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Autore: fonduefortwo    06/05/2013    3 recensioni
«Ho passato la mia vita pensandoti, sognandoti, e vivendoti anche quando non eri con me, mi viene da dire che sono un pazzo. Tu mi hai reso pazzo, il tuo amore mi ha reso pazzo, pazzo di te. Io non ti ho mai dimenticata, ogni anno non aspettavo altro che agosto, aspettavo solo agosto, era l'unico mese che contava per me. E quando ti dissi che ti amavo, la prima volta, lo feci perché mi scappò, l'avrei gridato ai quattro mari, ma poi il tuo silenzio ha rovinato tutto. Ma nel 2002, quando ci siamo ritrovati nello stesso palazzo, ho capito che eravamo fatti per stare insieme, il nostro destino era già scritto, e non puoi capire quanto l'ho amato questo destino! Sei la donna della mia vita, sei il mio amore. Ti ricordi il nostro primo bacio? Beh, lì ti ho detto di essere una piuma, quindi che ne dici se trasformiamo questa piuma in un'ala, anzi, magari in due ali, così da poter volare insieme per il resto della nostra vita? Summer Bridge, vuoi sposare me, e tutte le mie ‘r’?»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Robin attento!» furono le mie ultime parole.
Dopo quel lampo di luce, non vidi più niente. Buio totale, coscienza zero. Di quella notte, ricordo solamente la sirena ad altissimo volume, quel suono che mi confondeva, e un ospedale. I miei occhi e la mia mente rimasero chiusi per molto tempo. Li riaprii soltanto la mattina seguente.
«Robin, dov'è Robin?» furono le mie prime parole.
«Shh, tesoro calmati, è di là.» mi sussurrò una voce. All'inizio non seppi chi fosse, ma poi riconobbi i suoi occhi, in quel momento spenti e pieni di lacrime: era mia madre.
«Cosa è successo? Io non… io non ricordo nulla.» dissi cercando di alzarmi dal lettino ospedaliero. Col cervello ero rimasta indietro nel tempo, a quando ero in macchina con mio marito, per andare al compleanno di Honey.
«Tranquillizzati Summer, vuoi un bicchiere d'acqua?» mi offrì mia madre.
«No, si, non lo so. Voglio solo sapere cos'è successo.»
«Mamma, ti sei svegliata. Nonna ha detto che sei una dormigliona.» mi si rivolse una bambina dagli occhi cielo e i capelli dorati, sorridendo.
«Hai visto amore? La mamma è sveglia, dalle un bacetto.» così la piccola Sophie mi si avvicinò per stamparmi un bacio, ma il lettino era troppo alto per lei, così io feci uno sforzo, la tirai su e la presi in braccio, sdraiandola sul mio petto. Era così bella e piena di felicità, la riempii di piccole e dolci carezze sui suoi capelli color sabbia luccicante.
«Ehi Sophie, guarda chi c'è, il nonno! E' vero che ora nonno ti porta a mangiare un gelato? Lo vuoi un gelatino?» interruppe mamma Loren.
«Al cioccioato?» chiese la mia bambina cercando di pronunciare bene quella parola.
«Tutto cioccolato! Su vai, altrimenti finisce.» la spronò mia madre.
«No, io voglio cioccioato, nonno nonno corri, andiamo!» così la piccola prese per mano mio padre e uscirono dalla stanza.
«Mamma - iniziai il discorso, con la paura nel sangue. - io e Robin abbiamo avuto un incidente vero?»
Loren fece un sospiro, prese coraggio e mi raccontò tutto: eravamo in auto per andare al compleanno della mia amica Honey, e questo lo ricordavo. Ma la parte dentro me oscurata, la parte peggiore, era che in una curva, un pazzo ubriaco ci venne addosso in velocità, causando la propria morte, e quella di Robin.
Quando mia madre me lo disse, non trovava il modo di farlo, era in lacrime.
