PROLOGO
(Pieghe di pensiero)

Quando poi lui detestava suonare.
Odiava il bianco ed odiava il nero del pianoforte.
Secondo i suoi otto anni era stupida e ridicola l'idea di star fermo –chino- su un paio di fogli, a premere tasti spremuti via da plastica di galalite
di egual forma per ogni rettangolino posto sulla lucida tastiera.
«Schiena dritta, smettila d’ingobbirla.»
Ancora adesso la bocca tende in un sorriso; ancora adesso, con le mani tese sulla base bianca del pianoforte a coda.
Non è lo stesso con cui sua madre, anni prima, aveva speso troppo del suo tempo a trasmettere il suo sapere al se’ bambino.
La verità era che lui odiava Schumann, Bach, Chopin.
Odiava le melodrammatiche sinfonie sfornate anni e anni passati, da uomini vissuti in un altrettanto tempo “morto”.
Voleva essere perfetto, lodato da sua madre che, quando con tre pacati battiti di mani, gli offriva un sorriso ed il suo teatrale complimento:
«Meravigliosa.»
Sapeva che lo avrebbe detto anche con una nota di troppo sbavata, o nel mentre stesso in cui la schiena gli si curvava.
Ora ha un dito premuto contro il "Do" della tastiera.
Si sussegue, fino a mutare in una triste ballata che accompagna i
pensieri suoi.
Non è più un bambino, e lo sconsolante suono che aleggia nella stanza sembra ricordarglielo.
Non ambisce alla perfezione oggi, ma soprattutto: non trova più ridicola e stupida l'idea di premere quei
tasti, di star fermo, chino su un paio di spartiti.
Specie ora, con la schiena che ‘sta dritta.