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Autore: Raggedy Moon    07/05/2013    1 recensioni
Il racconto antico di una persona che ha visto troppo, nella vita, e che decide di liberarsi di questo peso.
Dalla storia:
"Cioè, non intendevo insinuare un tuo possibile errore, è ovvio che tu sai bene se al momento sei viva o morta, però..."
Le parole non vollero saperne di uscire dalla gola di Irvin, così l'altra ragazza completò la frase per lei.
Genere: Avventura, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Se vuoi ti racconto come sono morta."

Si erano incontrate su quella spiaggia in Galles qualche settimana prima, e da allora si erano sempre date tacito appuntamento in quello stesso luogo, alla stessa ora: ogni giorno si salutavano, si sedevano, e parlavano.
Irvin era mora, bassa per i suoi diciotto anni, con un carattere piuttosto solare: amava raccontare storie antiche, che sapevano di folletti e maghi, quelle stesse storie che suo nonno le raccontava da piccola davanti al camino, e che le facevano tanta paura. Accompagnava le parole con i suoi occhi verdi, mai fermi, che scrutavano senza posa chi le stava davanti, curiosi.
Eowyn era bionda, alta, con un fisico asciutto e il viso squadrato e severo: i suoi occhi grigi parlavano di guerra, come le cicatrici che le segnavano il corpo. Non amava raccontare di sé, o delle sue avventure passate: per lei esisteva solo il presente.
Irvin era una strega. Eowyn era una cacciatrice. Morta, per giunta, ma questo l'aveva confidato solo all'amica, che l'aveva guardata stupita senza fiatare, gli occhi sgranati.

"Morta? Ma non è vero!"
Eowyn le rivolse un sorriso amaro.
"Cioè, non intendevo insinuare un tuo possibile errore, è ovvio che tu sai bene se al momento sei viva o morta, però..."
Le parole non vollero saperne di uscire dalla gola di Irvin, così l'altra ragazza completò la frase per lei.
"Però è impossibile che io sia morta e che sia allo stesso tempo qui a parlare con te e a godermi l'aria salmastra, giusto?"
Irvin annuì, perplessa.
"Allora raccontami, avanti!"
Si sedette più comoda, a gambe incrociate, passando le mani tra i granelli di sabbia fine: dietro le due ragazze, l’altura verdeggiante riparava dal vento la baia, davanti a loro il mare le cullava con il suo sciabordio.
"Non così in fretta, bach 1!"
Eowyn era gallese, e ogni tanto le capitava di inserire dei termini nella sua lingua nelle frasi: Irvin non ne capiva la maggior parte, ma solitamente la bionda li traduceva immediatamente, contrariamente a come fece quella volta.
Ignorò lo sguardo dell'amica e fissò gli occhi grigi in mare, come se stesse cercando qualcosa di prezioso tra le onde. Le uniche cose che rimasero da fare a Irvin furono aspettare e sperare che quel bach non fosse un insulto.