Avevo smesso di vivere anche io, per qualche minuto. Diventai fredda all'istante, il mio sguardo era perso nel vuoto, e persa lo ero anche io. Ogni muscolo, ogni nervo ed ogni osso del mio piccolo e fragile corpo erano immobili, bloccati. Non pensavo a niente, il dolore sopraffaceva i miei pensieri e i miei sentimenti. E mentre niente intorno a me sembrava esistere, e tutti dentro strillavano, una lacrima scese sul mio viso. Scese lentamente, mi accarezzò la guancia, e poi morì tra le mie labbra, un po’ come ha fatto Robin. Poi però, scese un’altra lacrima, e poi ancora un’altra. Ma non piansi, ero inespressiva, sul mio volto c’erano solo due palle lucide da cui scendevano piccole gocce di acqua salata, il naso e sotto a questo, una linea rossa e bagnata.
Loren capì il mio essere sconvolta, e di colpo mi abbracciò. In genere tutti i suoi abbracci, come tutti gli abbracci di una mamma, sono speciali, sono gli unici in grado di farti sentire meglio, e questo, forse lo era, ma non mi diede la forza sufficiente per cambiare espressione e per stringerla a me. Ero seduta sul lettino, con mia madre addosso e un bicchiere di vetro per terra.


«Fu così che seppi della sua morte.»
«Perché, perché non me ne hai mai parlato?»
«Beh Alan, tu non me l'hai mai chiesto.»
«Sì che l'ho fatto, ma hai sempre cambiato argomento.»
«Scusami, ma sai che la questione è delicata, molto delicata per me.»
«Puoi, raccontarmi tutto dall'inizio? Voglio sapere ogni cosa, ormai sono due anni che siamo sposati, ci tengo.»
«E se poi, tornando indietro nel tempo, riproverei quel dolore?»
«Ti farà solo che bene amore mio.»
«Okay -


03 agosto 1987, Nicotera Marina, Calabria.
Eravamo appena arrivati al paese, che spettacolo, un incanto. Avevo cinque anni, compiuti da qualche mese, ed io e mia madre eravamo ospiti a casa di Honey. Eravamo due bambine, libere dai pensieri ed occupate dal troppo giocare. La mia amica già conosceva tutti, le erano tutti amici e parenti, e non esitò neanche un minuto a farmeli conoscere. Quelli più stretti erano quelli della solita spiaggia, quella di fronte casa loro. Erano una decina, uno più simpatico dell'altro. Lo stabilimento era bello, come entravi c'era un piccolo giardinetto con dei giochi a sinistra, e a destra invece il ristorante. E il bar? Il bar dall'altra parte della strada, affianco alla casa di Honey per capirci. Invece, se non andavi né tra i tavoli, né tra le altalene, ma continuavi dritto, trovavi la spiaggia, con al centro una passerella, sì chiamiamola così, una passerella verde coperta sopra da un telo dello stesso colore. Questa finiva a metà spiaggia, vista verticalmente. Io e Honey la percorremmo, di corsa, e poi subito lei andò ad abbracciare Jason, un altro bambino, quello suo del cuore. Ed io rimasi lì, vicino a lei, aspettando che si staccassero, quando intravidi dietro di lui un altro bambino, all'apparenza abbastanza timido. Era così carino, così tenero, con capelli e occhi dello stesso colore, illuminati entrambi dal sole e resi da quest'ultimo molto lucenti, e con una boccuccia rosea. Io mi avvicinai lentamente a lui, per presentarmi, così arrivata ad una certa distanza, allungai la mia piccola manina e mi presentai. «Io sono Summer.»
«Io invece, mi chiamo Robin - disse levandosi il dito dalla bocca, e mostrandomi un sorriso a quattro denti. Già, era un po’ sdentato! - ti va di giocare con me?» «Sì. Facciamo un castello?» proposi.
«Si, vado a prendere il secchiello.» e andò verso la sua famiglia.
«Ma voi due siete fidanzati?» domandai a quei due abbracciati. Non si staccavano più, e mi ero stancata di stare lì ferma.
