Aprì gli occhi, voltandosi verso la porta d'acciaio. La stanza in penombra l'angosciò; emise un gemito, poi un altro. Il sangue raggrumato sul volto era colato sui vestiti, a causa dell'acqua nera sul pavimento. I polsi erano legati stretti con corde, così come le caviglie. Gemette nuovamente, cercando di muoversi. Il vestito era ridotto in cenci, quasi completamente lacerato. I capelli neri erano bagnati e attaccati sulle ferite; il labbro gonfio e svariati ematomi sulla pelle le fecero scivolare una lacrima lunga una guancia, accentuando il dolore con il sale. «Aiuto...» mormorò, cercando di muoversi. Alzò lo sguardo, e vide l'unico altro oggetto presente nella stanza. Un urlo di angoscia e dolore si levò al cielo, mentre la donna cominciava a dibattersi.
Un pianto disperato le uscì dalla gola in fiamme, senza riuscire a distogliere gli occhi dal cuore crudo del suo bambino a pochi passi da lei.
Lo so, fa abbastanza schifo.
Non so perché io l'abbia scritto comunque, ma va bene così.