo soffuso al tuo orecchio per farti impazzire?
Lo sai, ne sono pienamente consapevole.
Sai anche che la tua colpa non si estinguerà in nessuno modo, nemmeno cominciando ad amarmi come una donna e non come un oggetto.
Cosa ti ossessiona? I miei occhi? Ne dubito: non ti ho mai guardato; soprattutto in questi momenti, dove il mio sguardo è sempre fisso su di una vecchia fotografia che ti ritrae sorridente e che ti porti sempre in giro, il mio sguardo non ti tocca.
Le labbra? Le labbra che non ti hanno mai concesso un sorriso, un sospiro, una parola dolce o che ti baciano l’incavo del collo scoperto che offri loro?
Soltanto con la forza le hai possedute, così come hai fatto con me, nell’anima e nel corpo.
Non lo so.
Mi ritrovo sempre ferma davanti ad un vicolo cieco, dove mi braccherai e mi terrai ferma dal collo.
Proprio come in questo momento, in cui è la lussuria a sussurrarti di carezzarmi il collo a mano aperta e a lasciarmi dei succhiotti sulla pelle, che mi avrebbero marchiata a tua proprietà una volta in più.
<< Gi... >> gemi, forte, portando le tue mani grandi sui fianchi per stringerli e tirarmi più a te, come se potessi scappare.
Come se il solo fatto di chiamarmi durante il tuo sfogo servisse a qualcosa.
<< Gine... Ginevra! >> questa volta sembra essere una preghiera, modellata sulle tue labbra, che non mi fa voltare.
Sono solo il tuo oggetto sessuale preferito, ti sei appropriato di ogni mia parte, perché non farlo anche con il nome?
Ho scelta?
Un mugolio di dolore si fa largo per la mia gola e non posso credere di sentire una lacrima pigra solcarmi il volto, raccolta dalle tue dita e baciata come la cosa più preziosa del mondo.
Tremi, ti fermi leggermente e mi guardi, poiché sento il tuo sguardo addosso.
 << Perché piangi? >> mormori e so per certo che tu sia un pazzo.
Pazzo, folle e malato di mente che non capisce la gravità di quello che ogni volta è in grado di farmi.
<< Non sei felice di essere qui, Gin, eh? >> il tuo sguardo è folle.
Folle e malato. << Sai che sei la mia bambolina più preziosa, eh? >> le mie braccia sono inermi e spalancate. Vorrei tanto dirti che sei un perverso uomo porco, ma non posso. Così come non posso tremare, alla tua carezza, di paura. << Tremi? Senti freddo? Ci penso io... >> aderisci completamente al mio petto e afferri le mie mani, portandole sulla tua schiena.
Riprendi a spingere con dolcezza e la cosa mi da la nausea. << Adesso sei più al caldo, Ginevra? Ti senti un po’ amata? >>
Tumi dai la nausea. Continui a farneticare frasi sconnesse, da pazzo maniaco, da folle uomo abbandonato e maltrattato.
Quando tutto finisce sono quasi pronta a sospirare di sollievo e a cercare i miei vestiti con gli occhi, se tu non avessi oscurato tutto il mio campo visivo e messo le mani al mio collo con le lacrime agli occhi.
<< Perché non mi parli, bambolina? >> non stringi la presa ma stai semplicemente cercando di intimorirmi.
E non ci riesci.
<< Le bambole non parlano, porco. >> l’unica risposta che posso darti, che la mia voce sfibrata è in grado di lanciarti contro e... i tuoi occhi si accendono di follia un’altra volta.
So che questa volta è la fine.
<< Sai parlare, bambolina... dovresti... >> le tue mani prendono a stringere lentamente, facendomi perdere progressivamente il respiro. << Dovresti dirmi che mi ami... >> continua e la presa questa volta comincia a farmi male.
Ti fermi un attimo e mi guardi con gli occhi verdi nuovamente presenti. Spero che la tua non sia una vera condanna e rimango inerte: non mi sarei ribellata da brava bambola e avrei aspettato di essere liberata, adesso che le tue voglie si sono placate.
Mi lasci andare e ti alzi dal letto, veloce nei movimenti, alla ricerca di qualcosa. Non mi spingo a seguirti con lo sguardo e continuo a fissare il tetto della stanza attenta a respirare piano. Ti sento trafficare con qualcosa e improvvisamente la semi oscurità della stanza s’accende dell’argento di un flash. << Voglio ricordarti così per sempre. >>
L’inquietudine scaccia via la rassegnazione.
Il tonfo della macchina fotografica che cade al suolo e s’abbatte contro la moquette è il rintocco della morte.
Eccoti: le tue mani agguantate al mio collo e i tuoi occhi verdi folli, puntati contro i miei rassegnati.
<< Dimmi che mi ami e finirà presto... >> urli, scandendo bene e stringendo altrettanto bene. << Dimmelo. >> continui strattonandomi. << Il mio oggetto preferito non può non dirmelo! >>
 L’unica occhiata che ti concedo – dopo l’ennesimo strattone - è quella che avrebbe dovuto accompagnarti in vita e che avrebbe dovuto imprimere nella mia memoria il mio aguzzino.
<< Amami... >>
Sono più morta che viva quando lo dice piangendo e sarà quel suono, ciò che mi accompagnerà nella tomba. Amami.

 

   
 
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