«Ma cosa dici? Chi sei tu?» disse Jason tutto rosso. Io ci rimasi male, e scoppiai a piangere. Poi di corsa tornò Robin, e mi appoggiò una mano sulla spalla, chiedendomi la ragione del mio pianto, ed io puntai un dito verso l'altro bambino. Robin strillò Jason, ed iniziarono a litigare, però poi intervennero alcuni adulti e facemmo tutti pace. Eh sì, usammo il mignolino e la solita filastrocca "Mannaggia al diavoletto che ci ha fatto litigà, pace pace e libertà, con i soldi di papà ci compriamo un baccalà."
Ci fermammo lì a Nicotera Marina circa una settimana, e fu una settimana piena di divertimento. Conobbi tanti bambini, e mi feci molti amici, e forse si può dire anche un fidanzatino. Quei 10 giorni li trascorsi con Robin, eravamo sempre insieme, di giorno in spiaggia, di sera sulle macchine a scontro. Era anche il mio confidente, ed io il suo. Avevamo cinque anni, e già c'era qualcosa tra noi. La sera prima della mia partenza per tornare a casa, decisi di passarla con lui, così ci sedemmo su un muretto basso e parlammo.
«E così domani te ne vai e, mi lasci...» mi disse dondolandosi le gambe, e facendosi rigare il viso da una piccola lacrima.
«No, non piangere. Io ti voglio bene.»
«Anche io ti voglio bene Summer, e non voglio che te ne vai.» continuò sempre dondolando le sue gambe, in alternanza, e piangendo, con le mani sotto le sue cosce.
«Neanche io voglio andarmene, ma devo tornare a casa, il mio papà mi aspetta.» «E io? Non ci pensi a io?» parlò singhiozzando, e poi mi guardò, con gli occhi rossi, facendo commuovere anche me.
«Summer, dove sei? Summer, Summer.» urlava mia madre.
«Ora devo andare, sennò mamma si preoccupa.» appena finii di dire questo, lui mi diede un bacio, toccò le mie labbra con le sue. Fu un bacetto tra bambini, almeno credevo. Poi girai l'angolo.
«Eccoti qui Summer, andiamo.» mia madre non vide Robin piangere, non lo vide proprio, perché lui era lì dietro. Ma mentre camminavo per mano di Loren, non riuscivo a non voltarmi, era più forte di me, e i miei occhi vedevano una scena quasi orribile: lui che piangeva con la testa bassa, ed io che piano piano me ne andavo. Poi Robin alzò il capo, e i nostri sguardi si parlarono, ci dispiaceva, e anche tanto.


Tutte le estati era la stessa storia: felicità per l'arrivo, bacetto di addio, sguardo compassionevole, tristezza per la partenza. Si ripeté tutto questo per altri otto anni. Il nono forse fu più importante. Avevamo quattordici anni, e avere quattordici anni può voler dire una sola cosa: adolescenza. L'adolescenza, eh già, quel periodo della vita in cui si è ancora troppo piccoli per comprendere, ma abbastanza grandi da poter fare. Io non ero più quella bambina dagli occhi verdi e puliti e dai codini alti, ero cresciuta, e insieme a me anche Honey, Robin, Jason e tutti gli altri. Quell'estate del '96 mamma decise di trascorrere a Nicotera anziché una, due settimane. Ovviamente quella di ferragosto, e quella prima. Quell'anno, non eravamo più solo io e la mia amica, ma quest'ultima invitò anche l'altra componente del nostro trio: Tiffany.
Anche lei si integrò subito nella nostra comitiva estiva, e ci divertimmo tantissimo. La mattina, appena arrivate, mentre le mamme disfacevano le valigie, il magico trio scese in spiaggia. Ed è qui che iniziarono i miei “mali”, Vidi Robin che divideva il lettino con un'altra, una bionda. Io ci rimasi male, molto male. Ma andai dagli amici comunque.
«Ciao a tutti ragazzi!» urlai.