Dopo una buona decina di minuti, Eowyn si decise a cominciare il racconto.
"Odiavo lavorare con i maghi, a quel tempo: esseri saccenti e pieni di boria, che amavano studiare nelle loro alte torri e che ne uscivano solo per dar al caccia ai mostri che invadevano la terra. Non come noi cacciatori, però: loro, con quei bastoni nodosi, li facevano saltare in aria, li davano alle fiamme, producendo tanto di quel rumore da avvertire tutti nel giro di un miglio. Solo che noi cacciatori eravamo costretti a lavorare con loro: devo ammettere, mio malgrado, che la loro magia si rivelava utile, per quanto chiassosa e confusionaria.
Comunque. Quel giorno mi toccò una sortita con una maga poco più giovane di me, ancora troppo inesperta, ma piena di entusiasmo: dovevamo uccidere qualcuno di quegli scheletri ambulanti, che si stavano avvicinando troppo, e poi tornarcene all'accampamento senza clamore. Mi affidarono quella ragazza perché tutti gli altri avevano giù un compagno e nessuno voleva avere a che fare con due maghi alla volta: se presi da soli, risultavano a mala pena sopportabili, quando stavano in coppia erano decisamente odiosi. Dwyn era come gli altri, a prima vista: giovane, spavalda, caotica, non vedeva l'ora di provare il suo valore e di dimostrare di essere migliore di una cacciatrice più esperta di lei.
In queste sortite eravamo obbligate a tenere un conteggio: sia per ragioni di orgoglio e vanterie di piazza, sia per sapere concretamente quanti scheletri avessimo ucciso. Questo conteggio avveniva in modo molto semplice: quando uscivamo, portavamo con noi una sacca ed un coltello, con il quale tagliare una mano alle nostre prede; portavamo poi la sacca al nostro capo gilda, che raccoglieva tutte quelle del suo gruppo per poi portarle allo sciamano, che effettuava il conteggio totale.
Quel giorno, Dwyn sembrava più determinata che mai, e Urien, il nostro capo gilda, mi disse di starle attenta: strano da parte sua, che solitamente era un uomo così burbero. Lasciai correre, ed uscimmo dall'accampamento: occupammo l'intero pomeriggio a scagliare frecce e incantesimi per allontanare quei maledetti scheletri, e andò tutto per il meglio. Certo c'erano la stanchezza, le ferite, il sudore, le gambe che si trascinavano, ma niente di diverso dal solito.
Durante il conteggio erano successi un paio di incidenti, ma ce l'eravamo cavata con qualche scoppio e un attacco alle spalle che ci aveva colte di sorpresa, ma dal quale eravamo uscite vittoriose.
Dopo tre ore circa decidemmo di aver fatto abbastanza e di poter quindi tornare all'accampamento: i sacchi cominciavano a pesare e la luce non era più sufficiente per permetterci di scorgere i nemici tra gli alberi e i cespugli. Fu in quel momento che fummo attaccate da un'orda spaventosa, peggiore delle altre: i maledettissimi scheletri ci avevano accerchiato silenziosamente, ed ora volevano il nostro sangue. Pessima situazione: ricordandomi di ciò che mi aveva raccomandato Urien, posi la vita di Dwyn davanti alla mia, perché dopotutto lei era giovane ed ambiziosa, mentre io mi accontentavo di svolgere i miei compiti senza alcun piano per il futuro. Inoltre, qualche freccia non era certo un problema da sopportare per il mio scudo, mentre i maghi avevano la brutta abitudine di viaggiare senza protezioni. Erano una ventina, più o meno, ma riuscimmo a ridurli a dieci: alcuni fuggirono spaventati dal fuoco di Dwyn, altri venivano inchiodati al suolo dalle mie frecce e dai suoi incantesimi; quelli che rimasero, purtroppo, erano più agguerriti che mai. Non certo per vendetta - non provano dei sentimenti benevoli nemmeno verso i loro simili: piuttosto, si erano accorti che le loro avversarie non erano da poco e quindi volevano ucciderle. Una questione di orgoglio, di maledetto orgoglio! Come quello che spinse la mia scellerata compagna a fare il conteggio anche in quella situazione, confidando nel mio arco: uno, due, tre, quattro, cinque scheletri inchiodati a terra, e già cominciavo a sorridere in previsione della serata da passare alla taverna, e poi nel mio letto. Mi sbagliavo, ovviamente.
Distratta, non avevo badato ai soldati rimasti, che stringevano sempre di più la loro morsa. Riuscirono a piantarmi due frecce in corpo, prima che Dwyn li facesse esplodere.
