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Autore: Claa    06/05/2013    1 recensioni
“Le giornate si sono allungate” dice. “L’estate è finalmente arrivata.”
Fermo dinanzi le ampie vetrate del proprio ufficio, le mani giunte dietro la schiena, Roy Mustang, nuovo Comandante Supremo in carica, fissa il cielo al tramonto e assapora la quiete della sera.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Awaken by the sound of a screaming owl, chasing leafs in the wind,
going where we’ve never been, said goodbye to you, my friend

 
 
 
1.       Uno
 
 
 
“Le giornate si sono allungate” dice. “L’estate è finalmente arrivata.”
Fermo dinanzi le ampie vetrate del proprio ufficio, le mani giunte dietro la schiena, Roy Mustang, nuovo Comandante Supremo in carica, fissa il cielo al tramonto e assapora la quiete della sera. Le nuvole sospese viaggiano con flemma sulla città e si sfaldano, impregnate come tele da colori opachi, rosa, grigio, arancione, e tuttavia incendiate dagli ultimi raggi di sole.
Riza ha lo sguardo sui palazzi in ombra e l’orecchio agli allegri schiamazzi degli uccelli. Il suo corpo è dritto, rigido, la sua voce flebile. "Finalmente.”
“L’altro giorno, gironzolando, ho scovato un locale pullulante di donne” esordisce il biondo in sedia a rotelle. “E’ a qualche isolato da qui, contavo di andarci domani. Perché non si unisce a me, Comandante?”
“L’hai vista la mia agenda, Havoc? Non ho più tempo per questo genere di cose.”
“Neanche prima ne aveva, o sbaglio?”
“Non ho intenzione di continuare questa conversazione” sibila visibilmente seccato.
“Non ha tutti i torti, Signore” fa notare Hawkeye, rammentandosi degli astuti espedienti congegnati dal suo superiore per sfuggire al lavoro e recarsi a uno dei tanti rendez-vous.
Roy sospira, arreso: se l’aspettava. “Grazie…” borbotta.
“Evadere le farebbe bene, mi creda” dice Havoc, accendendosi una sigaretta; ha l’attenzione di entrambi. Il fumo vortica sopra la sua testa e si disperde nella stanza. “L’ambizione, il successo non le scalderanno il letto. L’esercito non può darle quello di cui ogni uomo ha bisogno.”
I tre o quattro secondi successivi passano senza che nessuno aggiunga altro. La frase indugia dentro di loro e lentamente si deposita sul fondo delle loro coscienze. Roy pensa e tace, guarda fuori, poi dice: “Lo terrò a mente”.
 
 
 
“A cos’hai pensato?”
Sono all’aperto, sotto un alto gazebo. I corvi gracchiano e si librano in un cielo tenute, che effonde una luminosità nebbiosa, surreale. La villa che li ospita è quella del Generale Grumman, il vispo vecchietto che ha avuto la gradita idea di organizzare, in seguito alla solenne cerimonia per l’anniversario di fondazione dell’esercito, una modesta festa informale.
Riza è sorpresa dalla perspicacia del superiore, al quale è bastato un nonnulla – una ruga passeggera sulla fronte di lei – per insospettirsi.
“Ho pensato a Ishbar” gli confida. “Laggiù persino il sole non mi era di conforto. Invece di riscaldare, bruciava. Oggi ringrazio se posso godere di giornate tanto serene.”
Roy, adagiato sulla sedia da giardino, riflette e annusa l’aria. L’aroma frizzante di fiori e d’erba è inconfutabile.
“Non pensi che ciascuno di noi, a modo suo, serbi dentro un certo grado di incoerenza? Io, per esempio, sono arrivato sin qui con l’intento di rendere Amestris un paese migliore e impedire che focolai come quello di Ishbar si rigenerino, ma per farlo ho ucciso e contribuito a una strage. Io, che adesso inneggio alla pace.” Scuote piano la testa e fa roteare distrattamente la tazzina di ceramica sul tavolo. 
In piedi accanto a lui, il suo fedele braccio destro abbassa le palpebre, rivede il sangue, le lacrime, ode le suppliche, i tuoni delle esplosioni, e a un tratto l’aria non sa più di ortensie, ma di cenere. L’inferno che è stato li risucchia, li rivuole indietro, pretende che paghino il loro debito. Attraverso il campo minato dei ricordi, con suadenti canti li tormenta e, inesorabile, li divora.
Riza cerca le parole giuste, chiedendosi se ve ne siano.
“C’è chi per amore sperimenta l’odio, e chi per inseguire buoni propositi è costretto a commettere cattive azioni.”
“È assurdo.”
“Non possiamo espiare le nostre colpe, Signore, ma possiamo fare del bene. La gente ha fiducia in lei. Io ne ho.” Il petto le si gonfia, la psiche si ridesta. “Faccia del bene, può.”
 