«Guarda chi si vede, le romane, ciao.» si alzò Jason venendoci ad abbracciare. «Amore mio, quanto mi sei mancata.» strillò Carly saltandomi addosso.
Robin? Beh, Robin appena mi vide si alzò, accostandosi al palo della passerella. E dopo aver fatto il giro, baciando ed abbracciando tutti, lui se ne uscì:
«Ed io? Che fai non mi saluti?» mi disse rimanendo appoggiato con il braccio e la spalla sul palo verde, con le mani conserte, sorridendo. Io non feci altro che ridere, lo guardai e risi, senza esitazione, e così lui fece lo stesso, mi lanciò un sorriso a stavolta trentadue denti, avvicinandosi a me. Mi stampò un bacio sulle labbra, poi mi abbracciò.
«Finalmente un bacio per l'arrivo, molto meglio, non trovi?» mi sussurrò stringendomi a lui e coccolandomi dolcemente. Io lo riempii di bacetti vicino all'orecchio, e sul collo, poi però ci staccammo. Ci guardammo per pochi secondi negli occhi, eravamo a due centimetri di distanza. Era una situazione magica: i suoi occhi brillavano alla luce del sole, i miei vedendolo, la sua bocca si lasciava desiderare intensamente, la mia era semplicemente aperta e meravigliata. Poi Luke rovinò tutto.
«E lei chi è?» disse indicando Tiffany.
«Sono Tiffany, piacere!» si presentò.
«Ma che bella ragazza- » se ne uscii Zack, il fratello di Robin.
«Io invece sono Lola.» si presentò la bionda dagli occhi azzurri che si trovava prima nel lettino di Robin.
«E chi te l'ha chiesto?» fece la battutina Omar.
«Quanto sei spiritoso.» disse l'acida.
«Vabene ragazzi, basta, perché non andiamo a farci un bagno?»
«Sì, voi andate, io e Summer però andiamo a farci una passeggiata.» parlò Robin. E così fu. Camminammo sulla riva per quasi due orette, percorrendo l'intero litorale di Nicotera Marina. Durante la passeggiata parlammo tutto il tempo, raccontandoci le cose fatte durante l'inverno, e ce ne erano davvero tante! Poi giungemmo in una parte piena di scoglie. Lui mi invitò a sedermi, quando poi vidimo il tramonto. Senza neanche pranzare, senza accorgercene, solo stando insieme. Passammo la giornata tra i scogli, per fortuna che ce n’erano molto piatti, sennò mi chiedo come avremmo fatto. Lui era seduto su un sasso ed io con il sedere su un altro ma accasciata su di lui. Erano le sette e mezza, e il sole iniziava a calare.
«Guarda, il tramonto! Ma che ore sono?» dissi alzando la testa dalla sua spalla. «Non lo so, so solo che con te il tempo vola.» così mi riappoggiai.
«Sono stata bene, troppo bene.» parlai senza guardarlo.
«Anche io.» non appena disse quelle parole, mi prese il viso, mi guardò negli occhi e lentamente si avvicinava a me. Passione, ebrezza, respiro affannato, cuore a trecento chilometri orari, felicità, libertà. Poi ci baciammo, e non erano le solite labbra stampate, era un bacio vero. Il mio primo bacio vero. Stavolta sentivo soltanto passione e libertà. Non c'era nient'altro e nessun'altro se non noi due e i nostri cuori.
Poi un telefono squillò, e dovemmo smettere.
«Pronto? - D'accordo – Sì, sì, arrivo - Okay - Vabene - Ciao. - Era mamma, devo andare. Mi accompagni?»
«Ma certo. Sali dietro!»
«Cosa?»
«Dai, sali dietro.» ci facemmo un sorriso. Lui era lì pronto con la schiena inarcata per farmi montare, ed io dietro di lui imbarazzata per il peso! «Allora vado eh... uno, due e tre!» così salii, e le uniche cose che riuscì a dire furono:
«Quanto sei leggera, sei la mia piumetta, piccola e fragile.»