Era tardi e lo sapevo. Non avevo scampo, e sapevo anche questo.
Così, decisi di impiegare il tempo che mi rimaneva rimproverando bonariamente Dwyn e dicendole di godersi la serata: non volevo che si preoccupasse per me e per il dolore, volevo mostrarmi forte per darle un pensiero in meno. Era troppo giovane ed impreparata per affrontare una morte violenta.
Ma mi sbagliai una volta di più. Vidi tutto nero e, quando mi risvegliai, ero stesa su un pagliericcio, vicino ad un fuoco scoppiettante, con il corpo letteralmente coperto di cicatrici che si intrecciavano come una tela. Mi voltai piuttosto sconcertata e vidi Dwyn al mio fianco, con una mano sulla mia spalla, che mi disse di stare calma ed ascoltarla: aveva fatto il possibile, ma non era completamente riuscita nel suo intento, quindi ora mi trovavo a metà, e lei non poteva operare ulteriormente senza espormi a rischi inutili.
La guardai perplessa, e lei aggiunse che ogni mago si specializzava in un'arte particolare, di cui portava avanti lo studio e la pratica per tutta la vita. La sua era la Morte.
Capii, in un lampo, quello che era successo, e l'abbracciai.
Ma lei si scostò da me, triste. Disse che non avevo capito: la mia era solo una vita a metà, poiché il mio corpo era morto, ma la mia anima vi dimorava ancora. Potevo muovermi e parlare, ma non ero viva: non respiravo, il mio cuore non batteva, e ciò implica una serie di cose che sicuramente tu adesso, nel ventesimo secolo, puoi ben immaginare senza che io te le dica. Aggiunse che però c'era una soluzione: per i primi tempi, sarei dovuta rimanere inattiva, poiché ogni minimo graffio poteva causarmi una morte definitiva, ma con il passare degli anni la magia che lei mi aveva donato si sarebbe rafforzata, fino a permettere ai miei tessuti di rigenerarsi, seppur lentamente.
Certo, sarei rimasta un essere umano sospeso a metà, ma almeno avrei vissuto.
Tecnicamente, sono morta: non respiro, il mio cuore non batte, il mio cervello non può mandare impulsi elettrici ai nervi e ai muscoli. In sostanza, sono quasi viva: la magia preserva il mio corpo e mi permette di esistere come un qualsiasi essere umano. Quella stessa magia, però, fa sì che ogni volta che io invecchi, le cellule del mio corpo vengano tutte ricambiate: è una specie di errore. Di bug, come si chiamerebbe adesso: la magia rileva la vecchiaia come una malattia, o una ferita, e mi guarisce.
Fu un errore a cui purtroppo Dwyn non riuscì a rimediare.
C'è un'altra condizione, però, in questa non vita: ti ho detto che quando mi svegliai il mio corpo era coperto di cicatrici.
Dwyn mi disse che nessuna magia è eterna: quella che mi teneva in vita, nello specifico, scorreva e si alimentava di quelle cicatrici che erano stati costretti ad infliggermi per tenermi in vita abbastanza a lungo. Ma le cicatrici, è noto, quando non sono abbastanza profonde tendono a sbiadire e scomparire. Inoltre la magia non è perfetta, e può succedere che le rilevi come ferite da guarire, cancellando i suoi stessi canali di alimentazione."

Eowyn prese un sospiro: durante tutto il suo racconto, non aveva staccato gli occhi dal mare, mentre Irvin l'aveva osservata stupita per quelle tre ore che erano volate, per lei.

"Sto sbiadendo, Irvin, e dovevo dirlo a qualcuno."

La mora le mise una mano sulla spalla, facendo pressione perché l'amica si sdraiasse posando la testa sulle sue gambe.
"Sono stanca. Per i primi secoli ho continuato ad infliggermi piccole cicatrici che potessero tenermi in vita, ma adesso non ce la faccio più: ho attraversato il tempo, ho visto la storia passare sotto i miei occhi come una colonna di formiche, e mi sono anche divertita. Ma adesso sono stanca."





1. Bach in gallese significa piccola (o almeno google traduttore dice così).



Oddio, è una cosa vecchissima e priva di senso, ma mi andava di scrivere di roba morta (?)
In più, era un periodo in cui giocavo un sacco a Drakensang, ed ecco spiegati tutti i riferimenti a cacciatori, maghi e strane creature scheletriformi.
E sì, è Barafundle Bay, per chi se lo stesse chiedendo (perché è l'unica baia gallese che conosco).

Ossequi e biscotti :3
   
 
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