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Autore: Harleen666    07/05/2013    0 recensioni
"Mi chiamo Chelsea Sickert e sono nata a Quantico, in Virginia.
Ho diciotto anni, vivo qui da sempre e non ho la più pallida idea di come sia il mondo altrove.
Mia madre Isabel mi ha insegnato ad apprezzare, innanzitutto, quello che ho dentro così da poter percepire la bellezza che mi sta attorno. Ma nonostante questo, io da qui vorrei scappare…"
E' la prima storia che pubblico, spero sia di vostro gradimento!
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Chelsea Sickert e sono nata a Quantico, in Virginia.
Ho diciotto anni,  vivo qui da sempre e non ho la più pallida idea di come sia il mondo altrove.
Mia madre Isabel mi ha insegnato ad apprezzare, innanzitutto, quello che ho dentro così da poter percepire la bellezza che mi sta attorno.
Ma nonostante questo, io da qui vorrei scappare… La mia vita è come un castello, costituito alla base da un educazione materna autoritaria.
Salendo ci sono i mattoni, momenti indimenticabili della mia vita, i ricordi che mi hanno plasmata. Non sempre belli.
Quando avevo sette anni ho perso mio padre, per me un mito e un amico. Si chiamava Bryan, lavorava al Pentagono, prima dell’attacco dell’ 11 settembre 2001.
Quella sera alla porta si presentarono due uomini, in divisa da marines, e uno dei due, con faccia sconvolta, disse –Ci dispiace tanto-.
Mia madre mi pregò di andare a giocare in camera mia, mentre notai le prime lacrime solcarle il viso.
Non volli obbedire, così rivolgendomi a quell’ omone chiesi dov’era il mio papà. 
Pronto a rispondermi, si chinò, ma mia madre mi prese per un braccio e mi fece salire sulle scale.
Restai nascosta nella penombra, a metà scalinata, e riuscii a scorgere il marine appoggiare mia madre alla sua spalla e lasciarla sfogare un attimo.
Io non capivo. Volevo soltanto che qualcuno dicesse anche a me che cosa stava accadendo. Poi se ne andarono e io mi chiusi a chiave in camera mia.
Capii che avrei preferito non sapere. Perché in realtà sapevo già. Non seppi reagire. Una parte di me sarebbe corsa tra le braccia confortevoli di mia madre.
La parte che prese il controllo della situazione mi fece restare immobile davanti alla finestra, contemplando il mondo
che continuava a scorrere senza quella persona che non avrei più rivisto.
Guardai l’auto dei marines allontanarsi e, quando ormai non la vidi più, mi accorsi di avere il viso bagnato di tristezza innocente.
Sono passati undici lunghi anni e ricordo quel giorno come se fosse appena accaduto.
La monotona successione di eventi che mi hanno condotto fino ad ora ha diviso la mia vita in due parti principali: casa-cimitero.
Casa, sinonimo di vita, calore e bambini che vengono amati. Cimitero corrisponde a morte, freddo e anime che talvolta vengono dimenticate.
Mia madre non mi ha mai fatto notare la grande differenza tra questi due mondi, ma ha sempre sottolineato la caratteristica che li accomuna: la pace.
Io so solo che la pace è assai lontana da tutto ciò.
In molti dicono che sono una ragazzina problematica, un po’ asociale, con la testa tra le nuvole. In realtà le persone giudicano senza sapere.
E’ molto più semplice sparare sentenze senza conoscere la verità. Tutto ciò che mi circonda è diventato una macchia grigia, indistinta.
Solo attraverso la fotografia i colori del mondo riprendono vita. Come se questa dimensione trattenesse tutto ciò che di più buono possiede
e io riuscissi a tirarlo fuori, immortalando un piccolo misero istante per l’eternità. 
Mia madre vorrebbe che frequentassi un Istituto d’arte, ma i soldi non me lo permettono ancora.
Sto tentando di guadagnare qualcosa prestando il mio tempo, dopo la scuola, in biblioteca.
Ogni pomeriggio per almeno tre ore piene mi reco in quel buco e mi perdo nello sfogliare libri sciupati dagli anni che profumano di storie piene di vita.
Non ho preferenze a riguardo e così mi affido soltanto al mio istinto.
Dopodiché vado al cimitero e, a meno che non sia inverno, trascorro lì il tempo restante prima di cena.
Ogni tanto mi porto dei compiti da fare e mi siedo di fronte alla lapide di mio padre.
Non so perché lo faccio, forse per dimostrargli che m’impegno e che vorrei che lui fosse fiero di me.
Solitamente mi soffermo a parlargli, rivelandogli le mie paure, le mie frustrazioni, le difficoltà che vorrei affrontare al suo fianco.
Ho stretto amicizia persino con il guardiano, il signor Jenkins, e ogni tanto mi invita nel suo piccolo studio per una tazza di caffe e qualche ciambella.
Anche lui conosceva mio padre e perciò mi feci raccontare tutto ciò che sapeva.
Oggi, 20 luglio 2012, è il mio compleanno.
Mia madre continua a ripetermi di fare qualcosa di speciale, magari uscire con qualche amica.
In realtà mi comporterò normalmente, come se fosse un giorno come un altro.
  
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