«Leggera? Con quante 'r'?» Robin ha la erre moscia, e odiava quando lo prendevo in giro, ma io l'ho sempre trovata così sexy!
«Certo che devi rovinare sempre tutto, eh?!»
«No ti prego Robin Collins, non ti offendere ti prego!» iniziai ad urlare, ridendo come matta.
«Ah sì, prendiamo in giro, prendiamo in giro!» non appena finì di parlare, corse verso il mare, e poi dalla schiena mi buttò in acqua, e lui mi seguì tuffandosi. Quando tornai su, con la testa fuori, non trovavo più il ragazzo, ma poi da dietro mi sentii un dito bussare sulla mia spalla, mi girai e lui era appena tornato in apnea. Così lo seguii sott'acqua. Avevamo entrambi gli occhi aperti, e in quel mare cristallino vedevamo benissimo, un po' sfocato ovvio, ma benissimo.
Eravamo l'acqua, io e lui. Robin poi mi prese per un braccio, mi strinse a lui e disegnò un cuore con le sue mani e poi passò in mezzo a questo con il viso, e mi rubò un bacio.
«Uh, che sfiatata!»
«Tre minuti senza respirare, che record!»
«Tu sei proprio scemo.»
«Io sono scemo? Io, io sono scem - non dovevi dirlo.» mi afferrò e mi portò fuori dall'acqua, e mi scaraventò sulla sabbia. Ed io lo trascinai giù con me. Il suo corpo bagnato era sul mio, il suo respiro era così vicino, e le nostre labbra non seppero resistere.
Di momenti belli ne passammo tanti quell'estate, ma mai come questo. Ero un adolescente, e per tutte le adolescenti, il primo bacio non si scorda. Però ammetto che anche a ferragosto ci fu un'emozionante bacio pieno d'amore. Era passata la mezzanotte, ed era il momento dei fuochi d'artificio. Eravamo tutti quanti su un campo d'erba a festeggiare, poi noi ci allontanammo. Mi portò in una spiaggia deserta, eravamo soltanto io, lui e il lettino sotto di noi. «Ti piacciono i fuochi?» mi domandò.
«Ne ho un po' paura, ma ogni volta li vedo lo stesso, sono troppo belli.» risposi. «Beh, tu sei il mio fuoco preferito.» mi sussurrò all'orecchio prima di baciarmi. Era così bello, lui e i suoi modi di fare. Stavo vivendo il mio sogno, io ero la principessa dal vestito rosa e pomposo, e il lui il mio principe azzurro in pantacollant e con la piuma in testa, nati per stare insieme, felici sin dall'inizio.

Ferragosto era passato, i due giorni seguenti anche. Era il momento di tornare a Roma. I nostri amici prepararono una festa in onore di Honey, Tiffany, mio e di Robin e Zack. Anche loro dovevano andarsene, dovevano tornare a Milano. Più che una festa, era un falò in spiaggia con della musica. Tutti cercavano di divertirsi, ma nessuno resistette alle lacrime, tranne Luke, lui non piange mai. Tutti noi siamo cresciuti passando le estati insieme, ci siamo visti crescere, e ogni anno notavamo i cambiamenti degli altri.
«Non posso crederci che questo sia un altro addio, non posso aspettare altri sei mesi per vederti.» mi disse Robin piangendo.
«Neanche io, mi mancherai troppo - lo abbracciai - promettimi che mi chiamerai.»
«Certo che lo farò, a tutte le ore del giorno e della notte.» mi rassicurò. Più parlava e più singhiozzavo, più singhiozzavo e più lo stringevo.
«Oddio, ti ho macchiato la polo con il mascara!» appoggiando il mio viso sporco di trucco trasportato dalle lacrime, sporcai la sua maglietta.
«Non ci credo, ci stiamo salutando e tu pensi alla maglietta, vedi perché ti adoro?» mi disse sorridendo e tenendo il mio viso tra le sue grandi mani, poi mi riabbracciò. Io in quell'attimo sorrisi, ma poi ricominciai a piangere.