Lo ha pregato? Era una preghiera, la sua?
 
 
 
Poligono di tiro, due del pomeriggio, pausa pranzo.
Rispetto al solito il clima è relativamente tranquillo, a usufruire del servizio sono infatti in pochi: Riza e altri due uomini. Non appena gli spari cessano, su di loro cala un silenzio denso, quasi grave, che riempie lo spazio ed enfatizza ogni tipo di suono, anche il più misero, dallo stridio delle suole di gomma sul pavimento al proiettile che viene inserito nella camera della pistola; dal rumore sordo del cane che viene alzato a un respiro modulato. Riza ha l’arma in linea, la impugna a dovere e conta sottovoce i battiti del proprio cuore, quindi prende la mira.
“Hawkeye!”
Si drizza, interdetta, i muscoli tesi si rilassano. Fuori la porta vede Roy Mustang far segno alle guardie di non seguirlo e di rimanere in disparte. Un istante dopo sta avanzando disinvolto nella sua direzione, ha una mano in tasca e il capo leggermente reclinato; al suo passaggio i due uomini non possono fare a meno di voltarsi, come punti da uno spillo. 
Quando la raggiunge, lei ha già messo la sicura ed è pronta ad ascoltarlo.
“Mi dica, Signore.”
Lui butta un occhio al bersaglio, che è così ben sforacchiato da indurgli un sorriso. “Non ne manchi uno, eh?”
“Faccio del mio meglio.”
“Sfido chiunque ti conosca a non compatire i tuoi bersagli” dice e la osserva. Poi si azzittisce, esita.
Riza ha la netta impressione che quanto sta per dirle non abbia a che fare con il lavoro, ed è abbastanza certa che non si tratti nemmeno di una delle sue classiche richieste da lavativo, perciò non fa pressioni e anzi rispetta la sua indecisione.
“Mi faresti il favore di annullare tutti gli appuntamenti fissati per lunedì prossimo?”
“Tutti?”
“Sì, inventati una qualsiasi motivazione. A te accorderò il giorno libero.”
“Mi scusi, ma non capisco.”
“Tu ubbidisci.”
Lei annuisce e scatta nella posizione di saluto militare. “Sissignore” scandisce.
Roy espira profondamente. “Va’ a mangiare, piuttosto”. E, senza accorgersene, si scopre a guardare la pistola chiusa fra le dita e il palmo di Riza. Le sue mani, belle, capaci, delicate, e la pistola, gelida, metallica, micidiale. Il contrasto dei contrasti, cui non sa se potrà mai abituarsi – o rassegnarsi: la tenerezza, la vita, nelle sue mani, l’odio, la guerra, in quella maledetta pistola. “E’ un ordine, Hawkeye.” Guarda lei. Dopo di che fa dietro front e si incammina verso l’uscita, ma prima di congedarsi sul serio si arresta a metà strada e aggiunge: “Ah, dimenticavo”. Le dà le spalle, ma sente il suo sguardo posarsi su di sé. “Non prendere impegni, lunedì.”
 
 
 
  
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