Una scenetta simile la girarono anche Honey con Jason, e Tiffany con Zack. Che momenti tristi!
Ci sono persone che chiamano le relazioni in agosto “giochetti estivi”, noi invece li abbiamo sempre chiamate "relazioni". Non importa se ti innamori in inverno o in estate, il primo non è il periodo serio e il secondo quello del divertimento, non è un 'torno a casa, torno alla mia vita", ma un 'torno a casa, porto a casa tutto'. Per noi era così, quei ragazzi erano parte di noi, avevamo spazio per ognuno di loro, e ogni volta non vedevamo l'ora che arrivasse agosto, così da poterli rivedere.
La mattina seguente, dovevamo partire. Eravamo tutti in casa, cercando di ricordare quello che mancava e quello che c'era nei bagagli. In un momento, la porta bussò.
«Vado io!» mi offrii. Feci bene, perché quando aprii la porta, trovai Robin, col fiatone.
«Che, che cosa ci fai qui?» ero sorpresa, e neanche poco.
«Non potevo lasciarti andare prima di dirti… di dirti che… che io ti amo Summer Bridge.» rimasi a bocca aperta. Non sapevo cosa dire, infatti mi venne subito l'istinto di baciarlo, tenendo il suo viso tra le mie piccole e delicate mani. Appena ci staccammo, arrivò mia madre, che rovinò tutto e non mi diede il tempo di rispondere al ragazzo. Così lui se ne andò, e per tutto l'inverno non fece neanche una chiamata. Ci stetti davvero male, e con Loren era un continuo litigio, me la prendevo con lei se mi andava storto qualcosa, perché credevo che se era così, era perché pensavo ancora a Robin e a quei sentimenti non detti per colpa sua. Mi sono sempre chiesta se l'estate seguente Robin mi avrebbe perdonata. Però il 1997 non fu un bell'anno. La mamma di Honey vendette la casa, poi ci furono altri problemi economici nella nostra famiglia, e non potemmo tornare a Nicotera. Passammo infatti il mese di agosto a Roma.
Così quell'anno non ci vedemmo.


Avevo quindici anni, e festeggiai Capodanno con gli amici. Eravamo in un locale, e qui ho subito visto un ragazzo. Non era altissimo, ma lo era abbastanza. I suoi occhi erano di un verde smeraldo, come i miei, i suoi capelli erano scuri, il suo viso era perfetto e il suo corpo era tutto un muscolo. Era bellissimo. Però non sapevo chi fosse, non sapevo neanche il suo nome. Così non esitai e con un totale imbarazzo e un rossore sul viso mi presentai. Passammo la nottata insieme, quella sera Robin non c'era, non c'era dentro me. Sono stata bene con quel ragazzo. Ma poi scoprii che non era interessato a me. Passai più di cinque mesi pensando a lui e cercando di capire cosa non andava in me.


«Ero io?»
«Come negarlo Alan, uhm, dov'ero rimasta? Ah si, stetti male cinque mesi per te, ma poi passò. Passò grazie ad un altro ragazzo che entrò nella mia vita, Harry.
Con lui passai tutta la mia adolescenza. Poi però ai diciannove anni, dopo il diploma, nonna Francisca venne a mancare, e mi lasciò la casa, così io mi trovai un lavoretto mentre studiavo, e andai a vivere lì. Volevo conoscere i miei vicini, così suonai il campanello delle persone che vivevano sul mio pianerottolo, e alla porta affianco, indovina chi mi aprì? Esattamente, Robin Collins in carne ed ossa. Non so spiegare bene cosa provai, però i biscotti che avevo preparato mi scivolarono dalle mani, cadendo a terra. Di nuovo passione, ebrezza, respiro affannato, cuore a trecento chilometri orari, felicità e libertà oscurarono la mia mente. Così lui di scatto, mise la mano dietro al mio collo, afferrandomi, e di colpo mi portò stretta a sé, baciandomi e chiudendo la porta. Io gli saltai addosso, legando le mie gambe sul suo fondoschiena. Poi ci sdraiammo sul suo letto. Passione, eccitazione, amore, passione e ancora eccitazione, questo è quello che c'era tra noi in quel momento. Facemmo l'amore, come mai l'avevo fatto prima.
«Robin.» lo chiamai.
«Summer.» rispose.
«Io, io volevo farti sapere che, insomma, anche io, anche io ti amo.» alla fine dissi di getto. Lui scoppiò in un piccolo sorriso, poi si girò verso di me, e mi baciò.
Io e Robin dormivamo ormai tutte le sere insieme, a volte da me, a volte da lui. Io però stavo ancora con Harry, ma poco dopo lo lasciai. Non sono una bugiarda, non mi piaceva per niente fargli questo, ma Collins era come una calamita, il nostro campo gravitazionale era ad un forza alquanto elevata; non potevamo far a meno l'uno dell'altra.
Così due anni dopo, nel 2004, io rimasi incinta.
«Oh sono stanco morto!» disse una sera Robin, tornato dal lavoro.
«Poverino lui, chissà la fatica che ha fatto. E pensa se invece di sdraiarti sul divano, a quest'ora dovresti occuparti di tuo figlio.» provai a integrare l'argomento.
«Beh, penso che mi sdraierei sul divano lo stesso, però con un fagottino tra le mie braccia.» mi rispose. Mi stupì. Felicità, amore, tranquillità. Ora c'erano felicità, amore e tranquillità dentro me.
«Allora abituati all'idea.» gli sussurrai mettendogli le braccia al collo.
«Amore mio, non dirmi che sarò papà! Sarò papà!» strillò prendendomi in braccio. Ci baciammo, tutta la serata, fu una delle più romantiche.
Nove mesi dopo, la piccola Sophie nacque. E nel 2005, quando la bambina compì un anno, Robin ed io ci sposammo.
«Che giornata straziante anche oggi, mamma mia!» disse Collins tornato dal lavoro. La prima cosa che fece fu prendere in braccio sua figlia, nostra figlia, e poi si sdraiò sul divano, con la bambina poggiata sul suo petto.
Io li guardai, e sorrisi, sorrisi mostrando tutta la mia felicità.
«Amore, devo dirti una cosa. Però prima, leva di mezzo i cellulari e non sentire un eventuale campanello.» mi disse.
«Cosa succede? Devo preoccuparmi?»
«No no, però devo dirti una cosa importante, e non vorrei che tua madre intervenga prima che tu possa rispondermi.» dopo averlo detto rise. Ed io anche. Robin si alzò dal divano, lasciando Sophie lì seduta. Prese il cellulare, mandò un messaggio e dopo mi portò sulla nostra terrazza.
«Amore mio, la nostra è una storia un po' strana, combinata, o come la vogliamo chiamare. Io sono innamorato di te da quando avevo cinque anni, e se penso che ho passato la mia vita pensandoti, sognandoti, e vivendoti anche quando non eri con me, mi viene da dire che sono un pazzo. Tu mi hai reso pazzo, il tuo amore mi ha reso pazzo, pazzo di te. Io non ti ho mai dimenticata, ogni anno non aspettavo altro che agosto, aspettavo solo agosto, era l'unico mese che contava per me. E quando ti dissi che ti amavo, la prima volta, lo feci perché mi scappò, l'avrei gridato ai quattro mari, ma poi il tuo silenzio ha rovinato tutto. Ma nel 2002, quando ci siamo ritrovati nello stesso palazzo, ho capito che eravamo fatti per stare insieme, il nostro destino era già scritto, e non puoi capire quanto l'ho amato questo destino! Sei la donna della mia vita, sei il mio amore. Ti ricordi il nostro primo bacio? Beh, lì ti ho detto di essere una piuma, quindi che ne dici se trasformassimo questa piuma in un'ala, anzi, magari in due ali, così da poter volare insieme per il resto della nostra vita? Summer Bridge, vuoi sposare me, e tutte le mie ‘r’?» Non appena finì, si inginocchiò aprendo una scatola, con dentro un anello, un anello bellissimo, e fuori i fuochi d'artificio.
Amore, felicità, gioia, libertà e ancora una volta, amore. Questi sentimenti però generarono delle lacrime, lacrime bellissime.
«Sì, sì sì sì sì.» allora mi infilò quell'anello, si alzò in piedi, mi baciò e mi sollevò da terra.
Il nostro matrimonio fu bellissimo, lui era bellissimo. Quando io feci la camminata sotto braccio di mio padre, lui era lì, già all'altare, aspettando solo e soltanto me. Non guardavo nessun'altro all'infuori di lui, gli invitati, le damigelle, i testimoni, c'era lui e basta. Però non ho detto che non ci sposammo in chiesa. Fu un prete a dichiararci moglie e marito, ma il nostro matrimonio fu in spiaggia, a Nicotera Marina.
«Vuoi tu, Robin Collins prendere la qui presente Summer Bridge come tua legittima sposa, promettendo di essere fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?»
«Sì, lo voglio.»
«E vuoi tu, Summer Bridge prendere il qui presente Robin Collins come tuo sposo, promettendo di essere fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?»
«Sì, lo voglio.»
Seguì poi lo scambio degli anelli.
«Summer, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.» e mise l’anello al mio anulare sinistro.
«Robin, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.» e mise l’anello all’anulare sinistro dello sposo.
«Col potere conferitomi, vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.» così Robin mi prese, mi fece fare un caschè e mi baciò.
Fu un momento unico, indimenticabile.
Insieme passammo degli anni bellissimi, ma poi ci fu quel cazzo di incidente, che rovinò tutto. Mi rovinò la vita, se non fosse stato per Sophie, a quest'ora io sarei lassù, insieme a Robin.»
«Caspita Summer, tu, tu sei ancora innamorata di lui.» disse Alan dopo avergli raccontato la storia.
«Follemente, aggiungerei. Ma questo non vuol dire che non amo te.»
«Non l'ho messo in discussione. Sappi che io, accetterò sempre Robin, è parte di te.»
«Abbracciami - oddio ti sto sporcando la camicia col trucco, scusa amore, io e le mie maledette lacrime.»
«Non ci credo, ti stai sfogando, ti fa stare meglio, e tu pensi alla macchia? Vedi perché t'adoro?»
«Ti am - ahi, ahi!»
«Amore, che succede?»
«Il bambino, mi si sono rotte le acque!»


«Nonna, dov'è mamma? Sono venuta il prima possibile. E' nato, nata, nato, oddio è maschio o femmina?»
«Complimenti signora, è un bel maschietto!»
«Summer, amore, è nostro figlio, è nostro figlio, ti rendi conto?!»
«Uh, tesoro della mamma, guarda chi c'è, è venuta la tua sorellona Sophie a trovarti. Ma quanto sei bello? Quanto?»
«Oh mamma...»
«Cosa sono quelle lacrime tesoro?»
«Sai, l'ultima volta che sei stata su un letto d'ospedale, era per la fine della vita di… e ora invece-»
«Ora invece, mi trovo qui per dare un'altra vita, per dare la vita al bellis-»
«A Robin, al bellissimo e indimenticabile Robin!» disse Alan.




Ciao. Mi andava di fare una one shot,
che non sia sui One Direction o su altri artisti. Mi andava semplicemente di farla,
una mattina mi sono svegliata, ed ho avuto un'illuminazione, l'ispirazione è arrivata,
e tornata da scuola, mi sono messa a scrivere. Spero vi sia piaciuta.
Ah e, continuerò l'altra fanfic 'Sotto la pioggia.' quando raggiungerò un numero maggiore di recensioni,
xoxo Never give up.


  
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